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Prospettive economiche – Proposta di emendamento alla risoluzione della conferenza internazionale (1946)

Proseguiamo la serie di articoli dedicati al dibattito nella Quarta Internazionale negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, anni decisivi per segnare il destino del movimento trotskista per tutta un’epoca storica. Nel primo articolo, “Le origini del crollo della Quarta Internazionale e il tentativo dei trotskisti britannici di evitarlo“, Fred Weston ha illustrato come la direzione della Quarta avesse elaborato nel 1946 un documento politico, “La nuova pace imperialista e la costruzione dei partiti della Quarta Internazionale“, contenente gravi errori nelle prospettive, prevedendo, tra le altre cose, una fase di recessione economica e l’indebolimento dell’URSS stalinista. Il Revolutionary Communist Party, la sezione inglese della Quarta Internazionale, sviluppò una critica complessiva a queste posizioni, soprattutto grazie al contributo teorico di Ted Grant, e presentò una serie di emendamenti al documento della direzione internazionale. Abbiamo già pubblicato gli emendamenti relativi al ruolo dell’Unione Sovietica nel dopoguerra, “La Quarta Internazionale e l’Unione Sovietica nel 1946“. Oggi pubblichiamo invece l’emendamento relativo alle prospettive economiche, un altro eccellente esempio di applicazione non meccanica del metodo marxista.

                                                                                                                      La redazione

 

di Ted Grant

 

L’epoca attuale è l’epoca di un evidente declino del capitalismo. La crisi generale del capitalismo si riflette nella contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e la proprietà privata dei mezzi di produzione e lo Stato nazionale. Il capitalismo ha assolto la sua funzione storica, lo sviluppo dello Stato nazionale e la creazione del mercato mondiale, nei decenni precedenti alla Prima guerra mondiale. Il capitalismo non può più servire a sviluppare le forze della produzione. A dispetto dell’immenso incremento nella produttività del lavoro e del continuo sviluppo della tecnica, su scala mondiale la produzione si trova frenata e ristretta dai ceppi della proprietà privata dei mezzi di produzione, di trasporto e di scambio, e dallo Stato nazionale.

Già nel 1850-70, il ruolo basilare del capitalismo nella storia si era già esaurito. Già in quello stadio era diventato un freno per lo sviluppo delle forze produttive. Questa è la spiegazione dell’errore di prospettiva di Marx ed Engels nel ritenere che la vittoria della rivoluzione proletaria fosse imminente. Tuttavia, mediante lo sviluppo del mercato mondiale, che gli diede nuove risorse, il capitalismo si rivelò essere a quello stadio non ancora un freno assoluto, ma solo un freno relativo allo sviluppo delle forze produttive. Marx fece notare che nessuna società lascia il passo ad una società nuova finché non abbia esaurite tutte le sue possibilità produttive. Fra il 1870 e il 1914 il capitalismo si presentava come un sistema economico in ascesa. Naturalmente, se il proletariato fosse giunto al potere (le forze produttive erano già sufficientemente sviluppate) l’espansione delle forze produttive sarebbe stata incommensurabilmente maggiore. Ciononostante il capitalismo poté mantenersi perché continuava ad essere un fattore relativamente progressivo.

Fra il 1879 e il 1914 le cifre della produzione delle merci più importanti in Germania, in Francia, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna mostravano una tendenza generale a una crescita rapida.

La Prima guerra mondiale segnò un cambiamento definitivo nel ruolo del capitalismo. Il mondo era stato diviso in sfere d’influenza, mercati, fonti di materie prime e poteva essere ridiviso solamente attraverso una sanguinosa guerra imperialista. Si apriva l’epoca del declino e dell’agonia del capitalismo, preannunciata da un periodo di guerre, rivoluzioni, sollevazioni e convulsioni, chiara prova dell’impasse insolubile in cui il sistema capitalista aveva gettato l’umanità.

La crisi generale del capitalismo si rifletteva nel fatto che le forze produttive avevano cessato di crescere allo stesso ritmo del passato. L’inevitabile ciclo della produzione capitalista prendeva ora una traiettoria alquanto diversa: non più recessioni brevi e lunghe espansioni, con ogni successiva espansione ad un livello più elevato della precedente, bensì un’epoca in cui brevi fasi espansive erano seguite da lunghe fasi recessive e di crisi. Le forze produttive oscillavano attorno al livello del 1914, se si tiene in conto l’incremento della popolazione e delle risorse.

Nonostante ciò la prima crisi postbellica del capitalismo, nel corso della quale il proletariato non riuscì a prendere il potere, portò inevitabilmente ad un nuovo boom economico. Il crollo parziale immediatamente successivo al 1921 non durò a lungo, né ebbe effetti molto importanti. Nella maggior parte dei paesi del mondo le cifre della produzione nel 1929 erano più alte di quelle del 1914, ma solo per preparare un crollo delle forze produttive quale mai il capitalismo aveva conosciuto in passato. La recessione fu di una gravità senza precedenti; afflisse tutti i principali paesi capitalisti simultaneamente, causando spaventose devastazioni e un declino cronico nell’utilizzo del potenziale produttivo (il Giappone fece eccezione per ragioni che qui non è necessario trattare).

Ancora una volta, però, questa recessione non poteva continuare indefinitamente. Dato che il proletariato venne paralizzato dai suoi partiti e non riuscì a utilizzare la crisi per rovesciare il capitalismo e prendere il potere nelle proprie mani, cominciò una nuova ripresa economica. In molti paesi d’Europa questa crisi non fu definitivamente risolta finché non entrarono a pieno regime i preparativi per la nuova mattanza dei popoli (essa stessa un riflesso del punto di stallo del capitalismo). Sulla base della preparazione per il riarmo e in generale delle misure di guerra, tuttavia, l’attività economica sorpassò addirittura le cifre del 1929 nei principali paesi capitalisti a parte la Francia (vedi grafico 1). Si può vedere quindi come nella fase discendente del capitalismo la produzione tendeva ad oscillare attorno al livello del 1919-37 (a causa alle condizioni eccezionali prodotte dalla guerra, la produzione tedesca di fatto crollò mentre quella americana raggiunse livelli record), senza riuscire a ottenere il ritmo costante di crescita dei decenni precedenti alla Prima guerra mondiale, quando ciascuna crisi era seguita da una fortissima ripresa ad un livello di sviluppo più alto delle forze produttive.

La Seconda guerra mondiale, un’ulteriore prova dell’agonia del capitalismo, si risolse in una spaventosa distruzione di vite umane e di forze produttive, in una disorganizzazione e disintegrazione della produzione in Europa e in Asia, di cui non si hanno altri esempi nella storia. L’imperialismo e il capitalismo hanno così mostrato la barbarie in cui, protraendo la propria esistenza, gettano l’umanità. In contrasto con i riformisti e gli stalinisti, che cercano di ingannare le masse con la prospettiva di una rinascita del capitalismo e di un grande futuro per la democrazia, la risoluzione della conferenza preparatoria internazionale è corretta al cento per cento quando enfatizza il declino e il crollo dell’economia capitalista mondiale nell’epoca attuale. Tuttavia in una risoluzione che cerca di orientare i nostri quadri sulle prospettive economiche immediate – da cui dipenderà in gran parte il prossimo stadio della lotta di classe, e dunque la nostra propaganda e la nostra tattica immediate – la prospettiva è chiaramente errata.

La crisi odierna e il basso livello della produzione non sono una crisi economica come classicamente intesa dai marxisti. C’è una crisi “di sottoproduzione” che sorge dalla concentrazione imperialista delle forze produttive per la guerra e dalle stesse distruzioni belliche. Si riflette nella carenza di beni capitali, nella carenza di beni di consumo, nella carenza di prodotti agricoli: l’esatto contrario di una crisi economica di sovrapproduzione capitalista come la intendono i marxisti.

Le spaventose carestie che hanno colpito i popoli di tutto il mondo, la disorganizzazione e la decadenza dell’Europa, sono indicazioni del collasso del sistema capitalista. Avrebbero potuto facilmente portare alla distruzione del capitalismo e all’organizzazione della produzione socialista su scala paneuropea e panasiatica, se non fosse stato per la debolezza del partito rivoluzionario e la capitolazione delle organizzazioni di massa della classe operaia. Per la seconda volta in una generazione è stato consentito al capitalismo di guadagnare un altro momento di respiro.

La teoria del crollo spontaneo del capitalismo è del tutto estranea ai concetti del bolscevismo. Lenin e Trotskij hanno sottolineato più volte che il capitalismo troverà sempre una via di uscita se non viene distrutto dall’intervento cosciente del partito rivoluzionario che, alla testa delle masse, approfitti delle difficoltà e delle crisi del capitalismo per rovesciarlo. L’esperienza della Seconda guerra mondiale mette in luce la profonda correttezza di queste idee di Lenin e Trotskij.

La prostrazione del proletariato per il tradimento delle sue organizzazioni di massa, l’ascesa ciclica delle forze produttive, il deterioramento dei macchinari, il taglio dei salari, tutto questo conduce ad un assorbimento del capitale in eccesso e a una ricostituzione, o una ricostituzione parziale, del saggio di profitto. Si prepara così una nuova ripresa ciclica che a sua volta getta le basi per una crisi ancora maggiore. Trotskij scrisse della recessione mondiale in questi termini:

“Le classi dominanti di tutti i paesi puntano sui miracoli di un’ascesa industriale: lo conferma lo scatenarsi della speculazione borsistica. Se il capitalismo entrasse veramente in una fase di nuova prosperità o anche solo di ascesa lenta, ma costante, ciò comporterebbe necessariamente una ristabilizzazione capitalistica, un riconsolidamento delle posizioni della borghesia, accompagnato da un indebolimento del fascismo e da un simultaneo rafforzamento del riformismo. Ma non c’è la benché minima ragione di sperare o di temere che la nuova ripresa congiunturale, di per sé inevitabile, permetta di superare le tendenze generali di disgregazione dell’economia mondiale e in particolare dell’economia europea. Se il capitalismo dell’anteguerra si sviluppava secondo la formula della produzione allargata delle merci, il capitalismo attuale, con tutte le sue oscillazioni congiunturali, non è che una riproduzione allargata di miserie, di catastrofi. Il nuovo ciclo della congiuntura determinerà un inevitabile riaggiustamento delle forze sia all’interno dei singoli paesi sia nel quadro del campo imperialista nel suo complesso, anzitutto con uno spostamento dall’Europa verso l’America. Ma rapidissimamente porrà il mondo capitalista di fronte a contraddizioni insolubili e lo condurrà a nuove convulsioni ancor più formidabili.”1

Non importa quanto sia devastante la recessione, se i lavoratori non prevalgono il capitalismo troverà sempre una via d’uscita dalla sua impasse economica a loro spese e preparando nuove contraddizioni. La crisi mondiale del sistema capitalista non pone fine al ciclo economico, ma gli dà un carattere differente. La teoria sostenuta dagli stalinisti durante l’ultima crisi mondiale, secondo la quale si sarebbe trattato dell’ultima crisi dalla quale il capitalismo non si sarebbe mai ripreso, era del tutto antimarxista. C’è un grave rischio che questa teoria resusciti oggi nelle nostre fila.

Dopo la Prima guerra mondiale, i capitalisti si trovavano di fronte grandi partiti rivoluzionari, seppure inesperti, che cercavano di approfittare della crisi produttiva del capitalismo per rovesciarlo. Ciò aggravò ulteriormente il caos, rendendo difficile la ripresa capitalista. Nonostante questo, tuttavia, la produzione fu ampiamente ristabilita.

Se i partiti stalinisti fossero partiti autenticamente rivoluzionari, la classe capitalista ora dovrebbe affrontare una prospettiva del tutto diversa, sia economicamente che politicamente. Il proletariato in Francia avrebbe paralizzato il tentativo dei capitalisti di ripristinare la produzione al costo di ulteriori sacrifici e fardelli sulle spalle delle masse. Ma le due organizzazioni traditrici del proletariato stanno tendendo ogni nervo per impedire, frustrare e sabotare qualsiasi lotta, economica o politica, del proletariato.

Nel frattempo, data la debolezza dei partiti della Quarta Internazionale, che in questa fase rimangono piccole sette, i capitalisti hanno potuto trovare una via d’uscita dal crollo e dal declino dell’economia. Questo ha preparato il terreno in Europa occidentale per una ripresa costante e piuttosto rapida.

Se si svilupperà un conflitto tra Stalin e il capitalismo dell’Europa occidentale e se le organizzazioni staliniste saranno utilizzate per fomentare disordini e per strappare delle concessioni attraverso scioperi di massa, la situazione per i capitalisti può deteriorarsi da un giorno all’altro. Neppure l’aiuto delle finanze americane potrebbe impedire la crisi che ne seguirebbe. La posizione presa al riguardo dalla conferenza preparatoria internazionale e sostenuta dalla minoranza del partito britannico2, secondo cui i paesi dell’Europa occidentale – la Francia, l’Olanda, il Belgio e altri – rimarranno a un livello prossimo alla stagnazione e alla recessione e non potranno arrivare al livello di produzione raggiunto prima della guerra, è del tutto sbagliata. La risoluzione della preconferenza dice:

“Questo ripristino dell’attività economica nei paesi capitalisti colpiti dalla guerra, e in particolare nei paesi sul continente europeo, sarà caratterizzato da un ritmo particolarmente lento e questi paesi resteranno pertanto a un livello prossimo alla stagnazione e alla recessione.”

L’Europa orientale in particolare, sotto il controllo della burocrazia stalinista, si riprenderà senza dubbio e addirittura incrementerà le sue risorse produttive più velocemente che dopo il 1914-18. È impossibile per l’imperialismo angloamericano e per la borghesia dell’Europa occidentale consentire a che ci sia una stagnazione completa e un declino in metà continente, mentre l’attività economica si sviluppa nell’altra metà sotto il dominio della burocrazia stalinista.

Ad ogni modo, oltre a queste considerazioni politiche ci sono le leggi del capitalismo che di per se stesse assicurano la risalita dell’economia e rendono inevitabile un nuovo boom. A maggior ragione se si considera che questa crisi non è una crisi di sovrapproduzione e che i capitalisti in Europa occidentale non sono sotto attacco da parte delle organizzazioni di massa, ma al contrario ricevono un aiuto e un sostegno diretto da parte della socialdemocrazia e dello stalinismo, una ripresa ciclica è inevitabile. Non è da escludersi che particolarmente per l’Europa occidentale (con l’eccezione di Germania ed Austria) le cifre della produzione possano anche raggiungere e superare il livello prebellico nel prossimo periodo.

Persino in Germania, a seconda della relazione tra gli imperialisti e la Russia, ci sarà una ripresa più o meno grande, sebbene qui, a causa del conflitto fra le potenze e della divisione e dell’occupazione della Germania, è impossibile che siano raggiunte nel prossimo periodo le cifre prebelliche.

Tutti i fattori su scala europea e mondiale indicano che l’attività economica in Europa occidentale nel prossimo periodo non sarà di “stagnazione e recessione” bensì di ripresa ed espansione.

La caratteristica principale della “stagnazione e recessione” nella crisi capitalista quale si manifestava per esempio dalla classica crisi del 1929-33, che assunse una portata e una gravità senza precedenti su scala mondiale, era la sovrapproduzione di beni capitali, di beni di consumo e di prodotti agricoli. Alla crisi industriale si aggiungeva così una simultanea crisi agricola. La ripresa economica che seguì l’ultima recessione mondiale, come sempre fu ottenuta con la distruzione e il deterioramento dei beni capitali, con il deterioramento e la distruzione dei beni di consumo rimasti nei magazzini, con la riduzione delle aree seminate, ecc. Sebbene ciò avesse comportato per i lavoratori miserie e sofferenze incommensurabili, nondimeno nella maggior parte dei paesi del mondo, in particolare con i preparativi bellici, nel 1937-38 le cifre della produzione eccedevano addirittura quelle degli anni record 1928-29. La distruzione causata dalla guerra ha ottenuto risultati simili a quelli che i capitalisti raggiungono quando si mettono coscientemente a distruggere ricchezza nei periodi delle crisi di sovrapproduzione.

Oggi in Europa esistono le condizioni classiche per una ripresa: carenza di beni capitali, carenza di prodotti agricoli, carenza di beni di consumo. La scarsità impone nuove miserie alle masse e nuovi sforzi al sistema. Queste condizioni generate dalla distruzione volontaria e dai normali processi di decadenza di una crisi capitalista, qui sono prodotte dalla devastazione e dall’uragano di una guerra totalitaria. Questa devastazione non ha portato al rovesciamento del sistema attraverso la vittoria del proletariato. Così come la ripresa economica segue una crisi che non abbia portato al rovesciamento del sistema, così al caos attuale seguirà il ristabilimento delle forze produttive, anche su basi capitaliste.

Questa ripresa, tuttavia, come già affermato nella citazione di Trotskij, non può portare ad una rifioritura dell’economia capitalista: una nuova ripresa può solo preparare la strada ad una recessione e ad una crisi economica ancora più grande che in passato.

Gli stalinisti e i socialdemocratici hanno in larga misura persuaso la classe operaia ad accettare il fardello della ricostruzione con grida di “produzione! produzione!”, con le quali hanno indubbiamente avuto un certo successo tra le vaste masse. La Quarta Internazionale potrà soltanto screditarsi se si rifiuta di riconoscere l’inevitabile ripresa, e disorienterà i suoi stessi quadri oltre che le larghe masse, predicendo una recessione permanente e un ritmo di recupero lento in Europa occidentale, quando invece gli eventi stanno prendendo una forma diversa. (vedi appendice)

L’argomentazione dei compagni del Swp americano alla quale ha fatto eco la minoranza del partito britannico, secondo cui solo dopo che il proletariato avesse subito una sconfitta decisiva l’imperialismo americano avrebbe fatto dei prestiti per aiutare la ripresa del capitalismo dell’Europa occidentale, si è già dimostrata erronea: il proletariato non è stato sconfitto, ma i prestiti sono già stati concessi. Ugualmente erronea è l’argomentazione secondo la quale la ripresa economica può avere luogo solo se il proletariato viene sconfitto in modo decisivo. Tale argomentazione mescola insieme problemi politici ed economici, immaginando un riflesso immediato degli uni sugli altri: indubbiamente, una sconfitta decisiva del proletariato infonde alla borghesia stabilità e fiducia, ma a meno che le precondizioni economiche per un boom non siano presenti, neppure in tal caso esso si verificherà necessariamente. Non è una legge di sviluppo del capitalismo che solo la sconfitta del proletariato in una situazione rivoluzionaria possa condurre ad un boom, come non lo è che una recessione conduca automaticamente a una rivoluzione. La storia ci insegna che il capitalismo, anche nella sua agonia mortale, si riprende da una recessione nonostante le possibilità rivoluzionarie, se il proletariato è paralizzato o indebolito dalle sue organizzazioni e reso incapace di avvantaggiarsi di queste opportunità.

Dopo che l’ondata rivoluzionaria della Prima guerra mondiale venne arginata dalla socialdemocrazia, il capitalismo fu in grado di riprendersi intensificando lo sfruttamento della classe operaia. La prima ondata rivoluzionaria dopo la Seconda guerra mondiale è stata arginata e paralizzata dalla socialdemocrazia e dallo stalinismo. La ripresa economica sta avendo luogo davanti ai nostri occhi nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale e in Gran Bretagna. Non solo, la macchina statale borghese nei paesi occidentali, che era stata distrutta e frantumata dopo la caduta di Hitler, è stata gradualmente ricostruita sulla base della democrazia borghese: c’è stata una “stabilizzazione” precaria dello Stato borghese e la restaurazione della vita economica dalla precedente condizione di sfascio e di caos quasi completi. Il ritmo della ripresa procede ad un passo piuttosto spedito in tutta l’Europa occidentale, tranne che in Germania.

Il fatto che il proletariato attraverso le sue organizzazioni sia stato paralizzato, ha concesso alla borghesia l’opportunità di riottenere il controllo della propria economia. Da questo non discende che il proletariato sia sconfitto.

Ci saranno in realtà flussi e riflussi del movimento operaio, insieme ad alti e bassi dell’economia e non per forza in dipendenza diretta gli uni dagli altri. La ripresa economica non è necessariamente un fattore negativo per la rivoluzione. Al contrario, data la paralisi del proletariato, il fatto che le masse vengano raggruppate e incanalate nell’industria rafforzerà la loro fiducia e la loro capacità di lotta. Ciò può preparare grandi lotte (America 1936) che porranno ancora una volta le questioni politiche in termini chiari e netti. La ripresa economica, in ogni caso, può durare solo pochi anni e la nuova recessione metterà ancora davanti agli occhi dei lavoratori il tradimento dei leader stalinisti e socialdemocratici che gridavano “produzione!” e… hanno prodotto disoccupazione e miseria a causa della “sovrapproduzione”.

In un periodo di universale scarsità, il proletariato può essere narcotizzato e riconciliato con le sue organizzazioni, spinto ad accettare il giogo di una sempre maggiore schiavitù e il fardello di una produzione sempre più intensa, ma troverà tutto questo intollerabile quando vedrà il vicolo cieco in cui lo conducono questi sacrifici. Ma solo se noi quartinternazionalisti avremo spiegato scrupolosamente questo processo dal punto di vista teorico potremo raccoglierne i risultati nel settore più avanzato della classe operaia. Solo su quella base sarà possibile parlare di guidare le masse.

La nuova recessione paleserà ancora una volta, come hanno fatto le guerre e le recessioni precedenti, la degenerazione e la crisi cronica del capitalismo mondiale. Saranno all’ordine del giorno grandi battaglie tra le classi, rivoluzioni e guerre civili.

Il declino definitivo dell’Europa, già iniziato nel 1914, si è aggravato nei decenni successivi e la Seconda guerra mondiale ha posto il suo sigillo su questo declino. Se pure avranno luogo ascese cicliche, come avviene in questo momento, non ci sarà una vera crescita delle forze produttive come in passato: la crisi cronica e l’agonia del capitalismo si riveleranno ancora una volta in tutta la loro portata quando la catastrofe del tempo di pace si aggiungerà a quella del tempo di guerra; il paradosso della povertà e dell’abbondanza, delle fabbriche ferme e dei lavoratori inattivi, dei popoli affamati mentre il cibo è lasciato marcire, del peso del nuovo programma di riarmo, porrà con insistenza nella coscienza del proletariato la necessità della riorganizzazione della società. Il programma della Quarta Internazionale diventerà la bandiera del proletariato europeo e mondiale.

 

Appendice

La Prima guerra mondiale fu seguita da un boom, non da una recessione, secondo le leggi dell’economia capitalista.

Subito dopo la guerra, la produzione complessiva dell’intera Europa, esclusa l’URSS, era al 62% del livello del 1913. Nel corso del biennio 1919-20 ci fu una crescita costante fino a raggiungere il 79% del livello anteguerra alla fine del 1920, con un indice medio del 66% nel 1919 e del 74% nel 1920, rispetto alle cifre del 1913.

 

Tabella 1

I seguenti dati sulla produzione di materie prime nei principali paesi (vedi tabella 1 e 2) e il grafico sulla produzione di carbone e acciaio in Francia (vedi grafico 2), dimostrano il ritmo abbastanza rapido della ripresa in Europa occidentale, nonostante l’esistenza di partiti comunisti di massa e gli sforzi della giovane repubblica sovietica, sotto Lenin e Trotskij, di estendere la rivoluzione socialista.È importante notare che dopo la breve recessione del 1921, anno in cui la ripresa economica fu ulteriormente frenata da aspre lotte ci classe, l’economia dell’Europa e del mondo ebbe una crescita costante fino al 1929. (vedi grafico 1)

Grafico 1

Tabella 2

Un’analisi teorica dovrebbe presupporre che, data la tremenda distruzione di beni primari nel corso della guerra e la carenza di beni di consumo provocata da sei anni di deprezzamenti, il risultato inevitabile sarà un boom post-bellico. Se poi aggiungiamo a questi fattori economici i rapporti di forza politici, con la paralisi del proletariato da parte della socialdemocrazia e dello stalinismo, e la debolezza della Quarta Internazionale, è chiaro che la ripresa economica sarà paragonabile a quella del precedente dopoguerra, se non superiore.

 

Grafico 2



Questo assunto teorico è stato definitivamente provato dal fatto che il livello di produzione in Francia è salito dal 33% nell’agosto 1945 (Economist, 8 agosto 1945), al 60% nel marzo 1946 (Economist, 23 marzo 1946) all’80% nel giugno 1946 (Economist, 28 giugno 1946).   

Una comparazione tra il ritmo della ripresa dell’attività industriale tra i due dopoguerra, è oggi parzialmente possibile. Il grafico seguente (grafico 2) indica la produzione mensile media di carbone e ferro nei due periodi postbellici [in Francia], fornendo un’indicazione sul ritmo relativo della ripresa industriale.

In alto i dati relativi alla produzione francese di ferro e in basso quelli relativi alla produzione di carbone.

 

 

 

 

Note

1 Lev Trotskij, La sola via, in I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali 1924-1940, Einaudi 1970.

2 Si fa qui riferimento alla minoranza interna del Revolutionary Communist Party, guidata da Gerry Healy, che sosteneva strumentalmente le posizioni della direzione internazionale per i propri interessi frazionistici.

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