La Rivolta della Ragione – Capitolo 10 Geologia e dialettica – Materia, vita e intelletto

Dall’occupazione delle fabbriche all’ascesa del fascismo
21 Settembre 2016
Crisi e lotta di classe – Prospettive mondiali 2016
21 Settembre 2016
Dall’occupazione delle fabbriche all’ascesa del fascismo
21 Settembre 2016
Crisi e lotta di classe – Prospettive mondiali 2016
21 Settembre 2016
Mostra tutto

La Rivolta della Ragione – Capitolo 10 Geologia e dialettica – Materia, vita e intelletto

di Alan Woods e Ted Grant

 

C’è un modo di dire inglese che recita: “solido come il terreno sotto i nostri piedi”. Questo concetto, sì confortante, è però lontano dalla verità. La terra sotto i nostri piedi non è così stabile come sembra; le rocce, le catene di montagne, i continenti stessi sono in uno stato di movimento e di cambiamento continuo, di cui stiamo iniziando a capire la natura solo dalla seconda metà di questo secolo.
La geologia è la scienza che si occupa dell’osservazione e della spiegazione di tutti i fenomeni che avvengono sulla superficie e all’interno del nostro pianeta. A differenza di altre scienze naturali, come la fisica e la chimica, la geologia si basa prevalentemente, non sull’esperimento, ma sull’osservazione. Di conseguenza il suo sviluppo è fortemente influenzato dal modo in cui tali osservazioni vengono interpretate. Questo, a sua volta, è stato condizionato nei vari periodi storici dalle tendenze filosofiche e religiose dell’epoca, il che spiega lo sviluppo tardivo della geologia rispetto alle altre scienze della Terra. Solo nel 1830 Charles Lyell, uno dei fondatori della geologia moderna, dimostrò che la Terra è più vecchia di quanto afferma il libro della Genesi. Misurazioni successive, basate sul decadimento radioattivo, lo hanno confermato, stabilendo che l’età della Terra e della Luna risale a circa 4,6 miliardi di anni.
Fin dall’inizio gli uomini hanno conosciuto fenomeni come i terremoti e le eruzioni vulcaniche che rivelavano le enormi forze nascoste sotto la superficie della Terra. Ma fino al nostro secolo tali fenomeni sono stati attribuiti all’intervento degli dèi: Nettuno, o Poseidone, era “colui che scuote la Terra”, mentre Vulcano, o Efesto, il fabbro zoppo degli dèi, viveva nelle viscere della Terra, provocando l’eruzione di vulcani con i colpi del suo martello.
Nei secoli XVIII e XIX i primi geologi erano aristocratici ed ecclesiastici che credevano, col vescovo Ussher, che il mondo era stato creato da Dio il 23 ottobre del 4004 a.C. Per spiegare le irregolarità della superficie terrestre, come i canyon e le montagne, svilupparono una teoria – il catastrofismo – che tentava di conformare le osservazioni alle storie bibliche dei cataclismi, come il Diluvio universale. Ogni catastrofe cancellava delle specie intere e questo forniva una comoda spiegazione dei fossili che si trovavano sepolti nelle rocce in fondo alle miniere di carbone.
Non è una coincidenza il fatto che la teoria catastrofista della geologia abbia guadagnato più terreno in Francia, dove la Grande Rivoluzione del 1789-94 ebbe sulla psicologia di tutte le classi un’influenza decisiva, la cui eco si protrasse per generazioni. A chi è incline a dimenticare, le rivoluzioni del 1830, del 1848 e del 1870 ricordano vividamente la penetrante osservazione di Marx per cui la Francia è un paese in cui la lotta di classe viene condotta sempre fino in fondo. Per Georges Cuvier, celebre naturalista e geologo francese del secolo XIX, lo sviluppo della Terra è segnato da

“Una successione di periodi brevi di cambiamento intenso e ogni periodo segna un punto di svolta nella storia. Fra l’uno e l’altro di questi, ci sono lunghi periodi tranquilli di stabilità. Come la Rivoluzione Francese, dopo lo sconvolgimento tutto è diverso. Allo stesso modo, il tempo geologico è suddiviso in capitoli distinti, ognuno col proprio tema di fondo.1

Se la Francia è il paese classico della rivoluzione e controrivoluzione, l’Inghilterra è la patria del gradualismo riformista. La rivoluzione borghese dell’Inghilterra, come quella francese, fu una faccenda assai sanguinosa, che costò la testa al re e a molti altri. Ma da allora le “classi rispettabili” inglesi si sforzarono di farla dimenticare; preferirono invece soffermarsi sulla cosiddetta “Gloriosa Rivoluzione” del 1688, in realtà un inglorioso colpo di Stato in cui un avventuriere olandese fece da intermediario fra i nuovi arricchiti della City e l’aristocrazia, in una divisione del potere senza princìpi. Questa è la base teorica della tradizione anglosassone del gradualismo e del “compromesso”.
L’avversione al cambiamento rivoluzionario in qualsiasi forma è tradotta in una preoccupazione ossessiva di eliminare ogni traccia di salti improvvisi dalla natura e dalla società. Lyell avanzò una visione diametralmente opposta a quella del catastrofismo. Per lui, le delimitazioni fra diversi strati geologici non rappresentavano delle catastrofi, ma semplicemente delineavano la mutevole configurazione delle transizioni fra ambienti sedimentari. Non occorreva cercare modelli globali: i periodi geologici erano semplicemente un comodo metodo di classificazione, così come la divisione della storia inglese in base ai monarchi regnanti.
Engels fece omaggio al contributo di Lyell alla scienza geologica:

Lyell per primo portò un ordine razionale nella geologia, sostituendo alle improvvise rivoluzioni, suscitate dai capricci del creatore, la gradualità di una lenta trasformazione della terra”.

Tuttavia, ne riconobbe anche le carenze:

Il difetto della concezione di Lyell – per lo meno nella sua prima formulazione – consisteva nel supporre costanti, in qualità e quantità, le forze agenti sulla Terra. Per Lyell non esiste il raffreddamento della Terra; il pianeta non si sviluppa in una ben determinata direzione, ma si trasforma soltanto in modo sconnesso, casuale.2

“Queste idee rappresentano le filosofie dominanti riguardo la natura della storia geologica”, scrive Peter Westbroek;
Da una parte il catastrofismo, la nozione della stabilità interrotta da brevi periodi di rapido cambiamento e dall’altra il gradualismo, l’idea di fluttuazione continua. Ai tempi di Coquand, il catastrofismo era generalmente accettato in Francia, ma questa filosofia doveva perdere rapidamente consensi, per motivi puramente pratici. La teoria geologica si dovette costruire da zero. I fondatori della geologia furono costretti ad applicare il più rigorosamente possibile il principio del presente come chiave del passato. Il catastrofismo era poco utile proprio perché affermava che le condizioni geologiche erano fondamentalmente diverse da quelle dei successivi periodi di stabilità. Con la teoria geologica più avanzata di cui disponiamo ora, possiamo adottare un atteggiamento più flessibile. È interessante che il catastrofismo stia ritrovando consensi”.3

Il dibattito fra gradualismo e catastrofismo è in realtà artificiale. Hegel aveva già affrontato questo punto inventando la linea nodale di misura, in cui l’accumulazione di cambiamenti quantitativi dà luogo a periodici salti qualitativi. Il gradualismo viene interrotto, finché non si afferma un nuovo equilibrio, ma ad un livello superiore. Il processo del cambiamento geologico corrisponde precisamente al modello di Hegel, come ora è stato dimostrato in modo definitivo.

La teoria di Wegener

All’inizio del secolo XX lo scienziato tedesco Alfred Wegener fu colpito dalla somiglianza fra il profilo della costa orientale del Sudamerica e di quello della costa occidentale dell’Africa. Nel 1915 egli pubblicò la sua teoria sulla trasposizione dei continenti, basata sulla supposizione che, in un qualche passato, tutti i continenti avevano fatto parte di una sola massa continentale, Pangea, che successivamente si divise in masse continentali che si allontanarono alla deriva l’una dall’altra per formare infine i continenti attuali. Sebbene la teoria di Wegener non riuscisse a dare una spiegazione scientifica del meccanismo che stava dietro la deriva continentale, essa costituì una vera rivoluzione nella geologia. Ciò nonostante, fu contestata veementemente dalla conservatrice comunità geologica; il geologo Chester Longwell arrivò al punto di dire che se i continenti s’incastravano così bene si trattava di un “trucco del diavolo” per ingannarci. Per i sessant’anni successivi, lo sviluppo della geologia fu ostacolato dalla teoria dominante, che ammetteva solo movimenti verticali dei continenti (isostasia). Anche sulla base di questa ipotesi erronea si fecero importanti passi in avanti, preparando il terreno per la “negazione” di una teoria che in misura crescente era in contrasto coi risultati osservati.
Come molto spesso accade nella storia della scienza, i progressi tecnologici legati alle esigenze della produzione fornirono lo stimolo necessario allo sviluppo delle idee. La ricerca di petrolio da parte di multinazionali come la Exxon portò ad importanti innovazioni per l’investigazione geologica del fondo del mare e allo sviluppo di nuovi potenti metodi di profilamento sismico, perforazione in mari profondi e metodi migliori per la datazione dei fossili. Alla metà degli anni ’60 Peter Vail, uno scienziato del laboratorio centrale dell’Exxon a Houston, cominciò a studiare le irregolarità dei segni lineari sul fondo dell’oceano. Vail simpatizzava con la vecchia visione francese dell’evoluzione interrotta e credeva che queste discontinuità del processo rappresentassero importanti punti di svolta geologici. Le sue osservazioni rivelarono modelli di mutamento sedimentario che sembravano essere gli stessi in tutto il mondo. Questo fornì un potente sostegno all’interpretazione dialettica del processo geologico.
L’ipotesi di Vail fu accolta con scetticismo dai suoi colleghi; Jan van Hinte, un altro scienziato dell’Exxon, ricorda: “Noi paleontologi non credemmo a quello che diceva. Tutti eravamo stati formati nella tradizione anglosassone del cambiamento graduale; questa teoria invece puzzava di catastrofismo.” Tuttavia, le osservazioni di Jan van Hinte sulla storia fossile e sismica del Mediterraneo diedero esattamente gli stessi risultati di Vail e le età delle rocce corrispondevano alle sue previsioni. Il quadro che ora emerge è chiaramente dialettico:

È una caratteristica ricorrente nella natura: la goccia che fa traboccare il vaso. Un sistema che è stabilizzato al suo interno viene gradualmente eroso da un’influenza esterna finché non crolla. Poi un piccolo impeto provoca un cambiamento drammatico e si crea una situazione del tutto nuova. Quando il livello del mare sale, i sedimenti si accumulano gradualmente sulla piattaforma continentale. Quando invece il mare si abbassa, la sequenza si destabilizza. La situazione si mantiene per un certo tempo e poi – bang! – una parte scivola nel mare profondo. A lungo andare il livello del mare comincia a crescere e, a poco a poco, si accumula il sedimento”.4

La quantità si trasformò in qualità quando negli ultimi anni ’60, come risultato della foratura sul fondo dell’oceano, si scoprì che sul fondo dell’Oceano Atlantico un lato si allontanava dall’altro. La “Dorsale medioceanica” (cioè una catena di montagne subacquea nell’Atlantico) indicava che il continente americano si stava allontanando dalla massa continentale eurasiatica. Questo era il punto di partenza dello sviluppo di un nuova teoria, quella della tettonica a zolle (o a placche), che avrebbe rivoluzionato la scienza della geologia.
Qui abbiamo un ulteriore esempio della legge dialettica della negazione della negazione, applicata alla storia alla scienza: la teoria originaria di Wegener sulla deriva continentale viene negata dalla teoria di stato stazionario dell’isostasia. Questa a sua volta è negata dalla tettonica a zolle, che segna un ritorno alla teoria precedente ma su un livello qualitativamente superiore. La teoria di Wegener era un’ipotesi brillante e fondamentalmente corretta, ma egli non era stato in grado di spiegare il meccanismo preciso per cui avviene la deriva continentale. Ora, in base a tutte le scoperte e alle conquiste della scienza dell’ultimo mezzo secolo, non solo sappiamo che la deriva continentale è una realtà, ma possiamo spiegare esattamente come accade. La nuova teoria è ad un livello molto più alto di quella precedente, con una comprensione più profonda dei meccanismi complessi attraverso i quali si evolve il pianeta.
Tutto ciò rappresenta l’equivalente in geologia della rivoluzione darwiniana in biologia. L’evoluzione vale non solo per la materia animata, ma anche per quella inanimata; infatti le due si compenetrano e si condizionano. I complessi processi naturali si collegano fra loro. Ad un certo punto la materia organica – la vita – sorge inevitabilmente dalla materia inorganica. Ma l’esistenza della materia organica a sua volta esercita un profondo effetto sull’ambiente fisico. Ad esempio, l’esistenza di piante che producono ossigeno ha una conseguenza decisiva sull’atmosfera e quindi sulle condizioni climatiche. Lo sviluppo del pianeta e della vita sulla terra fornisce una ricchezza di esempi della dialettica della natura, dello sviluppo attraverso contraddizioni e salti, di lunghi periodi di lento cambiamento “molecolare” che si alternano con sviluppi catastrofici, dalla collisione fra i continenti all’estinzione improvvisa di specie intere. Inoltre, un esame più attento rivela che i salti e le catastrofi improvvisi e apparentemente inspiegabili di solito hanno le loro radici nei periodi di cambiamento lento e graduale precedenti.

Cos’è la tettonica a zolle?

Dopo molto tempo la superficie fusa della Terra si raffreddò sufficientemente per formare una crosta sotto la quale rimasero intrappolati gas e roccia fusa. La superficie del pianeta veniva continuamente frammentata dall’esplosione di vulcani, che vomitavano fiumi di lava. Pian piano si formò una crosta più spessa, composta interamente da roccia vulcanica. A quel tempo si formarono i primi piccoli continenti dal mare di roccia fusa (magma) e cominciò a formarsi la crosta oceanica. L’atmosfera terrestre, formatasi con i gas e il vapore acqueo delle eruzioni vulcaniche, cominciò a diradarsi in mezzo a violente tempeste elettriche.
A causa del regime termico superiore a quello odierno, ci fu un periodo di tremende catastrofi ed esplosioni, in cui la crosta continentale si formava e poi veniva distrutta, per poi riformarsi, con fusioni parziali e la formazione di cristalli e collisioni, su una scala molto più vasta di qualsiasi cosa avvenuta successivamente. I primi microcontinenti si spostavano molto più velocemente e si scontravano molto più frequentemente di oggi. Ci fu un processo rapido di generazione e di riciclaggio della crosta continentale. La formazione della crosta continentale fu l’avvenimento più importante della storia del pianeta. A differenza del fondo del mare, la crosta continentale non viene distrutta da subduzione dentro il mantello, ma col tempo aumenta il proprio volume totale. Dunque la creazione dei continenti fu un avvenimento irreversibile.
La Terra è composta da diversi strati di materiale. Gli strati principali sono il nucleo (diviso fra nucleo interno e nucleo esterno) il grosso mantello e, alla superficie, la sottile crosta. Ogni stato ha la propria composizione chimica e le proprie proprietà fisiche. Quando la Terra liquida si raffreddava circa 4 miliardi di anni fa, i materiali più pesanti scesero verso il centro del pianeta, mentre gli elementi più leggeri rimasero più vicino alla superficie. Il nucleo interno è una massa solida, schiacciata da pressioni colossali. La crosta forma uno strato sottile intorno al mantello semiliquido, come la buccia di una mela. Scendendo dalla sottile crosta fredda, a 50 km di profondità, la temperatura è intorno agli 800°C. Più giù ancora, a circa 2.000 chilometri, la temperatura sale ben oltre i 2.200°C. A questa profondità le rocce si comportano quasi come liquidi.
Questa crosta supporta gli oceani e le masse terrestri, come pure tutte le forme di vita. Circa il settanta per cento di essa è coperta di acqua, caratteristica fondamentale del pianeta. La crosta superficiale è molto disomogenea; contiene grandi catene di montagne sulla terra ferma e, negli oceani, catene subacquee. Un esempio di queste ultime è la Dorsale midatlantica, che costituisce il confine fra quattro delle “zolle” della Terra. La crosta è composta da dieci zolle principali che si incastrano come i pezzi di un puzzle. Inoltre, lungo i bordi di queste zolle si trovano delle faglie, dove si concentrano le attività vulcaniche e sismiche. I continenti in queste zolle sono fissi e si muovono quando le zolle stesse si muovono.
Ai confini di queste zolle, vulcani sottomarini eruttano rocce fuse dalle viscere della Terra, creando nuovo fondo oceanico. Il fondo del mare si allontana dalla dorsale come un nastro trasportatore, portandosi dietro enormi zattere di crosta continentale. I vulcani sono la sede della trasformazione di una grande quantità di energia della Terra in calore. Attualmente si stima che ci siano 430 vulcani attivi. Paradossalmente le esplosioni vulcaniche esercitano pressioni che provocano la fusione delle rocce della crosta. La litosfera viene continuamente cambiata e rinnovata. Nuovo materiale di litosfera viene costantemente creato dall’intrusione e dall’estrusione di magma nelle dorsali midoceaniche attraverso la fusione parziale del mantello (astenosfera). La creazione di nuova crosta lungo queste faglie allontana da queste il vecchio fondo e con esso le zolle continentali. Questa nuova parte della litosfera si allontana dalle dorsali midoceaniche nella misura in cui si aggiunge più materiale, finché questa stessa espansione del fondo oceanico provoca in un altro punto la sua immersione nell’interno della Terra.
Questo è il processo che spiega il movimento dei continenti. Il continuo sconvolgimento sotterraneo a sua volta crea un’enorme quantità di calore, che accumulandosi genera nuova attività vulcanica. Queste zone sono segnate da semicerchi di isole, catene di montagne, vulcani, terremoti e profonde fosse oceaniche. Questo mantiene l’equilibrio fra nuovo e vecchio in un’unità dialettica degli opposti. È la collisione fra le zolle che provoca terremoti.
Questa continua attività sotto la superficie terrestre governa molti fenomeni che influiscono sullo sviluppo del pianeta. La massa terrestre, l’oceano e l’atmosfera sono influenzati non solo dai raggi del sole, ma anche dalla gravitazione e dal campo magnetico che circonda la Terra.

Ogni corpo è continuamente esposto ad azioni meccaniche, fisiche, chimiche, che cambiano sempre qualcosa in esso, modificano la sua identità. (…) La continua modificazione, cioè superamento – dice Engels – dell’astratta identità con sé si riscontra anche nel cosiddetto mondo inorganico. La geologia è la sua storia. Alla superficie modificazioni meccaniche (corrosione dovuta all’acqua, gelo), chimiche (precipitazioni), all’interno meccaniche (pressione), calore (vulcanico), chimiche (acqua, acidi, sostanze connettive); in grande, emersioni, terremoti, ecc.5

Sotto l’Oceano Atlantico c’è una catena vulcanica in cui si crea continuamente nuovo magma. Di conseguenza la crosta oceanica si allargata e allontana il continente sudamericano da quello africano, come pure quello nordamericano da quello europeo. Però se certe zone diventano più grandi, vuol dire che altre vengono consumate. Mentre il continente americano viene spinto da forze colossali contro la crosta dell’Oceano Pacifico, la zona oceanica è costretta a passare sotto l’America, dove si fonde, si muove nelle correnti e, dopo milioni di anni, emerge in un’altra dorsale midoceanica.
Questi non sono processi continui e lineari, ma si svolgono attraverso contraddizioni e salti di dimensioni davvero cataclismiche. Ci sono periodi in cui le forze sotto la crosta terrestre incontrano una resistenza tale che sono costrette a tornare indietro e a cercare un altro sbocco. Così, per un periodo molto lungo, un oceano come quello Pacifico può allargarsi, ma quando muta l’equilibrio fra le forze, l’intero processo torna indietro. Un vasto oceano può essere schiacciato fra due continenti e infine scomparire, costretto a passare in mezzo e sotto i continenti. Tali processi si sono verificati più volte nella storia del pianeta nell’arco di 4,6 miliardi di anni. 200 milioni di anni fa c’era un oceano – Tetide – fra l’Euro-Asia e l’Africa. Oggi l’unica parte rimasta di quell’oceano è una parte del Mediterraneo. Il resto di quel grande oceano è stato consumato ed è scomparso sotto i Carpazi e l’Himalaya, distrutto dalla collisione dell’India e dell’Arabia con l’Asia.
D’altra parte, quando una dorsale midoceanica viene chiusa (cioè viene consumata sotto un continente) comparirà nuovo materiale di litosfera altrove. Di regola, la litosfera affiora nel punto più debole. Per milioni di anni si accumulano delle forze inimmaginabili, finché a lungo andare un cambiamento qualitativo non produce un cataclisma. Il guscio esterno si frantuma, rotto dalla nuova litosfera, aprendo la strada alla nascita di nuovi oceani. Al giorno d’oggi, vediamo segni di questo processo nella valle di Afar nell’Africa orientale, dove il continente si sta spaccando e un nuovo oceano sarà creato nei prossimi cinquanta milioni di anni. Il Mar Rosso rappresenta le primissime fasi dello sviluppo di un nuovo oceano che dividerà l’Arabia meridionale dall’Africa.
La constatazione che la Terra è un’entità non statica ma dinamica ha dato un forte impulso alla geologia, dandogli basi veramente scientifiche. Il grande successo della teoria della tettonica a zolle è che essa unisce dialetticamente tutti i fenomeni naturali, rovesciando le concezioni conservatrici dell’ortodossia basate sulla logica formale. L’idea di base è che tutto sulla Terra è in movimento continuo e che questo avviene attraverso contraddizioni esplosive. Oceani e continenti, montagne e bacini, fiumi, laghi e profili delle coste sono in un processo di mutamento continuo, in cui periodi di “calma” e di “stabilità” sono interrotti violentemente da rivoluzioni su scala continentale. L’atmosfera, le condizioni climatiche, il magnetismo, anche la posizione dei poli magnetici del pianeta sono altresì in uno stato permanente di flusso. Lo sviluppo di ogni singolo processo è influenzato e determinato, in qualche misura, dall’interconnessione con tutti gli altri processi. È impossibile studiare un singolo processo geologico in modo isolato dagli altri; tutti si influenzano per creare quell’unico complesso di fenomeni che è il nostro mondo. I geologi moderni sono costretti a pensare in modo dialettico, pur non avendo mai letto una riga di Marx ed Engels, semplicemente perché la loro materia non si può interpretare in nessun altro modo.

Terremoti e genesi delle montagne

Charles Darwin, da giovane, aveva trovato il fossile di un animale marino molto lontano dal mare. Se era vero che animali marini avevano vissuto una volta in quella località, allora le teorie esistenti sulla storia terrestre erano sbagliate. Darwin, emozionato, fece vedere la sua trovata ad un eminente geologo, che gli rispose: “Oh, speriamo che non sia vero!”. Il geologo preferì credere che qualcuno avesse fatto cadere il fossile lì, dopo una gita al mare! Secondo il comune buonsenso, sembra incredibile che i continenti si muovano; i nostri occhi ci dicono che non è vero. La velocità media di questo tipo di moto è intorno a 1-2 cm l’anno. Quindi, per la vita di tutti i giorni, si può ignorare. Tuttavia, in un periodo molto più lungo, di milioni di anni, questi piccoli mutamenti producono inimmaginabili e drammatici cambiamenti.
In cima all’Himalaya (circa 8.000 metri sopra il livello del mare) ci sono rocce che contengono fossili di organismi marini. Ciò vuol dire che queste rocce, che si originarono sul fondo di un mare preistorico, l’Oceano della Tetide, furono spinte in su per 200 milioni di anni per creare le montagne più alte del mondo. Anche questo processo non fu uniforme, ma comportò contraddizioni, enormi sconvolgimenti, avanzate e ritirate, attraverso migliaia di terremoti, massicce distruzioni, interruzioni della continuità, deformazioni e pieghe. È evidente che il movimento delle zolle è provocato da forze gigantesche all’interno della Terra. Tutta la composizione del pianeta, il suo aspetto e la sua identità sono determinati da questo. L’umanità ha un’esperienza diretta solo di una piccolissima frazione di queste forze attraverso terremoti ed eruzioni vulcaniche.
Una delle caratteristiche fondamentali della superficie terrestre sono le catene montuose. Come si sviluppano?
Prendiamo una risma di carta; spingiamola contro il muro. I fogli sotto la pressione si piegano e si deformano e si “muovono” in su, creando una zona curva. Ora immaginiamo lo stesso processo nel caso di un oceano costretto fra due continenti. L’oceano viene spinto sotto uno dei continenti, ma le rocce in quel punto si deformano e si piegano, creando una montagna.
Dopo la completa scomparsa dell’oceano, i due continenti collidono e la crosta in quel punto si ingrosserà in senso verticale con la compressione delle masse continentali. La resistenza alla subduzione provoca grandi campi “nappe”, ossia di sovrascorrimento, e faglie di spinta; da tale sollevazione nasce una catena di montagne. La collisione fra la zolla eurasiatica e quella africana (o di parti dell’Africa) ha creato una lunga catena di montagne che parte dai Pirenei in occidente, passando per le Alpi (collisione fra Italia e Europa), i Balcani, i monti Elenici, i Tauridici, il Caucaso (collisione fra il sud dell’Arabia e l’Asia) e, infine, l’Himalaya (collisione fra India e Asia). Nella stessa maniera, le Ande e le Montagne Rocciose sono situate nella zona in cui la zolla dell’oceano scende sotto il continente americano.
Non sorprende che queste zone siano caratterizzate anche da un’intensa attività sismica; le zone sismiche del mondo sono precisamente i confini fra le diverse zolle tettoniche. In particolare, le zone in cui si stanno creando montagne caratterizzano i luoghi in cui da tempo si accumulano forze colossali. Quando i continenti collidono, vediamo agire l’accumulo di forze su rocce diverse, in luoghi diversi e in modi diversi. Quelle rocce che sono composte dai materiali più duri resistono alla deformazione. Ma, in un punto critico, la quantità si trasforma in qualità e persino le rocce più dure subiscono una frattura o deformazioni plastiche. Questo salto qualitativo si esprime con i terremoti, i quali, nonostante il loro aspetto spettacolare, rappresentano in realtà solo un piccolissimo spostamento della crosta terrestre. La formazione di una catena di montagne richiede migliaia di terremoti, portando a consistenti piegature e deformazioni e agli spostamenti verticali della roccia.
Qui si vede il processo dialettico dell’evoluzione attraverso salti e contraddizioni. Le rocce che vengono compresse presentano inizialmente una barriera, opponendo resistenza alla pressione delle forze sotterranee. Quando invece si spaccano, si trasformano nel loro opposto, diventando canali per la liberazione di queste forze. Le forze che operano sotto la superficie sono responsabili della creazione di catene di montagne e di fosse oceaniche, ma alla superficie ci sono altre forze che operano in senso opposto.
Le montagne non si spingono sempre più in alto, perché subiscono forze opposte. Alla superficie operano la disgregazione, l’erosione e il trasporto di materiale dalle montagne e dai continenti verso gli oceani dai quali era venuto. Le rocce solide vengono erose dall’azione di forti venti, di piogge intense, di neve e di ghiaccio, che ne indeboliscono il guscio esterno. Dopo un certo tempo, avviene un ulteriore salto qualitativo; le rocce gradualmente perdono la propria consistenza e piccoli granelli se ne staccano. L’effetto del vento e dell’acqua, particolarmente dei fiumi, trasporta milioni di granelli dai livelli superiori ai bacini, ai laghi, ma principalmente agli oceani, dove queste particelle di roccia si accumulano di nuovo sul fondo. Vengono poi sepolte dalla continua accumulazione di nuovo materiale e inizia un nuovo processo, opposto: le rocce si consolidano nuovamente. Di conseguenza, si creano nuove rocce, che seguiranno il movimento del fondo dell’oceano finché non verranno di nuovo sepolte sotto un continente, dove si fonderanno per poi emergere forse come cima di una nuova montagna in un qualche punto della superficie terrestre.

Processi sotterranei

Il fatto che il materiale sotto la superficie solida sia liquido è dimostrato dai flussi di lava dei vulcani. Le rocce vengono sepolte molto profondamente nella crosta sotto le grandi montagne e nelle zone di subduzione. In tali condizioni subiscono vari cambiamenti. Mano a mano che scendono più in profondità nella crosta, l’attività interna della Terra porta ad un aumento della temperatura. Allo stesso tempo, il peso delle rocce e delle montagne sovrastanti causa un ulteriore aumento della pressione. La materia è organizzata in specifiche combinazioni di elementi che nello stato solido costituiscono cristalli che si chiamano minerali. I diversi minerali si uniscono per formare rocce. Ogni roccia ha una combinazione di minerali e ogni minerale ha una combinazione unica di elementi in una forma cristallina specifica. I cambiamenti di temperatura e di pressione provocano cambiamenti nella composizione chimica di molti minerali attraverso la sostituzione di un elemento con un altro. Mentre certi minerali, entro certi limiti, rimangono stabili, ad un punto critico la materia viene riorganizzata in nuove forme cristalline. Questo provoca un cambiamento qualitativo nei minerali, che reagiscono producendo una nuova combinazione che riflette le nuove condizioni. Si tratta di un salto qualitativo, come la trasformazione di acqua in ghiaccio a 0°C. Di conseguenza la roccia si trasforma in una roccia nuova. Così, sotto la pressione di condizioni ambientali, si verifica un salto improvviso, che comporta una metamorfosi non solo dei minerali, ma anche delle rocce stesse. Non esiste una sola forma minerale che rimane stabile in tutte le condizioni naturali.
Nelle zone di subduzione di un oceano sotto un continente, le rocce possono essere sepolte molto profondamente nella crosta. In tali condizioni estreme, le rocce cominciano a fondersi. Tuttavia, questo processo non avviene tutto nello stesso tempo; esiste il fenomeno della fusione parziale, poiché i diversi minerali si fondono in punti diversi. Il materiale fondente tende a spostarsi verso l’alto, essendo meno denso delle rocce circostanti. Ma questo spostamento non si verifica senza problemi, perché incontra la resistenza delle rocce sovrastanti. La roccia fusa, o magma, si sposta lentamente verso l’alto finché non viene costretta temporaneamente da una barriera solida a fermarsi. Inoltre, la parte esterna del magma comincerà a raffreddarsi e a consolidarsi in uno strato solido che farà da barriera ulteriore nel percorso del magma. Ma prima o poi la forza viscerale della pressione dal basso aumenta per raggiungere un punto in cui le barriere vengono infrante e il magma finalmente sfonda fino alla superficie in una violenta esplosione, liberando forze colossali.
È dunque evidente che questi processi non avvengono in modo accidentale, come può sembrare alle disgraziate vittime di un terremoto, ma corrispondono a leggi fondamentali, che cominciamo solo adesso a capire. Hanno luogo in zone specifiche, ubicate ai confini delle zolle, particolarmente nelle dorsali midoceaniche e dietro le zone di subduzione. È precisamente questo il motivo che ci sono vulcani attivi nell’Europa meridionale (Santorini in Grecia, Etna in Sicilia), in Giappone, dove ci sono zone di subduzione (che portarono al terremoto di Kobe), in mezzo all’Atlantico e nell’Oceano Pacifico (isole vulcaniche e vulcani sommersi nelle dorsali midoceaniche) e nell’Africa orientale (Killimanjaro) dove si verifica una deriva continentale e la creazione di un nuovo oceano.

Lo sanno bene i minatori che più si scende nella crosta terrestre e più sale la temperatura. La fonte principale di questo immenso calore, responsabile di tutti i processi che avvengono nelle viscere della Terra, è l’energia termica rilasciata dal decadimento di elementi radioattivi. Gli elementi contengono isotopi, ovvero atomi dello stesso elemento, ma di massa diversa, alcuni dei quali sono radioattivi, cioè sono instabili e col tempo si disintegrano, producendo più calore e isotopi stabili. Questo processo continuo di reazione procede molto lentamente, perché questi isotopi sono in decadimento fin dall’origine della Terra, quando dovevano essere più abbondanti. Allora la produzione e il flusso di calore dovevano essere maggiori di oggi, forse due o tre volte di più nel periodo archeano rispetto ad oggi.
La delimitazione archeano-proterozoica è anch’essa di grande importanza, in quanto rappresenta un salto qualitativo. Non solo vediamo l’emergere delle prime forme di vita, ma vediamo anche un altro cambiamento cruciale della massa terrestre: il passaggio da molte piccole zolle continentali nell’archeano, con numerose collisioni fra di esse, a zolle più estese, più alte e più stabili durante il proterozoico. Queste grandi masse continentali erano risultato dell’aggregazione di molte piccole zolle protocontinentali.
Si è trattato di un periodo cruciale per la creazione delle montagne, nel quale si possono individuare due episodi importanti, rispettivamente 1,8 e 1 miliardo d’anni fa. Il rimasuglio dell’ultimo evento di questo titanico processo, in cui le rocce venivano ripetutamente mutate, deformate e riplasmate, si può osservare oggi nel sud del Canada e nel Nord-Est della Norvegia.
La teoria gradualista dell’uniformità, avanzata originariamente da Hurston nel 1778, non si potrebbe assolutamente applicare alla storia primitiva della Terra. Tutti i dati a disposizione fanno pensare che la tettonica a zolle come la conosciamo oggi iniziò nel primo proterozoico, mentre sembra molto probabile che anche nell’era archeana era in atto una qualche variante dello stesso processo. Più dell’80% dell’attuale crosta continentale fu creato prima della fine del periodo proterozoico. La tettonica a zolle è il fattore determinante in tutti questi processi. La formazione delle montagne, i terremoti, i vulcani sono tutti processi interconnessi, dipendenti gli uni dagli altri: ognuno determina, influenza, causa o è causato da altri e tutti, presi insieme, costituiscono l’evoluzione della Terra.

Capitolo 11 La comparsa della vita

Indice dei Capitoli

Note

1. P. Westbroek, Life as a Geological Force, pag. 71.
2. Engels Friedrich, Dialettica della natura, pag. 44.
3. P. Westbroek, op.cit, pagg.71-72.
4. P. Westbroek,  op.cit, pag. 84.
5. Friedrich Engels, op.cit, pag. 226.

Condividi sui social