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Dall’occupazione delle fabbriche all’ascesa del fascismo

di Fernando D’Alessandro

 

Già abbiamo visto come nell’aprile del 1920 i dirigenti della Cgl si erano impegnati a fare rientrare la lotta del metallurgici torinesi. Quella lotta fu una prova generale per lo scontro che ci sarebbe stato a settembre. Nei due anni precedenti i padroni avevano dovuto subire le pressioni degli operai attraverso i sindacati e i Consigli di fabbrica. Avendo già messo alla prova i dirigenti sindacali nell’aprile, i padroni erano abbastanza fiduciosi nell’agosto di poter andare allo scontro diretto coi lavoratori. Il 10-13 agosto si riunì una commissione interregionale degli Industriali durante la quale si comunicò ai sindacati: “date le condizioni dell’industria, non possono in questo momento essere accolte domande di miglioramenti economici”. La Fiom risponde convocando un congresso straordinario il 16-17 agosto a Milano dove venne accettato all’unanimità che a partire dal 21 agosto si sarebbe applicato “l’ostruzionismo” nelle officine con lo scopo di ridurre al minimo la produzione senza perdita di stipendio dei lavoratori. Il congresso dichiarò: “se la ditta proclama la serrata, occupare l’officina e lavorarvi per proprio conto”.
I lavoratori presero alla lettera le decisioni del congresso: di fronte all’inasprirsi della politica padronale, intensificarono l’ostruzionismo. Il 27 agosto Buozzi (segretario della Fiom) tentò di far sospendere l’ostruzionismo ma non ci riuscì, il movimento ormai aveva assunto una propria dinamica; sia i padroni che i lavoratori erano decisi ad andare fino in fondo. La “provocazione” avvenne a Milano il 30 agosto quando i 2mila operai della Romeo trovarono i cancelli chiusi e la fabbrica presidiata dalle truppe. La Fiom rispose ordinando l’occupazione delle circa 300 officine metallurgiche della città…

Gli operai occupano le fabbriche

Tra l’1 e il 4 settembre gli operai metallurgici occuparono gli stabilimenti in tutta la penisola, non solo a Milano, Torino e Genova, ma anche a Roma, Napoli, Firenze, Palermo e ovunque ci fosse un’officina metallurgica. In tutto 500mila operai occuparono le fabbriche. Da una lotta puramente “economica” si fece un salto verso un movimento di carattere insurrezionale; a Torino apparirono le Guardie rosse sotto il controllo dei Consigli di fabbrica. Era chiaro che la classe operaia vedeva la possibilità non solo di strappare qualche lira in più ai padroni ma di abolire il sistema di sfruttamento capitalista. Le forze dell’ordine non erano sufficienti per reprimere il movimento.
Fu proprio nel momento culminante del movimento che si vide chiaramente il ruolo dei vertici sindacali. Mentre per esempio i lavoratori liguri in un convegno sindacale chiedevano di allargare il movimento con l’occupazione di tutti i settori industriali, il 5 settembre la direzione della Fiom si dichiarava disposta ad accettare un aumento di cinque lire invece di sette! Era su questo tipo di vertice sindacale che contavano i padroni.
Il movimento di settembre segnò il culmine di due anni di crisi rivoluzionaria. Lo sciopero di Torino nell’aprile del 1920 aveva dimostrato come fosse necessaria un’azione nazionale che coinvolgesse tutta la classe operaia. Ma il movimento era totalmente privo di direzione. Nonostante l’enorme forza numerica delle organizzazioni della Cgl e del Psi, queste non avevano nessun piano di battaglia. Lasciarono che a decidere il momento dello scontro fossero i padroni, e una volta che questo cominciò lasciarono isolati i metallurgici.

Il patto tra Psi e Cgl

Nel 1912 era stato stabilito un patto secondo cui al Psi toccava la direzione delle lotte “politiche”, mentre la Cgl dirigeva il movimento “economico”. Ma questa distinzione non esisteva in una lotta come quella del 1920, e in realtà non esiste in nessun movimento che coinvolga la massa della classe operaia. La lotta di settembre, cominciata come sciopero “economico” per ottenere aumenti salariali, si trasformò in pochi giorni in uno scontro rivoluzionario. Come spiegò Trotskij nel 1922, “la lotta dei lavoratori per i loro interessi immediati, in questa epoca di grande crisi imperialista, è sempre l’inizio di una lotta rivoluzionaria”.
Così la “divisione dei compiti” tra Psi e Cgl si trasformò in un gigantesco scaricabarile, in cui i dirigenti del Psi accusavano di tradimento la Cgl mentre essi stessi non furono capaci di dare nessun tipo di direzione al movimento. È grazie a questi “dirigenti” che subentrò la apatia tra i lavoratori e il movimento cominciò a disgregarsi nei punti deboli e tra il 25 e il 30 settembre l’occupazione delle fabbriche terminò.
Da questa sconfitta il movimento operaio uscì drasticamente ridimensionato. La classe operaia con le sue organizzazioni si dimostrava apparentemente impotente di fronte all’offensiva padronale e così ebbe il sopravvento la reazione preparando il terreno per la crescita delle forze del fascismo.

l comunisti al V congresso della Cgl

Fu quella sconfitta che portò direttamente alla scissione del Psi da cui nacque il Partito comunista. Nella politica sindacale del Partito comunista alla sua nascita ci sono lezioni preziose per i militanti sindacali di oggi. I dirigenti riformisti della Cgl avevano consegnato alla borghesia la testa della classe operaia su un piatto d’argento! Eppure i comunisti non usarono quell’esperienza per giustificare l’uscita dalla Cgl, anzi si organizzarono al suo interno. Al V congresso della Cgl tenuto a Livorno il 26-28 febbraio 1921 l’ordine del giorno comunista ottenne 432.558 voti contro 1.435.873 voti della maggioranza. I comunisti elaborarono una linea basata sul rovesciamento della direzione riformista, sul rinnovamento democratico delle strutture sindacali, sulla valorizzazione dei Consigli di fabbrica e sulle forme di lotta come lo sciopero generale. Nel loro ordine del giorno si leggeva che i sindacati “possono  e devono essere fattori importantissimi dell’opera rivoluzionaria, quando ne sia radicalmente rinnovata la struttura, la funzione, la direttiva, strappandoli al dominio della burocrazia dei funzionari attuali”.
Dopo la sconfitta del 1920 l’iniziativa passò ai padroni: ci fu la grave sconfitta operaia nella vertenza Fiat del 1921 e, a partire soprattutto dal maggio dello stesso anno, ci fu una nuova offensiva fascista. Di fronte alla crescente violenza fascista, la Cgl nel novembre del 1921 si rifiutò di proclamare lo sciopero generale.
Allo stesso tempo si aggravava la crisi economica la quale toccò il culmine all’inizio del 1922. La diminuzione della produzione portò ad una drastica riduzione della manodopera. L’offensiva padronale s’incentrò, oltre che sulla questione dei salari, sull’aumento del ritmo di lavoro, sull’attacco alle otto ore e sull’inasprimento della disciplina interna di fabbrica. Ciononostante nella prima metà del 1922 si registrarono scioperi e vertenze di notevole ampiezza e durata. La risposta a queste lotte fu la più assoluta intransigenza degli industriali i quali fecero intervenire massicciamente le forze dell’ordine che presidiarono gli stabilimenti. Dopodiché spesso gli stabilimenti venivano riaperti con nuovo personale e gli scioperanti che si rifiutavano di riprendere il lavoro venivano licenziati.

L’Alleanza del lavoro

Sotto la pressione dei lavoratori la Cgl, l’Usi, la Uil e i sindacati dei ferrovieri e dei portuali il 20 febbraio del 1922 costituirono l’Alleanza del lavoro. Purtroppo la direzione bordighista del PCd’I ebbe un atteggiamento ambiguo verso l’Alleanza dando l’indicazione ai suoi militanti di abbandonarne le riunioni se a queste fossero stati presenti rappresentanti dei “partiti”. Ciò faceva parte del suo rifiuto della politica del “fronte unico” dell’Internazionale comunista. Questo settarismo della direzione del PCd’I, duramente criticato da Lenin, fece sì che il partito non riuscì ad influenzare le masse che vedevano nell’Alleanza l’ultima speranza per combattere la crescente reazione fascista.
Eppure lo scopo dell’Alleanza del lavoro era difendere le conquiste dei lavoratori contro la reazione. Purtroppo lo sciopero generale fu proclamato dall’Alleanza solo alla fine di luglio per il 3 agosto, dopo che diverse lotte avevano già subito forti sconfitte. In quelle condizioni lo sciopero generale fu un completo fallimento. Da quel momento si può considerare praticamente conclusa la spinta rivoluzionaria iniziata nel 1918. La classe operaia subì una sconfitta dalla quale si riprenderà solo a partire dai primi scioperi contro il fascismo nel 1943.

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