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30 Luglio 2019di Daniele Chiavelli
Francia, 14 maggio 1968, a Parigi la Sorbona è stata da poco rioccupata dagli studenti e la città è attraversata da una manifestazione oceanica: è già iniziato lo sciopero ad oltranza che giungerà a bloccare per giorni l’intero paese, facendo barcollare De Gaulle e il capitalismo francese; nella settimana precedente, barricate e duri scontri tra universitari e polizia hanno infiammato il quartiere della Sorbona.1 Non molto distante da quelle vie, un gruppo di giovani, per lo più artisti e studenti, decidono di occupare il palazzo di Rue Bonaparte sede dell’Ecole Nationale Superieure des Beaux-Arts. Lo stabile, con le sue attrezzature e telai, viene presto adibito a laboratorio popolare al servizio della mobilitazione, “Atelier populaire oui – atelier bourgeois non” è lo slogan che compare sul muro all’ingresso dell’edificio.
È l’inizio dell’esperienza dell’Atelier populaire, il compito è chiaro fin da subito: “sostenere concretamente il grande movimento dei lavoratori in sciopero che occupano le fabbriche contro il governo antipopolare di De Gaulle” viene scritto nei primi documenti politici.2 Pur essendo l’atelier del Maggio che passerà alla storia, non costituisce l’unico esempio di scuola d’arte a supporto delle lotte studentesche e operaie, altre ne vengono occupate, a Parigi e in altre città della Francia, diventando dei laboratori autogestiti da attivisti del movimento. Ma l’Atelier populaire non spicca solamente come il più attivo, è quello che compie la rivoluzione sul piano comunicativo ponendo al servizio della lotta politica un nuovo modello di affiche (manifesto, locandina). L’arte grafica di questo nuovo modello è caratterizzata dalla stampa serigrafica di figure stilizzate, cromaticamente omogenee e all’occorrenza assunte ad emblema, quasi sempre accompagnate da brevi slogan o giochi di parole che ne rafforzano lo stile icastico. È uno schema essenziale che prende vita sulla base di un’esigenza in sintonia con la finalità descritta: rinnovare completamente il registro espressivo della propaganda politica puntando a veicolare contesti conflittuali e messaggi di rovesciamento dello status quo. Osservando le stampe prodotte balza subito agli occhi la completa assenza di formulazioni misurate o retoriche, interne ad una cornice riformista e vincolate alle compatibilità di sistema, caratteristiche ben ricorrenti nella propaganda e nei manifesti delle organizzazioni storiche della sinistra.3 Gli attivisti del Maggio si muovono su un altro piano: la società va messa in discussione e l’unità tra i soggetti sociali in lotta è uno degli elementi che crea le condizioni per poterla rovesciare.
Nella prima affiche dall’Atelier questa esigenza viene riferita ad operai e studenti; il manifesto creato è costituito da tre parole: fabbrica università unione, di cui l’ultima in risalto, l’unità viene ulteriormente rimarcata nella raffigurazione delle tre grosse lettere iniziali “U” disposte in verticale quasi attaccate tra loro (figura 2).
Se si prende in considerazione l’intera produzione, il tema dell’unità, in primo luogo tra i lavoratori, affianca spesso quella che può essere considerata la prospettiva “principe” dell’Atelier: una lunga e continuata lotta;4 questa combinazione di fattori è evidente anche nei manifesti più celebri. I due delle figure 1 e 3 ne costituiscono differenti esempi: nel primo un corpo unico, formato da figure di operai prive di elementi divisori e saldate tra loro, appare determinato ad avanzare mentre afferma la volontà di “continuare la lotta”, nel secondo manifesto lo slogan “È stato dato lo slancio per una lotta prolungata” accompagna la rappresentazione di una freccia, formata da un affiatato popolo e indicante la direzione comune lungo cui portar avanti la mobilitazione.
L’insistenza con cui vengono ribaditi sia l’unità che il percorso comune di lotta non è conseguenza dell’estro di qualche artista rivoluzionario che detta la linea all’interno dell’Atelier, ma è il risultato dell’elaborazione collettiva e del metodo di lavoro collegiale avviato fin dall’inizio, è conseguenza dell’attività pienamente inserita nel conflitto sociale e delle solide relazioni che vengono instaurate, ancor più che col movimento studentesco, con la classe operaia. L’efficace manifesto “Lavoratori francesi e immigrati uniti”, ad esempio, viene progettato assieme al comitato di sciopero degli stabilimenti Citroen (figura 4).5
Porre questi aspetti in secondo piano, relegandoli a elementi di contorno per concentrarsi esclusivamente nell’interpretazione dei manifesti prodotti, non rende giustizia a quest’esperienza e non mette nelle condizioni di comprenderne la totale immersione nel processo rivoluzionario in corso.
L’Atelier populaire, difatti, è prima di tutto un luogo di attività politica: ogni giorno c’è l’assemblea generale, solitamente in orario serale per permettere la più ampia partecipazione e l’analisi quotidiana degli avvenimenti; all’interno del palazzo viene organizzata una mensa per gli attivisti e un servizio d’ordine è attivo giorno e notte.
L’assemblea è aperta al movimento, lavoratori e militanti organizzati affiancano gli studenti e i giovani artisti; partendo dai fatti del giorno e dall’attualità politica, la discussione si articola sullo sviluppo delle lotte in corso, sulle dichiarazioni di De Gaulle o del governo, sulla forza repressiva messa in campo. Sulla base dell’analisi vengono avanzate proposte su progetti di manifesto, viene stabilito il messaggio politico e come veicolarlo attraverso grafica e parole d’ordine; tutto viene messo ai voti, si evitano troppi slogan o progetti eccessivamente sommari e viene esplicitata la scelta di non firmare les affiches, se non come collettivo. Tutto questo è il cuore dell’attività (da cui prende vita la linea politica dell’Atelier); la fase esecutiva, per quanto importante, ne è la diretta conseguenza.6
Il manifesto che nell’immaginario collettivo incarna il Maggio francese ha come protagonista l’elemento grafico più famoso, di forma semplice e stilizzata, nato da quell’esperienza: la fabbrica (figura 5).
Oltre alla fabbrica, molteplici luoghi di lavoro e categorie professionali diventano protagonisti di specifici manifesti grazie alla loro massiccia e agguerrita adesione à la grève (allo sciopero): ferrovieri e autisti del trasporto urbano, postiers (dipendenti postali), addetti del commercio, bateliers (trasportatori fluviali), personale dei cantieri edili, tecnici della radio-tv di Stato, pescatori e altri settori ancora; perfino la mobilitazione dei paysans (contadini) non viene ignorata (figure 6-9).
Ma la fabbrica ha ovviamente un ruolo centrale nella produzione e nella lotta per il rovesciamento di sistema, nelle stampe dell’Atelier compare più e più volte diventando vero e proprio emblema della classe operaia e della sua forza. Nei giorni in cui la mobilitazione si estende e un’ondata di occupazioni dei luoghi di lavoro travolge l’intero paese paralizzando ogni attività ora nelle mani degli scioperanti, la rappresentazione di quell’icona è oggetto di una piccola e simbolica variazione.
L’efficace sciopero, difatti, non solo cambia in maniera qualitativa i rapporti di forza tra classe lavoratrice e classe dominante, ma apre la strada ad una indefinita “nuova prospettiva” che viene comunque raffigurata girando specularmente la fabbrica rispetto alla sua precedente consueta rappresentazione (figura 10).
Nella consapevolezza di non voler attribuire all’Atelier responsabilità fuori misura nella guida politica del movimento, il messaggio del manifesto “Sì/fabbriche occupate” riflette implicitamente la contraddizione di fondo del Maggio francese. Nel momento in cui la produzione è completamente bloccata e sotto il controllo della classe lavoratrice, non vi è traccia d’avvio di un percorso conseguente al salto qualitativo compiuto: mancano completamente elementi in grado di orientare i lavoratori verso la concreta presa del potere e nessuna parola d’ordine per giungere al governo popolare (e quindi al cambiamento di sistema) trova declinazione.
In un tale quadro, gli slogan dell’Atelier ricalcano la classica lotta ad oltranza come emerge dal manifesto “Sostegno alle fabbriche occupate per la vittoria del popolo” (figura 11).
L’assenza di una prospettiva riporta la lotta nell’ambito degli accordi contrattuali; la responsabilità è, in primo luogo, delle tradizionali organizzazioni dei lavoratori: a fine maggio, dopo il raggiungimento di accordi sindacali per alcune categorie, i dirigenti del sindacato Cgt e del Partito comunista francese promuovono la ripresa del lavoro e spalancano le porte al completo disorientamento degli scioperanti e alla progressiva smobilitazione.7
“Cedere un po’”, accettando le intese con la controparte, corrisponde alla “piena capitolazione” sottolinea il manifesto dell’Atelier (figura 12).
Il 10 giugno si contano ancora oltre un milione di lavoratori con le braccia incrociate,8 ma quella parte che rifiuta l’immediato “ritorno alla normalità” (figura 13) proseguendo nelle occupazioni, nei picchetti e nello sciopero ad oltranza, subisce una dura repressione, è il caso degli operai di Renault e Peugeot.
Lo stabilimento Renault a Flins (40 chilometri dalla capitale) è uno dei riferimenti per i metalmeccanici in lotta e per il movimento studentesco: le forze dell’ordine giunte presso la fabbrica intimano l’immediata ripresa dell’attività, ne seguono ripetuti scontri e una manifestazione di sostegno alla lotta. “Lavorare ora significa lavorare con una pistola nella schiena” sono le parole d’ordine dell’Atelier contro l’interruzione dello sciopero (figura 14).
In quelle stesse ore a Sochaux, città francese al confine con la Svizzera, negli stabilimenti Peugeot gli scioperanti della casa automobilistica proseguono nel picchettaggio, ma il loro isolamento, implicitamente presente anche nel manifesto in cui un solo operaio combatte contro il leone del marchio aziendale (figura 15), apre la strada ad una violentissima repressione: l’11 giugno due operai vengono uccisi dai poliziotti (figura 16).
La spinta rivoluzionaria del Maggio viene così soffocata, le occupazioni volgono al termine, la fabbrica ritorna alla classica raffigurazione (non più speculare) e nel manifesto “La distensione comincia” viene posizionata sotto il piede del poliziotto (figura 17).
Mentre l’icona fabbrica incarna, in tutta la produzione dell’Atelier, la classe sociale determinante per il cambiamento di sistema, la figura stilizzata di De Gaulle, considerato il principale avversario, viene ripresa ad ogni occasione utile per essere sarcasticamente attaccata e screditata.
Lo è, ad esempio, quando il Generale parla di riforme definendo gli studenti “chienlit” (“piscialetto”) oppure quando annuncia un referendum sulla “partecipazione” (figure 18, 19, 20).
Puntuale è la risposta ad un nuovo modello gollista di “associazione capitale – lavoro” (figura 21) mentre immediata è la realizzazione del manifesto quando, a metà giugno, De Gaulle si presenta in tv definendosi quell’angelo che, seppur incompreso, ha salvato il proprio popolo dai demoni (figura 22).
L’ondata repressiva, sistematicamente denunciata nelle affiches, arriva anche nella scuola d’arte occupata: il palazzo che ospita l’Atelier viene sgomberato il 27 giugno. Nel mese e mezzo di attività si contano 350 manifesti realizzati e nelle fasi più intense la tiratura quotidiana ha superato i duemila esemplari.9 Nel frattempo, oltre i confini francesi, la diffusione di quest’esperienza nei movimenti del ’68 ha appena avuto inizio.
Gli effetti sul movimento del ’68 italiano
La rappresentazione della “Rivolta di Maggio” attraverso una rivoluzione comunicativa, così vengono visti quei manifesti dai giovani protagonisti del ’68 italiano. Nel giro di pochissimo tempo, pubblicazioni, volumi e riviste iniziano a riprodurre les affiches;10 l’effetto sul movimento è tale che, nelle università occupate o nei laboratori creati ad hoc, si comincia a stampare materiale di propaganda in cui il riferimento al modello francese è esplicito. Sui muri di Bologna, Torino, Milano compaiono così manifesti caratterizzati dal registro espressivo dell’Atelier populaire: medesimi soggetti e forme, pari omogeneità cromatica, slogan analoghi o identiche parole d’ordine, ma soprattutto stessa carica dirompente e antisistemica.
Non si tratta della mera esigenza di un rinnovamento culturale della propaganda politica, quello che il movimento studentesco, i collettivi, i gruppi operai-studenti cercano di portare nel conflitto sociale è l’esempio del Maggio: unità studenti lavoratori e ruolo della classe operaia nella lotta contro il sistema (figure, 23, 24, 25).11
Di diversa portata è l’influenza sulle organizzazioni storiche della sinistra, anche se una distinzione tra partiti e sindacati risulta doverosa. Pur entrando nell’immaginario degli attivisti di base dell’intera sinistra, la rivoluzione comunicativa non giunge a sedurre il gruppo dirigente del Pci: il linguaggio di quel modello è ben poco affine alla “via italiana al socialismo”, alle “riforme di struttura” e alle altre parole d’ordine che contraddistinguono la linea del partito.12 Una forte diffidenza nei confronti di quello schema dirompente emerge anche in quei manifesti, prodotti da strutture territoriali del partito, che mostrano un legame con l’iconografia del Maggio.
È il caso del manifesto realizzato dalla federazione bolognese del Pci nel 1969 per pubblicizzare la festa provinciale dell’Unità (figura 26).
“Gli agguerriti manifestanti [presenti nelle opere dell’Atelier populaire] furono trasformati in un generico popolo con bandiere – tra i quali si potevano riconoscere anche famiglie e bambini – che andava affollando le strutture del quartiere fieristico per ascoltare i comizi dei propri dirigenti. La grafica, dunque, era totalmente depotenziata rispetto all’originale, tanto nel messaggio, quanto nell’impaginazione complessiva”, mette in evidenza lo storico Gambetta.13
Si tratta di una rielaborazione grafica che, pur filtrando fortemente “l’eccessiva radicalità” del modello parigino, non verrà comunque presa in considerazione dall’ufficio centrale propaganda del Pci, per lo meno nel biennio rivoluzionario e nel periodo immediatamente successivo. “Negli anni settanta, infatti, nessun manifesto nazionale della sinistra storica, come dei partiti di centro e di destra, si ispirò a quelli francesi. Solo nel decennio successivo, quella grafica, ormai abusata, segnò anche la comunicazione dei partiti tradizionali.”14
Completamente diverso è l’approccio e il condizionamento subito da quelle organizzazioni di estrema sinistra che si formano nel vivo del conflitto sociale, tra il ’68 e il ’69; oltre a far proprio quel nuovo schema espressivo, attingono – in maniera più o meno sistematica – ad immagini e a parole d’ordine. Tra queste, Lotta continua compie un passo ulteriore. La formazione guidata da Sofri, difatti, nasce (e si promuove) come l’organizzazione fondata sulla pratica di lotta e non riprende solamente nel nome (facendone prassi e elemento strategico) il principale slogan delle affiches, ma costruisce la propria propaganda, almeno nella fase iniziale, assumendo quel patrimonio iconografico come riferimento identitario.15
Questa marcata scelta avrà una ripercussione, che si trascinerà anche negli anni seguenti, sulle tradizionali organizzazioni sindacali metalmeccaniche torinesi (e molto marginalmente sulla locale Camera del lavoro).
La partita che si gioca a Torino è cruciale:16 di fronte al processo di radicalizzazione operaia, la Fiat – punta avanzata del capitalismo italiano e riferimento per l’intera classe lavoratrice – rappresenta quel gruppo industriale in cui lo scontro tra sindacati storici e la nascente estrema sinistra è tra i più aspri; direzione e controllo delle mobilitazioni risultano determinanti per mantenere o puntare a conquistare l’egemonia sul movimento operaio nazionale. Per questo, decisiva risulta essere la svolta attuata dai dirigenti sindacali nel capoluogo piemontese dove l’Autunno caldo è caratterizzato dal recupero delle organizzazioni storiche: la permeabilità alle istanze dal basso e l’atteggiamento conciliante verso delegati e Consigli di fabbrica consente ai sindacati confederali di sottrarre a Lotta continua la guida delle mobilitazioni in Fiat. Una tale svolta avviene anche attraverso il supporto di una rinnovata propaganda e, negli anni immediatamente successivi, la Federazione lavoratori metalmeccanici di Torino, determinata a mantenere il controllo sulla roccaforte operaia, attinge a piene mani al modello espressivo dell’Atelier.17
La contrapposizione che vede da una parte l’Flm, nata nel 1972 dall’unione di Fiom-Fim-Uilm e strutturata partendo dai Consigli di fabbrica, dall’altra i Cub e settori della sinistra rivoluzionaria,18 si gioca anche sul piano della grafica.
Il manifesto “Agnelli l’Indocina ce l’hai in officina” è opera del Cub Fiat Mirafiori (1973, figura 27).
Diverso è il messaggio nei manifesti realizzati dalla Flm: oltre alla denuncia dell’aggressività e della poca ragionevolezza della controparte, spesso i temi che emergono sono il contratto, le riforme o lo sviluppo economico.
Se da una parte la rivoluzione espressiva dell’Atelier populaire, con i suoi messaggi di rottura e antisistema, fa breccia nell’immaginario collettivo del movimento, dall’altra i tradizionali sindacati di massa non esitano nel servirsi, all’occorrenza, di quella nuova e dirompente grafica per dar forza al mantenimento del proprio ruolo nell’immutato assetto sociale in cui sono (e puntano a rimanere) inseriti. Il linguaggio della propaganda svolge così, in una fase di mobilitazioni e radicalizzazione, un ruolo di cartina tornasole della capacità di recupero e adattamento alle spinte provenienti dalla base messa in campo dalle organizzazioni storiche e sminuire o ignorare questa capacità costituisce un errore per qualsiasi avanguardia rivoluzionaria che abbia come obiettivo l’abbattimento del sistema.
Note
- Per approfondire gli avvenimenti del Maggio francese: La rivoluzione francese del maggio 1968 – prima parte e La rivoluzione francese del maggio 1968 – seconda parte di Alan Woods, Il significato del Maggio ’68 di Francesco Giliani.
- Il documento integrale è riportato – in lingua originale – nel volume Atelier Populaire présenté par lui-meme. 87 affiches de mai juin 1968, Usines Universités Union Edition, collection “Bibliothèque de Mai”, Paris 1968, p. 10.
- Si vedano: Augusto Pancaldi, I manifesti della rivolta di Maggio, Editori riuniti, Roma, 1968; William Gambetta, I muri del lungo ’68. Manifesti e comunicazione politica in Italia, DeriveApprodi, Roma, 2014.
- Le scansioni di diverse decine di affiches sono disponibili nella Biblioteca digitale della Bibliothèque nationale de France sul portale gallica.bnf.fr. Riproduzioni dei manifesti sono riportate in: Atelier Populaire présenté par lui-meme, cit.; A. Pancaldi, I manifesti della rivolta di Maggio, cit.; Vasco Gasquet, Les 55 affiches de Mai 68, Aden, Bruxelles 2007; Les affiches de Mai 1968 ou l’immagination graphique a cura di Alain Gourdon, Bibliothèque nationale Editeur, Paris, 1982.
- Riportato in Atelier Populaire présenté par lui-meme, cit.
- Oltre al volume Atelier Populaire présenté par lui-meme, cit., si veda l’articolo di Gervereau Laurent Les affiches de «mai 68», www.persee.fr/doc/mat_0769-3206_1988_num_11_1_403849 e l’intervista L’atelier populaire de l’ex-Ecole des Beaux-Arts. Entretien avec Gérard Fromanger, www.persee.fr/doc/mat_0769-3206_1988_num_11_1_403852; entrambi in: Matériaux pour l’histoire de notre temps, n°11-13, 1988. Mai-68: Les mouvements étudiants en France et dans le monde.
- Dopo il rifiuto degli Accordi di Grenelle da parte dei lavoratori, i dirigenti sindacali intraprendono la strada degli accordi separati spezzando il fronte della lotta: settori dell’energia, tessili, contadini, ferrovieri, addetti postali e tutte le altre categorie ritornano progressivamente al lavoro a seguito delle consultazioni sui successivi accordi. Le consultazioni vengono svolte sotto la pressione diretta della polizia e sono contraddistinte da diversi incidenti come riconosciuto anche dalla dirigenza della Cgt, si veda Georges Sèguy, Il Maggio 68, Editori riuniti, Roma, 1974, p. 121.
- Qualche giorno prima, un gruppo di studenti, insegnanti e militanti politici occupa la sede del Sindacato nazionale degli insegnanti lanciando un appello per la prosecuzione dello sciopero fino al “rovesciamento del potere gollista”. A tal proposito, in G. Sèguy, Il Maggio 68, cit., p. 126, si legge: “Poichè la radio ha fatto una pubblicità sospetta a un sedicente ‘Comitato nazionale provvisorio di sciopero’ che si pone l’obiettivo di rilanciare lo sciopero generale a oltranza, il direttivo confederale [della Cgt] dichiara: ‘Qualsiasi appello alla ripresa dello sciopero generale che, nelle attuali circostanze, non ha alcuna giustificazione, deve essere considerato come una pericolosa provocazione in quanto esso può servire solamente ai nemici della classe operaia e della democrazia’”.
- L’atelier populaire de l’ex-Ecole des Beaux-Arts. Entretien avec Gérard Fromange, cit.
- Oltre al volume di A. Pancaldi, I manifesti della rivolta di Maggio, cit., si vedano le pubblicazioni della rivista mensile Quindici dell’estate 1968.
- Si veda W. Gambetta, cit., pp. 29-31.
- Per un’analisi delle mobilitazioni del ’68-’69 e un relativo bilancio politico si veda In difesa del marxismo n. 2: 1968 – 69 Un biennio rivoluzionario, AC Editoriale, Milano, 2000.
- W. Gambetta, cit., p. 30.
- Ibidem
- Per un approfondimento sulla strategia politica di Lotta continua, oltre a In difesa del marxismo n. 2, cit.; si veda Luigi Bobbio, Storia di Lotta Continua, Edizioni Feltrinelli, Milano 1988, a p. 17 viene riportato un estratto dell’articolo Una premessa alla discussione su Lotta Continua, comparso sul quotidiano omonimo l’8 ottobre 1972; si legge: “La nostra concezione della teoria rivoluzionaria si contrapponeva all’elaborazione libresca della teoria, e vedeva nella pratica sociale, nella capacità di stare dentro le lotte della classe sfruttata, il punto di partenza della riflessione teorica, e non viceversa.
- Lo è per i sindacati di massa, per il movimento operaio, per le organizzazioni di estrema sinistra, Lotta continua compresa. In L. Bobbio, Storia di Lotta Continua, cit., p. 18, si legge: “Ma ciò che è determinante nel definire la natura e l’esistenza stessa di Lotta continua è l’incontro nell’estate 1969 [dei quadri provenienti dal movimento studentesco e da Potere operaio toscano] con gli operai delle linee di Mirafiori che diventano il punto di riferimento politico centrale di Lotta continua.
- Diversi manifesti prodotti dall’Flm torinese sono visionabili sul portale del Museum of Design Zurich (www.emuseum.ch).
- Mentre Avanguardia operaia, nel 1973, rifiuta ogni ipotesi di lavoro politico all’interno dei sindacati (vedi Appendice 2 – In difesa del marxismo n. 2, cit.), Lotta continua ufficializza, con non poche difficoltà, la propria svolta verso i delegati e i Consigli di fabbrica ma “benché il nuovo corso sui delegati venga sancito ufficialmente [dal 1° Convegno Operaio, svolto a Torino il 14-15 aprile 1973], Lotta continua non riuscirà mai a sviluppare in modo sistematico la battaglia nei Consigli; in parte per le condizioni oggettive, in parte per limiti interni all’autocritica” (L. Bobbio, cit., p. 121).