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La guerra di liberazione algerina 1954-1962

di Francesco Giliani

 

Agosto 2003: il Pentagono Usa ha proiettato ai suoi ufficiali “La Battaglia di Algeri” di Pontecorvo. Il film mostra un episodio della guerra di liberazione nazionale algerina. In Algeria una guerriglia prevalentemente contadina sconfisse l’imperialismo francese. Il fattore puramente militare non fu decisivo nel determinare l’esito della guerra. I vertici politico-militari nordamericani sembrano preoccupati che l’attuale impantanamento in Iraq si trasformi in una sconfitta cocente come quella subita dalla Francia in Algeria. I loro timori sono senz’altro fondati.

Le lotte di liberazione nazionale in Africa, Asia e Medio Oriente sono state un passo in avanti per l’umanità. Ogni colpo inferto all’imperialismo ed alle catene dell’oppressione nazionale deve essere visto con favore da ogni militante comunista. Infatti, anche quando non arriva all’abbattimento del capitalismo, rappresenta un passo in avanti nella lotta per il socialismo indebolendo l’imperialismo. Quali forze sociali e politiche guidarono la lotta del popolo algerino contro l’oppressione imperialista? Come fu possibile sconfiggere uno degli eserciti più moderni del mondo? Quali programmi e quali metodi di lotta vennero impiegati? Quali effetti ebbe in Francia la lotta di liberazione nazionale del popolo algerino? Quale tipo di regime si instaurò in Algeria con l’indipendenza ottenuta nel 1962? Era un regime socialista oppure no?

Questi sono alcuni dei temi che tenteremo di approfondire in questo articolo.

Il colonialismo francese

Dal XVI secolo al 1830 i turchi governarono il territorio corrispondente all’attuale Algeria attraverso una rete di sultani e caid scelti tra l’aristocrazia guerriera e rimpiazzati ogni tre anni. La Cabilia era governata dai marabù, capi religiosi alleati della casta militare turca. Nessun processo di centralizzazione statale si sviluppò. Le principali attività economiche di Algeri erano la pirateria ed il commercio di schiavi. Si dovette attendere l’inizio del XIX secolo per assistere alla nascita di una borghesia commerciale ed artigiana. All’infuori di alcune città costiere (Algeri, Annaba), fino all’occupazione francese dominava la proprietà comunitaria e tribale della terra, forma di possesso collettiva che costituiva una vestigia di comunismo primitivo. I pascoli erano possesso indiviso delle tribù, nomadi o sedentarie. Il diritto borghese moderno non esisteva: tutto si regolava in base a pratiche consuetudinarie. La differenziazione di classe era embrionale. Le aristocrazie guerriere e religiose derivavano i loro privilegi soprattutto dalle funzioni politiche svolte e la loro preminenza sul terreno dei rapporti di proprietà era sottoposta a numerosi vincoli.

La colonizzazione francese, iniziata nel 1830, catapultò l’Algeria dallo stadio superiore della barbarie direttamente al capitalismo, saltando quasi a piè pari il feudalesimo. La formazione di uno Stato centralizzato moderno fu imposta dall’esterno per opera dei colonizzatori. Marx osservò che paesi come l’Algeria sarebbero potuti passare direttamente dal comunismo primitivo a quello moderno qualora il proletariato dei paesi capitalisti avanzati avesse preso il potere nel corso del XIX secolo. Con buona pace di chi distorce il marxismo presentandolo come una filosofia della storia gradualista!

La distruzione della proprietà comunitaria della terra e la formazione di una proprietà fondiaria individuale fu realizzata brutalmente. Le colonie militari confiscarono le terre arbitrariamente, specialmente quelle delle tribù ribelli; lo Stato francese assunse la gestione di terre che il Demanio turco non aveva toccato. Nel 1871 in Cabilia esplose l’ultima grande rivolta tribale: il suo soffocamento fornì il pretesto per una confisca di 500mila ettari di terra. A partire dal 1863 il governo francese aveva promulgato una serie di leggi per la confisca delle terre e la definizione formale di confini tra le proprietà. Tra il 1871 ed il 1898 più di un milione di ettari furono messi a coltura dai coloni francesi. Nel 1880 Marx rilevò che, malgrado i passi compiuti sulla via del capitalismo, soprattutto con la legge sulla parcellizzazione del 1873, la proprietà tribale basata sulla consanguineità persisteva in numerose zone del paese.

La borghesia francese ha sempre considerato l’Algeria come una riserva di prodotti agricoli e minerari da esportare allo stato grezzo. L’industria pesante e dei beni di produzione restò debole: gli investimenti erano resi insicuri da una infrastruttura economica embrionale, dall’assenza di energia a basso costo e da un sistema di trasporti arcaico (esisteva, ad esempio, una sola linea ferroviaria). La manodopera a basso costo non ovviava, da sola, a questi svantaggi. Ciononostante, l’industria e l’urbanizzazione conobbero un notevole incremento. La percentuale di Pil (prodotto interno lordo) concentrata nell’industria passò dal 10% del 1880 al 26% del 1955. Nella prima metà del XX secolo Algeri moltiplicò per sette volte la sua popolazione ed Orano per sei.

La nascita del movimento nazionalista (1926-1953)

Il movimento nazionalista algerino nacque a Parigi. La necessità di una lotta contro l’oppressione nazionale venne compresa innanzi tutto dalla classe operaia algerina immigrata in Francia. Nel 1926 venne così fondata, sotto l’egida del Pcf (Partito comunista francese), la Stella Nord-Africana (Ena, Etoile Nord-Africaine). Il primo segretario fu Hadj Abd-el-Kader, membro del Comitato Direttivo del Pcf, mentre il presidente era Messali Hadj, membro anch’egli del Pcf. Nel programma dell’Ena l’indipendenza nazionale era collegata alla liberazione sociale e si rivendicava la nazionalizzazione di banche, miniere, porti, ferrovie e servizi pubblici. L’Ena passò da 3mila iscritti nel 1927 a 40mila nel 1931.

Nel contempo, anche la debole borghesia algerina si dotò di uno strumento politico, fondando nel 1927 la Federazione dei Deputati. Era un raggruppamento di notabili eletti negli organismi locali coloniali, dove agli europei era riservata automaticamente la maggioranza. Sostennero questa formazione politica padroni dell’industria leggera, proprietari terrieri, ricchi commercianti e professionisti che offrirono i propri servigi all’imperialismo francese sperando di essere ricambiati col consolidamento dei propri privilegi. I diversi settori della classe dominante, lungi dal voler guidare una lotta antimperialista, si adattavano al sistema coloniale e, consci della loro debolezza, contavano sulle baionette francesi per mantenere asservita la nascente classe operaia e le masse diseredate delle campagne. La coscienza di classe aveva la precedenza sulla coscienza nazionale. La borghesia compradora algerina aveva infatti più paura delle masse che dei francesi. Gli intellettuali volevano l’accesso ai posti dell’amministrazione coloniale ed alle libere professioni. Erano rappresentati da un dirigente della Federazione dei Deputati come Ferhat Abbas, farmacista.

Nel 1936 l’ondata di scioperi ed occupazioni che scosse la Francia ebbe un suo prolungamento anche in Algeria e Marocco. I minatori ed i proletari agricoli arabi scioperarono scontrandosi con la polizia ad Algeri, Orano, nelle miniere di Ouenza e nella regione di Costantina. La vittoria elettorale del Fronte Popolare (Pcf-Sfio-radicali) creò enormi speranze. Il Pcf aumentò di sette volte i suoi voti in Algeria. Tuttavia il Fronte popolare deluse ben presto le speranze con la sua politica reazionaria sia in Francia, sia sul piano internazionale. L’indipendenza non venne concessa. L’unica proposta fu il progetto di legge Blum-Violette, che concedeva la nazionalità francese a 21mila algerini in possesso di laurea. Era una politica di assimilazione della borghesia algerina. Tuttavia, la pressione dei coloni, che consideravano come tradimento qualsiasi concessione alla borghesia araba, fece desistere il governo Blum.

Le forze del nazionalismo algerino si erano federate durante il I° congresso musulmano del giugno ’36. Quest’alleanza comprendeva l’Ena, la Federazione dei Delegati e la borghese Associazione degli Ulema  (dottori in religione). L’alleanza si frantumò perché Messali Hadj, segretario dell’Ena, intercettò la radicalizzazione tra le masse arabe difendendo la parola d’ordine dell’indipendenza. La popolarità dell’Ena crebbe enormemente. Il Fronte Popolare, tenace difensore del capitalismo francese, passò alla repressione aperta. Il 27 gennaio 1937 l’Ena fu messo fuorilegge, Messali ed altri militanti nazionalisti incarcerati. Il Pca (Partito comunista algerino), solidale con le scelte del Pcf, si svuotò. Nel marzo 1937 l’Ena era rinato cambiando il suo nome in partito del popolo algerino (Ppa) e ad ogni elezione amministrativa recuperava voti dal Pca.

La fine della seconda guerra mondiale scatenò un’ondata di lotte di massa in Algeria, dove i giovani erano stati utilizzati da De Gaulle come carne da cannone sui campi di battaglia europei. L’8 maggio 1945 manifestazioni tumultuose si trasformarono in movimenti insurrezionali a Sétif e Guelma. La repressione del governo Pcf-Sfio-Mrp (Movimento Repubblicano Popolare, democristiano) fu feroce. Nella provincia di Sétif il Mtld (Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche), nuovo nome del Ppa, denunciò 40mila morti. Nonostante ciò, i vertici del movimento nazionalista condannarono l’insurrezione di Sétif. Il movimento nazionalista era diviso in due formazioni: l’Udma, che rifletteva gli interessi della debole borghesia algerina desiderosa di raccogliere le briciole che gli avrebbe lasciato il suo padrone francese, ed il Mtld, a direzione piccoloborghese, che agitava la parola d’ordine dell’indipendenza, della guerra al colonialismo ed ai suoi lacchè, colorando tutto con una demagogia socialisteggiante per trainare dietro di sé le masse lavoratrici e plebee che identificavano liberazione nazionale e sociale.

Il Partito comunista francese, l’Internazionale comunista e la questione coloniale

I primi quattro congressi dell’Internazionale comunista (Ic), fondata nel 1919, riservarono particolare attenzione alla questione coloniale. Si considerava infatti che “senza il possesso dei grandi mercati e di territori da sfruttare nelle colonie, le potenze capitaliste d’Europa non potrebbero mantenersi in piedi a lungo”. La condotta dei partiti comunisti doveva essere nitida: secondo l’ottava condizione per l’adesione all’Ic “ogni partito appartenente alla III Internazionale ha il dovere di smascherare senza pietà i misfatti dei “suoi” imperialisti nelle colonie, di sostenere non solo a parole ma nei fatti ogni movimento d’emancipazione nelle colonie, di alimentare tra i lavoratori del proprio paese sentimenti di fratellanza nei confronti della popolazione lavoratrice delle colonie e delle nazionalità oppresse e di sviluppare tra i soldati dell’esercito imperialista un’agitazione permanente contro l’oppressione dei popoli coloniali”.

Il Pcf era nato nel dicembre 1920 per volontà dei delegati presenti al congresso nazionale della Sfio (sezione francese dell’internazionale operaia, cioè il vecchio partito socialista). Tuttavia, ai vertici del nuovo partito si manifestò una certa resistenza a mettere in pratica le tesi dell’Ic. Il IV congresso dell’Ic criticò la lentezza con cui il partito francese evolveva “dal socialismo parlamentare al comunismo rivoluzionario” soprattutto per la resistenza “spesso eccezionalmente tenace degli elementi che sono ancora piuttosto forti alla direzione del partito, specialmente nella frazione di centro che, dopo Tours, ha avuto la sostanziale direzione del partito”. In quel congresso Trotskij attaccò violentemente lo spirito colonialista ancora diffuso nel Pcf, prendendo come esempio una risoluzione della sezione Pcf di Sidi-bel-Abbès secondo cui “un sollevamento vittorioso delle masse musulmane d’Algeria non seguito da un sollevamento simile delle masse proletarie di Francia porterebbe fatalmente l’Algeria ad un ritorno verso un regime quasi feudale, cosa che non può essere l’obiettivo di un’azione comunista”.(1) Secondo Trotskij “questo argomento è preso dai socialdemocratici di destra di prima della guerra. […] Ora che il capitalismo è in piena decomposizione, è una sfida alle verità basilari della scienza storica identificare in esso un fattore progressivo per le colonie. Solo il socialismo può fare uscire le colonie dalla “barbarie”, cioè dalla situazione di ritardo in cui esse si trovano. Ogni movimento coloniale che indebolisce il dominio capitalista nella metropoli imperialista è progressista perché facilita il compito rivoluzionario del proletariato”; sarcasticamente, Trotskij così riassunse la formula della sezione di Sidi-bel-Abbès: “schiavi delle colonie, restate schiavi finché noi, esseri supremi della metropoli, avremo cambiato tutto, perché se voi vi private troppo presto della tutela della nostra borghesia civilizzatrice, voi ricadrete nella vostra barbarie”.(2) Il Pcf teorizzava l’inutilità di sviluppare un lavoro politico tra gli algerini perché troppo arretrati, scelta fustigata dal IV congresso dell’Ic: “La creazione nelle colonie (Egitto e Algeria) di organizzazioni comuniste europee isolate è una forma mascherata della tendenza colonizzatrice e un appoggio agli interessi imperialisti. Costruire organizzazioni comuniste secondo il principio della nazionalità equivale a contrastare i principi dell’internazionalismo proletario”. Anche sulla natura della borghesia coloniale regnava confusione. Il congresso di Algeri votò un programma in cui i commercianti capitalisti delle città che volevano diventare dei borghesi francesi naturalizzandosi erano giudicati un settore progressista: il Pcf si impegnò a “democratizzare al massimo” le istituzioni coloniali.

Nel 1924-25, l’evoluzione del Pcf verso il comunismo fu bloccata dall’eliminazione burocratica del gruppo dirigente Rosmer-Souvarine-Monatte, in sella dal 1923, causata dal suo appoggio all’opposizione di sinistra diretta da Trotskij. In quel periodo il governo di destra di Poincaré aiutò la Spagna nella sua guerra contro i cabili del Rif (Marocco). Nell’aprile del 1925, il governo del “cartello delle Sinistre” (Sfio, radicali, repubblicani socialisti) rafforzò le operazioni militari contro le armate di Abd-el-Krim. Il Pcf pubblicò sin dall’inizio dichiarazioni contro la guerra nel Rif e per “l’evacuazione completa della Francia dal Marocco”. La gioventù comunista fu particolarmente attiva nella distribuzione di volantini e giornali in arabo ed in francese, invitando i soldati alla fraternizzazione con gli insorti. Si ebbero, in effetti, alcuni casi di fraternizzazione. 200 marinai portati davanti al consiglio di guerra e 1.500 in attesa già all’inizio del 1925 non sono una cifra trascurabile. La fraternizzazione non era un appello a rifiuti isolati di prestare obbedienza agli ufficiali ma aveva l’obiettivo di organizzare in maniera cosciente tra i soldati una lotta di massa che avrebbe dovuto, per vincere, cercare un legame coi lavoratori. Apice della campagna contro la guerra fu lo sciopero generale di 24 ore dell’ottobre 1925, seguito da più di un milione di operai. Era il primo sciopero politico in Francia contro una guerra coloniale. A livello internazionale, la direzione dell’Ic di Zinoviev spingeva verso una politica di adattamento alle formazioni nazionaliste borghesi o contadine piccolo-borghesi che nascevano nei paesi coloniali ed arretrati. Così, ad esempio, il giusto appoggio dato all’insurrezione siriana del 1925, repressa dall’esercito francese, non fu accompagnato da un lavoro indipendente di costruzione del partito comunista. Dal Comitato Esecutivo allargato dell’Ic del febbraio 1926 si delineò una politica mondiale di costruzione, nei paesi coloniali, di partiti nazionalisti sul modello del Kuomintang cinese.

Durante la rivoluzione cinese del 1925-27, l’Ic con Stalin e Bukharin ricercò sistematicamente un’alleanza con una fantomatica borghesia antimperialista presente nel Kuomintang, dove il Pc cinese fu costretto a sciogliersi. Furono così mandati al massacro centinaia di migliaia di lavoratori e di comunisti quando anche gli elementi più di sinistra del Kuomintang, insieme ai signori della guerra, repressero nel sangue l’insurrezione operaia di Shangai. Erano gli effetti della politica di alleanza delle “quattro classi” (operai, contadini, intellettuali e borghesia nazionale). Nonostante questa terribile disfatta, l’Ic continuò a trasporre meccanicamente questa linea nei paesi coloniali costruendo essa stessa partiti cosiddetti “operai e contadini” simili al Kuomintang (che però era a direzione borghese).

Nel mondo arabo questo condusse alla liquidazione del Pc tunisino nel Neo-Destur nazionalista borghese ed in Egitto al codismo nei confronti del nazionalista-liberale Wafd. Il rappresentante dell’Ic, Gero, aveva spiegato ai comunisti francesi che dovevano creare in Africa del Nord “un partito nazionalista facendovi entrare elementi indigeni come noi l’abbiamo fatto con successo in Cina”.(3) In Algeria il Pcf creò l’Ena dopo aver cercato, invano, di coinvolgere elementi della classe dominante locale – compresi elementi feudali, precisò Gero – per costituire un “Kuomintang algerino”. Nella stampa di partito si sosteneva che “la parte militante della borghesia è rivoluzionaria”.(4) Si finì per costituire un partito basato essenzialmente sulla classe operaia emigrata in Francia e diretto da militanti comunisti. Febbraio 1927, si tenne a Bruxelles il congresso costitutivo della Lega contro l’imperialismo. Il Comitato contro le atrocità in Siria si trasformò in Lega contro l’imperialismo, divenendo strumento dell’alleanza dell’Ic con la borghesia dei paesi coloniali.

Fu il più grande congresso politico anticolonialista tra le due guerre. Parteciparono il partito del Congresso indiano, l’Apra peruviano, l’Anc sudafricano, l’Ena ecc. Fu il coronamento della politica “Kuomintang” ma anche la sua ultima tappa. Le illusioni nazionaliste alimentate dall’Ic si ritorsero contro di essa ed entro il 1930 tutte le principali organizzazioni della Lega ruppero con l’Ic. La politica del “Terzo Periodo” allontanò definitivamente l’Ena. Messali Hadj era uscito dal Pcf nel 1928 e portò avanti senza l’Ic la costruzione in Francia di un partito nazionalista con una base popolare ed una fraseologia impregnata di lessico comunista. L’Ena, però, rifiutò ai comunisti la doppia tessera.

La svolta del VII congresso dell’Ic (1935) verso la politica dei fronti popolari ebbe ripercussioni immediate sulla politica coloniale. L’Ic, sotto il dominio stalinista, formulò organicamente una “nuova teoria” sostenendo l’impossibilità di unire la lotta per la liberazione nazionale a quella per il potere proletario ed il comunismo, allontanata in un futuro indefinito (teoria delle due fasi). Era una ripresa mascherata delle teorie mensceviche. Nei paesi coloniali, i Pc dovevano sottomettersi al programma, ai metodi di lotta ed al personale politico della borghesia nazionale. In Francia, nel programma di governo del Fronte Popolare il Pcf introdusse solamente la creazione di una commissione d’inchiesta sulle colonie e appoggiò la repressione dei movimenti di liberazione nazionale. Argomentando che le colonie francesi sarebbero potute cadere sotto il dominio di Hitler e Mussolini, il Pcf si oppose all’indipendenza e mostrò la sua subordinazione alla “sua” borghesia sostenendo che “la Francia democratica deve guidare le colonie sulla via del progresso sociale e della libertà”. Quando l’Ena chiese l’indipendenza dell’Algeria, il Pcf l’etichettò come fascista ed invocò la sua messa al bando. Anche il Comitato d’azione marocchina fu bandito dal Fronte Popolare.

Alla fine della Seconda Guerra mondiale la linea dei fronti popolari ebbe una nuova applicazione coi governi di unità nazionale tra Pcf, Sfio e Mrp. Il segretario del Pca, Caballero nel giugno 1945 spiegò che chi domandava l’indipendenza dalla Francia era ìagente cosciente o incosciente di un altro imperialismo”. Dopo l’insurrezione ed il massacro di Sétif il Cc del Pcf chiedeva di “punire senza pietà e rapidamente gli organizzatori della rivolta.” Sconfitti Germania, Italia e Giappone, Caballero non poteva fare riferimento che agli Usa o alla Gran Bretagna. Ma i comunisti devono dare la priorità al “proprio” imperialismo contro quello di un altro paese? Questa politica filoimperialista portò il Pcf a votare i crediti di guerra per sostenere la guerra coloniale in Indocina ed i bombardamenti in Madagascar.(5) Le stesse prese di posizione “pacifiste” erano concepite dalla burocrazia del Pcf come consigli alla borghesia francese su come meglio conservare le colonie. Thorez affermò che “L’interesse nazionale esige il mantenimento dell’influenza francese in Estremo Oriente. La continuazione delle ostilità contro il popolo vietnamita in violazione ai principi fissati dalla Costituzione porterebbe fatalmente a perdere queste posizioni e questa influenza, come si è già verificato in Siria ed in Libano”.(6) dove l’intervento brutale della Francia (bombardamento di Damasco ed arresti per l’intero governo libanese) ebbe come conseguenza la radicalizzazione della lotta per l’indipendenza fino alla vittoria.

La crisi del 1953-54 e l’inizio della lotta armata

La repressione sanguinosa del maggio 1945 fu all’origine di anni di riflusso. Questa situazione spinse la borghesia, ma anche settori di piccola borghesia, a ricercare accordi con l’imperialismo. L’Udma di Ferhat Abbas, gli Ulema ed il gruppo dirigente del Mtld si battevano per “l’applicazione piena” dello Statuto concesso nel 1947 dalla Francia. I loro deputati al Parlamento di Parigi conducevano un’attività politica discreta. Nessuno parlava di indipendenza. La situazione portò all’esasperazione la base lavoratrice del Mtld. Centinaia di militanti scrissero lettere infuocate o visitarono Messali Hadj, agli arresti domiciliari in Francia. Le proteste vertevano anche sul silenzio del Mtld a proposito delle lotte in Marocco e Tunisia. Questa rivolta della base fu incanalata da Messali che nel dicembre 1953 accusò di “riformismo” la direzione del Mtld e organizzò nel marzo ’54 “Comitati di Salvezza Pubblici” per lanciare una lotta di frazione. Le denunce di moderatismo indirizzate alla maggioranza del Mtld suscitarono l’entusiasmo dei militanti, a stragrande maggioranza con Messali. L’Os (operazioni speciali), braccio militare e polizia politica del partito, si bilanciò tra le due frazioni. Boudiaf, dirigente dell’Os, fondò nel marzo ’54 il Crua (Comitato rivoluzionario per l’unità e l’azione) per tentare di riunificare il partito. L’Os, benché sentisse le pressioni della base, non poteva scontrarsi frontalmente con l’apparato del partito da cui dipendeva materialmente.

Sfruttando la frustrazione e la volontà d’azione della base, il Crua preparò un’insurrezione a freddo. Così, il 1° novembre 1954, il Crua, divenuto Fronte di Liberazione Nazionale (Fln), si lanciò contro l’esercito francese. Vennero realizzati 30 attacchi, di cui solo uno ad Algeri. Un migliaio e mal equipaggiati erano gli effettivi del Fln, di cui 400 erano concentrati nella regione dell’Aurès. L’avventurismo con cui fu preparata quest’insurrezione ebbe conseguenze catastrofiche: cellule smantellate, militanti arrestati perfino grazie alle indicazioni dei contadini. Nell’Aurès ebbero luogo i primi bombardamenti col napalm da parte della Francia. In Francia la repressione si abbatté sul Mtld. I suoi locali furono chiusi, gli archivi sequestrati, le pubblicazioni vietate e Messali fu nuovamente incarcerato. Il Mtld si riformò col nome di Movimento Nazionale Algerino (Mna). Anche il movimento operaio, però, cominciò a prendere la parola: i delegati al congresso nazionale del sindacato dell’educazione (Fen) votarono una risoluzione per la fine della repressione contro il Mtld e per la liberazione immediata di Messali.

La guerra di liberazione nazionale

Quando scoppiò l’insurrezione del 1° novembre 1954 il modo di produzione prevalente in Algeria era da tempo quello capitalista. L’Algeria era un caso di sviluppo diseguale e combinato: istituzioni (come gli aarch in Cabilia) e rapporti precapitalistici coesistevano con le fabbriche capitaliste più moderne. La divisione in classi sociali era peculiare. Le due classi fondamentali prodotte dal capitalismo erano piuttosto deboli. Per la borghesia si censivano nel 1954 un totale di 120mila “imprenditori, commercianti, artigiani, liberi professionisti”. Nelle città il proletariato, invece, aveva raggiunto le 330mila unità, soprattutto portuali, impiegati e operai dell’industria leggera (lana, cotone, alimentari, settore vinicolo). Circa 90mila proletari erano francesi. Il capitalismo si era sviluppato nelle campagne accaparrandosi le terre migliori (Mitidja, altopiano di Orano). 22mila coloni possedevano 2,7 milioni di ettari di terra, equivalenti al 40% delle terre coltivate, concentrando però il 65% della produzione agricola. Tra questi, circa 6mila coloni avevano possedimenti superiori ai 150 ettari e controllavano le produzioni pregiate da esportazione, come la vite. Tra la popolazione araba si era sviluppata una borghesia terriera con 25mila proprietari di appezzamenti superiori ai 50 ettari. Questi sviluppi avevano causato la formazione di un proletariato agricolo di circa 1,5 milioni di contadini spossessati, mentre mezzo milione di contadini poveri vivevano in un’economia di sussistenza dotati di mezzi di produzione primitivi. I disoccupati agricoli toccavano il milione. Inoltre, l’esodo dalle campagne verso le città aveva formato spaventose bidonville nelle periferie e 200mila algerini erano diventati operai in Francia.

Il peso della lotta di liberazione nazionale cadde sulle spalle di operai e contadini. Dalla primavera del 1955 la guerriglia contadina si espanse a macchia d’olio. In Francia i lavoratori algerini cercavano spontaneamente un alleato nel movimento operaio francese. Il 1° maggio 1955 migliaia di algerini sfilarono a Parigi nel corteo organizzato dalla Cgt (Confederazione Generale del Lavoro, legata al Pcf). Al comizio finale, però, i dirigenti della Cgt impedirono di parlare ad un rappresentante del Mna favorevole all’indipendenza, preferendogli un algerino del Pcf, “addomesticato” all’idea dell’Algeria autonoma legata all’Unione Francese. Scoppiarono scontri tra il servizio d’ordine della Cgt ed i messalisti: intervenne la polizia compiendo 200 arresti tra gli operai algerini. Questo episodio riassume l’atteggiamento opportunista delle burocrazie sindacali che, difendendo le posizioni dell’imperialismo francese, misero sistematicamente un cuneo tra lavoratori francesi e algerini. Malgrado ciò, l’atteggiamento dei lavoratori e dei giovani francesi era differente. Nell’estate ‘56, migliaia di coscritti si rifiutarono di partire verso l’Algeria, ingaggiando scontri violenti con la polizia nelle stazioni ferroviarie.

La situazione militare dell’imperialismo francese in Algeria non era promettente. Alla fine del 1954, 55mila soldati furono affiancati da 40mila unità provenienti dall’Indocina, reduci dall’umiliante sconfitta di Dien-Bien-Phu. Nella primavera-estate del 1955 tutto il Maghreb andò a fuoco. Guerriglia e lotte sociali si generalizzavano in Marocco e Tunisia. La paura montò alle stelle quando pareva profilarsi una possibile unione tra i combattenti marocchini dell’Alm (Armata di Liberazione del Marocco) e l’insurrezione contadina della regione algerina di Costantina. La Francia fu costretta a negoziare l’indipendenza dei suoi due protettorati. Il re del Marocco Mohammed V prese la responsabilità di reprimere quei contadini marocchini che volevano continuare la guerriglia fino alla liberazione ed all’unità di tutto il Maghreb.

La spinta a sinistra della società francese ebbe un riflesso nelle elezioni legislative del gennaio 1956. Il Pcf si confermò primo partito col 26% dei voti, alla Sfio andò il 16%. Venne formato un governo di centro-sinistra che escludeva il Pcf, con Guy Mollet, segretario Sfio, primo ministro. Replicando a chi accusava il governo di avere due politiche: “una politica energica per l’Algeria ed una politica di concessioni per la Tunisia ed il Marocco” Pineau, ministro degli esteri, sostenne che era vano credere di poter resistere ad una guerra generalizzata all’Africa del Nord: “I partigiani di una politica dura in Marocco e Tunisia devono capire che ciò richiederebbe altri 500mila uomini. Dove pensano di prenderli i nostri colleghi? Non ho sentito nessuna proposta in questo senso”.(7)

Già il 2 febbraio Mollet fu sonoramente contestato dai coloni ad Algeri. Cedette a queste pressioni nominando governatore generale di Algeri Lacoste, Sfio, gradito a ricchi coloni e militari. Il governo Mollet, strumento diretto della borghesia francese, chiese i pieni poteri in Algeria per condurre con la massima ferocia la repressione. Il 9 marzo l’Usta (unione sindacale dei lavoratori algerini, legata al Mna) convocò uno sciopero generale contro i poteri speciali. I lavoratori algerini manifestarono a migliaia ma la lotta rimase isolata. Il 12 marzo Mollet ottenne dal Parlamento i pieni poteri anche coi voti dei parlamentari del Pcf. Da allora il gruppo dirigente del Pcf mantiene un rigoroso silenzio su questa sua “prodezza”. Nel 1956 affluirono in Algeria decine di migliaia di soldati dei corpi speciali (paracadutisti, Legione Straniera) e gli effettivi presenti schizzarono a 396mila. Dicembre 1956: il governatore Lacoste incaricò il generale Massu, capo dei parà, di riportare l’ordine ad Algeri. Il Fln lanciò uno sciopero generale di 8 giorni il 5 gennaio 1957. L’intera città, ma soprattutto la casbah, venne rastrellata dalla forze speciali. Migliaia gli arresti e le esecuzioni sommarie. Il comitato esecutivo del Fln ordinò un’intensificazione degli attentati ma poi scappò a fine febbraio 1957. La base del Fln, spontaneamente, continuò la politica di terrorismo individuale. Il bilancio della “Battaglia d’Algeri” fu pesante. Intere cellule del Fln e del Mna furono smantellate. Il movimento operaio crollò e la ricostruzione di strutture sindacali fu proibita. Iniziò un periodo di riflusso per le masse urbane. Sotto la pressione dei coloni era stata lanciata  contro il popolo algerino una guerra coloniale classica fatta di violenze, torture e stupri. La guerra in Algeria avrebbe potuto rilanciare la lotta politica in Francia, in alleanza col popolo algerino. Secondo il marxista britannico Ted Grant, se questa lotta si fosse prodotta “avrebbe potuto dividere i coloni, conquistando gli strati inferiori della piccola borghesia ed i piccoli proprietari alla rivendicazione di un’Algeria socialista, unita fraternamente e con pieni diritti (incluso quello alla separazione) con una Francia socialista. Ma la passività del Pcf ed il tradimento socialista, quando Mollet sostenne la guerra e perfino l’intensificò dopo aver vinto le elezioni con un programma di pace in Algeria, significarono che la guerra diventò un orrendo conflitto per lo sterminio dell’avversario da entrambe le parti. I coloni furono saldati in un’unica massa reazionaria ed i combattenti per la libertà algerini spinti su un programma puramente nazionalista”. (8)

Mna e Fln “alla guerra”

Il Mna partì nel 1954 da posizioni più di sinistra del Fln. Aveva militanti con anni o decenni di esperienza nel movimento operaio francese. La base del Mna si trovava principalmente tra i lavoratori immigrati in Francia mentre il Fln guadagnò terreno nelle zone rurali dell’Algeria. I militanti del Mna stabilirono relazioni coi sindacati della scuola (Fen, Snes, Sni) ed ebbero un certo peso alla Renault, dove militavano a migliaia nell’Ugsa, federata alla Cgt. Politicamente, ebbero legami con la sinistra della Sfio, con gruppi espulsi dal Pcf, col gruppo pseudo-trotskista del Pci (Partito Comunista Internazionalista) e con gli anarcosindacalisti della rivista Vie Proletarienne di Monatte, storico attivista del movimento operaio.

Malgrado la leadership riformista di Messali Hadj, la base operaia del Mna era un pericolo per la borghesia francese. Fu così che la Cisl (Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi), su pressione di Force Ouvrière (Fo), elargì importanti somme per controllare i dirigenti sindacali del Mna e spingerli ad uscire dalla Cgt per fondare un sindacato puramente algerino. Nacque così nel febbraio ’56 l’Usta. Questa manovra reazionaria che introduceva una scissione tra lavoratori su base nazionale fu ulteriormente favorita dall’atteggiamento nazionalista dei dirigenti della Cgt.
Un mese dopo nacque l’Ugta (Unione Generale dei Lavoratori Algerini) per iniziativa dei dirigenti del Fln, anch’essa lautamente finanziata dalla Cisl.

Inizialmente, la borghesia francese utilizzò come interlocutore “ragionevole” il Fln, in cui la componente borghese si era notevolmente rafforzata dopo l’ingresso, tra il 1955 ed il 1956, di alcune grandi famiglie borghesi di Algeri, dell’Udma e dell’Associazione degli Ulema, privi ormai di qualsiasi sostegno popolare a causa della loro tattica attendista. Vasti settori del Fln attesero vanamente la fine del conflitto dai governi Mendès-France e Mollet. Anche il moderatissimo Pca si sciolse nel Fln, liquidando nell’Aln le sue formazioni militari. A partire dal 1956, però, il Mna abbandonò progressivamente la parola d’ordine dell’indipendenza a favore di una “Tavola Rotonda” (leggi negoziato) con la Francia,  incaricata di convocare una fumosa Assemblea Costituente per decidere il futuro dell’Algeria: era la decolonizzazione per gradi. Messali difese l’idea di un “Commonwealth Francia-Maghreb e franco-africano”, prendendo contatti col ministro di De Gaulle Houphouet-Boigny. La radicalità passò dalla parte del Fln che divenne egemone. Nella seconda metà degli anni ’50 il Mna diventò un’agenzia dell’imperialismo francese. Addirittura, nel 1961 la maggioranza del suo Comitato centrale tramò col governo gollista Debré fino a formare un nuovo partito, il Fronte algerino d’azione democratica, utilizzato come strumento di pressione contro il Fln.

La cosiddetta guerra civile tra Fln e Mna si concluse nel 1962 con circa 12mila aggressioni, 9mila feriti e 4mila morti. Un episodio merita un’attenzione particolare. Tra il settembre e l’ottobre del 1957 numerosi quadri operai dell’Usta, soprattutto della Renault, vennero assassinati per mano di squadracce organizzate dal Fln. Questa mattanza decapitò quel settore operaio del Mna che, svincolandosi dal riformismo paternalista e corrotto di Messali, si stava avvicinando alle idee del marxismo.(9)

L’ascesa di De Gaulle

Esasperata dall’intensificarsi della lotta di liberazione e stufa delle mezze misure dei “politici”, la casta degli ufficiali sfogò apertamente la sua rabbia. Massu, gollista di ferro, dichiarò all’Evening Standard: “L’esercito ha subito una sconfitta dopo l’altra negli ultimi venti anni. È colpa dei politici che non danno mano libera ai generali”. L’esercito francese, particolarmente il corpo d’élite dei paracadutisti, aveva scatenato il terrore. I paracadutisti diventarono un gruppo di torturatori ed assassini pronti a tutto. Sfruttando il timore dei coloni di un accordo tra la classe dominante francese ed il movimento nazionalista algerino, i generali prepararono la loro rivolta. Senza opposizione da parte della polizia, il 13 maggio 1958 coloni e parà assaltarono il palazzo del Governatore di Algeri. Massu annunciò la formazione di un “Comitato di salvezza pubblica” e richiese immediatamente che il Presidente della Repubblica desse il potere a De Gaulle come capo di questo comitato. Il movimento doveva svilupparsi anche a Parigi dove però solo 6mila scesero in piazza per Massu. Non esistevano in Francia basi di massa per un movimento fascista. I generali rimasero isolati. Il Pcf e la Cgt parlarono di minaccia fascista ed i tre sindacati minacciarono uno sciopero generale se il governo costituzionale fosse stato attaccato. La risposta del governo Pfimflin (Mrp) fu quella di adottare il programma degli insorti: guerra fino alla fine in Algeria e rafforzamento dell’esecutivo. Sostenendo che così sbarravano la strada ai generali fascisti, i dirigenti della Sfio e del Pcf votarono a favore dello stato d’emergenza con cui il governo proibiva assemblee e cortei. Il 24 maggio i generali in rivolta occuparono la Corsica senza trovare resistenza. Nessuna mobilitazione fu organizzata dal Pcf. L’unica “azione” fu un ordine del giorno del consiglio comunale di Bastia dove si affermava “la fedeltà alla Repubblica e l’appoggio al governo. Facciamo appello alla popolazione di rimanere calma e di non manifestare”.

I dirigenti del Pcf alimentarono l’illusione che il governo Pflimflin avrebbe potuto disarmare gli ammutinati. Ciò rivelava un’incomprensione della natura di classe dello Stato borghese. Engels disse che lo Stato, in ultima analisi, sono corpi di uomini armati in difesa di certi rapporti di proprietà. Per il governo, così, disarmare i generali ribelli avrebbe significato distruggere uno dei propri pilastri. I dirigenti del Pcf avrebbero dovuto invece fare appello ai lavoratori ed ai sindacati per organizzare milizie operaie in grado di schiacciare la reazione. Una volta Lenin osservò che anche una lotta per la difesa di diritti democratici poteva trasformarsi in un movimento rivoluzionario. Inoltre, il Pcf avrebbe dovuto organizzare la propaganda tra i marinai perché rifiutassero di consegnare armi e approvvigionamenti in Algeria e fare appello ai coscritti perché formassero comitati d’azione in unione coi portuali e rifiutassero di partire.

Tradendo i generali di cui si era servito, De Gaulle si presentò alla borghesia francese come il “Salvatore della Patria”, l’uomo in grado di porre termine all’avventura di Massu e di fare da argine al movimento operaio. Il 1° giugno fu nominato primo ministro, anche coi voti della Sfio. L’appoggio a De Gaulle catalizzò la differenziazione interna alla Sfio. La sinistra interna uscì fondando il Psa (10) nel settembre ’58 un plebiscito sancì la nascita della Quinta Repubblica, il cui sistema istituzionale concentrava enormi poteri nelle mani del Presidente della Repubblica. Il rifiuto del Pcf di contrastare il bonapartismo sul suo terreno con metodi di lotta extraparlamentari (scioperi, assemblee, manifestazioni) spianò la strada a De Gaulle. Nessun appello alla Costituzione valse a fermarlo.

Il declino dell’imperialismo francese

La guerra d’Algeria segnò il definitivo declino dell’imperialismo francese. Indebolita dalla Seconda Guerra mondiale, la Francia perse la Siria ed il Libano. In Indocina, nonostante notevoli aiuti da parte degli Usa, la Francia fu cacciata da una guerriglia contadina che continuò la lotta contro l’imperialismo nordamericano. La rotta francese a Dien-Bien-Phu nel maggio ‘54 stimolò la radicalizzazione delle lotte nelle colonie nordafricane. Tutte le forze furono concentrate in Algeria. L’Algeria era un dipartimento francese fin dal 1881 ed aveva un’importanza strategica: la sua economia era integrata a quella francese e vi abitavano nel 1954 quasi un milione di francesi, dominati politicamente ed economicamente da alcune migliaia di grandi proprietari terrieri.

La borghesia francese non tardò a cogliere il possibile legame tra la lotta di liberazione nazionale in Algeria e l’apertura di un processo rivoluzionario in Francia. Nel 1958, se il Pcf fosse stato un partito rivoluzionario, i lavoratori avrebbero potuto conquistare il potere. Al contrario, l’opportunismo e la codardia dei dirigenti del movimento operaio aprirono la strada al regime bonapartista di De Gaulle. Questi volle uscire dall’Algeria per paura di una rivoluzione in casa propria. De Gaulle interpretò le esigenze complessive della borghesia che, con l’eccezione dei gruppi direttamente minacciati dall’insurrezione anticoloniale, cercava di salvare il salvabile in termini di influenza economica e, soprattutto, di evitare un acutizzarsi della lotta di classe in Francia.

Già dal 1958 l’imperialismo francese avrebbe probabilmente preferito raggiungere un compromesso coi nazionalisti algerini. Tuttavia, gli interessi dei grandi proprietari terrieri e dei capitalisti in Algeria si opponevano implacabilmente all’ascesa del movimento di liberazione nazionale rendendo difficile un compromesso. Sin dal giugno ‘58 De Gaulle ingiunse ai suoi uomini di prendere le distanze dagli ultras dell’“Algérie Française” e costrinse Massu a sciogliere il Comitato di Salvezza Pubblica. Nel settembre ’58 De Gaulle lanciò il Piano di Costantina: la Francia prometteva investimenti nell’industria e nell’agricoltura ed in un futuro non precisato gli algerini avrebbero potuto scegliere tra la naturalizzazione, il protettorato e l’indipendenza. Questo piano, rimasto lettera morta, traduceva i piani della borghesia francese, pronta a scendere a patti col Fln in cambio di garanzie per gli interessi francesi.

La formazione del Gpra (governo provvisorio della repubblica algerina), ala diplomatica del Fln creata nel 1958 con Abbas alla presidenza, fu un segno di disponibilità alle trattative. Tale esito fu però bloccato dai capi militari del Fln, l’Armata di Liberazione Nazionale (Aln), decisi ormai a combattere fino alla fine per l’indipendenza. L’Usta, invece, apprezzò il Piano di Costantina, abbandonando le sue parole d’ordine in favore di una riforma agraria radicale e dell’abbattimento del regime coloniale. Nel 1959 De Gaulle moltiplicò le dichiarazioni in favore dell’“autodeterminazione dell’Algeria” e di una “pace dei valorosi”.

Le lotte del 1960-62

Altri tentativi di golpe militari al grido di “Algérie Française” furono spazzati via da De Gaulle nel 1960 e nel 1961. Nel contempo, l’Oas (organizzazione dell’esercito segreto), formata da coloni di estrema destra, iniziò una politica di terrorismo individuale in Francia. Anche a sinistra avveniva una radicalizzazione. L’ammutinamento dei generali del gennaio 1960 provocò uno sciopero generale in Francia. Inoltre, molti soldati ed anche qualche ufficiale parteciparono spontaneamente alla repressione di Massu e compagnia. Il 21 giugno 1961 l’Unef, principale sindacato studentesco, convocò manifestazioni in tutto il paese. Nei cortei studenteschi al posto di astratti slogan per la “pace in Algeria” vennero scandite parole d’ordine antimperialiste e di sostegno alla guerriglia come “Fln vincerà”. Nel maggio 1961 il governo francese strinse una prima volta i negoziati. Le trattative ruotarono attorno alle garanzie da fornire all’imperialismo francese dopo l’indipendenza. Lo statuto del Sahara ed una tregua immediata fecero fallire le trattative. Dopo la conferenza l’Oas, ragionando come un uomo sull’orlo di un precipizio, moltiplicò gli attentati sperando che bloccassero i negoziati. Al contrario, questa politica ne affrettò la ripresa e la conclusione. Anche il Fln rilanciò la sua guerra, con atti di terrorismo individuale in Francia, per imporre a Parigi la propria soluzione.

All’epoca Ted Grant scriveva: “Se i dirigenti del proletariato francese si fossero comportati come rivoluzionari, avrebbero potuto incidere sulla lotta algerina, ma il tradimento da parte della Sfio e del Pcf ha dato impulso alla lotta attraverso il Fln su basi puramente nazionalistiche. Questo a sua volta ha creato la condizione in cui i lavoratori e i tecnici, i piccoli coloni e i commercianti, sono stati spinti fra le braccia dei fascisti dell’Oas; infatti anche quegli elementi che avevano appoggiato la Sfio ed il Pcf sono finiti in quell’organizzazione, il che ha aggravato il conflitto”.(11) In Algeria, nel 1960-61, la lotta di liberazione nazionale tornò ad acquistare un carattere preinsurrezionale. Quando De Gaulle si recò in Algeria imponenti manifestazioni gli riservarono un’accoglienza ostile: la polizia sparò facendo 81 morti. Le masse scesero di nuovo in piazza al grido di “Viva l’Algeria algerina” e le bandiere nazionali vennero issate ovunque. Anche in Francia gli immigrati algerini lottarono coraggiosamente. Sfidando il coprifuoco ed il divieto di manifestare, il 17 ottobre 1961 il Fln organizzò a Parigi un corteo con decine di migliaia di persone che finì in un bagno di sangue. Da 200 a 300 persone furono uccise dalla polizia comandata dal prefetto di Parigi Papon, boia di Vichy. I cadaveri furono buttati nella Senna. L’8 febbraio 1962 una manifestazione della sinistra francese fu attaccata all’altezza della stazione Charonne della metropolitana: 8 morti. La reazione nel paese fu immediata: scioperi, manifestazioni studentesche fino all’impressionante corteo di centinaia di migliaia di persone che accompagnò le bare dei morti di Metro Charonne. Un mese dopo ad Evian De Gaulle ed il Gpra firmavano un accordo che concedeva l’indipendenza all’Algeria. La svolta si era prodotta in un periodo di ascesa delle lotte di massa, in Francia come in Algeria.

Gli Accordi di Evian parlavano chiaro: il Fln si era fatto garante degli interessi dell’imperialismo francese. La Francia avrebbe disposto della base di Mers-el-Kebir per 15 anni, delle sue installazioni nucleari e delle basi aeree. In cambio di crediti, il nuovo governo algerino si sarebbe impegnato a “garantire gli interessi della Francia e i diritti acquisiti da parte di persone fisiche e morali”. Concretamente, le compagnie petrolifere francesi mantenevano le concessioni già operanti e si assicuravano un trattamento di favore sulle nuove esportazioni per un periodo di sei anni. La Francia prometteva di concedere il suo “aiuto” solo nella misura in cui l’Algeria restava una zona franca ed un’economia dipendente da quella francese.

L’indipendenza fu proclamata il 3 luglio 1962. Il Gpra attaccò l’Aln tagliandogli i fondi ed affidando la formazione del nuovo esercito nazionale ad ufficiali rimasti coi francesi. Il 17 giugno il Fln aveva firmato un accordo con l’Oas che prevedeva l’amnistia per i militanti dell’organizzazione di estrema destra. Lo scontro interno al Fln portò all’ascesa di Ben Bella, settembre 1962, sulle baionette dell’esercito di liberazione nazionale (Aln) guidato da Boumedienne. L’Aln, accampato alle frontiere con Marocco e Tunisia, impose la sua supremazia sulle formazioni guerrigliere dell’interno, conquistando il monopolio della forza. Il Gpra fu esautorato con l’accusa di essere stato arrendevole nelle trattative con la Francia. Il Pca fu sciolto nell’ottobre 1962, temendo potesse diventare focolaio di un’opposizione classista.

Economicamente la situazione era difficile. La vittoria della rivoluzione spinse alla fuga artigiani, tecnici e lavoratori specializzati francesi, 800 mila in 90 giorni, creando grosse difficoltà per il nuovo Stato algerino. Le masse restavano in fermento per dare un contenuto sociale alla cacciata dell’imperialismo. Le proprietà abbandonate dai coloni vennero espropriate da operai e contadini. Comitati di gestione spontanei svolsero i compiti impellenti. Per un breve periodo esistette un certo controllo operaio nelle aziende e, soprattutto, nei latifondi. Il regime si basò sulla spontaneità delle masse, poi incanalata attraverso l’intervento dall’alto dell’apparato statale e dei vertici sindacali ad esso organicamente legati. Tra l’ottobre 1962 ed il marzo 1963 una artificiosa legislazione governativa soffocò i poteri dei comitati di gestione, ulteriormente penalizzati dal sabotaggio degli istituti di credito. Ogni nomina importante spettava al governo che la sottraeva alle assemblee di gestione. Si doveva così parlare di cooperative più che di gestione operaia. Inoltre, è utile ricordare che le aziende espropriate totalizzavano meno del 10% dell’industria (circa 500 industrie per 15mila operai) ed il 40% della produzione agricola. Ben Bella fece un compromesso con la borghesia araba, che non fu toccata, e con l’imperialismo francese. Né le banche, né il commercio estero vennero colpiti dalle nazionalizzazioni. Vennero nazionalizzate le miniere a reddito debole o improduttive mentre quelle di ferro, estremamente redditizie, furono statalizzate solo nel 1966 da Boumedienne. Nel 1964 fu creata la Sonatrach (società nazionale per la ricerca, produzione, trasporto, trasformazione, commercializzazione degli idrocarburi), gioiello del capitalismo di Stato algerino recentemente al centro delle mire degli imperialismi rivali francese e Usa. La riforma agraria, annunciata ai quattro venti dalla propaganda di regime, fu rimandata. Ciò che restava del capitale privato poteva prosperare all’ombra del settore statale, nell’industria leggera, nell’agricoltura e nel commercio.

In politica estera, Ben Bella difese la politca del non-allineamento, stringendo un asse con la Jugoslavia. Tentò così di bilanciarsi tra l’imperialismo e lo stalinismo. A causa del ritardo della rivoluzione socialista nei paesi avanzati, dell’assenza di un forte proletariato industriale e di un partito rivoluzionario cosciente, il regime assunse un carattere bonapartista. La formazione di un bonapartismo borghese, simile a quello di Cardenas in Messico negli anni ’30 o a quello di Nasser in Egitto, suscitò l’opposizione di una parte del Fln, che contestava il ruolo di arbitro della situazione conquistato dai vertici militari. Nel 1963 Hocine Ait Ahmed fondò il Fronte delle Forze Socialiste (Ffs) e lanciò un’opposizione armata in Cabilia.

Il golpe di Boumedienne e le nazionalizzazioni del 1966-71

Il golpe militare guidato da Boumedienne che nel giugno 1965 disarcionò Ben Bella accentuò il carattere bonapartista del regime. Temporaneamente vennero moderate le tendenze al non-allineamento. Con un gesto eclatante Boumedienne annullò la conferenza dei paesi non-allineati che doveva tenersi in luglio ad Algeri. Il movimento studentesco fu decapitato ed il sindacato ulteriormente epurato per paura che le masse potessero trasformarlo in strumento per una mobilitazione indipendente. Le epurazioni di elementi plebei nell’esercito proseguirono fino al 1971. L’ordine regnava ad Algeri.

Tra il 1966 ed il 1971 il regime avviò la riforma agraria, nazionalizzò banche, assicurazioni, acciaio, gas e petrolio, colpendo anche interessi francesi. Tuttavia, proprio il petrolio, maggiore ricchezza del paese, fu gestito attraverso una società a compartecipazione francese dove lo Stato algerino deteneva il 51%. Il significato di tali ondate di nazionalizzazioni fu borghese. Erano misure funzionali allo sviluppo di un capitalismo ‘nazionale’ algerino con l’obiettivo di competere sul mercato mondiale. Lo Stato assumeva pienamente il ruolo di capitalista collettivo. Oltre all’industria pesante, anche il commercio estero passava sotto il monopolio statale. Infatti, erano le compagnie statali, in collaborazione col governo, a valutare le proposte di compartecipazione provenienti da multinazionali straniere (Fiat e Pirelli parteciparono alla costruzione di gasdotti). Negli anni ’70 Boumedienne diventò un leader dei paesi non-allineati. La demagogia antimperialista del regime visse una nuova giovinezza. Trotskij, analizzando fenomeni di bonapartismo nei paesi coloniali, aveva scritto: “Nei paesi industrialmente arretrati il capitale straniero ha una funzione decisiva. Di qui la relativa debolezza della borghesia nazionale rispetto al proletariato nazionale. Ciò determina un potere statale di tipo particolare. Il governo si barcamena tra il capitale straniero e il capitale indigeno, fra la debole borghesia nazionale ed il proletariato relativamente forte. Ciò conferisce al governo un carattere bonapartista sui generis, di tipo particolare. Si colloca per così dire al di sopra delle classi. In realtà può governare o divenendo strumento del capitale straniero e tenendo incatenato il proletariato con una dittatura poliziesca o manovrando il proletariato e giungendo persino a fargli delle concessioni, assicurandosi in tal modo la possibilità di una certa libertà nei confronti dei capitalisti stranieri”.(12)

Anche negli anni di ascesa del capitalismo di stato algerino, il paese restò sempre legato in maniera decisiva all’imperialismo attraverso crediti, compartecipazioni e dipendenza tecnologica. Il ‘sogno’ dei dirigenti del Fln si scontrò duramente con la realtà. Rimasta legata all’imperialismo, l’Algeria risentì violentemente della recessione internazionale del 1973-74. Come in Egitto, la crisi esplose a causa dell’aumento esponenziale del debito estero (da 6 miliardi di dollari nel 1974 a 26 nel 1979) e dell’impossibilità di trovare sbocchi consistenti al di là del ristretto mercato interno. I colossali investimenti del regime di Boumedienne provocarono una elevata sovracapacità dell’industria, con conseguente aumento della disoccupazione. Il ritardatario capitalismo algerino era bloccato nei suoi sogni di grandezza e di indipendenza dallo strapotere delle multinazionali e delle potenze imperialiste. La morte di Boumedienne nel 1978 simboleggiò la crisi ed il cambiamento di rotta del capitalismo di stato algerino. Benjedid, successore di Boumedienne, iniziò infatti un processo, tuttora in corso, di ricorso sistematico ai prestiti del Fmi e di privatizzazione dell’economia, sempre più penetrata dall’imperialismo.

Terrorismo, lotta di liberazione e lotta di classe

La critica marxista al terrorismo non è di tipo morale e non nasce da un rifiuto, in astratto, dell’uso della violenza. La questione decisiva è quale classe sociale utilizza la violenza, per quali fini e contro quale classe. I marxisti riconoscono ai popoli oppressi il diritto di resistere all’imperialismo armi alla mano. Non tutti i metodi ed i programmi sono però uguali ed efficaci nella lotta antimperialista. Il Fln fece largamente ricorso al terrorismo individuale. I periodi di ascesa del terrorismo (novembre ’54, inverno ’56 ecc.) furono sistematicamente seguiti da repressioni feroci e da tentativi di rilanciare un’ala non-violenta favorevole a forme di decolonizzazione per gradi, come il Mna. L’imperialismo francese fu sconfitto essenzialmente sul piano politico e non su quello militare, dove il bilancio del Fln fu fallimentare. La pratica terrorista rende infatti passivi gli operai, non ne aumenta la coscienza politica e non attira le simpatie delle masse lavoratrici del paese imperialista. Il terrorismo è una forma di lotta che cerca di sostituirsi al movimento dei lavoratori. Al contrario, le manifestazioni di massa del 1960-62 in Algeria ed il crescente malcontento in Francia furono decisive per ottenere l’indipendenza.

All’apparente estrema radicalità della forma di lotta impiegata dal Fln corrispose, sul piano economico e politico, un programma di cedimenti all’imperialismo e di repressione delle correnti di sinistra del movimento nazionalista. Non è infatti il carattere estremo del terrorismo individuale che garantisce uno sbocco socialista alla lotta di liberazione nazionale ma solo il ruolo cosciente della classe operaia con i suoi metodi di lotta (scioperi, occupazioni di fabbriche, manifestazioni) e le potenzialità legate alla sua collocazione nel processo produttivo. I dirigenti del Fln rifiutarono di dare un carattere di classe e anticapitalista alla loro lotta. I sindacati, burocratizzati sin dall’inizio, servirono ad incanalare un appoggio passivo della classe operaia al Fln. Ogni espressione operaia indipendente fu repressa. Chiusi in una prospettiva nazionalista, i dirigenti del Fln non rivolsero mai un appello ai lavoratori francesi o a quelli arabi per una federazione socialista, preferendo invece manovrare coi loro governi (Egitto, Tunisia). Già nel loro appello per l’insurrezione del 1954 i dirigenti del Fln si rivolsero a “tutti i patrioti algerini di tutte gli strati sociali, di tutti i partiti puramente algerini”. L’ideologo di riferimento di questa tendenza fu il medico martinicano Frantz Fanon. Fanon identificava nelle popolazioni dei paesi coloniali il nuovo soggetto rivoluzionario, negando tale ruolo alla classe operaia, soprattutto a quella dei paesi imperialisti, sprezzantemente definita “imborghesita”. Il Maggio ’68 zittì coi fatti queste argomentazioni.

La propaganda guerrigliera ha spesso sostenuto che dietro ad un fucile tutti gli uomini sono uguali: operai, contadini, borghesi, studenti. Ciò è vero, ma costituisce precisamente il lato negativo delle guerriglie. L’azione armata livella le differenze di classe. L’operaio non può più bloccare la produzione di una fabbrica o di un paese colpendo in maniera decisiva la borghesia. Inoltre, sradicata dal proprio contesto sociale, la classe lavoratrice perde quei legami politici e sindacali che ne centralizzano la forza. Rifiutare di strutturare attorno ai lavoratori la lotta di liberazione nazionale significa quindi rinunciare ad una prospettiva comunista. Anche attraverso la guerriglia il Fln cercava di sostituirsi al movimento delle masse. Il marxismo, invece, considera il protagonismo e l’iniziativa operaia elemento centrale nella lotta per l’abbattimento del capitalismo. La sua assenza provoca ogni tipo di distorsione nel processo rivoluzionario. Tuttavia, in una zona rurale, una guerriglia contadina può giocare un ruolo come forma di lotta secondaria subordinata alle lotte di masse della classe operaia.

Sulla teoria della rivoluzione permanente

La guerra di liberazione nazionale in Algeria conferma la teoria della rivoluzione permanente elaborata da Trotskij. Dove una classe sociale entra tardivamente in scena ed è incapace di giocare il ruolo che la storia esige, i suoi compiti vengono svolti da altre classi e forze sociali. Le borghesie dei paesi coloniali non possono giocare alcun ruolo progressista. L’emergere di un proletariato relativamente importante le spinge ad allearsi con l’imperialismo ed i latifondisti. Come la rivoluzione bolscevica ha dimostrato, è solo il proletariato, alleato ai contadini poveri, ad avere la forza per risolvere pienamente i compiti della rivoluzione borghese (indipendenza dall’imperialismo, riforma agraria, separazione tra Stato e Chiesa ecc.) attraverso la sua dittatura di classe. Una volta al potere, però, la classe operaia, per necessità, oltrepassa i limiti della rivoluzione democratico-borghese in direzione della trasformazione socialista, attraverso la nazionalizzazione dell’economia ed un piano centralizzato di produzione.

In Algeria il proletariato urbano era numericamente ridotto (10% della forza-lavoro). La borghesia autoctona era ancora più debole e totalmente succube dell’imperialismo. In questa situazione, i vertici del Fln ebbero un margine di manovra relativamente importante, spingendo la lotta per l’indipendenza sui binari di una guerriglia contadina che diventò una guerra nazionale rivoluzionaria. Sulla base della relativa debolezza delle due classi fondamentali della società moderna, borghesia e proletariato, lo Stato poté conquistare un movimento relativamente indipendente per portare avanti la formazione di un’industria pesante di base e la gestione diretta dei rapporti con l’imperialismo. Lo Stato realizzò attraverso il personale politico piccolo borghese del Fln ciò che la borghesia algerina non aveva la forza di fare ed a cui si era perfino opposta. La borghesia, ridotta ad uno zero politicamente, non veniva però economicamente espropriata. I rapporti di produzione restavano borghesi.

I testi apparsi sulla rivista teorica del Fln, El Moujahid (Il partigiano), già durante gli anni ’50 esprimevano, sul terreno ideologico, gli obiettivi e la natura di questo movimento: “La Rivoluzione algerina esprime nel contempo il processo di liberazione dal giogo straniero e la distruzione delle sopravvivenze feudali del Medioevo che dovranno far posto ai fondamenti democratici di una nazione moderna”, oppure, “Ciò che occorre è la Rivoluzione, una grande Rivoluzione, simile a quella del 1789”. Tali movimenti piccolo-borghesi aspirano a svolgere il ruolo che giocarono i giacobini durante la Rivoluzione Francese, con la non trascurabile differenza che, duecento anni dopo, l’esistenza dell’imperialismo e di una classe operaia cristallizzata (diversamente dalla Francia del 1793) non poneva e non pone in questi paesi la necessità storica della rivoluzione borghese, per cui non esistono i margini nella sua versione classica, ma di quella proletaria.

L’Urss esercitava un’attrattiva materiale enorme sui militari algerini. I leader del Fln dovevano senza dubbio essere attratti dallo status politico e materiale ottenuto dalla casta militare in Unione Sovietica. Negli anni ’60 l’Algeria era, dopo l’Egitto, il paese africano che riceveva più finanziamenti dall’Urss. Però, l’atteggiamento soggettivo della borghesia francese fu decisivo. Infatti, a differenza degli Usa che cercarono di sabotare l’economia cubana per soffocare la rivoluzione castrista, De Gaulle utilizzò le leve dell’economia per prolungare la dipendenza dell’ex colonia dall’imperialismo. La borghesia francese lasciò ai dirigenti del Fln uno spazio di manovra per portare avanti la loro strategia e, in ultima analisi, accrescere i loro privilegi senza dover giungere alla rottura col capitalismo. L’imperialismo non mise mai i dirigenti algerini con le spalle al muro come aveva fatto con Castro. Il bonapartismo algerino ebbe natura borghese e non proletaria.

A più di 40 anni dal raggiungimento dell’indipendenza formale, nessuno dei problemi fondamentali delle masse algerine è stato risolto. La dipendenza dall’imperialismo non è stata spezzata. L’economia dipende dalle oscillazioni dei prezzi degli idrocarburi che rappresentano il 95% delle esportazioni. La disoccupazione dilaga. Gli imperialisti furono costretti ad abbandonare il vecchio metodo di dominio militare diretto (ma in Afghanistan ed in Iraq tornano ad applicare questa politica).

La regola diventò il dominio economico su Stati formalmente indipendenti. Attraverso i meccanismi del mercato mondiale, del debito e della potenza militare, le potenze imperialiste condannano le masse dei paesi ex coloniali alla dipendenza ed alla miseria.

L’indipendenza sotto il capitalismo non è una soluzione. Davanti alla barbarie capitalista l’unica via è quella della rivoluzione socialista internazionale. La vecchia “talpa della storia” di Marx non ha smesso di scavare sotto le contraddizioni crescenti del sistema capitalista.

Le insurrezioni, gli scioperi generali ed i processi rivoluzionari in corso in America Latina sono la musica del futuro per tutti e cinque i continenti.

 

16 Novembre 2003

Indice delle sigle

Aln: Armata di Liberazione Nazionale, ala militare del Fln.

Ena: Stella Nord-Africana, fondata nel 1927 sotto l’egida del Pcf.

Fln: Fronte di Liberazione Nazionale, nato nel 1954, è l’organizzazione nazionalista algerina che guiderà la lotta per l’indipendenza fino alla vittoria nel 1962.

Ic: Internazionale Comunista, o Terza Internazionale, fondata sull’appello del partito bolscevico di Lenin e Trotskij nel 1919 a Mosca e sciolta per volontà di Stalin nel 1943.

Mna: Movimento Nazionale Algerino, partito nazionalista algerino fondato nel 1954 e guidato da Messali Hadj.

Mtld: Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche, partito del nazionalismo radicale tra il 1946 ed il 1954.

Oas: Organizzazione dell’Esercito Segreto, estrema destra francese, legata ai coloni.

Pcf: Partito Comunista Francese.

Ppa: Partito del Popolo Algerino, partito nazionalista radicale algerino, è la continuazione dell’Ena e fu sciolto nel 1954.

Sfio: Sezione Francese dell’Internazionale Operaia, aderente all’Internazionale Socialista, contribuì nel 1971 alla rifondazione del Partito Socialista (Ps).

Udma: Unione Democratica del Manifesto Algerino, nazionalista moderata, guidata da Ferhat Abbas, confluì nel Fln.

Ugta: Unione Generale dei Lavoratori Algerini, sindacato legato al Fln, diventò dal 1962 l’unico sindacato ufficiale.

Usta: Unione Sindacale dei Lavoratori Algerini, sindacato legato al Mna.

Note:

1. L. Trotskij, Le mouvement communiste en France, a cura di P. Broué, edizioni Le Minuit, 1967, pp. 256-257.

2. Ibid.,

3. P. Broué, Histoire de l’Internationale Communiste 1919-1943, Fayard, 1997, p. 443.

4. Cahiers du bolchevisme, n° 7, gennaio 1925.

5. Il Pcf faceva sistematicamente appello al nazionalismo per sostenere l’imperialismo francese: “Il fine da raggiungere è l’unità e l’integrità della Francia più grande, dalle Antille al Madagascar, da Dakar a Casablanca, all’Indocina fino all’Oceania. Il nostro partito è una potenza dei cinque Continenti e non c’è ragione per cui dovrebbe smettere di esserlo a vantaggio dei grandi Stati, abdicando a loro favore la sua sovranità sui territori e le ricchezze” (Programma del Pcf, Edizioni Renaissance, 1944).

6. Cahiers du bolchevisme, n. 3-4, marzo-aprile 1947.

7. M. Larbi, Le Fln: entre mirage et réalité, edizioni JA, 1979, p. 253.

8. T. Grant, The unbroken thread, Fortress, 1989, pp. 170-171.

9. Durante la lotta di liberazione non si formò in Algeria nessuna organizzazione marxista. Le responsabilità ricadono anche sui gruppi che teoricamente si richiamano al trotskismo come la Lcr (Lega comunista rivoluzionaria) e il Pci. Se la Lcr appoggiò acriticamente il Fln e fece del “socialista musulmano” Ben Bella una sorta di “trotskista inconscio”, il Pci fece peggio col Mna. Il Pci di Lambert rifiutò di promuovere una corrente trotskista nel Mna quando questo era possibile (1954-57 circa) e continuò ad inginocchiarsi davanti a Messali anche quando questi lo scaricò senza molti ringraziamenti. Claude Bernard, alias Raoul, fu l’unico dirigente del Pci a proporre la costituzione di una frazione trotskista indipendente nel Mna. Vedi P. Broué, “Raoul, militant trotskiste” in Cahiers Léon Trotskij n° 56, luglio 1995, pp. 74-84. Era giusto dare un appoggio critico al Fln ma mescolarsi coi nazionalisti piccoloborghesi significava sciogliere l’avanguardia rinunciando alla lotta per il socialismo. Le “Tesi sulla questione nazionale e coloniale” del II congresso dell’Ic (1920) avevano giustamente sottolineato la necessità di “combattere con energia i tentativi fatti da movimenti di emancipazione che non sono né comunisti né rivoluzionari di issare i colori comunisti; l’Internazionale Comunista deve sostenere i movimenti rivoluzionari nelle colonie e nei paesi arretrati solo alla condizione che gli elementi dei partiti comunisti puri siano uniti e consci dei loro compiti specifici, cioè della loro missione di sconfiggere il movimento borghese e democratico. L’Internazionale comunista deve entrare in relazioni temporanee e formare anche blocchi con i movimenti rivoluzionari delle colonie e dei paesi arretrati, senza tuttavia fondersi con essi e conservando sempre il carattere indipendente del movimento proletario, anche durante la sua fase embrionale”.

10. Il Psa, partito socialista autonomo, nacque nel settembre 1958 per iniziativa di quel settore della Sfio che rifiutò l’appoggio a De Gaulle. Nell’aprile 1959 entrarono nel Psa esponenti del radicalismo guidati dal politico borghese Mendès-France. Nel 1960 il Psa si unì all’Unione della Sinistra Socialista per dare vita al Psu, partito socialista unificato.

11. T. Grant, The colonial revolution and the tasks of marxist cadres, www.tedgrant.org, 1965.

12. L. Trotskij, Industria nazionalizzata e gestione operaia in “Problemi della rivoluzione cinese ed altri scritti su questioni internazionali, Einaudi, 1970.

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