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Il grande massacro: un’analisi marxista della Prima guerra mondiale – Parte 3

Parte 2

di Alan Woods

 

L’attacco austriaco contro la Serbia non portò immediatamente alla guerra con la Russia. A San Pietroburgo, i generali erano impazienti di prendere l’iniziativa. Tuttavia, il ministro degli esteri russo, Sazonov, sembrava non condividere la cieca fiducia dei suoi generali. Egli temeva gli effetti della guerra sull’instabile situazione politica della Russia e non era convinto che l’esercito russo sarebbe uscito vittorioso da un conflitto con la formidabile macchina militare tedesca.

Al contrario, egli propendeva per una mobilitazione parziale, diretta a esercitare pressione sull’Austria per farle abbandonare l’idea di una guerra con la Serbia. Ma il risultato fu l’esatto opposto. La minaccia rappresentata dalla mobilitazione della Russia spinse semplicemente la Germania ad avvicinarsi all’Austria e incoraggiò quest’ultima a affrettare i suoi piani di aggressione.

A Berlino tutti gli occhi erano adesso rivolti a Oriente.  I resoconti che il governo tedesco riceveva dalla Russia riportavano l’indignazione per la malafede dell’Austria nell’ignorare la risposta estremamente compiacente della Serbia all’ammonimento austriaco e nel dichiarare guerra alla Serbia. Ma la Russia aveva già effettuato un’umiliante ritirata di fronte all’annessione austriaca della Bosnia, durante la crisi del 1908-1909. Perché mai si doveva credere che ora avrebbe combattuto? La Germania e il suo satellite austriaco erano pronti a rischiare. Ma si trattava di un rischio molto grande.

Abbandonare un’altra volta i serbi sarebbe stato un colpo mortale per il prestigio della Russia. E il prestigio gioca un ruolo molto importante nei rapporti internazionali. Questa affermazione a qualcuno potrebbe apparire strana. In cosa consiste il valore del prestigio? Si potrebbe dire che assomigli alla parola “onore”, della quale Falstaff dice: “Allora cos’è poi quest’onore? Una parola, solo una parola. Che cosa c’è nella parola “onore”? Sì, di che cosa è fatto quest’onore? Di nient’altro che d’aria.”

Ma esaminandolo più attentamente, il prestigio contiene più di quello che potrebbe sembrare. Nella vita quotidiana si incontrano persone che cercano di acquisire prestigio personale vestendosi secondo i dettami dell’ultima moda e indossando preziosi orologi e gioielli. Molti pensano che si tratti di gretta ostentazione e mera apparenza. Tuttavia tali apparenze possono avere una base materiale. Potrebbero aumentare le possibilità di ottenere un prestito o un matrimonio facoltoso. Il prestigio può avere un’etichetta con il prezzo, esattamente come l’onore. Quanti ragazzini sono stati uccisi per le loro scarpe di marca? Anche il prestigio può uccidere.

Il prestigio di una nazione si può misurare in molti modi: finanziariamente, a livello industriale, culturale e così via. Ma in ultima istanza, specialmente nel caso di quelle che chiamiamo le grandi potenze, il prestigio si misura con la grandezza dell’esercito, della marina e dell’ aviazione militare. I marines americani hanno un motto interessante: “Parla con gentilezza e porta un grande bastone”. Le parole gentili talvolta possono risultare efficaci, ma lo sono infinitamente di più se l’attenzione dell’ascoltatore è attirata dalla presenza di un grosso bastone. La diplomazia tende ad essere più efficace quando è supportata dalla minaccia dell’azione militare. Una grande potenza che non avesse con sé un bastone molto grande, cesserebbe presto di esserlo. Questa potrebbe sembrare una riflessione triste sullo stato attuale dell’umanità, ma è senza dubbio veritiera. I credenti devoti possono obiettare, ma l’intera storia dimostra che Napoleone era nel giusto quando diceva: “Dio è dalla parte dei grandi battaglioni”.

Dopo essere stata umiliata dall’Austria nel corso della crisi bosniaca del 1908, la classe dominante russa non avrebbe potuto tollerare l’ulteriore umiliazione e l’onta ancora maggiore di aver lasciato la Serbia a sé stessa. Una tale resa avrebbe totalmente compromesso lo status della Russia come grande potenza imperiale e militare in Europa. Ciò avrebbe aperto la strada a  pretese ulteriori e sempre più insolenti da parte dell’Austria e della Germania. Lo stato maggiore russo non l’avrebbe mai permesso.

Prima che l’Austria desse inizio alle ostilità, l’ambasciatore tedesco a San Pietroburgo chiese un colloquio con Sazonov. Nel corso di questa amabile conversazione, il cui scopo per i tedeschi era evidentemente quello di farsi un’idea chiara delle intenzioni della Russia, Sazonov ammise all’ambasciatore che “alcuni preparativi militari sono stati già intrapresi, al fine di evitare sorprese”, ma che la mobilitazione non sarebbe stata ordinata finché l’Austria non avesse oltrepassato la frontiera della Serbia.

Berlino fu debitamente informata che la Russia si stava preparando a mobilitare l’esercito. Invano, il governo tedesco era stato rassicurato che “non esistono intenzioni aggressive da parte della Russia nei confronti della Germania”. Poche persone a Berlino si erano lasciate ingannare da queste dichiarazioni tranquillizzanti. La parziale mobilitazione dell’esercito russo (cioè solamente contro l’Austria), ordinata sulla scia della dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, servì solo a confermare i sospetti di Berlino.

Divisioni a San Pietroburgo

La cricca dominante della Russia era divisa, in bilico tra la Germania e l’Intesa. Le ambizioni della Russia zarista in Asia avevano provocato un lungo conflitto con l’Impero britannico, portando a scontri in Turchia, Afghanistan e Persia, che costituivano una minaccia per il dominio britannico in India. Ma la politica della Russia in Europa dipendeva dall’alleanza con la Francia, e la Entente Cordiale tra la Gran Bretagna e la Francia significava che, al fine di preservare la sua alleanza con la Francia, la Russia si sarebbe dovuta riavvicinare alla Gran Bretagna, nonostante la loro persistente rivalità in Asia. L’imperialismo britannico e la Russia zarista desideravano entrambi arrestare l’ascesa della Germania in Europa: in questo i loro interessi coincidevano.

L’inevitabile esplosione delle ostilità fu preceduta dalle solite manovre diplomatiche. Uno degli episodi più singolari, per non dire bizzarri, di questo periodo fu lo scambio di telegrammi tra il Kaiser e suo cugino, lo Zar della Russia, che egli chiamava “Nicky”, sollecitandolo a “fare quello che puoi per impedire al tuo alleato di spingersi troppo in là”. Leggere la corrispondenza tra il Kaiser tedesco e lo Zar russo ci catapulta ai tempi del XVIII e del XIX secolo, quando la diplomazia poteva essere condotta dalle teste coronate, molte delle quali erano legate da vincoli di sangue, da vincoli matrimoniali o da entrambi.

La moglie tedesca dello Zar, Alice d’Assia, conosciuta come Alexandra Feodorovna, era la nipote della regina Vittoria della Gran Bretagna. Era odiata dalla maggior parte dei russi, allo stesso modo di come Maria Antonietta (“la donna austriaca”) era odiata dal popolo francese prima della Rivoluzione. La cricca filo-tedesca alla corte di San Pietroburgo tentò di spingere la Russia verso la Germania e si era persino servita dello Zar per siglare un trattato segreto con suo cugino, il Kaiser. Il 23 luglio del 1905, mentre la Russia era attraversata dalla rivoluzione, i due monarchi si incontrarono segretamente a bordo dello yacht del Kaiser, l’Hohenzollern, per firmare un trattato di alleanza difensiva che recitava così:

“Le Loro Maestà Imperiali, l’Imperatore di Tutte le Russie da una parte, e l’Imperatore tedesco dall’altra, al fine di assicurare la pace dell’Europa, hanno trovato un accordo sui seguenti punti del presente trattato relativo a un’alleanza difensiva:

Art. I. Se un qualsiasi Stato europeo attacca uno dei due imperi, la parte alleata si impegna a venire in aiuto all’altra parte contraente con tutta la sua forza militare e navale.

Art. II. Le alte parti contraenti si impegnano a non concludere una pace separata con un qualsiasi nemico comune.

Art. III. Il presente trattato entrerà in vigore dal momento in cui verrà conclusa la pace tra la Russia e il Giappone e potrà essere denunciato con il preavviso di un anno.

Arti. IV. Quando questo trattato diventerà esecutivo, la Russia intraprenderà il percorso necessario per informarne la Francia e proporre a quest’ultima di aderire ad esso in qualità di alleata.

[Firmato] Nicola. Guglielmo.

[Controfirmato] Von Tschirschky. Conte Bekendorf. Ministro della Marina, Birilev.”

Sfortunatamente, il documento valeva meno della carta su cui era scritto. La fazione dominante della classe dominante russa comprese molto bene che un’alleanza con la Germania avrebbe comportato la totale subordinazione della Russia. E nessuno lo comprese meglio di Sergei Yulyevich Witte, il rappresentante più in vista della fazione liberale dell’aristocrazia russa, che era allora in una posizione predominante nel governo russo.

La Rivoluzione russa del 1905-1906 obbligò Witte a fare delle concessioni. Sentendo il terreno tremare sotto i suoi piedi, e con la morte nel cuore, Nicola nominò Witte conte e gli concesse poteri senza precedenti in qualità di Presidente del consiglio dei ministri. Witte raccomandò di portare avanti riforme dall’alto per prevenire la Rivoluzione dal basso: un consiglio ragionevole che lo Zar non gli perdonò mai. Nicola accettò queste raccomandazioni con riluttanza ed emise il Manifesto del 17 ottobre, che apparentemente trasformò la Russia in una monarchia costituzionale. Esso era, com’è ovvio, solo una cortina fumogena per permettere a Nicola di manovrare per mantenere il suo potere autocratico. Sei mesi dopo aver salvato il trono, Witte fu ricompensato venendo disonorevolmente congedato dal servizio imperiale.

Ad ogni modo, questa era musica del futuro. Al tempo del presunto accordo tra Nicola e Guglielmo, Witte era ancora in una posizione abbastanza forte da scavalcare la politica estera dello Zar. In quanto strenuo partigiano dell’Intesa, Witte insistette che il trattato sarebbe potuto entrare in vigore solo se fosse stato approvato dalla Francia, cioè mai. Con la sua autorità erosa dalla marea rivoluzionaria, lo Zar si morse le labbra e indietreggiò. L’accordo dello Zar con il Kaiser andò in pezzi.

La codardia dello Zar fece piombare il Kaiser in uno dei suoi frequenti stati collerici. Guglielmo, sconcertato, diede sfogo alla sua ira nei confronti del cugino imperiale: “Ci siamo stretti la mano e abbiamo firmato di fronte a Dio, al quale abbiamo pronunciato i nostri giuramenti! Ciò che è firmato è firmato! E Dio è nostro testimone!”. Guglielmo non sapeva ancora cosa volesse dire contrattare con ministri insubordinati nel mezzo di una rivoluzione. Questo piacere gli sarebbe toccato nell’autunno del 1918. Per quanto riguarda il fatto che l’Onnipotente fosse presente sullo yacht del Kaiser quando l’accordo venne firmato e vi avesse apposto la Sua benedizione, questo importava poco alla borghesia russa, nella misura in cui venivano intaccati i suoi interessi materiali.

La corrispondenza di Willy e Nicky

Nell’estate del 1914, il Kaiser si dedicò alla diplomazia ancora una volta. Questa volta i suoi obiettivi erano più modesti: indurre la Russia a interrompere la mobilitazione e a negoziare con l’Austria. Ma cosa c’era da negoziare? L’unico modo per impedire la guerra sarebbe stato che la Russia accettasse lo stupro della Serbia, guardando dall’altra parte senza fare nulla, mentre il suo principale alleato nei Balcani veniva calpestato dagli scarponi dei soldati austriaci.

I capi dello stato maggiore tedesco volevano dichiarare guerra alla Russia immediatamente, prima che i russi avessero l’opportunità di portare a termine il progetto di riforma delle proprie forze armate, che avrebbe posto una seria minaccia ai confini orientali della Germania. Ma persino a questo punto, Guglielmo credeva ancora di poter parlare con il suo cugino imperiale a San Pietroburgo per fermare la mobilitazione dell’esercito russo. Questo ci viene rivelato da un sorprendente scambio di telegrammi.

Sia lo Zar che il Kaiser dovevano costantemente guardarsi alle spalle per capire cosa pensavano i loro rispettivi generali, poiché da quel momento in poi sarebbe stato lo Stato Maggiore a prendere tutte le decisioni. I generali russi credevano erroneamente che la Germania avrebbe dato inizio alla propria mobilitazione. Lo Zar doveva quindi obbedire ai militari ed emanò l’ordine per una mobilitazione militare generale che sarebbe diventato esecutivo il giorno seguente, rendendo così una generale quasi inevitabile.

Lo Zar ammise che i preparativi militari segreti della Russia avevano avuto inizio il 24 luglio. Il cugino Willy manifestò il suo dispiacere. Il cugino Nicky tentò di giustificare la mossa:

“Lo Zar al Kaiser

29 luglio 1914, ore 13.00

Reggia di Peterhof

Sono felice che tu sia tornato. In questo grave momento, faccio appello a te per ottenere il tuo aiuto. Una guerra ignobile è stata dichiarata contro un paese debole [la Serbia].  L’indignazione in Russia, da me pienamente condivisa, è enorme. Prevedo che molto presto verrò sopraffatto dalla pressione esercitata su di me e obbligato a prendere misure estreme che condurranno alla guerra. Per provare a impedire una calamità come una guerra europea, ti supplico nel nome della nostra vecchia amicizia di fare quello che puoi per impedire ai tuoi alleati di spingersi troppo oltre.

***

Il Kaiser allo Zar

29 luglio 1914, 13.45 (l’invio di questo telegramma si è incrociato con il precedente)

È con la più seria preoccupazione che vengo a sapere dell’impressione che l’azione dell’Austria contro la Serbia sta provocando nel tuo paese.

L’agitazione senza scrupoli che da anni è in corso in Serbia ha avuto come risultato il crimine esecrabile di cui l’Arciduca Francesco Ferdinando è caduto vittima. Lo spirito che ha indotto i serbi ad assassinare il loro stesso re e sua moglie domina ancora il paese.

Converrai con me senza dubbio che entrambi, io e te, abbiamo il comune interesse, come tutti i Sovrani, di insistere affinché tutte le persone moralmente responsabili del vile assassinio ricevano la loro meritata punizione. In questo caso, la politica non ha alcun ruolo.

D’altra parte, comprendo pienamente quanto sia difficile per te e per il tuo Governo affrontare la vostra opinione pubblica. Pertanto, per riguardo alla calorosa e tenera amicizia che ci unisce da molto tempo in uno stretto vincolo, sto esercitando il massimo della mia influenza per indurre gli austriaci a impegnarsi sinceramente al fine giungere a un’intesa soddisfacente con voi. Nutro la ferma speranza che verrai in aiuto ai miei tentativi di smussare le difficoltà che potrebbero ancora presentarsi.

Il tuo più sincero e devoto amico e cugino,

Willy”

Guglielmo tenta qui di utilizzare la psicologia per influenzare suo cugino ricamando sul tema dell’assassinio di Francesco Ferdinando. Lo Zar russo era dolorosamente consapevole del rischio che rappresentavano per i monarchi i rivoluzionari anarchici e i terroristi, che erano già riusciti a mandare all’altro mondo suo nonno Alessandro II anzitempo. Non aveva forse la monarchia asburgica il sacro dovere di proteggersi dalle forze dell’anarchia e di infliggere ai Serbi un castigo ben meritato? E valeva davvero la pena correre il rischio di una guerra europea generalizzata per difendere i miserabili serbi che, dopotutto, potevano prendersela solo con sé stessi per aver sostenuti dei terroristi?

“Il Kaiser allo Zar

29 luglio 1914, 18.30

Berlino

Ho ricevuto il tuo telegramma e condivido il tuo desiderio di mantenere la pace.

Tuttavia, come ti ho detto nel mio primo telegramma, non posso considerare l’azione dell’Austria contro la Serbia una guerra “ignobile”. L’Austria sa per esperienza che le promesse sulla carta dei serbi sono totalmente inaffidabili. Ritengo che la sua azione debba essere intesa come rivolta a ottenere una piena garanzia che le promesse serbe diventino dei fatti reali. Questo mio ragionamento nasce dalla dichiarazione del governo austriaco che l’Austria non intende fare alcuna conquista territoriale a spese della Serbia.

Suggerisco pertanto che sarebbe tutto sommato possibile per la Russia rimanere uno spettatore del conflitto austro-serbo senza coinvolgere l’Europa nella guerra più orribile cui essa abbia mai assistito. Reputo un’intesa diretta tra il tuo Governo e Vienna possibile e auspicabile e, come ti ho già telegrafato, il mio Governo sta proseguendo il suo impegno nel promuoverla.

Certamente, le misure militari da parte della Russia verrebbero considerate dall’Austria una calamità che entrambi desideriamo evitare e che metterebbe a rischio la mia posizione di mediatore, la quale ho prontamente accettato sulla base del tuo appello alla mia amicizia e al mio aiuto.

Willy”

La diplomazia funziona sempre su due livelli differenti. A livello ufficiale, si tenta ogni cosa al fine di placare l’opinione pubblica e di depistare la controparte rispetto alle proprie reali intenzioni. A un altro livello, ci si prepara alla guerra. Mentre il Kaiser sussurrava parole soavi di pace nelle orecchie del suo adorato cugino, con l’intenzione di scongiurare una mobilitazione generale delle forze armate russe, i suoi generali stavano accelerando a ritmo furioso i piani di guerra contro la Russia e la sua alleata, la Francia. I tedeschi stavano in realtà rafforzando il loro sostegno all’Austria e diventano sempre più insolenti. Lo Zar, ben informato della doppiezza dei tedeschi, scrive a suo cugino in tono indignato:

“Lo Zar al Kaiser

29 luglio 1914, 20.30

Reggia di Peterhof

Grazie per il tuo telegramma conciliante e amichevole. Al contrario, il messaggio ufficiale presentato oggi dal tuo ambasciatore al mio ministro è stato comunicato con un tono ben diverso. Ti prego di fare luce su questa incongruenza! Sarebbe giusto affidare il problema austro-serbo alla conferenza dell’Aia. Confido nella tua saggezza e amicizia.

Il tuo adorato Nicky”

Nonostante il suo tono di innocenza ferita, la risposta dello Zar è conciliante. Come un uomo che si aggrappa a una tavola di legno marcia mentre sta affogando, egli propone che i punti della contesa vengano deferiti ad un arbitrato della Corte Internazionale dell’Aia. Tale proposta viene (correttamente) considerata dal Kaiser una “sciocchezza”. Il 30 luglio, la proposta russa viene rifiutata. L’Austria non interromperà le sue operazioni militari finché la Russia è in stato di mobilitazione, mentre la Russia non interromperà le sue finché l’Austria è in guerra con la Serbia. In confronto a questo, un nodo gordiano sembra una cosa molto semplice! Lo Zar scrive ancora con toni sempre più angosciati:

“Lo Zar al Kaiser

30 luglio 1914, 13.20

Reggia di Peterhof

Ti ringrazio di cuore per la tua risposta tempestiva. Invierò stasera Tatishchev con delle istruzioni.

Le misure militari che sono ora entrate in vigore sono state decise cinque giorni fa per ragioni di difesa in relazione ai preparativi dell’Austria.

Mi auguro con tutto il cuore che tali misure non interferiranno in alcun modo con il tuo ruolo di mediatore, cui assegno un grande valore. Abbiamo bisogno della tua forte pressione sull’Austria per giungere a un’intesa con noi.

Nicky”

Una risposta frettolosa giunse lo stesso giorno:

“Il Kaiser allo Zar

Berlino, 30 luglio 1914

La mia più profonda gratitudine per il tuo telegramma. È del tutto fuori questione che il linguaggio del mio ambasciatore possa essere stato in contraddizione con il tenore del mio telegramma. Il conte Pourtalès era stato istruito per concentrare l’attenzione del tuo governo sul pericolo e sulle gravi conseguenze derivanti da una mobilitazione; lo stesso ti ho detto nel telegramma che ti ho inviato. L’Austria si è mobilitata solo contro la Serbia e solo con una parte del suo esercito. Se, come nel caso presente, secondo la comunicazione tua e del tuo Governo, la Russia si mobilita contro l’Austria, il mio ruolo di mediatore, che tu mi hai gentilmente affidato e che io ho accettato dietro tua aperta preghiera, sarà messo in pericolo se non totalmente vanificato. Tutto il peso della decisione è unicamente sulle tue spalle ora, le quali devono caricarsi della responsabilità della Pace o della Guerra.

Willy”

Una volta che l’esercito russo si fosse mobilitato, avrebbe avuto poco senso chiedere a Guglielmo di mediare alcunché. La sola mediazione possibile sarebbe stata quella delle bombe, dei proiettili e delle baionette. Il linguaggio del Kaiser non avrebbe potuto essere più cristallino. La Russia deve immediatamente smobilitarsi oppure addossarsi tutta la responsabilità della guerra che ne sarebbe l’inevitabile conseguenza. Evidentemente, i sacri legami di famiglia e di amicizia hanno i loro limiti, un fatto che si palesa dolorosamente nel seguente telegramma:

“Il Kaiser allo Zar

31 luglio 1914

Berlino

In seguito al tuo appello alla mia amicizia e alla tua richiesta di assistenza, ho iniziato a mediare tra te e il Governo austro-ungarico. Mentre questa azione era in corso, le tue truppe venivano mobilitate contro l’Austria-Ungheria, un mio alleato. In tal modo, come già ti ho fatto notare, la mia mediazione si è resa quasi illusoria.

Nondimeno, io ho proseguito nella mia azione.

Adesso ricevo notizie autentiche di seri preparativi di guerra sul mio confine orientale. La responsabilità per la sicurezza del mio impero mi costringe a prendere misure preventive di difesa. I miei sforzi per mantenere la pace mondiale sono giunti al limite massimo delle loro possibilità. La responsabilità del disastro, che sta minacciando adesso l’intero mondo civilizzato, non cadrà su di me. In questo momento, è ancora in tuo potere impedirlo. Nessuno sta minacciando l’onore o il potere della Russia, che può permettersi di aspettare il risultato della mia mediazione. La mia amicizia nei confronti tuoi e del tuo impero, trasmessami da mio nonno sul letto di morte, è sempre stata sacra per me e ho sempre sostenuto la Russia con onestà quando si trovava in grave difficoltà, specialmente nell’ultima guerra.

Puoi ancora preservare la pace dell’Europa, se la Russia accetterà di interrompere le misure militari che minacciano la Germania e l’Austria-Ungheria.

Willy”

Qui le forme amichevoli del discorso vengono del tutto a mancare. Al posto di “il tuo più sincero e devoto amico e cugino”, abbiamo il freddo linguaggio di un comunicato ufficiale, che comunque è più vicino alla realtà delle ipocrite manifestazioni precedenti di amore e amicizia. La maschera sorridente è caduta ed appare il volto crudele e rapace della politica di potenza. In risposta, lo Zar russo dà mostra di una patetica debolezza che serve solo a rendere suo cugino ancora più implacabile, poiché la debolezza è sempre un invito all’aggressione:

“Lo Zar al Kaiser

31 luglio 1914 (l’invio di questo telegramma si è incrociato con il precedente)

Reggia di Peterhof

Devo ringraziarti di cuore per la tua mediazione, che comincia a darmi una speranza che tutto possa finire pacificamente.

È tecnicamente impossibile interrompere i nostri preparativi militari, che sono la risposta dovuta e obbligata alla mobilitazione dell’Austria. Siamo lungi dal desiderare la guerra. Fintantoché i negoziati con l’Austria in relazione alla Serbia sono in corso, le mie truppe non faranno alcuna azione di provocazione. Su questo, ti do la mia solenne parola. Rimetto tutta la mia fiducia alla misericordia di Dio e spero nel buon esito della tua mediazione a Vienna, per il benessere dei nostri paesi e per la pace dell’Europa.

Il tuo affezionato

Nicky”

Gli appelli all’affettuosa misericordia dell’Onnipotente chiaramente non hanno alcun effetto. Molto più importanti dell’intervento divino sono le osservazioni riguardo all’impossibilità tecnica di interrompere i “preparativi militari, che sono la risposta dovuta e obbligata alla mobilitazione dell’Austria”. La difficoltà non aveva per nulla un carattere tecnico, bensì politico. Lo Zar semplicemente non poteva andare contro i suoi generali, che si muovevano sulla base di ragioni strettamente militari. Tradotto in un linguaggio prosaico, quello che lo Zar sta dicendo è: “Io non posso fermare la mobilitazione che è stata decisa dai miei generali come risposta all’attività dei tuoi amici austriaci”. A questo il Kaiser avrebbe potuto semplicemente rispondere: “Non venirmi a parlare dei tuoi generali. Anche io ho i miei.”

“Lo Zar al Kaiser

1 agosto 1914

Reggia di Peterhof

Ho ricevuto il tuo telegramma. Capisco tu sia obbligato a mobilitarti, ma desidero avere da te la stessa garanzia che ti ho dato io sul fatto che queste misure non significano guerra, che continueremo a negoziare per il beneficio dei nostri paesi e che la pace universale sta a cuore a noi tutti. La nostra consolidata amicizia deve riuscire, con l’aiuto di Dio, a evitare uno spargimento di sangue. Con apprensione, pienamente fiducioso, aspetto la tua risposta.

Nicky”

Ancora una volta lo Zar si rivolge all’Onnipotente e il Kaiser gli risponde con il tono più secco e imperioso:

“Il Kaiser allo Zar

1 agosto, 1914

Berlino

Grazie per il tuo telegramma. Ho esposto ieri al tuo governo l’unico modo per evitare la guerra.

Sebbene avessi richiesto una risposta entro oggi a mezzogiorno, non mi è ancora arrivato alcun telegramma dal mio ambasciatore riguardo una risposta da parte del tuo Governo. Pertanto, sono stato obbligato a mobilitare il mio esercito.

Una risposta immediata, affermativa, chiara e inequivocabile da parte del tuo governo è l’unico modo per evitare un supplizio senza fine. Finché non avrò ricevuto questa risposta, ahimè, non sarò in grado di discutere l’oggetto del tuo telegramma. Di fatto, devo chiederti di ordinare immediatamente [sic] alle tue truppe di non compiere per nessuna ragione il minimo tentativo di oltrepassare le nostre frontiere

Willy”

L’avventura di Guglielmo nel regno della diplomazia non portò alcun risultato. Il Kaiser, intuendo la malafede dei russi, interruppe i suoi tentativi di mediazione, i quali, in ogni caso, probabilmente non erano nient’altro che uno stratagemma per poter in seguito bollare come aggressore la Russia. In seguito alle richieste insistenti dell’Alto Comando tedesco, Guglielmo chiese al suo cugino imperiale di San Pietroburgo l’impossibile: il ritiro immediato dell’ordine di mobilitazione della Russia, una richiesta che avrebbe significato una resa umiliante e avrebbe seriamente minato lo status della Russia come grande potenza.

Il governo tedesco sintetizzò le sue idee in merito alla crisi in una circolare ai suoi ambasciatori stranieri:

“Lo scopo finale delle agitazioni pan-slaviste [cioè grandi-serbe] contro l’Austria-Ungheria è… la distruzione della Monarchia del Danubio [cioè l’Impero Austro-Ungarico], la rottura o l’indebolimento della Triplice Alleanza (di Germania, Austria-Ungheria e Italia) e, come risultato, il completo isolamento dell’impero tedesco. Di conseguenza, il nostro interesse ci porta dalla parte dell’Austria-Ungheria.”

L’Italia rompe le righe

Ora l’Europa era chiaramente divisa in due campi armati: gli Imperi Centrali (Germania, Austria-Ungheria e Italia, con la Romania in qualità di alleato ausiliario) e l’Intesa (Francia e Russia con il supporto ausiliario della Serbia e del Montenegro). La Gran Bretagna, come al solito, adottò una posizione ambigua nel tentativo di tenersi fuori dalla guerra, una posizione che mantenne fino all’ultimo momento.

Mentre la Germania rafforzava la determinazione dell’Austria e la spingeva segretamente alla guerra, il capo dell’esercito francese prometteva all’addetto militare russo a Parigi “completa e attiva sollecitudine nell’ assumersi le proprie responsabilità in qualità di alleata” da parte della Francia. Pare che la Germania e l’Austria credessero che la loro forza combinata avrebbe potuto indurre le altre potenze a tornare sui propri passi. Questo era un grave errore di calcolo, che venne a galla quando l’Italia ruppe improvvisamente con gli Imperi Centrali.

L’atteggiamento dell’Italia, che fino a quel momento era stata alleata della Germania e dell’Austria, subì un cambiamento improvviso quando si rifiutò di agire in accordo con l’Austria, il cui “ultimatum era così aggressivo e inadeguato da risultare inaccettabile all’opinione pubblica italiana e europea”. I diplomatici italiani – degni discendenti di Machiavelli – svolgevano il loro lavoro con un vigore encomiabile. Una cosa era legarsi all’Alleanza in tempo di pace, quando questo non implicava alcun tipo di sacrificio o perdita. Abbastanza diverso era rimanere in una tale alleanza in tempo di guerra, quando vengono richiesti sacrifici molto consistenti.

Come la Germania, l’Italia aveva ottenuto la propria indipendenza nazionale nell’ultima parte del XIX secolo. Tuttavia la borghesia italiana non era affatto priva di ambizioni imperiali. Guardava con invidia agli imperi della Gran Bretagna e della Francia e sembrava che accarezzasse il grandioso sogno di rifondare l’Impero romano. Anche se per il momento si accontentava di manovre diplomatiche e di piani più modesti per strappare porzioni dei Balcani e dominare il mar Adriatico.

La debole borghesia italiana era costretta a esprimere le sue grandiose ambizioni imperiali in una serie di intrighi e manovre diplomatiche, ora schierandosi con una grande potenza, ora con un’altra, barattando il suo sostegno in cambio della promessa di espansione territoriale, come un protettore importuna un ricco cliente perché acquisti la sua merce. L’impotente borghesia italiana compensava il suo scarso potere con la scaltrezza. Da bravi, pratici e ostinati commercianti, quali sono tutti i veri diplomatici in fondo al cuore, gli italiani alzarono prontamente il costo della loro partecipazione all’alleanza degli Imperi Centrali, in base alle nuove condizioni di mercato.

Non avendo ricevuto una risposta soddisfacente dai loro vecchi alleati, andarono naturalmente in cerca di nuovi clienti che potessero offrirgli un prezzo più soddisfacente per la loro preziosissima amicizia. Accolti a Parigi e a Londra con ampi sorrisi, braccia aperte e promesse allettanti di future ricompense, ruppero immediatamente le relazioni con gli austriaci e i tedeschi, prepotenti e spilorci, e passarono rapidamente nel campo dell’Intesa. Il contenuto di queste conversazioni venne rivelato un anno dopo, quando l’Italia firmò in segreto il Patto di Londra, nel quale la Gran Bretagna offriva all’Italia ampie porzioni di territorio nella regione adriatica, parti del Tirolo austriaco, la Dalmazia e l’Istria.

I nazionalisti, con i loro sogni di una Grande Italia, erano orripilati dalla decisione del governo di rimanere estraneo alla guerra nel 1914. Mussolini, invece, che all’epoca era un membro del Partito socialista italiano, si pronunciò contro la guerra. Nel luglio 1914, quando rispecchiava il generale sentimento contro la guerra nelle fila del partito, scrisse: “Abbasso la guerra! Non un uomo! Né un soldo! Viva la solidarietà internazionale del proletariato!” Tuttavia, nell’ottobre del 1914, cambiò idea e si riferì alla guerra come ad un “dramma grandioso”: “Vogliamo essere gli spettatori inerti di questo dramma grandioso? O non vogliamo essere i protagonisti?” Di conseguenza, Mussolini venne espulso dal Partito Socialista e cominciò a muoversi nella direzione del fascismo.

Mussolini e gli sciovinisti italiani non dovettero aspettare a lungo per partecipare a questo “dramma grandioso”. Il 26 aprile 1915, eseguendo fedelmente gli ordini dei suoi padroni a Londra e Parigi, l’Italia entrò in guerra. Tuttavia, come spesso accade negli accordi tra mafiosi, i banditi italiani non ottennero mai tutta la parte del bottino che gli era stata promessa. A Versailleis, i grandi banditi ingannarono quelli piccoli. E, come sempre, le persone comuni pagarono il prezzo dell’avarizia della classe dominante.

Alla fine della guerra nel 1918, 600mila italiani erano morti, 950mila erano stati feriti e 250mila resi invalidi a vita. La guerra ebbe un costo maggiore di quanto il governo aveva speso nei cinquant’anni precedenti. L’Italia era rimasta in guerra solo per tre anni, ma il paese era rovinato. Con l’inflazione incalzante e una disoccupazione di massa, l’Italia si ritrovò in balìa degli scioperi di massa e dell’occupazione delle fabbriche. Anche in Italia, la guerra servì solo da scuola di preparazione per la rivoluzione e la controrivoluzione.

 

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