BOLOGNA – “Non siamo carne da macello” Intervista a Gianplacido Ottaviano, Rsu Bonfiglioli
12 Marzo 2020
Coronavirus? Studenti, arrangiatevi o sette in condotta!
13 Marzo 2020
BOLOGNA – “Non siamo carne da macello” Intervista a Gianplacido Ottaviano, Rsu Bonfiglioli
12 Marzo 2020
Coronavirus? Studenti, arrangiatevi o sette in condotta!
13 Marzo 2020
Mostra tutto

Trotskij e i trotskisti di fronte alla seconda guerra mondiale

In questo articolo, pubblicato per la prima volta sui “Cahiers Leon Trotsky” nel 1985, Pierre Broué illustra quali furono le prospettive di Trotskij sulla seconda guerra mondiale, abbozzate prima della sua morte nel 1940, e soprattutto come vennero completamente disattese dai dirigenti della Quarta Internazionale negli anni successivi. 

L’autore affronta anche una serie di aspetti poco noti del movimento di Resistenza contro il nazifascismo in Grecia.

 

di Pierre Broué

 

Testi poco conosciuti

Pubblicando alcuni anni fa dei testi di Trotskij sulla seconda guerra mondiale,1 Daniel Guerin li introduceva con una prefazione che gli avrebbe attirato contro un fuoco incrociato da parte di numerosi gruppi che all’epoca si richiamavano al trotskismo. In particolare, si accusava Guerin di avere deformato il pensiero di Trotskij citandone arbitrariamente i testi, di aver spinto il suo pensiero, se non verso il social-patriottismo, almeno verso l’antifascismo, e di essersi preso la libertà di dipingere Trotskij come un “patriota sovietico” per il quale le necessità della “difesa dell’URSS” avrebbero avuto la priorità su ogni altra considerazione relativa alla guerra.2

La preparazione dei volumi 22-24 delle Opere di Lev Trotskij mi ha offerto l’occasione di studiare i testi integrali dei documenti riprodotti da D. Guerin. Inoltre l’apertura degli archivi di Harvard ha permesso di accedere a numerosi documenti che, considerati nel loro insieme, consentono oggi di presentare un’ interpretazione del pensiero di Trotskij non conforme né alla versione di Guerin né a quella dei militanti che hanno sostenuto contro di lui una “ortodossia” ricalcata meccanicamente sull’approccio dei bolscevichi durante la prima guerra mondiale – col ritardo di una guerra – e molto inferiore al pensiero di Trotskij, quale si andava delineando dopo i primi successi hitleriani del 1940.3

Beninteso, Trotskij comprendeva chiaramente cosa la guerra significasse per la civiltà, con le sue inevitabili distruzioni. Ma nella primavera del 1940 il calice della guerra era riempito e bisognava berlo: per Trotskij non si trattava più di lottare perché l’umanità, per mezzo della rivoluzione, si risparmiasse una guerra mondiale; questa guerra era iniziata ed ormai nulla poteva risparmiarla all’umanità. Trotskij vi scorgeva però l’immenso crogiolo in cui sarebbe nata, in mezzo a indicibili sofferenze, l’ondata rivoluzionaria che avrebbe plasmato le tappe successive della rivoluzione mondiale. Lo espresse molto chiaramente nel frammento di un articolo, interrotto il 20 agosto, che Guerin conosceva ma ha ignorato, senz’altro non avendone compreso la portata:

“La guerra in atto, come abbiamo detto in ripetute occasioni, non è che una continuazione dell’ultima guerra. Ma continuazione non significa ripetizione. In linea generale, continuazione vuole dire sviluppo, approfondimento, acutizzazione. La nostra politica, la politica del proletariato rivoluzionario di fronte alla seconda guerra imperialista, è una continuazione della politica elaborata durante l’ultima guerra imperialista, soprattutto sotto la direzione di Lenin. Ma continuazione non significa ripetizione. Anche in questo caso una continuazione è uno sviluppo, un approfondimento, un’acutizzazione.”4

Trotskij delineava in seguito ciò che costituiva per lui la differenza – una differenza di sviluppo, quantitativa e qualitativa – tra la politica dei rivoluzionari nella prima e nella seconda guerra mondiale. Scriveva:

“Nel corso dell’ultima guerra, non solamente il proletariato nel suo complesso ma anche la sua avanguardia e, in una certa misura, l’avanguardia dell’avanguardia sono state prese alla sprovvista; l’elaborazione dei principi della politica rivoluzionaria di fronte alla guerra è iniziata quando la guerra era già scatenata e l’apparato militare esercitava un dominio assoluto.”5

Nel corso della prima guerra mondiale, la prospettiva della rivoluzione appariva lontana perfino a Lenin, che diceva di prevederla per le generazioni successive. Trotskij ricordava:

“Prima e perfino dopo la rivoluzione di febbraio, gli elementi rivoluzionari non si consideravano in lotta per il potere, ma come l’opposizione di estrema sinistra.”6

La lotta per l’indipendenza politica del proletariato, il rifiuto della pace sociale e la necessità della lotta di classe del proletariato, erano così nel 1914-1918 i compiti prioritari, come misure difensive:

“L’attenzione dell’ala rivoluzionaria era concentrata sulla questione della difesa della patria capitalista. I rivoluzionari, ovviamente, rispondevano negativamente a tale questione. Era del tutto corretto. Ma se questa risposta negativa serviva come base per la propaganda e la formazione dei quadri, essa non poteva conquistare le masse che non volevano alcun conquistatore straniero.” [sottolineatura dell’autore]7

Ricordando che i bolscevichi erano riusciti a conquistare la maggioranza della classe operaia e del popolo russo nello spazio di otto mesi, Trotskij sottolineava come tale conquista non fosse dovuta a posizioni negative di rifiuto di difesa della patria borghese, ma alle aspirazioni delle masse a cui i bolscevichi avevano saputo fornire risposte positive:

“Il ruolo decisivo in questa conquista non fu svolto dal rifiuto di difendere la patria borghese, ma dalla parola d’ordine ‘Tutto il potere ai soviet’, e solamente da questa parola d’ordine rivoluzionaria! La critica dell’imperialismo, del suo militarismo, la rinuncia alla difesa della democrazia borghese ecc. non avrebbero potuto mai conquistare l’immensa maggioranza del popolo ai bolscevichi.”8

La differenza tra la prima e la seconda guerra mondiale veniva individuata da Trotskij sia nella situazione oggettiva, l’aggravamento della crisi del capitalismo, sia nell’esperienza mondiale accumulata dalla classe operaia: questi due fattori ponevano all’ordine del giorno, attraverso le sofferenze e le miserie della guerra, la presa del potere da parte della classe operaia. Trotskij era categorico:

“È questa la prospettiva su cui si deve fondare la nostra agitazione. Non si tratta semplicemente di prendere posizione sul militarismo capitalista e sul rifiuto di difendere lo Stato borghese, ma della preparazione diretta per la presa del potere e la difesa della patria proletaria…”9

In realtà, quando Trotskij fu colpito a morte il 20 agosto 1940, gli elementi essenziali della seconda fase della seconda guerra mondiale erano appena emersi dopo la disfatta dell’esercito francese, “non un semplice episodio”, scriveva Trotskij, “ma un capitolo fondamentale della catastrofe europea.” Gli elementi che ci permettono di cogliere a grandi linee la concezione che Trotskij si stava formando della guerra e della direzione delle forze rivoluzionarie che da essa sarebbero inevitabilmente emerse, possono essere ritrovati negli scritti sulla guerra e l’Unione Sovietica che abbozzò nel 1940.10

Daniel Guerin lo ha sottolineato con enfasi: l’idea che Trotskij si era formato nel 1940 sul proseguo della guerra era straordinariamente esatta e precisa. Quando uomini che gli erano molto vicini sembravano rassegnarsi a decenni di Europa “bruna” sotto il dominio nazista, egli prevedeva con sobrietà e sicurezza la guerra tra la Germania e gli USA per l’egemonia mondiale, ma anche il carattere effimero del patto di non aggressione e la successiva alleanza tra l’URSS e le “democrazie”, la direzione dell’espansione giapponese che avrebbe posticipato uno scontro diretto con l’URSS ed altri elementi non previsti nemmeno da strateghi e commentatori prestigiosi. Daniel Guerin ha ben capito tutto questo, ma non è però stato in grado di cogliere il cuore dei ragionamenti di Trotskij, riducendo le sue analisi appena abbozzate, ed in particolare la sua previsione di un movimento rivoluzionario durante la guerra, a quella che lui chiama “l’ardente convinzione soggettiva [di Trotskij] che la seconda guerra mondiale si sarebbe conclusa con la vittoria della rivoluzione mondiale”. “Osservazione inesatta”, scrive Guerin, “nella quale riponeva la massima fiducia.” Negando la prospettiva rivoluzionaria di Trotskij, l’analisi svolta da Guerin ed alcune sue citazioni hanno l’effetto, senz’altro involontario, di presentare Trotskij nei panni del profeta, anche in campo militare. Tuttavia, questa è un’immagine distorta. Certo, Guerin stesso riporta molte delle previsioni di Trotskij sull’approssimarsi della rivoluzione. Nonostante ciò, dobbiamo essere giusti: su questo terreno Trotskij ha solamente intravisto ed indicato future linee di sviluppo. Non ha né spiegato né approfondito. I difensori della concezione “arcaica”, intesa come ortodossa, hanno solitamente ignorato queste indicazioni e – alcune reazioni alle analisi di Guerin lo provano – continuano ad ignorarle, quando si voltano indietro per giudicare retrospettivamente il periodo della guerra.

Perciò in questo articolo vorrei cercare innanzitutto di delineare le idee centrali di Trotskij sulla seconda guerra mondiale. Un’analisi che, lo sottolineo, copre tanto gli aspetti essenziali del conflitto quanto alcuni dell’immediato dopoguerra. Non tratteremo invece altre questioni, come ad esempio le sue analisi sulle trasformazioni attuate in Polonia – e solo agognate in Finlandia – nel 1939 dalla burocrazia sovietica. Queste analisi sono pietre angolari di una teoria sulla costituzione degli Stati burocratizzati satelliti nella sfera d’interesse dell’URSS e possiamo ritrovarle nel dibattito all’interno del Socialist Worker Party (SWP, sezione americana della Quarta Internazionale, NdT) nel 1939-1940 sulla natura dell’Unione Sovietica.

Trotskij riteneva possibile un’Europa bruna sotto lo stivale nazista, non per mille anni, diceva con fiducia, ma per dieci al massimo. Egli sottolineava soprattutto che cosa avrebbero significato per le masse operaie d’Europa le conquiste formidabili realizzate dall’esercito tedesco guidato dai nazisti:

“Le masse operaie hanno per Hitler un odio viscerale mescolato a sentimenti di classe confusi.”11

Era questo, secondo Trotskij, l’aspetto positivo su cui fare leva negli USA nel lavoro di preparazione rivoluzionaria. Era questo il punto di partenza dal quale sviluppava davanti ai suoi compagni del SWP, un po’ perplessi, l’idea per cui bisognava rivendicare nell’esercito ufficiali operai ed esigere l’addestramento militare di tutti i lavoratori sotto il controllo dei sindacati, in previsione delle nuove forme di lavoro politico in una società militarizzata. Queste rivendicazioni di militarizzazione e di controllo – indipendenza politica attraverso le armi – andavano di pari passo con gli slogan agitativi “per spiegare a milioni di lavoratori americani che la difesa della loro democrazia non sarà portata avanti da un maresciallo Petain americano”:

“Voi, lavoratori, volete difendere e migliorare la democrazia. Noi della Quarta Internazionale vogliamo andare oltre. Siamo però pronti a difendere la democrazia insieme a voi, a condizione che si tratti di una vera difesa e non di un tradimento alla maniera di Pétain.”12

Gli interpreti “ortodossi” del pensiero di Trotskij di solito vi hanno scorto una mera questione di tattica, una finta, un artificio destinato a smascherare la borghesia e teso a dimostrare che essa in realtà teme di più la classe operaia che i fascisti in patria o all’estero. Questa argomentazione non sta in piedi davanti ad un esame serio: come conciliare, anche sul piano più astratto, la formula “non alla Pétain” con una certa concezione volgare del “disfattismo” che non fu mai quella di Trotskij?

E non è tutto. Nelle discussioni con i suoi compagni del SWP, Trotskij non esitava a porre il problema di “militarizzare il partito” e di prendere con decisione le distanze dagli approcci “pacifisti”, che egli condannava risolutamente. Proclamava la necessità per i suoi compagni e per tutti i rivoluzionari di divenire “militaristi” – l’espressione che usava era: “militaristi socialisti rivoluzionari proletari”.13 Dovevano diventare “militaristi” perché la prospettiva dell’umanità era quella della società militarizzata e della lotta armata. I socialisti rivoluzionari proletari dovevano diventare militaristi perché il futuro dell’umanità si sarebbe deciso con le armi alla mano. La seconda guerra mondiale era iniziata. I rivoluzionari dovevano prepararsi alla lotta armata per il potere contro le classe nemica che si stava rapidamente avvicinando. Non potevano prepararsi a questa lotta se non stando là dove erano le masse. Questa era la convinzione di Trotskij.

Convinzione che si basava su una previsione concreta del movimento delle masse, in primo luogo in Europa. In un articolo del 30 giugno 1940, Trotskij delineava per l’Europa una prospettiva di sviluppo che passava per l’insurrezione di massa contro l’occupazione straniera:

“Nei paesi sconfitti, la situazione delle masse peggiorerà in misura estrema. All’oppressione sociale si è aggiunta quella nazionale, che grava specialmente sugli operai. Di tutte le forme di dittatura, la dittatura totalitaria esercitata da un conquistatore straniero è la più intollerabile.”14

Possiamo dubitare del fatto che Trotskij mettesse i rivoluzionari nel campo di quelli che sono oppressi socialmente e nazionalmente, di quelli che giudicano “intollerabile” la “dittatura militare” di un “conquistatore straniero”?

Consapevole che i nazisti avrebbero cercato di sfruttare l’apparato industriale e le risorse naturali dei paesi occupati e sconfitti, e che questi sarebbero stati impoveriti dal super-sfruttamento, il rivoluzionario russo prevedeva una resistenza operaia e contadina e commentava:

“È impossibile piazzare un soldato armato di fucile accanto ad ogni operaio e contadino polacco, norvegese, danese, olandese, francese.”15

Per Trotskij il dominio hitleriano dell’Europa avrebbe provocato un sollevamento generalizzato delle popolazioni:

“Possiamo aspettarci con certezza la rapida trasformazione di tutti i paesi conquistati in polveriere. Il pericolo è piuttosto che le esplosioni sociali si producano troppo presto, senza una preparazione sufficiente, e conducano a sconfitte isolate. È però impossibile prospettare una rivoluzione europea e mondiale senza mettere in conto sconfitte parziali di questo tipo.”16

La minaccia che gravava su Hitler era la rivoluzione proletaria in tutte le parti d’Europa. Trotskij prevedeva “tentativi di resistenza e protesta” ad opera delle masse, “dapprima esitanti e poi sempre più aperti e audaci”, verso cui gli eserciti occupanti avrebbero dovuto agire come pacificatori e oppressori.17

Rivolgendosi alla Commissione Dewey da Coyoacan, Trotskij aveva distinto l’approccio da adottare in un paese imperialista in guerra contro l’URSS da quello in un paese imperialista alleato all’Unione Sovietica. Nel primo caso, l’obiettivo immediato era la disorganizzazione di tutto l’apparato, in primo luogo militare. Nel secondo, l’opposizione politica alla borghesia e la preparazione della rivoluzione proletaria.18 Una volta che la Wehrmacht avesse attaccato l’URSS, era altrettanto chiaro che in tutta l’Europa occupata la resistenza armata contro l’oppressione nazionale e sociale si sarebbe aggiunta alla necessità di disorganizzare e colpire la macchina militare tedesca, cosa che implicava in buona misura la lotta armata.

Per comprendere almeno alcuni aspetti della critica che noi abbiamo chiamato “ortodossa”, possiamo qui ricordare che Vereeken e alcuni suoi seguaci avevano accusato Trotskij di rinnegare i suoi principi abbandonando, in caso di guerra, il “disfattismo” in un paese alleato dell’URSS, sotto il pretesto della “difesa dell’Unione Sovietica”. Si trova sostanzialmente la stessa impostazione nella critica fatta dallo spagnolo Grandizo Munis alla politica adottata da Cannon e dal SWP per difendersi durante il processo di Minneapolis. La storia politica della Quarta Internazionale durante la seconda guerra mondiale dimostra la forza della corrente settaria e conservatrice che, sotto la bandiera dell’ortodossia, confinava spesso con posizioni pacifiste, considerando la lotta armata, di per sé stessa, come una partecipazione al conflitto e all’unità nazionale, come una “accettazione” della guerra.

È beninteso fuori discussione pensare che la politica di Trotskij tradisse l’influenza del suo “patriottismo sovietico”: egli ha spiegato così tante volte le basi della sua politica di “difesa dell’URSS” perché si possa prendere sul serio una tale interpretazione. Nella sua analisi e nelle sue parole d’ordine non esiste una qualsiasi concessione al social-patriottismo o alla difesa nazionale in un paese imperialista. Semplicemente, come affermava con vigore:

“Ogni confusione coi pacifisti è mille volte più pericolosa che una confusione temporanea coi militaristi borghesi.”19

Il manifesto della conferenza della Quarta Internazionale del maggio 1940 è, come ha sottolineato Guerin, “uno scritto di importanza centrale, sia per la lunghezza che per il suo contenuto” ed “esprime con forza e convinzione le basi dell’internazionalismo proletario.” La conclusione scritta da Trotskij, che segue l’appello agli operai di “diventare abili specialisti dell’arte militare”, non lascia dubbi a riguardo:

“Al tempo stesso non dimentichiamo per un solo istante che questa guerra non è la nostra guerra […]. La Quarta Internazionale basa la sua politica non sulle sorti militari degli Stati capitalisti ma sulla trasformazione della guerra imperialista mondiale in una guerra civile degli operai contro i capitalisti, sul rovesciamento delle classi dominanti di tutti i paesi, sulla rivoluzione socialista mondiale.”20

La questione centrale per Trotskij era quindi senz’altro quella della rivoluzione, della forma che si sarebbe dato il movimento rivoluzionario causato dalla guerra e dalla crisi del mondo capitalista, che la guerra esprimeva ed acutizzava allo stesso tempo e che creava le condizioni della lotta dei lavoratori per il potere. Questa lotta, nel corso di una guerra e nel contesto di una militarizzazione della società, non poteva essere immaginata in una forma che non fosse, in larga misura, quella di una lotta di classe armata, di una guerra di classe. Solo i sognatori incorreggibili e i settari potevano immaginare qualcosa di diverso. La nuova arena, in cui bisognava battersi per sgominare i militaristi, esigeva la militarizzazione dei lavoratori e dei rivoluzionari.

Alcune osservazioni si impongono a chi voglia verificare nello svolgimento concreto della guerra la validità delle prospettive elaborate da Trotskij nel 1940. In primo luogo, i vari partiti comunisti hanno spesso potuto creare l’illusione di avere il monopolio sulla lotta armata, con la quale hanno identificato le loro politiche dopo gli eventi. Questo è dovuto soprattutto alla linea di “difesa dell’URSS”, che a partire dal giugno del 1941 li ha trasformati in “attivisti della Resistenza”. Tuttavia, a partire da un certo sviluppo della lotta armata, la difesa dell’URSS, quale era concepita a Mosca, non ha più significato solo operazioni di sabotaggio o guerra partigiana contro la macchina bellica tedesca. E’ diventata una lotta politica diretta od indiretta e, laddove necessario, anche repressione poliziesca contro lo stesso movimento delle masse quando questo – è quasi sempre stato così – ha minacciato di compromettere gli accordi tra l’URSS ed i suoi alleati e di rimettere in discussione la spartizione delle sfere d’influenza o, ancora più grave, di scatenare una rivoluzione che Stalin, Roosevelt e Churchill temevano quanto Hitler e che erano pronti a schiacciare in caso quest’ultimo non se ne fosse occupato prima di loro.

Tutta l’Europa ha subito l’occupazione tedesca e, a livelli diversi, non solo l’oppressione nazionale che subisce ogni paese occupato da un esercito straniero, ma anche il saccheggio sistematico che ha fatto sprofondare molti paesi nella carestia e tutti nella miseria. Così si sono create le condizioni per un’ascesa rivoluzionaria che si è manifestata innanzitutto e con più forza negli anelli deboli della catena imperialista in Europa. Davanti a questo rischio, le valvole di sicurezza messe in campo dall’apparato stalinista non hanno potuto avere la stessa efficacia, in funzione dei precedenti rapporti tra partito e masse e di circostanze storiche d’ordine accidentale. Ciò nonostante il movimento di massa è avanzato attraverso le sue contraddizioni.

Cercheremo qui di accertare quali previsioni generali di Trotskij si siano verificate nei casi in cui una rivoluzione, grazie al suo slancio e fin dove ha potuto con i suoi sforzi, è sfuggita al controllo del movimento comunista ufficiale, ma per la mancanza di una direzione alternativa, è finita per soccombere sotto la repressione degli Alleati una volta crollato l’imperialismo tedesco. In questo senso l’esempio greco ci sembra il più istruttivo.

 

La resistenza greca

Tenteremo di verificare le concezioni di Trotskij sulla seconda guerra mondiale attraverso due casi concreti: la rivolta dei soldati e dei marinai dell’esercito greco in Medio Oriente, poco conosciuta, e la resistenza armata in Grecia, schiacciata dall’esercito britannico nel dicembre 1944 su ordine personale di Winston Churchill, che in essa denunciava “il trotskismo aperto e trionfante”.

Una delle particolarità della Grecia – che si ritrova anche in due paesi vicini, l’Italia e la Jugoslavia – è che fu sottoposta a un sanguinoso regime militar-fascista, in questo caso il “Regime del 4 Agosto” del generale Metaxas e di re Giorgio II. La repressione aveva colpito duramente il movimento operaio, imprigionando o confinando nelle isole i suoi dirigenti e quadri, spingendo il partito comunista greco in una clandestinità precaria che rendeva deboli e intermittenti i suoi legami con Mosca. Come i loro compagni nella vicina Jugoslavia, i comunisti greci non capivano rispetto al loro movimento internazionale come era possibile che, dopo la morte di Metaxas, i suoi successori e i suoi aguzzini fossero diventati alleati democratici e la restaurazione della monarchia fosse diventata un obiettivo della lotta per l’emancipazione dell’umanità!

All’indomani dell’invasione tedesca, il Partito Comunista Greco (KKE) lanciò la parola d’ordine dell’Assemblea Costituente, aprendo così la “questione monarchica”. Il re era in esilio, sotto la protezione di Churchill, e dunque questa rivendicazione poneva fin da subito un ostacolo enorme all’unione tra la resistenza interna e il monarca esiliato e alla politica dettata al KKE dall’Internazionale Comunista. A partire dal 1942, le comunicazioni erano diventate difficili, non soltanto tra Mosca ed il KKE, ma anche tra la direzione del partito e i capi dei partigiani. Il KKE aveva cominciato a tentare di assumere il controllo e centralizzare l’azione dei partigiani, che si stava sviluppando, armi alla mano, sulle montagne ma anche nei sobborghi delle città. I combattenti erano guidati dagli andartes, questi kapetanios che si erano guadagnati popolarità facendo proprie le rivendicazioni dei contadini poveri.

La resistenza greca, quella del proletariato, della piccola borghesia, dei contadini, non era sorta da una decisione di apparato. Fu al di fuori di ogni contesto organizzato che, nella notte tra il 30 ed il 31 maggio 1941, due studenti scalarono l’Acropoli e strapparono la bandiera con la svastica, “azione di una audacia folle e di una generosità meravigliosa”, scrive Andreas Kedros, che diventò “il simbolo dell’insubordinazione greca”.21 E’ più o meno nello stesso periodo, dopo la sconfitta dell’esercito regolare (disfatta spesso organizzata o provocata dagli stessi ufficiali greci), che le prime bande fecero la loro comparsa nelle campagne, equipaggiate dei fucili e delle munizioni recuperate quasi senza incontrare resistenza sui campi di battaglia e lungo le strade in cui l’esercito era stato battuto.

Andreas Kedros osserva che in questo paese con una forte tradizione di lotte agrarie, dove il bandito è da sempre amato come un liberatore e un difensore dei poveri, il villaggio “secerne i gruppi armati come antidoto ai soprusi ed alla miseria” causate ed esacerbate dall’occupazione. Piccoli gruppi si formavano un po’ dappertutto, con una varietà di nomi, da “compagnie miste” a “gruppi d’assalto”. Sorgevano spontaneamente e si dotavano autonomamente dei loro capi: alcuni di loro erano giovani dal temperamento combattivo, altri si erano distinti evadendo dai campi di concentramento di Metaxas durante la ritirata dell’esercito.

Tuttavia, in un primo momento la preoccupazione principale della direzione del KKE non fu quella di organizzare, centralizzare e sviluppare l’attività di questi gruppi. Ligio agli ordini di Mosca, il partito si era fissato come obiettivo prioritario la costituzione di un “fronte nazionale” contro l’occupante, il che significava un blocco per una certa durata con altre formazioni politiche greche. Il KKE però non ebbe successo in tal senso, soprattutto perché, malgrado i suoi sforzi, non era in grado di formulare una politica coerente verso la restaurazione della monarchia, un punto particolarmente sensibile per la sua base, ma anche per le forze politiche legate alla borghesia ed ai proprietari terrieri, che non volevano né potevano rompere con la monarchia e i loro “protettori” britannici.

L’EAM (Fronte di Liberazione Nazionale) venne fondato nel settembre 1941, ma era un’organizzazione che portava solo il nome del fronte nazionale auspicato: a fianco del KKE si erano schierati soltanto minuscole formazioni socialiste, due organizzazioni “democratiche” altrettanto trascurabili, ed i sindacati. Tuttavia, l’EAM accettava solo una base “nazionale” per la lotta, si rifiutava di considerare la liberazione “sociale” e si rivolgeva alla “nazione” senza alcuna distinzione di classe. Si concentrava nel tentativo di attirare il sostegno delle classi alte e manteneva il silenzio sulle rivendicazioni dei lavoratori.

Questa volontà di mantenere la “nazione unita” contro l’invasore – quando essa nei fatti non lo era – e di passare sotto silenzio le origini di classe dell’opposizione popolare agli occupanti e agli elementi della borghesia greca che collaboravano con loro, non riuscì tuttavia ad impedire ai lavoratori ed ai settori più poveri di utilizzare la struttura organizzativa offerta dal KKE per combattere per le loro rivendicazioni. L’afflusso di combattenti diede un carattere proletario all’EAM, per quanto questo si sforzasse di negarlo.

Operai manifestarono a migliaia per il primo anniversario dell’invasione italiana, il 18 ottobre 1941. In dicembre anche gli studenti presero parte alla lotta. Il 26 gennaio e il 17 marzo 1942, a scendere in strada fu un settore di poveri particolarmente miserabile, i mutilati di guerra, sostenuti dalle militanti clandestine dell’EAM travestite da infermiere. L’organizzazione si estendeva e si perfezionava. Il 15 marzo 1942 ci furono scioperi a sostegno delle principali rivendicazioni economiche in numerose città, tra cui Atene. Seguirono altri scioperi, compreso ad esempio quello di 40.000 dipendenti pubblici, alla cui testa si trovavano militanti trotskisti. Nell’agosto del 1942 ci fu uno sciopero degli operai di una fabbrica di fertilizzanti al Pireo. Nel frattempo i contadini del Peloponneso avevano svolto una serie di proteste. Il KKE decise di inviare un manipolo di militanti per organizzare i partigiani, gli andartes, nell’ambito dell’Armata Nazionale di Liberazione del Popolo (ELAS), il braccio armato dell’EAM.

Un rapporto dell’Abwehr (il servizio di contro-spionaggio tedesco, NdT) del novembre 1942 riferisce che intere province della Grercia erano “in mano alle bande”, che giustiziavano i traditori, distribuivano il grano che avevano ammassato, facevano appello ai contadini a scegliere liberamente i loro rappresentanti e discutere democraticamente di tutti i loro problemi. La lotta degli andartes divenne, per forza di cose e contro la volontà dei loro dirigenti politici, un fattore della guerra di classe nelle campagne, anche quando il celebre gruppo partigiano di Aris Velouchiotis prese parte a spettacolari operazioni di sabotaggio lungo le vie di comunicazione, disorganizzando la macchina bellica tedesca.

Non possiamo qui entrare in dettaglio nella storia del movimentp di massa in Grecia. Il 22 dicembre 1942, 40.000 lavoratori scesero in sciopero. Le manifestazioni e gli scioperi scatenati dall’annuncio dell’introduzione del servizio di lavoro obbligatorio in Germania, che si svilupparono dal 24 febbraio al 5 marzo, furono l’unica occasione in cui le forze occupanti dovettero rinunciare ai loro piani.

Nel 1943 la lotta armata non riguardava più solamente piccoli gruppi, ma vere e proprie unità militari. Quando queste arrivavano in una regione, con l’intento di allargare le zone liberate, si verificava un’immediata insurrezione di massa della popolazione in armi. Kedros dichiara: “Tutta la popolazione era coinvolta nella resistenza armata”. Il movimento di massa nelle città era inarrestabile: il 25 giugno 1943 ci fu uno sciopero generale ad Atene contro l’esecuzione di ostaggi da parte delle truppe occupanti. Lo sciopero dei tranvieri, iniziato il 12 giugno, aveva portato alla condanna a morte di 50 lavoratori, che furono salvati dallo sciopero. Nel 1944 non solo erano state liberate ampie zone rurali, ma le forze armate tedesche erano praticamente sotto assedio nelle città, che potevano lasciare solo in convogli adeguatamente scortati. Nella “cintura rossa”, i quartieri operai di Atene erano altrettanti bastioni del popolo in armi.

Durante questo periodo, i dirigenti del KKE che controllavano l’EAM e l’ELAS continuarono a sostenere di voler portare avanti una politica puramente nazionale priva di ogni carattere di classe. Non la vedeva così il governo greco in esilio protetto da Churchill. Nel 1942 elementi del corpo ufficiali – “l’ultimo bastione dello Stato”, come diceva Churchill ai tempi di Franco – raggruppati nelle organizzazioni Grivas’Khi e Pan, la gerarchia militare, gli Zervas ed i Dentiris legati ai servizi segreti di Metaxas, organizzarono il contrattacco. Tentarono di formare “bande nazionali”, con l’intenzione di combattere più contro i “partigiani comunisti” che contro gli invasori. Era l’equivalente greco di Mihailovic in Jugoslavia, il colonnello serbo alla testa dei Cetnici, che era un ministro del governo del re in esilio e conduceva una lotta armata contro i partigiani di Tito. Il denaro e l’equipaggiamento non mancavano: si volevano creare nuovi gruppi, ma si sperava anche di indebolire l’ELAS, che venne privato dell’equipaggiamento necessario proprio ora che il successo delle sue operazioni appariva certo.

Uno dei capi del British Special Operations Executive (una branca dei servizi segreti britannici, NdT) in Grecia, Eddie Myers, ha citato a tal proposito, nelle sue memorie, un documento che conferma l’analisi di Trotskij e dimostra la lucidità di quel campione dell’ordine costituito che era Winston Churchill, uno stratega della lotta di classe dall’altra parte della barricata. I superiori di Myers lo informarono nell’aprile del 1943 che “le autorità del Cairo ritengono che, dopo la liberazione della Grecia, la guerra civile sarà praticamente inevitabile.”22

Il movimento di massa gonfiava le fila dell’EAM e dell’ELAS, che crescevano sempre più, superavano i tentativi di boicottaggio e non cessavano di rinforzarsi, tanto che il colonnello Saraphis, l’ufficiale “democratico” investito del ruolo di “Mikhailovic greco”, decise di unirsi all’ELAS, di cui riconosceva l’efficacia e la rappresentatività! La capitolazione italiana fece cadere nelle mani degli andartes e dei civili loro alleati più armi di tutte quelle paracadutate dagli Alleati.

L’anno cruciale fu il 1943. Ioannis Rallis, un politico di cui perfino i tedeschi conoscevano i legami con i servizi segreti britannici, diventò il primo ministro della Grecia occupata23. La classe dominante preparava attivamente e coscientemente la trasformazione della guerra nazionale in guerra civile: ad Atene c’erano i Battaglioni di Sicurezza, una milizia con una fama sinistra, e al Cairo la Brigata di Montagna, gli uni e l’altra volti a schiacciare il movimento popolare. Il KKE invece ricercava più che mai la collaborazione con le “bande nazionali” e desiderava la “tolleranza”, il che significava rinunciare ad un approccio di classe, mentre allo stesso tempo si preparava a sferrare attacchi alla sua sinistra. Nel marzo 1943 Aris Velouchiotis venne convocato ad Atene dalla sua base di montagna, nonostante i pericoli di un simile viaggio, per venire severamente redarguito. In occasione dello scioglimento dell’Internazionale Comunista, nel maggio 1943, il KKE adottò una linea dalla quale non si sarebbe più allontanato:

“Il KKE sostiene con tutti i mezzi la lotta per la liberazione nazionale e farà tutto ciò che è in suo potere perché tutte le forze patriottiche siano raggruppate nell’indistruttibile fronte nazionale, che riunirà l’intera popolazione per scuotere il giogo straniero ed ottenere la liberazione nazionale al fianco dei nostri grandi Alleati.”24

Il KKE formava al contempo la sua polizia politica, l’OPLA, composta da sicari affidabili, e la impiegava più contro i “trotskisti” e gli “estremisti” tra le sue fila che contro i collaborazionisti.

La linea politica di tutte queste tendenze venne messa una prima volta alla prova durante l’ammutinamento dell’esercito greco in Egitto, una vicenda conosciuta tuttora molto poco ma che, nell’opinione di chi scrive, è un proficuo contributo alla discussione sulla Politica Militare Proletaria di Trotskij. Gli avvenimenti si svolsero in quella che possiamo chiamare, per analogia con la Francia, la “Grecia libera”: questa consisteva, dopo la sconfitta delle forze greche nell’aprile del 1941, nei resti dell’esercito e della flotta, con gli alti funzionari e i ministri del governo in esilio di re Giorgio II.

Questi notabili, specialmente i capi militari, erano stati figure note e importanti della dittatura fascista di Metaxas ed erano in molti a pensare che proprio per questo avessero “tradito” di fronte all’invasione nazista. Nonostante ciò, come osserva Dominique Eudes, “a fianco del circolo di ufficiali e politici della cricca monarchica, si era formato in Egitto l’embrione di un nuovo esercito greco.” 25 Questo era composto da appartenenti alle unità militari che erano fuggiti via mare, da volontari che avevano sostenuto tremende difficoltà per raggiungere individualmente l’Egitto, da marinai di navi mercantili e militari…

Erano chiaramente uomini che volevano “combattere contro il fascismo per la libertà e la democrazia”, come sosteneva il nuovo capo “liberale” del governo. Uno scontro era inevitabile tra il grosso dei 20.000 arrivati in Egitto per combattere il fascismo e la cricca monarchica che si preoccupava innanzitutto, come Churchill, di “salvare la Grecia dal comunismo”.

Nell’ottobre 1941 si creò all’interno dell’esercito greco del Medio Oriente l’organizzazione clandestina ASO (Organizzazione militare per la Liberazione), i cui obiettivi erano semplici, perfino semplicistici: invio delle unità greche al fronte, lotta in Grecia a fianco della Resistenza, rifiuto dell’infiltrazione nell’esercito del Cairo da parte dei simpatizzanti di Metaxas, che alla fine della guerra volevano restaurare in Grecia il vecchio regime. Gli ufficiali metaxisti chiesero che i simpatizzanti dell’ASO fossero rimossi tramite congedi su vasta scala. Gli ufficiali dimissionari della Seconda brigata furono arrestati e rimpiazzati. Gli ammutinati resistettero di fronte alle minacce e la Prima brigata solidarizzò con loro. Il governo cedette e accettò l’allontanamento degli ufficiali metaxisti, da una parte per evitare che gli avvenimenti andassero fuori controllo e dall’altra per preparare un nuovo attacco. Nei mesi seguenti, con una serie di direttive militari, le unità vennero smembrate, i ribelli puniti con sanzioni disciplinari e infine gli elementi sovversivi furono estirparti, mentre nei posti chiave vennero riportati gli ufficiali precedentemente allontanati.

Il secondo ammutinamento fu più grave e significativo. Le rivendicazioni dei militari sotto l’influenza dell’ASO erano senz’altro più politiche rispetto a prima. Su pressione della truppa, all’indomani della costituzione in Grecia del PEEA, il vero governo provvisorio della Resistenza greca, il comitato di coordinamento inter-arma presentò una petizione, firmata dalla maggioranza dei soldati greci, che rivendicava la formazione di un autentico governo di “unità nazionale” sulla base delle proposte del PEEA. L’iniziativa non proveniva né dall’EAM-ELAS né dalla Grecia, ma semplicemente dall’idea che i soldati si erano fatti della situazione nel loro paese e delle condizioni in cui avrebbero potuto “realmente combattere il fascismo”.

Lo stesso giorno, il 31 marzo, i delegati dei soldati e del comitato misto chiesero di essere ricevuti con la loro petizione all’ambasciata dell’URSS. L’ambasciatore chiuse loro la porta in faccia. Non trovarono eco o promesse di sostegno, eccetto che nella sinistra laburista in Gran Bretagna. In Egitto, al contrario, ottennero la simpatia della popolazione egiziana, da sempre molto vicina ai lavoratori greci.

Assemblee e manifestazioni si susseguirono ad Alessandria ed al Cairo. Il 4 aprile la polizia egiziana intervenne al fianco del governo greco in esilio e dei britannici, arrestando una cinquantina di militanti operai e dirigenti sindacali, in particolare i dirigenti dei portuali greci. L’Alto Comando britannico, da parte sua, disarmò due reggimenti e inviò 280 “caporioni” nei campi di concentramento. Poi, il 5 aprile, disarmò l’unità assegnata all’Alto Comando greco del Cairo e internò gli ammutinati.

Questi ultimi erano ora con le spalle al muro. La Prima Brigata arrestò i suoi ufficiali metaxisti, riorganizzò il comando e rifiutò di consegnare le armi per evitare l’internamento. Il movimento si estese poi alla marina da guerra, al cacciatorpediniere Pindos, all’incrociatore Averof, all’Ajax e a molte altre navi. Gli equipaggi ammutinati elessero un “comitato misto di ufficiali e soldati” che assunse il comando. L’ambasciatore britannico presso il governo greco del Cairo telegrafò a Churchill: “Ciò che succede qui tra i Greci non è niente di meno di una rivoluzione.26

La repressione venne organizzata sotto il controllo diretto e personale di Churchill. L’arrivo al Cairo di re Giorgio II fu tanto simbolico quanto provocatorio. L’appoggio dei giovani egiziani agli ammutinati era promettente. Il 13 aprile l’ammiraglio Cunningham dichiarò di essere deciso a stroncare le ribellione con la forza e, se necessario, a colare a picco le navi greche nella stessa rada di Alessandria. Le unità terrestri ammutinate furono circondate, private dell’acqua e affamate. Il 22 aprile il capo dei metaxisti, l’ammiraglio Vulgaris, con un colpo di mano assunse il controllo dell’Ajax. Le altre navi, sotto la minaccia dei cannoni britannici, si arresero. Il generale Paget lanciò i suoi carri armati contro la Prima Brigata, che a sua volta dovette capitolare. Nel giro di pochi giorni circa 20.000 volontari greci dell’esercito del Medio Oriente si ritrovarono nei campi di concentramento dell’Eritrea e della Libia.27

L’esercito greco del Medio Oriente non esisteva più e al suo posto vennero create speciali truppe d’assalto, equipaggiate tecnicamente e addestrate politicamente per la guerra civile che avrebbe seguito la “Liberazione”.

Dobbiamo registrare come la censura britannica abbia soppresso i rapporti di questo episodio nella stampa. Non fu un episodio minore, fu anzi molto significativo – il che spiega la violenta risposta delle autorità britanniche – e rivelatore dei miti sulla “difesa nazionale” e la “unità nazionale”.  I 20.000 volontari volevano “difesa” ed “unità”, ma i loro capi non ne volevano sapere e li schiacciarono. I fatti svelarono le menzogne sulla “guerra contro il fascismo e per la libertà e la democrazia”. Per i greci Metaxas era un odiato dittatore fascista, mentre la politica di Churchill era quella di restaurare il dominio delle forze su cui Metaxas si era basato.

Le osservazioni di Trotskij del 1940 sulla guerra acquisiscono qui concretezza: i soldati greci del Medio Oriente volevano battersi, armi alla mano, contro il fascismo, e rifiutavano di farlo agli ordini di fascisti. Pretesero ufficiali che godessero della loro fiducia, strinsero un’alleanza col movimento operaio e costituirono i loro organismi di tipo sovietico. È precisamente sulle linee definite da Trotskij (“Battersi, sì, ma non alla Petain o sotto i vari Petain”) che si manifesta il movimento di massa sorto dalla guerra, il quale si sviluppa, come previsto da Trotskij, in quell’importante settore della “società militarizzata” che è l’esercito – non meno importante delle fabbriche.

Dopo i colloqui a Mosca ed i mercanteggiamenti al termine dei quali Stalin si impegnò lasciare a Churchill mano libera in Grecia, toccò al KKE e, attraverso di esso, all’EAM mettere la corda al collo dello straordinario movimento di massa greco, dopo avere contribuito politicamente alla repressione degli ammutinati.

Dopo la crisi dell’aprile 1944, il governo in esilio al Cairo fu affidato a Georgios Papandreu, che diede impulso al movimento anticomunista. Sotto la sua pressione, i dirigenti dell’EAM e dell’ELAS firmarono il 30 maggio 1944 la “Carta del Libano”, che condannava il terrorismo dell’ELAS e l’indisciplina degli ammutinati (tra i quali, in conseguenza, fioccarono numerose condanne), lasciava aperta la questione monarchica, e accettava un comando unificato delle forze armate, oltre al ristabilimento dell’ordine “al fianco delle truppe alleate” nel corso della liberazione.

Per molte settimane l’EAM-ELAS fu recalcitrante e cercò di trattare, chiedendo posti ministeriali e un cambiamento del primo ministro. Tuttavia l’arrivo di una missione sovietica guidata dal colonnello Popov pose fine a questi brontolii rancorosi. Il KKE e l’EAM accettarono di entrare nel governo senza alcuna condizione. Quando le forze tedesche si ritirarono da Atene il 12 ottobre 1944, il KKE fece appello al popolo greco per “mantenere l’ordine pubblico” e assicurò il passaggio dei poteri nelle mani di Papandreu, arrivato con le truppe britanniche, nonostante l’ELAS a quel tempo esercitasse il potere reale in tutto il paese.

Il 2 dicembre fu Churchill a provocare la Resistenza, quando ordinò al generale Scobie, il comandante delle forze alleate, di mantenere intatte le formazioni militari dei collaborazionisti come i “Battaglioni di Sicurezza”, impedendo qualsiasi epurazione, e di assicurarsi che il governo Papandreu fosse in grado di portare avanti il disarmo dell’ELAS. Il 3 dicembre una manifestazione a piazza Sintagma contro il disarmo, la più grande manifestazione della storia greca, fu attaccata dalla polizia, che aprì il fuoco facendo dozzine di morti e centinaia di feriti. Seguirono trentatré giorni di combattimenti ad Atene tra le forze dell’ordine, radunate attorno a Scobie, e quelle della Resistenza locale.

Winston Churchill realizzò infine il suo piano di strangolamento della rivoluzione greca, annunciando che interveniva per prevenire un orribile massacro ed impedire ciò che definiva la vittoria del “trotskismo aperto e trionfante”, con un sogghigno di complicità nei confronti di Stalin.28 A partire dal 3 dicembre le unità dell’ELAS, i cui capi avevano deciso di non consegnare le armi, furono paralizzate dall’ordine di non sparare contro le truppe britanniche, che erano lì “per la volontà del Presidente Roosevelt e del Maresciallo Stalin”, come Churchill sottolineava. Gli andartes in Macedonia, le truppe d’assalto e le forze sulle montagne ricevettero l’ordine di non muoversi e di lasciar massacrare i combattenti di Atene. L’eroismo con cui questi si batterono non poté nulla contro la politica dei dirigenti, fermamente decisi a condurli alla capitolazione, così come Mosca chiedeva.

L’accordo di Varkiza del 15 febbraio 1945 stabilì che tutte le forze della Resistenza fossero disarmate, ma l’ELAS di Atene non si sottomise. Le altre forze dell’ELAS non si erano mosse a loro sostegno. Questa volta Aris Velouchiotis comprese l’enormità del tradimento orchestrato dal KKE e rifiutò di sottomettersi. Denunciato dal giornale del KKE Rizopastis il 12 giugno, venne assassinato il 16 e due giorno dopo la sua testa fu esposta pubblicamente nei villaggi. Quanti altri combattenti della resistenza nazionale e popolare caddero allora sotto i colpi dei britannici e delle formazioni controrivoluzionarie che i tedeschi avevano formato ad Atene e gli inglesi al Cairo? Ciò nonostante sarebbero stati necessari ancora diversi anni di tradimenti stalinisti per esaurire il potenziale combattivo della rivoluzione greca.

 

I trotskisti durante la guerra

Non ci poniamo qui il compito di intraprendere un esame esaustivo delle politiche dei trotskisti durante la seconda guerra mondiale o di confrontarla con le politiche che Trotskij abbozzò a grandi linee poco prima di morire, e di cui i suoi compagni generalmente erano all’oscuro a quell’epoca. Questo sarà oggetto di studi più ampi. La mia ignoranza del greco mi impedisce di utilizzare le valide ricerche svolte in Grecia sull’attività dei trotskisti durante la guerra. Speriamo di colmare questa lacuna.

Nell’attesa, bisogna guardarsi da ogni giudizio affrettato. A partire dal 4 agosto 1936 i trotskisti subirono una repressione feroce: i militanti trotskisti, nella maggioranza dei casi, furono arrestati e rinchiusi in prigioni dalla quali molti di loro non sarebbero più usciti. Molti dei loro dirigenti, tra cui l’ex segretario del KKE Pantelis Pouliopoulos, furono uccisi durante l’occupazione. A quanto pare le condizioni della clandestinità furono particolarmente difficili per loro, dal momento che non riuscirono nemmeno a mettere in pratica l’unificazione delle loro tre organizzazioni, che era stata concordata dalle rispettive direzioni nel 1938.

Nel migliore dei casi, i militanti trotskisti conosciuti, quando riuscivano ad unirsi alle unità dell’ELAS, erano rigidamente sorvegliati e scrupolosamente isolati. Quelli che riuscirono a conquistarsi un ruolo dirigente nell’ELAS o nell’Esercito del Popolo furono rimossi in un modo o nell’altro dagli stalinisti. Inoltre, tra ottobre e dicembre 1944, l’OPLA, in tutto e per tutto una GPU greca, lanciò una campagna di sterminio contro i trotskisti. In tutto il paese gli agenti dell’OPLA rapirono, torturarono e assassinarono militanti come Stavros Veroukhis, segretario dell’Unione degli Invalidi di Guerra, e Thanassis Ikonomou, ex segretario dell’organizzazione giovanile comunista di Ghazi; anche portuali, operai e insegnanti subirono il loro stesso destino. “Più di 800 trotskisti ammazzati”, si sarebbe vantato Barziotas, membro dell’Ufficio Politico del KKE, nel 1947.

Non possediamo i mezzi per verificare la politica dei trotskisti greci e capire come avrebbero potuto sfuggire a questa terribile sorte. René Dazy cita un testo del 1943 in una pubblicazione trotskista greca:

“Gli anglo-americani verranno per riconsegnare alla borghesia greca il potere statale. Gli sfruttati non avranno fatto altro che cambiare un giogo con un altro.”29

Benché fosse effettivamente così, è evidente che i trotskisti greci, accontentandosi di profezie negative e non inserendosi nel movimento delle masse, si condannarono a morte.

All’indomani degli eventi del dicembre 1944, Michel Raptis (meglio conosciuto come Pablo, NdT), all’epoca segretario europeo della Quarta Internazionale, scrivendo con lo pseudonimo di M. Spero richiamò le parole di Trotskij sull’epoca della lotta armata, rendendo omaggio all’azione delle masse greche, quando “un vento rivoluzionario soffiava nei quartieri e nei sobborghi proletari di Atene”, ed assicurando che “essa rimarrà uno degli esempi più splendidi del movimento proletario”. Raptis non fece però menzione di quello che stavano facendo i trotskisti greci, spiegando tra l’altro che “malgrado l’ideologia da fronte popolare e democratica e il carattere piccolo-borghese della sua direzione”, l’EAM “manteneva un’enorme autonomia di classe nell’azione.”30 Non si troverà niente di più ed anzi molto meno nei testi e nelle risoluzioni successive della Quarta Internazionale.

Andreas Kedros, storico della Resistenza greca dalle idee per nulla chiare sullo stalinismo, sottolineò la profondità e la rilevanza internazionale del “colpo di Stato di Atene”, “un contraccolpo”, scrive, per “tutti i movimenti di resistenza ispirati dai partiti comunisti.” Questo significa che, come Kedros afferma, la repressione britannica in Grecia abbia “pesato fortemente sulle decisioni e le tattiche di Thorez, Togliatti e simili”?31 Questa visione non può essere accettata, perché le loro tattiche e le loro decisioni erano determinate da quegli stessi fattori che avevano determinato le tattiche del KKE, fattori che erano stati stabiliti a Mosca. È altresì del tutto verosimile che la sconfitta greca abbia rafforzato la politica stalinista di capitolazione e di restaurazione dell’ordine capitalista nell’Europa occidentale e abbia pesato in maniera rilevante e in senso negativo su coloro che, ovunque in Europa, avevano identificato “lotta nazionale” con la “lotta sociale” e avevano creduto di aver trovato, unendosi alla Resistenza, la strada per la rivoluzione. Bisognerebbe, ma non è possibile in questo articolo, analizzare concretamente questi sviluppi in ogni paese europeo.

Ciò detto, un esame dei documenti raccolti da Rodolphe Prager in I congressi della Quarta Internazionale fornisce il materiale essenziale per una riflessione sulla storia della Quarta Internazionale durante la guerra – mancano solo le posizioni iniziali dell’ex Parti Communiste Internationaliste (sezione francese della Quarta Internazionale tra il 1944 e il 1968, NdT) e della sua tendenza sorella guidata da Vereeken in Belgio. Prager scrive nell’introduzione al secondo volume:

A chi potesse dubitare della necessità di fondare la Quarta Internazionale in un’epoca di riflusso, con deboli forze, la guerra ha dato una risposta categorica. La Quarta Internazionale fronteggiò coraggiosamente la violenza e le persecuzioni sia dei regimi “democratici” che di quelli fascisti, oltre che gli attacchi contro le sue organizzazioni da parte dei banditi stalinisti. Essa rimase fedele alle sue convinzioni rivoluzionarie. Malgrado le gravi perdite patite e qualche inevitabile defezione individuale, è notevole che non solo abbia mantenuto le sue forze, ma le abbia anche accresciute e rinnovate significativamente, negli USA, in Gran Bretagna e in altri paesi. Sebbene non sia riuscita a penetrare tra le masse come aveva sperato, a causa dei limiti delle situazioni rivoluzionarie e dell’ascesa dello stalinismo, essa vide comunque la nascita di nuove sezioni.32

Fu senza dubbio un risultato degno di nota, ma in netto contrasto con quanto Trotskij aveva scritto all’inizio della guerra, ad esempio sugli Stati Uniti:

“La classe operaia americana non ha a tutt’oggi un partito operaio di massa. La situazione oggettiva e l’esperienza accumulata dagli operai americani, però, possono porre all’ordine del giorno nel giro di breve tempo la questione della conquista del potere. È su tale prospettiva che dobbiamo impostare la nostra agitazione. Non si tratta semplicemente di prendere una posizione sul militarismo capitalista e sul rifiuto di difendere lo Stato borghese, ma della preparazione diretta per la presa del potere e la difesa della patria socialista.” 33

E ancora:

Davanti a noi abbiamo una prospettiva favorevole, che fornisce ogni giustificazione alla militanza rivoluzionaria. Bisogna utilizzare tutte le situazioni che si presenteranno e costruire il partito rivoluzionario. 34

Di fronte alla nettezza di tali affermazioni non è possibile per lo storico limitarsi a richiamare “i limiti delle situazioni rivoluzionarie” e “l’ascesa dello stalinismo”, o suggerire la presenza “di elementi che Trotskij non poteva prevedere”. Anche se non siamo in grado di darne una spiegazione, dobbiamo per lo meno riconoscere questa contraddizione e valutare se fu Trotskij ad essere nel torto oppure se lo furono i trotskisti.

Prager indica inoltre che la Politica Militare Proletaria – la politica adottata dal SWP su consiglio di Trotskij – suscitò un’opposizione diffusa all’interno della Quarta Internazionale. Egli cita il fatto che la sezione belga censurò diversi paragrafi su tale questione nell’edizione clandestina del manifesto del maggio 1940 e menziona le “riserve” della sezione francese e del Segretariato Europeo.35

Nel 1940 i trotskisti francesi erano divisi in due correnti sulla base di prospettive che in ultima analisi erano tanto distanti tra loro quanto entrambe lontane da quella di Trotskij. Seguendo la concezione per cui la sconfitta dell’imperialismo francese e l’occupazione del territorio francese avevano provocato non solo l’oppressione nazionale, ma anche la rinascita di un’autentica “questione nazionale” concernente tutte le classi, proprio come in un paese coloniale, la maggioranza dei militanti provenienti dal Parti Ouvriere Internationaliste (gruppo trotskista francese, che nel 1944 era confluito nel Parti Communiste Internationaliste, NdT) raggruppati attorno ai comitati che pubblicavano La Vérité, delineò una strategia secondo cui la borghesia di un paese occupato diventava l’alleato naturale del movimento operaio e quest’ultimo doveva quindi dedicarsi interamente alla “resistenza nazionale”. Al contrario il gruppo La Seule Voie (La sola strada), proveniente dal Parti Communiste Internationaliste e che successivamente sarebbe diventato la Courant Communiste International, negava che una nazione imperialista potesse trasformarsi, in seguito ad una disfatta militare, in una nazione oppressa e riteneva che le rivendicazioni nazionali fossero “l’importazione in seno al proletariato dell’ideologia borghese al fine di demoralizzarlo.”

Queste due posizioni opposte erano in un certo senso il risultato dell’isolamento. Furono gradualmente abbandonate sotto l’impulso del Segretariato europeo, diretto inizialmente da Marcel Hic e poi, dopo il suo arresto nell’ottobre 1943, da Michel Raptis. La costituzione nel febbraio 1942 del Segretariato europeo nel villaggio di Saint-Hubert, nelle Ardenne belghe, costituì senz’altro un exploit politico e organizzativo nell’Europa di quel periodo; e significò anche il ritorno ad un’organizzazione in grado di ragionare e funzionare sul piano internazionale. I due diversi punti di vista stavano rapidamente convergendo nel 1944, benché la Courant Communiste International continuasse a sostenere che il compito prioritario dei rivoluzionari in quel periodo fosse quello di denunciare ferocemente la union sacré (l’unità nazionale, NdT), spiegare agli operai che dovevano prepararsi ad un nuovo “giugno ‘36” su scala mondiale e allo stesso tempo condurre un’agitazione per la fraternizzazione con gli operai tedeschi. A proposito della questione che ci interessa in questo articolo, Rodolphe Prager sintetizza piuttosto bene il tipo di “consenso” raggiunto sulla questione della lotta armata:

“I rapporti con la Resistenza ufficiale […] non potevano prendere altra forma che quella dell’indipendenza, a meno di essere d’accordo col ‘fronte dei francesi’. Ma ci si doveva premurare dal confondere questa struttura col movimento di massa e da accomunarli nella stessa critica. Questi rapporti non potevano nemmeno escludere una partecipazione individuale a questo movimento per influenzare alcuni dei partecipanti […]. Senza dubbio questo lavoro non è stato sviluppato a sufficienza, sia per mancanza di forze sia perché i trotskisti hanno dato la precedenza alla lotta nelle fabbriche. Esso non avrebbe di certo modificato in maniera significativa i rapporti di forza ed il corso degli eventi. Gli insuccessi dei trotskisti non furono essenzialmente dovuti a errori tattici o di altro tipo, ma alla loro posizione controcorrente e all’influenza dello stalinismo sulle masse.” 36

Evidentemente in questa concezione il richiamo di Trotskij alla linea della lotta armata e l’invito ai rivoluzionari socialisti a diventare “militaristi” per svolgere il loro ruolo nel mondo militarizzato, sono assenti, o al massimo relegati al ruolo secondario dei “partigiani”, del tutto subordinato alla “lotta nelle fabbriche”. Nell’assenza dell’analisi sviluppata da Trotskij sulla “militarizzazione”, la scoperta dell’attrazione esercitata sulle masse dalla “lotta armata” pose molti problemi: così la risoluzione del 1943 del Segretariato europeo provvisorio sul movimento partigiano – adottata nella sua interezza dalla conferenza europea del 1944 – riconosceva il “carattere parzialmente spontaneo” di quest’ultimo, affermando che i bolscevico-leninisti erano  ora “obbligati a prendere in considerazione questa forma di lotta”. La risoluzione definiva il “movimento di guerriglia” come una “organizzazione militare subordinata all’imperialismo anglo-sassone”, ma constatava che “la partecipazione delle masse nei paesi balcanici ed in Occidente, data la deportazione massiccia di manodopera in Germania, sebbene non abbia cambiato il carattere di questo movimento” richiedeva che i rivoluzionari proponessero un programma al fine di “fare comprendere che essi [i partigiani] dovevano giocare il ruolo di distaccamenti armati al servizio della rivoluzione proletaria.37 Questa risoluzione arrivava decisamente troppo tardi.

Si potrebbe ipotizzare che ci fosse una profonda differenza tra le posizioni degli europei, quali le riassume Prager, e quelle degli americani, che applicavano sistematicamente la Politica Militare Proletaria invocata da Trotskij nei loro incontri e nelle loro risoluzioni durante gli anni ‘40. In realtà, su questo terreno come su quello delle prospettive generali si esprime una comunanza del tutto particolare. James P. Cannon, attaccato da Munis per la maniera “opportunista” con cui avrebbe presentato l’atteggiamento del SWP verso la guerra al processo dei suoi dirigenti a Minneapolis, iniziato il 27 ottobre 1941, rispose nel maggio 1942:

“Le masse oggi, a causa di ogni genere di pressione e inganno e del perfido ruolo della burocrazia sindacale, così come dei rinnegati socialisti e stalinisti, accettano e sostengono la guerra, cioè agiscono con la borghesia e non con noi. Il problema del nostro partito è in primo luogo quello di comprendere questo dato di fatto elementare; in secondo luogo, di prendere una posizione di “opposizione politica” e dopo, su questa base, di cercare di approcciarsi ai lavoratori onestamente patriottici e tentare di farli passare dal campo della borghesia al nostro per mezzo della propaganda. È questa l’unica “azione” che noi possiamo intraprendere per il momento, in quanto piccola minoranza.”38

Se mettiamo da parte due testi pubblicati in quel periodo da Jean van Heijenoort, allora segretario della Quarta Internazionale, con lo pseudonimo di Marc Loris,39 potremmo concludere che all’infuori di lui, che era stato per anni a diretto contatto con il modo di pensare non dogmatico di Trotskij, nessuno nell’Internazionale o attorno ad essa avesse compreso la questione della militarizzazione.40 Ognuno a modo suo, sia Jean Rous col suo Movimento Nazionale Rivoluzionario,41 che Marcel Hic con le sue tesi sulla questione nazionale nei comitati per la Quarta Internazionale,42 non riuscì a centrare il punto, mentre le altre tendenze si rinchiusero in un’ortodossia paralizzante e corsero i rischi denunciati con tanto vigore da Trotskij riguardo alle tendenze “pacifiste”.

All’infuori del veterano dell’Opposizione di sinistra russa Tarov (A.A. Davtian), che sotto la falsa identità di Manouchian aderì individualmente ai FTP-MOI (Francs Tireurs Partisans – main d’ouvre immigré, gruppo partigiano composto da stranieri presenti in Francia e diretto dagli stalinisti, NdT) e fu fucilato assieme ad altri membri del gruppo che da lui prese il nome, non possiamo trovare che un solo esempio contrario. Si tratta di Chen Du Xiu (ex segretario del Partito comunista cinese negli anni ‘20, passato successivamente nella fila dell’Opposizione di Sinistra, Ndt), che subito dopo essere uscito di prigione, grazie alla sua perspicacia decise di intervenire nel dipartimento politico di una divisione dell’esercito, il cui comandante comprendeva quanto l’efficienza militare dipendesse dalla chiarezza politica.43 Il tentativo fu stroncato sul nascere, perché la polizia del Kuomintang ne aveva compreso il pericolo meglio degli stessi compagni di Chen.

Nello stesso ordine di idee, la titubanza con cui i trotskisti si approcciarono alla resistenza ci suggerisce un altro interessante spunto di studio: come era concepita la rivoluzione dalla Quarta Internazionale durante la guerra? Talvolta sembra che fosse concepita più come un evento apocalittico, destinato a verificarsi indipendentemente dalle circostanze, piuttosto che come un obiettivo per cui bisognava lavorare. La preparazione quasi esclusivamente “propagandista”, con il ricorso alle armi della “denuncia” e della “spiegazione” – che erano evidentemente le attività principali di un’organizzazione i cui dirigenti sentivano di “nuotare controcorrente” – aveva instillato nei suoi quadri questa convincimento?

La straordinaria debolezza della risoluzione del SWP del novembre 1943 non era il frutto, almeno in parte, di questo isolamento “propagandista”?44 Come potevano porsi a favore della corrente, dopo la svolta nello sviluppo della situazione oggettiva, uomini che assicuravano che il Cremlino non avrebbe potuti giocare un ruolo controrivoluzionario su vasta scala, che l’imperialismo americano in Europa avrebbe giocato nell’immediato futuro il medesimo ruolo predatorio dell’imperialismo tedesco, che l’unica alternativa in Europa era tra il governo operaio e la dittatura brutale della borghesia, senza alcuna possibilità di un regime parlamentare, e che respingevano le parole d’ordine democratiche sostenendo che non ci fossero più “illusioni democratiche” nella classe operaia europea? Possiamo spingerci oltre e dire che se i trotskisti, dopo aver seguito questa linea per anni, si fossero trovati alla testa, o almeno all’interno, di un movimento rivoluzionario, sarebbero stati costretti a revisionare l’ABC degli insegnamenti del marxismo e del bolscevismo e ad ammettere la correttezza del punto di vista difeso da sempre dai settari, per cui il ruolo dei rivoluzionari nei periodi di reazione consiste nel limitarsi alla propaganda attendendo che l’oscillazione del pendolo della lotta di classe gli porti le masse.

Quello che è sotto la superficie di questa discussione sui problemi cruciali – o che piuttosto manca del tutto in questa discussione – non è tanto la questione del ruolo dello stalinismo, ma quella della costruzione del partito rivoluzionario, come Trotskij l’intendeva nel 1940. La nostra impressione, dopo avere letto i documenti dell’Internazionale del periodo della guerra, è che ci fossero frequenti riferimenti alla questione del partito, ma più sotto forma di formule magiche che di riflessioni sulle cognizioni già acquisite e sull’elaborazione di un metodo di costruzione. Mi sembra – e senza alcun malanimo perché ero tra quelli – che i trotskisti in quel periodo abbiano per lo più imparato come non costruire un partito rivoluzionario.

In una ricerca recente, Tradizione rivoluzionaria e “partito nuovo” in Italia 1942-1945, Serge Lambert ha dimostrato che, contrariamente ad una certa leggenda, la rivoluzione italiana non fu sconfitta in maniera decisiva durante l’effimero dualismo di potere del 1945 tra l’amministrazione alleata e i comitati e le repubbliche partigiane, ma a partire dal 1943, quando l’apparato del “partito nuovo” di Togliatti, messo in piedi dagli uomini di Mosca, schiacciò la resistenza degli sparpagliati gruppi comunisti di opposizione.

Distrutta ogni possibilità di mettere in piedi un partito rivoluzionario, i giochi erano ormai fatti e così i dirigenti del PCI poterono, senza correre pericoli, dare l’ordine per quella che chiamarono “un’’insurrezione contro la rivoluzione”.45 Serge Lambert dimostra inoltre molto bene che la debolezza politica decisiva di numerosi di questi gruppi – alcuni dei quali avevano sviluppato in certe zone formazioni armate più importanti di quelle del PCI – consisteva nell’illusione di una natura “oggettivamente rivoluzionaria” dell’URSS. Secondo questi gruppi, la rivoluzione si sarebbe diffusa man mano che l’Armata Rossa avanzava – una concezione che non troviamo soltanto nel noto articolo de La Vérité del febbraio 1944, ma in tutta la stampa mondiale del movimento trotskista.46

La questione che abbiamo tentato di sollevare in questo articolo non è accademica. Durante la seconda guerra mondiale le organizzazioni trotskiste, tanto i loro militanti quanto i loro dirigenti, furono vittime di una situazione oggettiva che andava oltre le loro possibilità? Non avrebbero potuto fare di più di quanto era stato fatto, cioè sopravvivere arrotondando il numero di militanti e salvando l’onore di internazionalisti, mantenendo controcorrente il lavoro militante di “fraternizzazione” con i lavoratori tedeschi in uniforme?

Se fosse stato così, sarebbe necessario riconoscere che Trotskij, con la sua analisi sulla necessità della militarizzazione e la sua prospettiva per cui nel giro di breve tempo sarebbe stato possibile costruire il partito rivoluzionario e iniziare la lotta per il potere, era completamento isolato nel 1940, non solo da quello che stava davvero accadendo sul piano politico nel mondo, ma anche dalla realtà politica della sua stessa organizzazione. Si sarebbe così cullato in illusioni che gli facevano intravedere possibilità di sfondamento, quando in realtà la Quarta Internazionale era condannata all’impotenza per un lungo periodo, costretta a nuotare controcorrente e a fronteggiare la “presa dello stalinismo sulle masse”.

Tuttavia potremmo anche ipotizzare che al contrario le organizzazioni trotskiste, tanto i militanti quanto i dirigenti, siano state almeno in parte responsabili delle proprie sconfitte. In questo caso potremmo pensare, a partire dalle premesse dell’analisi di Trotskij nel 1940, che con la seconda guerra mondiale si sviluppò un movimento di massa sulla base di una resistenza nazionale e sociale, che gli stalinisti cercarono in ogni modo di deviare o, come nel caso della Grecia, di portare alla distruzione. Una resistenza che i trotskisti non erano in grado né di aiutare né di utilizzare, perché non sapevano come inserirsi in essa e forse perfino perché non avevano compreso il carattere concreto del momento storico in cui vivevano.

Ci sembra che questa questione meritasse di essere posta.

7 settembre 1985

 

Note

1. Questi documenti sono raccolti in Sur la Deuxième Guerre Mondiale di Trotskij, edito per la prima volta da La Taupe in Belgio e ripubblicato nel 1974 da Seuil, Parigi. Alcuni articoli e interviste di Trotskij sono stati tagliati in quelle parti dove non trattavano direttamente della seconda guerra mondiale, ma della guerra civile spagnola e della Quarta Internazionale.

2. La prefazione e il poscritto sono riportati a p.12-14 e p.18-19. Alcuni di questi documenti sono stati pubblicati nell’Internal Bulletin n.5 del Segretariato Europeo, nel 1945. Ci furono reazioni molto forti contro Trotskij da parte di alcuni membri, tra cui un certo “Am” (francese o belga), che inviò alla Segreteria Internazionale un articolo intitolato “Sulla questione della Politica Militare Proletaria: il Vecchio ha ucciso il trotskismo?”. L’articolo definiva la posizione di Trotskij come “puro e semplice sciovinismo”, evidenziava “l’importanza dei suoi errori” e gli attribuiva “la volontà di difendere la madrepatria senza prima rovesciare la borghesia, usando al contempo lo slogan della minaccia imperialista come mezzo di agitazione.” Si spingeva fino a chiedere: “Dobbiamo domandarci apertamente e onestamente se possiamo continuare a chiamarci “trotskisti” nonostante il leader della Quarta Internazionale abbia portato tale nome nel campo dei social-sciovinisti.” L’articolo è conservato nell’archivio del Segretariato Internazionale, in possesso del Leon Trotskij Institute.

3. Lev Trotskij, “Bonapartism, fascism and war, Writings of Leon Trotskij 1939-40, New York, 1977, p.410. Questa versione è stata leggermente modificata: un’altra edizione commentata è presente in The struggle against fascism in Germany, New York, 1971, p.444. La prima pubblicazione del testo, nella forma lasciata incompleta da Trotskij a causa della sua morte, è sul numero della rivista Fourth International dell’ottobre 1940.

4. ibid.

5. ibid.

6. ibid. Il traduttore dell’articolo di Trotskij aggiunse che “molte citazioni di Lenin risalenti a quel periodo combaciano con la descrizione di Trotskij”, citandone due in particolare: “Potrebbero, ad ogni modo, passare cinque anni, dieci anni, o persino ancora di più perché abbia inizio la rivoluzione socialista” (Lenin, The Socialist Revolution and the Right of Nations to Self-Determination, Collected works,vol. 22, Mosca, 1977, p.153) e “Noi della generazione più vecchia potremmo non vivere abbastanza a lungo per assistere alla battaglia decisiva per la rivoluzione.” (Lenin, Lecture on the 1905 Revolution, Collected Works, vol. 23, Mosca, 1974. p. 253)

7. Trotskij, op. cit. p.411

8. op. cit. p.412

9. op. cit. p.414

10. Tali materiali saranno pubblicati nel volume 23 delle Oeuvres, mentre gli articoli e le interviste, compreso “Bonapartismo, fascismo e guerra” sono contenuti nel volume 26. [Cf. Trotskij “Sul futuro delle armate di Hitler”, Writings of Leon Trotskij 1939-40, op.cit., p.406; “Frammenti sui primi sette mesi di guerra”, “Frammenti sull’URSS”, “Prefazione di un libro sulla guerra e sulla pace”, Writings of Leon Trotskij: Supplement 1939-40, New York, 1979, pp.72s]

11. Trotskij, “Discussions with Trotskij”, Writings of Leon Trotskij, op. cit. p.253

12. Trotskij, “How to really defend democracy”, op. cit., p.344-5

13. Trotskij, “Discussions with Trotskij”, op. cit., p.257

14. Trotskij, “We do not change our course”, op. cit., p.297

15. op. cit. p.298

16. ibid.

17. Trotskij, “On the future of Hitler’s Armies”, op. cit., p.406

18. The case of Leon Trotskij, New York, 1969, p.289-90

19. Trotskij, “Discussions with Trotskij”, op.cit, p. 256

20. Trotskij, “Manifesto of the Fourth International on the imperialist war and the proletarian world revolution”, op. cit. p.222

21. A. Kedros, La Resistance Grèque: 1940-44, p.174

22. E. Myers, The Greek entanglement, p.189

23. In La Resistance Grèque, Kedros cita il rapporto stilato da un agente della polizia tedesca quando Ioannis Rallis salì al governo: “Si fa passare per un confidente stretto di Pangalos, che è dalla parte degli inglesi”. Riferendosi alla gerarchia militare semi-fascista del generale Pangalos e di Rallis, Kedros dice che: “Tutti questi uomini e queste formazioni politiche saranno direttamente o indirettamente sotto la supervisione di un consigliere segreto del Re che è anche un prelato: il metropolita di Atene Chrisantios.” (Kedros, op. cit. p.199 e p.179)

24. Svetozar Vukmanovic-Tempo, How and why the people’s Liberation struggle of Greece met with defeat, Londra, 1985, citato in Kedros, op. cit., p.409

25. Eudes, The Kapetanios, New Left Books, 1972, p.75

26. W. Churchill, The Second World War, vol.5, Londra, 1952, p.479. Il resoconto di Churchill mostra chiaramente quanto l’ammutinamento lo preoccupasse e quanto fosse ansioso di schiacciarlo.

27. Le fonti ufficiali del governo in esilio parlano di 10.000 volontari.

28. In un discorso alla Camera dei Comuni tenuto il 19 Dicembre 1944, Churchill difese l’uso specifico del termine “trotskismo”: “Ritengo che ‘trotskismo’ sia la definizione migliore per il comunismo greco e per certe altre sette. Ha il vantaggio di essere odiato anche in Russia.” Al commento seguirono “risate prolungate”.

Il 13 Dicembre Churchill invitò il parlamentare comunista William Gallacher a non mostrarsi troppo entusiasta per la situazione greca, a meno che non volesse essere accusato di “trotskismo”. È interessante sottolineare come Churchill annotò che l’arcivescovo Damaskinos, il cui governo fu più o meno imposto a forza dai britannici, “temeva profondamente il coinvolgimento dei comunisti, o dei trotskisti, come li chiamava lui, negli affari greci.” (Churchill, The Second World War, vol.6, Londra, 1954, p.272)

Churchill notò anche che i massacri di Atene vennero ampiamente e duramente criticati sia dalla stampa e dal Dipartimento di Stato statunitensi, sia dai giornali britannici The Times e Manchester Guardian, ma aggiunse: “Ad ogni modo Stalin mantenne fedelmente l’accordo che avevamo stipulato ad ottobre: durante tutte le lunghe settimane di lotta contro i comunisti nelle strade di Atene, non sopraggiunse una parola di rimprovero dalla Pravda o dall’Izvestia.” (ibid. p.255)

29. R. Dazy, Fusillez les chiens enragés, p.266

30. M. Spiro, “La Révolution gréque”, Quatrième Internazionale, n°14/15, gennaio/febbraio 1945, p. 24. Sullo stesso tema esiste anche un bollettino internazionale interno speciale del gennaio 1945, che non menziona nemmeno l’esistenza di organizzazioni trotskiste in Grecia. Nel febbraio 1945 l’organo del Socialist Worker Party americano, Fourth International, pubblicò un documentato articolo intitolato “Guerra civile in Grecia”. Il paragrafo “Il trotskysmo in Grecia” resta sul generale:

L’ELAS è trotskista solo in un senso – l’istinto rivoluzionario dei suoi indomabili combattenti, la loro capacità di combattere e il loro spirito di sacrificio. Ma il suo programma e la sua direzione non hanno niente a che vedere con il trotskismo.

Più avanti si legge: “I trotskisti collaboreranno per legarsi alle masse ed alle loro lotte”. L’articolo aggiunge che, a causa del regno di terrore instaurato dagli stalinisti, potrebbe volerci un po’ di tempo per realizzare questo obiettivo.

In Quatrième Internazionale, (n° 22-24, di settembre-novembre 1945), una nota che figura come “Grecia” segnala che “sarebbe ora” di informare l’opinione pubblica operaia mondiale sulla campagna di assassinii di militanti rivoluzionari da parte degli stalinisti in Grecia. Segue una prima lista. Fourth International, organo del SWP, nell’ottobre 1945, p. 319, nella colonna “Dentro la Quarta Internazionale”, afferma: “I giornali del partito comunista internazionalista (Quarta Internazionale), il solo partito rivoluzionario in Grecia, sono illegali. I militanti di questo partito sono perseguitati, cacciati e spesso apertamente assassinati sia dal governo che dagli stalinisti.”

In realtà, vi erano delle divergenze tra il Segretariato Internazionale ed i trotskisti greci tanto che, il 25 novembre 1946, M. Raptis, con la firma “Pilar”, scriveva alla sezione greca: “Il punto non è di conformarsi alla lettera ad ogni risoluzione politica dell’Internazionale, ma non è accettabile scavalcare la sua linea su questioni essenziali come quella della tattica verso l’EAM, l’ELAS e gli avvenimenti del dicembre 1944.”

Quatrième Internazionale di ott./nov. 1946 dà un resoconto del congresso di unificazione, a fine luglio 1946, che ha fatto nascere il KDKE (partito comunista internazionalista di Grecia) e pubblica il manifesto del congresso (pp. 40-43): “Malgrado la sua volontà e la sua retorica nazionalista, malgrado la sua politica di conciliazione e collaborazione di classe, il partito di comunista di Grecia ha raggruppato attorno a sé le forze sociali messe in movimento dalla storia e che erano, in ultima analisi, le forze della rivoluzione proletaria”.

Sull’approccio dei trotskisti greci, Prager scrive che essi ebbero “generalmente un approccio di riprovazione del movimento nazionale” da cui presero le distanze e mantennero una posizione di neutralità “ugualmente ostile ad entrambe le fazioni in lotta” durante la guerra civile: “L’errore principale è stato quello di non aver saputo scorgere, al di là delle direzioni borghesi e staliniste, il carattere antimperialista ed anticapitalista che stava emergendo potentemente in questo movimento di massa e la sua dinamica rivoluzionaria. Ignorando questa realtà, i trotskisti non capirono che nel dicembre 1944 il conflitto non poteva essere ridotto a un confronto tra l’imperialismo britannico da una parte e la burocrazia sovietica assieme ai suoi sostenitori dall’altra.” Non è semplice trarre una conclusione definitiva. Abbiamo trovato negli archivi del Segretariato Internazionale una lettera di George Vitsoris, in cui protesta contro l’omissione dal manifesto del congresso di unificazione della parola d’ordine del “ritiro delle truppe britanniche” e considera “inaccettabile” che il manifesto non dica una parola sugli assassinii dei trotskisti ad opera degli stalinisti.

31. A. Kedros, op. cit., p.512

32. R. Prager, op. cit., p. 2. Introduzione assente nell’edizione inglese.

33. Trotskij, Bonapartismo, fascismo e guerra, op. cit., p.414

34. Op. cit., p.413

35. Prager, op. cit., p.13-14

36. Op. cit., p.221-223

37. Op. cit., p.221-223

38. JP Cannon, Socialism on Trial, New York, 1970, p.167

39. Un articolo di Van Heijenoort comparso sui numeri di Fourth International di settembre e novembre 1942, che in una nota della redazione di ottobre venne definito come un articolo “da discutere”. Nell’articolo Dove va l’Europa? scritto nel 1941, Loris sosteneva che la classe lavoratrice avrebbe condotto la lotta contro l’occupazione hitleriana ed enfatizzava il legame dialettico tra liberazione “nazionale” e “sociale” (di fatto la rivoluzione proletaria), mentre criticava le illusioni che potevano sorgere dal movimento di liberazione nazionale.  L’articolo venne pubblicato su La Verité nell’ottobre 1942: “Il compito dei marxisti non è quello di imporre alle masse questo o quel metodo di lotta che loro preferirebbero, ma quello di incentivare, allargare, rendere più sistematica ogni forma di resistenza, di infondergli lo spirito di organizzazione, di fornirgli una prospettiva generale.”

L’articolo sembra criticare i revisionisti europei sulla questione nazionale, mentre quello del 1942 sembra piuttosto essere in polemica con le posizioni dell’SWP. Uno dei documenti scritti da Loris nel 1944 sottolinea come “uno degli insegnamenti del bolscevismo” è il disprezzo per la mera propaganda che si limita a far luce sulle qualità del socialismo, la sua “capacità di percepire le aspirazioni delle masse e avvantaggiarsi dei loro aspetti progressisti” e sapere “come portare avanti attività in grado di strappare le masse dai loro leader e partiti conservatori”. Gran parte della documentazione presa in considerazione nella discussione proviene dalle Tre tesi del IKD (Internationalen Kommunisten Deutschlands, la sezione tedesca della Quarta Internazionale, NdT) sulla questione nazionale. Noi non abbiamo affrontato qui tale questione, che riguarda un revisionismo aperto che nasconde altre divergenze. L’essenziale si trova comunque nel secondo volume della raccolta di Prager.

40. In un articolo scritto quattro anni dopo a presentazione di un numero dei Cahiers Léon Trotsky nuovamente dedicato alla politica della Quarta Internazionale (QI) durante la Seconda Guerra Mondiale, Broué mostrò di aver maturato un giudizio diverso sulla capacità della Workers International League (WIL) di interpretare la politica militare proletaria elaborata da Trotsky. Infatti, rigettando come infondate e settarie le insinuazioni del gruppo dirigente del Socialist Workers Party americano contro un preteso sciovinismo della WIL ed in particolare di Ted Grant, Broué si riferì all’intervento della WIL nell’esercito di Sua Maestà come ad un esempio di politica rivoluzionaria. Così, dopo aver ricordato il ruolo dei trotskisti britannici nelle discussioni d’attualità settimanali promosse nelle caserme dall’Army Bureau for Current Affairs e soprattutto la loro capacità d’azione nei “parlamenti dei soldati” del Cairo e di Bengasi, Broué conclude:

“È questo orientamento audace che spiega la nota affermazione del trotskista Ted Grant: “Viva l’Ottava Armata!”, in un intervento che ne esalta lo “spirito di ribellione”, il che non impedisce alla International Spartacist Tendency di vedervi un’espressione di opportunismo difensivista! Da questa esprienza anche noi possiamo imparare molto, combinando una conoscenza più precisa ed un orizzonte più largo.” (P. Broué, “La Deuxième Guerre mondiale : questions de méthodes”, Cahiers Léon Trotsky, n. 39, settembre 1989, p. 20) [Nota della redazione]

41. Si confrontino La Révolution Française, 1/1940, e i commenti di J. Rabaut in Tout est possible, p.343-344 e di J.P. Joubert in Revolutionaires dans la SFIO, p. 224-226

42. Prager, op. cit., p. 92-101, e M. Dreyfus, “Les Trotskystes pendant la Deuxième Guerre Mondiale”, Le Mouvement Sociale, p. 20-22

43. P. Broué, “Chen Duxiu and the Fourth International, 1938-42”, Revolutionary History, vol. 2, n.4, primavera 1990, p.16-21

44. Il testo di questa risoluzione del comitato nazionale dell’SWP venne pubblicato su Quatrième Internationale, n.11-12-13, settembre-novembre 1944, con il titolo di “Prospettive e compiti della rivoluzione europea”. La pubblicazione era accompagnata da un introduzione che enfatizzava “il notevole accordo tra la linea generale di questo documento e quella della risoluzione della Conferenza Europea del febbraio 1944”.

45. Serge Lambert, Tradition revolutionaire et “Parti Nouveau” Communiste en Italie, 1942-45, tesi in scienze politiche, Grenoble, 1985.

46. Sulla prima pagina del numero clandestino de La Verité del 10 febbraio 1944 si stagliava il titolo “Le bandiere dell’Armata Rossa si uniranno alle nostre bandiere rosse”. Felix Morrow cita questo articolo nel bollettino interno dell’SWP (vol.8, n.8) e menziona che posizioni simili erano adottate dal partito bolscevico-leninista in India, da La Voix de Lenin in Belgio, El Militante in Cile, etc. Naturalmente il fatto che tutti questi gruppi reagissero nello stesso modo non significa che avessero un accordo di principio tra loro: poteva anche esprimere una risposta conservatrice di fronte a pressioni molto forti.

Condividi sui social