La Rivolta della Ragione – Capitolo 6 Il principio di indeterminazione e l’idealismo – Tempo, spazio e moto

Terremoto nel Centro Italia – Basta lacrime di coccodrillo!
29 Agosto 2016
Fertility Day – Le offese e le provocazioni del governo contro la donna
2 Settembre 2016
Terremoto nel Centro Italia – Basta lacrime di coccodrillo!
29 Agosto 2016
Fertility Day – Le offese e le provocazioni del governo contro la donna
2 Settembre 2016
Mostra tutto

La Rivolta della Ragione – Capitolo 6 Il principio di indeterminazione e l’idealismo – Tempo, spazio e moto

di Alan Woods e Ted Grant

 

Il principio di indeterminazione

Einstein, Schrödinger, Heisenberg e altri scienziati che assistettero alla nascita della meccanica quantistica agli inizi del XX secolo suonarono finalmente le campane a morto per la meccanica newtoniana. La meccanica classica non era in grado di spiegare il comportamento delle “particelle elementari”; era necessario sviluppare una nuova matematica.
In questa matematica ci sono concetti come lo “spazio delle fasi” nel quale un sistema è definito come un punto che ha come gradi di libertà delle coordinate e dove giocano un ruolo significativo degli “operatori”, entità incompatibili con grandezze algebriche, nel senso che sono più simili ad operazioni che a grandezze nel senso stretto del significato (infatti esprimono rapporti piuttosto che proprietà fisse). Anche la probabilità gioca un ruolo importante, ma nel senso di “probabilità intrinseca”; questa è una delle caratteristiche essenziali della meccanica quantistica. Infatti i sistemi della meccanica quantistica devono essere interpretati come sovrapposizione di tutte le possibili traiettorie che si possono percorrere.
I quanti si possono definire solo come un insieme di rapporti tra il loro stato “reale” e quello “virtuale”; in questo senso sono puramente dialettici. Misurare queste particelle in un modo o in un altro ci porta solo a scoprire il loro stato “reale”, il che è solo un aspetto dell’insieme (questo paradosso viene spiegato a livello divulgativo con il racconto del “gatto di Schrödinger”). Viene chiamato “collasso della funzione d’onda” ed è espresso dal principio dell’indeterminazione di Heisenberg. Questo modo completamente nuovo di osservare la realtà fisica, spiegato dalla fisica quantistica, fu tenuto in “quarantena” per molto tempo dalle altre discipline scientifiche. Veniva considerato come una specie di meccanica eccezionale, da usare solo per spiegare il comportamento delle particelle elementari, l’eccezione alla regola della meccanica classica, considerato quindi priva di qualsiasi importanza.
Al posto delle certezze di una volta ora regnava l’indeterminatezza. I movimenti apparentemente casuali delle particelle subatomiche, con le loro velocità inimmaginabili, non si potevano spiegare nei termini della vecchia meccanica. Quando una scienza entra in un vicolo cieco, quando non è più in grado di spiegare i fatti, si prepara il terreno per una rivoluzione e per l’emergere di una nuova scienza. Tuttavia una nuova scienza nella sua forma iniziale non è ancora completamente sviluppata. Solo dopo un certo periodo emerge nella sua forma finale e completa. Inizialmente sono praticamente inevitabili un certo grado di improvvisazione e interpretazioni diverse e spesso contraddittorie.
Negli ultimi decenni si è aperto un dibattito tra la cosiddetta interpretazione “stocastica” (“casuale”) della natura e quella determinista. Il problema fondamentale sta nel fatto che la necessità e il caso vengono trattati come opposti assoluti, che si escludono a vicenda. Così facendo si arriva a due punti di vista opposti, nessuno dei quali è sufficiente a spiegare l’opera complessa e contraddittoria della natura.
Il fisico tedesco Werner Heisenberg sviluppò una sua versione particolare della meccanica quantistica. Nel 1932 ricevette il premio Nobel per la fisica per la sua elaborazione della “meccanica delle matrici” che descriveva i livelli di energia delle diverse orbite degli elettroni puramente in termini numerici senza far ricorso alle figure. Così facendo sperava di superare i problemi causati dalla contraddizione tra “particelle” e “onde” abbandonando qualsiasi tentativo di visualizzare il fenomeno e trattandolo puramente come un’astrazione matematica. La meccanica ondulatoria di Erwin Schrödinger si occupava esattamente dello stesse cose di cui si occupava la meccanica delle matrici di Heisenberg, ma senza il bisogno di ritirarsi nel mondo dell’astrazione matematica assoluta. La maggior parte dei fisici preferirono l’approccio di Schrödinger, che sembrava molto meno astratto, non senza ragione. Nel 1944 il matematico ungaro-americano John von Neumann dimostrò che la meccanica ondulatoria e la meccanica delle matrici erano equivalenti matematici e potevano rendere gli stessi risultati.
Heisenberg fece alcuni importanti passi in avanti nella meccanica quantistica. Tuttavia, tutto il suo approccio era permeato da un desiderio di imporre alla nuova scienza la propria forma particolare di idealismo filosofico. Da ciò nacque la cosiddetta “interpretazione di Copenaghen” della meccanica quantistica. In realtà si trattava di un tipo di idealismo soggettivo, velatamente camuffato come scuola di pensiero scientifico. Isaac Asimov avrebbe scritto che “Werner Heisenberg, in Germania, sollevò un problema profondo, che proiettava le particelle, anzi la stessa fisica, quasi nel regno dell’inconoscibile”.1 È questa la parola giusta. Qui non stiamo parlando dello sconosciuto, che è sempre presente nella scienza. Tutta la storia della scienza è storia del passaggio dallo sconosciuto al conosciuto, dall’ignoranza alla conoscenza. La difficoltà seria nasce quando si confonde lo sconosciuto con l’inconoscibile; c’è una differenza fondamentale tra le espressioni “non sappiamo” e “non possiamo sapere”. La scienza parte dal concetto fondamentale che il mondo oggettivo esiste e lo possiamo conoscere. Ciò nonostante, in tutta la storia della filosofia ci sono stati ripetuti tentativi di porre un limite alla conoscenza umana, di affermare che ci sono certe cose che per un motivo o per l’altro “non possiamo conoscere”. Kant, per esempio, dichiarava che possiamo solo conoscere le apparenze, ma non le Cose-in-sé. Con ciò stava seguendo le orme dello scetticismo di Hume, dell’idealismo soggettivo di Berkeley e dei sofisti greci: che non possiamo conoscere il mondo.
Nel 1927 Werner Heisenberg propose il suo celebre “principio dell’indeterminazione”, secondo il quale è impossibile determinare esattamente e nello stesso istante sia la posizione che la velocità di una particella. Quanto più esattamente si determina la posizione di una particella, tanto meno esattamente si può sapere la velocità, e viceversa (questo vale anche per altre coppie di proprietà specifiche). La difficoltà di stabilire esattamente posizione e velocità di una particella che viaggia a 8.000 km al secondo in varie direzioni è ovvia. Tuttavia, dedurre da ciò che a livello generale il principio di causa/effetto (causalità) non esiste è un’asserzione totalmente falsa.
Egli si chiese: come possiamo determinare la posizione di un elettrone? Guardandolo. Ma guardarlo con un potente microscopio significa colpirlo con una particella di luce, un fotone. Dato che la luce si comporta come una particella, essa modificherà inevitabilmente la quantità di moto della particella sotto osservazione. Dunque, anche solo osservandolo lo si cambia. Il disturbo sarà imprevedibile e incontrollabile, dato che (almeno secondo l’attuale teoria quantistica) non c’è modo di sapere o di controllare in anticipo l’angolo esatto con cui il quanto di luce verrà diffuso nella lente. Ottenere una determinazione esatta della posizione richiede l’uso di luce ad onde corte, la quale trasferisce all’elettrone una quantità di moto grande ma imprevedibile ed incontrollabile. Invece per ottenere una determinazione precisa della quantità di moto occorrono quanti di luce con una bassissima quantità di moto (e dunque ad onde lunghe), il che comporta un angolo di diffrazione largo e dunque una cattiva definizione della posizione. Quanto più esattamente viene definita la posizione, tanto meno esattamente si può definire la quantità di moto, e viceversa.
Possiamo dunque risolvere questo problema sviluppando nuovi tipi di microscopi elettronici? Secondo la teoria di Heisenberg no. Dato che tutta l’energia è in forma di quanti e tutta la materia si comporta sia come onda che come particella, qualsiasi tipo di dispositivo che usiamo sarà dominato da questo principio di indeterminazione. In verità, il termine indeterminazione è inesatto, dato che non si afferma solo che non possiamo essere precisi per i problemi di misurazione. La teoria implica che tutte le forme della materia sono indeterminate a causa della loro stessa natura. Come dice David Bohm nel suo libro Causality and Chance in Modern Physics (La causalità e il caso nella fisica moderna):
Così la rinuncia alla causalità nell’interpretazione usuale della teoria quantistica non si dovrebbe considerare semplicemente come un risultato della nostra incapacità di misurare i valori esatti delle variabili che dovrebbero entrare nell’espressione delle leggi causali al livello atomico, ma piuttosto come conseguenza del fatto che non esistono tali leggi.”
Invece di vederla come un aspetto speciale della teoria quantistica in una particolare fase del suo sviluppo, Heisenberg presentò l’indeterminazione come legge fondamentale ed universale della natura e suppose che tutte le altre leggi della natura avrebbero dovuto adeguarsi ad essa. Questo è totalmente diverso dall’approccio della scienza in passato, quando essa si trovava di fronte a problemi legati a fluttuazioni irregolari ed a movimenti casuali. A nessuno viene in mente l’idea che sia possibile determinare il movimento esatto di una singola molecola di gas, o prevedere tutti i dettagli di un particolare incidente stradale. Ma mai prima si era fatto un serio tentativo di dedurre da questi fatti l’inesistenza della causalità in generale.
Eppure dal principio dell’indeterminazione siamo invitati a trarre proprio questa conclusione. Successivamente scienziati e filosofi idealisti hanno sviluppato il concetto per cui a livello generale la causalità non esiste, vale a dire che non esistono causa ed effetto; la natura viene presentata come una cosa totalmente senza causa in cui tutto succede a caso. L’intero universo diventa imprevedibile. “Non possiamo essere certi” di niente.
Invece, si presume che in qualsiasi esperimento, il risultato esatto che si otterrà sarà totalmente arbitrario nel senso che non ha nessun rapporto con qualsiasi altra cosa che esista al mondo o che sia mai esistita”.2
Questa posizione è la negazione totale, non solo della scienza, ma del pensiero razionale in generale. Se non ci sono causa ed effetto, diventa impossibile non solo prevedere qualsiasi cosa, ma anche spiegarla; ci dobbiamo limitare solo a descrivere ciò che c’è. Anzi, non possiamo fare nemmeno questo, dato che non possiamo neanche essere sicuri dell’esistenza di qualsiasi cosa al di fuori di noi stessi e dei nostri sensi. Questo ci riporta di nuovo alla filosofia dell’idealismo soggettivo. Ci ricorda il ragionamento dei filosofi sofisti della Grecia antica: “Non posso conoscere niente sul mondo. Se posso conoscere qualcosa non lo posso capire. Se lo posso capire non lo posso esprimere”.
Il “principio dell’indeterminazione” in realtà rappresenta la natura altamente elusiva del movimento delle particelle subatomiche, che non possono essere sottomesse al tipo di equazioni e misurazioni semplicistiche della meccanica classica. Il contributo di Heisenberg alla fisica è indubbio. Si mettono in discussione invece le conclusioni filosofiche che ha tratto dalla meccanica quantistica. Il fatto che non siamo in grado di misurare con esattezza la posizione e la quantità di moto di un elettrone non implica minimamente che non ci sia oggettività. Il pensiero soggettivo permea la cosiddetta scuola di Copenaghen della meccanica quantistica. Niels Bohr arrivò perfino a dichiarare che “è sbagliato pensare che il compito della fisica sia scoprire come è la natura. La fisica riguarda solo ciò che possiamo dire su di essa.”
Il fisico John Wheeler sostiene che “nessun fenomeno è un vero fenomeno finché non diventa un fenomeno osservato”. E Max Born elabora la stessa filosofia soggettivistica con assoluta chiarezza:
Alla generazione a cui apparteniamo io, Einstein e Bohr è stato insegnato che esiste un mondo fisico oggettivo, che si sviluppa secondo leggi immutabili indipendenti da noi; osserviamo questo processo come il pubblico che segue un’opera teatrale. Einstein ancora crede che dovrebbe essere questo il rapporto tra l’osservatore scientifico ed il suo soggetto.3
Qui non si tratta di una valutazione scientifica, ma di un’opinione filosofica che rispecchia un determinato modo di vedere il mondo, l’idealismo soggettivo, che permea tutta l’interpretazione di Copenaghen della teoria quantistica. Alcuni eminenti scienziati, e questo dice molto a loro favore, si opposero a questo soggettivismo che si contrappone a tutto il metodo e al punto di vista scientifici. Tra questi c’erano Einstein, Max Planck, Louis de Broglie ed Erwin Schrödinger, i quali hanno giocato un ruolo nello sviluppo della nuova fisica almeno tanto importante quanto quello di Heisenberg.

L’oggettività contro il soggettivismo

Indubbiamente l’interpretazione di Heisenberg della fisica quantistica era fortemente influenzata dalla sua visione filosofica. Già da studente Heisenberg era stato un idealista cosciente, e ammetteva di essere stato particolarmente colpito dal Timeo di Platone (l’opera in cui l’idealismo di Platone viene espresso nel modo più oscurantista) mentre combatteva nelle fila del reazionario Freikorps contro i lavoratori tedeschi nel 1919. Successivamente dichiarò di essere “molto più interessato alle idee filosofiche che al resto” e che era necessario “liberarsi dell’idea di processi oggettivi nel tempo e nello spazio”. In altre parole l’interpretazione filosofica di Heisenberg era lontana dall’essere il risultato oggettivo della sperimentazione scientifica. Era chiaramente legata alla filosofia idealista, che egli applicava coscientemente alla fisica e che determinava la sua visione.
Questo tipo di filosofia va contro non solo alla scienza ma a tutta l’esperienza dell’umanità. Non solo manca di qualsiasi contenuto scientifico, ma risulta anche perfettamente inutile in pratica. Gli scienziati che di regola preferiscono tenersi lontani dalla speculazione filosofica, fanno un piccolo inchino cortese verso Heisenberg e poi semplicemente continuano la loro opera di investigazione della natura e delle sue leggi, dando per scontato non solo che esiste, ma anche che funziona secondo leggi definite, incluse quelle di causa ed effetto, le quali, con un certo sforzo, possono essere capite perfettamente e perfino previste dagli uomini. Le conseguenze reazionarie di questo idealismo soggettivistico si vedono nell’evoluzione di Heisenberg stesso. Egli giustificò la sua collaborazione attiva coi nazisti in base all’idea che “non vi sono generali linee guida cui potersi attenere. Dobbiamo decidere da noi, e non possiamo sapere in anticipo se faremo bene o male.”4
Dal canto suo Erwin Schrödinger non negava l’esistenza di fenomeni casuali nella natura in generale o nella meccanica quantistica. Egli menziona specificamente l’esempio della combinazione casuale delle molecole di DNA nel momento del concepimento di un bambino, dove giocano un ruolo le caratteristiche quantistiche del legame chimico. Tuttavia, fece obiezione all’interpretazione standard di Copenaghen sulle implicazioni dell’esperimento delle “due fessure”, per cui le onde di probabilità di Max Born implicavano che si doveva rinunciare all’oggettività del mondo, cioè all’idea che il mondo esista indipendentemente dalla nostra osservazione.
Schrödinger ridicolizzò l’affermazione di Heisenberg e Bohr secondo cui quando un elettrone o un fotone non viene osservato, “non ha posizione” e si materializza ad un determinato punto come conseguenza dell’osservazione. Per contrastarla concepì un noto “esperimento del pensiero”: prendete un gatto e mettetelo in una scatola con una fiala di cianuro. Disponete anche un contatore Geiger che, nel momento in cui segnala il decadimento di un atomo, fa scattare un meccanismo per cui la fiala si rompe. Secondo Heisenberg l’atto di osservare un evento determina l’evento stesso – in questo caso il decadimento dell’atomo. Dunque, finché qualcuno non apre la scatola e guarda dentro, secondo gli idealisti, il gatto non è né morto né vivo! Con questo aneddoto Schrödinger intendeva sottolineare le contraddizioni assurde che si venivano a creare se si accettava l’interpretazione idealista soggettivistica di Heisenberg della fisica quantistica. I processi nella natura si svolgono oggettivamente, siano osservati o no da esseri umani.
Secondo l’interpretazione di Copenaghen, la realtà esiste solo quando la osserviamo. Altrimenti esiste in una specie di limbo, o “stato di sovrapposizione di onde di probabilità”, come il nostro gatto vivo-e-morto. L’interpretazione di Copenaghen traccia una linea di distinzione netta tra l’osservatore e l’osservato. Alcuni fisici, basandosi sull’interpretazione di Copenaghen, concludono che la coscienza deve esistere e che l’idea della realtà materiale senza coscienza sia impensabile. Questo è esattamente il punto di vista dell’idealismo soggettivistico a cui Lenin diede una risposta esauriente nel suo libro Materialismo ed empirio-criticismo.
Il materialismo dialettico parte dall’oggettività dell’universo materiale, che conosciamo attraverso la percezione sensoriale. “Interpreto il mondo attraverso i miei sensi.” Questo è evidente, ma il mondo esiste indipendentemente dai miei sensi. Anche questo è evidente, ma non lo è per la filosofia borghese moderna! Uno dei filoni principali della filosofia del XX secolo è il positivismo logico, che nega precisamente l’oggettività del mondo materiale. Per essere più precisi, considera che la questione dell’esistenza o no del mondo sia irrilevante e “metafisica”. Il punto di visto idealista soggettivistico è stato completamente minato dalle scoperte della scienza del XX secolo. L’atto di osservazione vuol dire che i nostri occhi ricevono energia da una fonte esterna nella forma di onde luce (fotoni). Questo fu spiegato chiaramente da Lenin nel 1908-9:
Se il colore è una sensazione soltanto in quanto dipende dalla retina (come vi costringono a riconoscere le scienze naturali), allora i raggi della luce producono la sensazione del colore, in quanto cadono sulla retina. Ciò significa che al di fuori di noi, indipendentemente da noi e dalla nostra coscienza, esiste un movimento della materia, diciamo, onde dell’etere di una determinata lunghezza e di una determinata velocità che, agendo sulla retina, producono nell’uomo la sensazione di un determinato colore. Questo è precisamente il modo con cui vedono le cose le scienze naturali. Esse spiegano le varie sensazioni di questo o quel colore con la differente lunghezza delle onde luminose, esistenti al di fuori della retina umana, al di fuori dell’uomo, indipendentemente da esso.
Proprio questo è il materialismo: la materia, agendo sui nostri organi sensori, produce la sensazione. La sensazione dipende dal cervello, dai nervi, dalla retina, ecc. ecc., cioè dalla materia organizzata in un modo determinato. L’esistenza della materia non dipende dalle sensazioni. La materia è primaria. La sensazione, il pensiero, la coscienza sono il prodotto più elevato della materia organizzata in un determinato modo. Queste sono le concezioni del materialismo in generale e di Marx ed Engels in particolare”.5
Il carattere idealista soggettivistico del metodo di Heisenberg è alquanto esplicito:
La nostra situazione attuale nel campo della ricerca in fisica atomica è generalmente questa: desideriamo capire un determinato fenomeno, desideriamo conoscere come questo fenomeno si deduce dalle leggi generali della natura. Dunque, quella parte della materia o della radiazione che partecipa al fenomeno è ‘l’oggetto’ naturale nel trattamento teorico e andrebbe separato dagli strumenti utilizzati per studiare il fenomeno. Questo sottolinea ancora una volta un elemento soggettivo nella descrizione di eventi atomici, dato che lo strumento di misurazione è stato costruito dall’osservatore e dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura in sé ma la natura così come viene rivelata dal nostro metodo di indagine. La nostra opera scientifica nella fisica consiste nel fare domande sulla natura nel linguaggio che possediamo e nel tentare di ottenere una risposta dalla sperimentazione coi mezzi a nostra disposizione.”6
Kant costruì una barriera impenetrabile tra il mondo delle apparenze e la realtà “in sé”. Ma Heisenberg va più in là. Non parla solo della “natura in sé”, ma sostiene perfino che non possiamo conoscere quella parte della natura che è osservabile, dato che la cambiamo con lo stesso atto di osservazione. Così facendo Heisenberg tenta di abolire del tutto il criterio dell’oggettività scientifica. Purtroppo, molti scienziati che negherebbero sdegnati l’accusa di misticismo hanno assimilato senza critiche le idee filosofiche di Heisenberg, semplicemente perché non sono disposti ad accettare la necessità di un approccio filosofico coerentemente materialista verso la natura.
Tutta la questione sta nel fatto che le leggi della logica formale non sono valide oltre certi limiti. Questo vale sicuramente per i fenomeni del mondo subatomico dove i princìpi di identità, di contraddizione e del terzo escluso non si possono applicare. Heisenberg difende il punto di vista della logica formale e dell’idealismo, e dunque arriva inevitabilmente alla conclusione che i fenomeni contraddittori a livello subatomico non possono essere compresi affatto dal pensiero umano. La contraddizione non sta però nei fenomeni osservati a livello subatomico, ma negli schemi mentali antichi ed inadeguati della logica formale. I cosiddetti “paradossi della meccanica quantistica” sono precisamente questo. Heisenberg non accetta l’esistenza delle contraddizioni dialettiche e dunque preferisce ricorrere al misticismo filosofico: “non possiamo conoscere”, e così via.
Qui ci troviamo di fronte ad una specie di gioco di prestigio filosofico. Il primo passo è quello di confondere il concetto di causalità con il vecchio determinismo meccanico proposto da Laplace e altri. I limiti di questa scuola di pensiero sono stati spiegati e criticati da Engels nella Dialettica della natura. Le scoperte della meccanica quantistica distrussero finalmente il vecchio determinismo meccanico. I tipi di previsioni fatti dalla meccanica quantistica sono alquanto diversi da quelli della meccanica classica. Eppure la meccanica quantistica continua a fare previsioni e ne ottiene risultati esatti.

Causalità e casualità

Uno dei problemi che deve affrontare chi vuole studiare la filosofia o la scienza è che si usa una terminologia particolare con significati diversi da quelli della vita quotidiana. Uno dei problemi fondamentali nella storia della filosofia è il rapporto tra la libertà e la necessità, una questione complessa, che non è resa più facile dal fatto che si presenta mascherata in maniere diverse: causalità e casualità, necessità e caso, determinismo ed indeterminismo, ecc.
Tutti sappiamo dalla nostra esperienza quotidiana cosa intendiamo per necessità. Quando abbiamo bisogno di fare qualcosa vuol dire che non abbiamo scelta; non possiamo fare diversamente. Il vocabolario definisce la necessità come una serie di circostanze che costringono una cosa ad essere, o ad essere fatta, specialmente in relazione ad una legge dell’universo che non può essere separata dalla vita e dalle azioni dell’uomo, ma che anzi le dirige. Il concetto di necessità fisica implica la nozione di coercizione e di soggezione. Si esprime con frasi del tipo “piegarsi alla necessità”, o in proverbi come “la necessità non conosce alcuna legge”.
Nel senso filosofico, la necessità è strettamente legata alla causalità, al rapporto tra causa ed effetto: una particolare azione o evento necessariamente dà luogo ad un determinato risultato. Ad esempio, se smetto di respirare per un’ora morirò, o se strofino due bastoni tra di loro produrrò del calore. Questo rapporto tra causa ed effetto, confermato da un’infinità di osservazioni e di esperienze pratiche, gioca un ruolo centrale nella scienza. Al contrario, il caso è considerato un evento inaspettato, che accade senza una causa evidente, come quando inciampiamo in una mattonella sconnessa o quando facciamo cadere una tazza in cucina. In filosofia, tuttavia, il caso è una proprietà di una cosa che è meramente un attributo contingente, cioè un qualcosa che non fa parte della sua natura intrinseca. Il caso è qualcosa che non esiste per necessità e che avrebbe potuto anche non succedere.
Facciamo un esempio: se lascio cadere questo foglio di carta, normalmente cadrà verso il suolo a causa della legge della gravità. Questo è un esempio di causalità, di necessità. Ma se uno spiffero improvviso dovesse far volare via il foglio, ciò in generale verrebbe visto come casualità. La necessità è dunque governata dalle leggi e può essere espressa e prevista scientificamente. Le cose che accadono per necessità sono cose che non avrebbero potuto accadere diversamente. Invece gli avvenimenti casuali, le contingenze, sono eventi che potrebbero accadere o non accadere; non sono governati da nessuna legge che possa avere un’espressione chiara e sono per la loro stessa natura imprevedibili.
L’esperienza della vita ci convince che sia la necessità che il caso esistono e che questi giocano un ruolo. La storia della scienza e della società dimostra esattamente la stessa cosa. Tutta l’essenza della storia della scienza sta nella ricerca delle strutture fondamentali della natura. Impariamo presto nella vita a distinguere tra l’essenziale e il non essenziale, il necessario e il contingente. Anche quando incontriamo condizioni eccezionali che ci possono apparire “irregolari” in un dato momento della nostra cognizione, spesso accade che l’esperienza successiva riveli un diverso tipo di regolarità e rapporti causali ancora più profondi, che non erano immediatamente evidenti.
La ricerca di una comprensione razionale del mondo in cui viviamo è legata intimamente alla necessità di scoprire la causalità. Un bambino piccolo, nel processo di apprendimento di come è fatto il mondo, chiederà sempre “perché?” provocando la disperazione nei genitori che spesso non sanno dare una risposta. Sulla base dell’osservazione e dell’esperienza, formuliamo un’ipotesi sulla causa di un dato fenomeno. Ciò sta alla base di tutta la conoscenza razionale. Come regola, queste ipotesi a loro volta danno luogo a previsioni di cose che non sono ancora state vissute. Queste possono poi essere messe alla prova, o dall’osservazione o dall’esperienza. Tutto ciò non è solo la descrizione della storia della scienza, ma anche una parte importante dello sviluppo mentale di ogni essere umano dalla prima infanzia in poi. Dunque abbraccia lo sviluppo intellettuale nel senso più ampio della parola, dai processi di apprendimento fondamentali di un bambino fino agli studi più avanzati sull’universo.
L’esistenza della causalità è dimostrata da un immenso numero di osservazioni. Queste ci permettono di fare importanti previsioni, non solo nella scienza, ma anche nella vita di tutti giorni. Tutti sanno che se si riscalda l’acqua fino a 100°C essa si trasforma in vapore. Ci basiamo su questo concetto quando facciamo un tè, ma sullo stesso concetto si è sviluppata la rivoluzione industriale dalla quale è nata tutta la società moderna. Eppure ci sono dei filosofi e degli scienziati che sostengono seriamente che non si possa dire che il vapore si produce riscaldando l’acqua. Il fatto che siamo in grado di fare delle previsioni su una vasta quantità di avvenimenti è la dimostrazione che la causalità non è soltanto un modo conveniente per descrivere gli avvenimenti, ma, come spiega David Bohm, è un aspetto inerente ed essenziale delle cose. Infatti, è impossibile definire le proprietà delle cose senza far ricorso alla causalità. Ad esempio, quando diciamo che una cosa è rossa, è implicito che intendiamo che reagirà in un determinato modo quando viene sottomessa a condizioni specifiche, cioè l’oggetto rosso viene definito come quello che, esposto alla luce bianca, rifletterà principalmente luce rossa. In modo simile, il fatto che l’acqua diventa vapore quando viene riscaldata, e ghiaccio quando viene raffreddata, è l’espressione di un rapporto causale qualitativo che fa parte delle proprietà essenziali di questo liquido, senza il quale non potrebbe essere acqua. Le leggi matematiche generali del moto di corpi sono allo stesso modo proprietà essenziali di questi corpi, senza le quali non potrebbero essere quello che sono. Possiamo fare un numero illimitato di questi esempi. Per capire il perché e il come la causalità sia così strettamente legata alle proprietà essenziali delle cose, non è sufficiente considerare le cose isolate e in maniera statica. È necessario prendere le cose così come sono, come sono state, e come saranno per necessità nel futuro, cioè è necessario analizzare le cose come un processo.
Per capire avvenimenti particolari non è necessario specificare tutte le cause. Anzi, è impossibile. Il tipo di determinismo assoluto proposto da Laplace aveva già ricevuto una risposta anticipata da Spinoza in questa citazione spiritosa:
Per fare degli esempi: se da una qualche sommità una pietra sia caduta sulla testa di qualcuno uccidendolo, dimostreranno che la pietra è caduta per uccidere quell’uomo, nel modo che segue. Infatti, se non fosse caduta a quello scopo, per volontà di Dio, in quale modo tante circostanze (poiché spesso molte circostanze concorrono simultaneamente) avrebbero potuto concorrere nel determinare la caduta? Forse risponderai che ciò è accaduto perché il vento soffiava e quell’uomo passava di là. Ma insisteranno: perché il vento soffiava in quel momento? e perché quell’uomo passava di là in quello stesso momento? Se di nuovo rispondi che il vento si era levato allora perché il giorno precedente il mare, essendo il tempo ancora tranquillo, aveva cominciato ad agitarsi; e che quell’uomo era stato invitato da un amico; insisteranno ancora, dato che non vi è alcun termine alle domande: ma perché il mare si era agitato? e perché quell’uomo era stato invitato per quell’ora? e così di seguito non cesseranno di cercare le cause delle cause fino a che non ti sarai rifugiato nella volontà di Dio, e cioè nell’asilo dell’ignoranza. Così anche manifestano stupore nel vedere la struttura del corpo umano e poiché ignorano le cause di tanta arte concludono che essa non è stata costruita con un’arte meccanica, bensì divina o soprannaturale e che è costituita in modo tale che una parte non leda l’altra. E così avviene che colui il quale ricerca le vere cause dei miracoli e si sforza di intendere le cose naturali come dotto e non di ammirarle come uno stolto, per lo più è considerato e dichiarato come eretico ed empio da coloro che il volgo adora quali interpreti della natura e degli Dei. Sanno infatti che, eliminata l’ignoranza, viene tolto anche lo stupore, cioè l’unico mezzo che essi abbiano di argomentare e di difendere la propria autorità.7

Meccanicismo

Il tentativo di eliminare ogni contingenza dalla natura porta necessariamente ad una visione meccanicistica. Nella filosofia meccanicistica del ’700, rappresentata nella scienza da Newton, la semplice idea della necessità fu elevata a principio assoluto. Veniva vista come perfettamente semplice, libera da ogni contraddizione e senza irregolarità.

L’idea che la natura sia governata da una serie di leggi è profondamente vera, ma limitarsi a questa idea è insufficiente. È necessario capire concretamente come operano queste leggi della natura nei fatti. L’approccio meccanicistico sviluppò una visione unilaterale dei fenomeni naturali, il che rifletteva il livello dello sviluppo scientifico dell’epoca. Il livello più alto raggiunto da questo metodo è stata la meccanica classica che tratta di processi relativamente semplici, causa ed effetto, inteso come la semplice azione esterna di un corpo solido su di un altro, leve, equilibrio, massa, inerzia, spinta, pressione, ecc. Per quanto fossero importanti queste scoperte, erano chiaramente insufficienti per arrivare ad un’idea precisa sul complesso funzionamento della natura. Più avanti, le scoperte della biologia, in particolar modo dopo la rivoluzione darwiniana, resero possibile un approccio diverso ai fenomeni scientifici, che corrispondeva ai processi più flessibili e complessi della materia organica.
Nella meccanica newtoniana classica il moto viene trattato come una cosa semplice. Se conosciamo in un dato momento le diverse forze che incidono su di un determinato oggetto in movimento, possiamo prevedere esattamente come agirà in futuro.
Questo porta al determinismo meccanicistico, il cui esponente più noto fu Simon de Laplace, il matematico francese del ’700, la cui teoria dell’universo è in realtà identica all’idea della predestinazione presente in diverse religioni, in particolare in quella calvinista.
Nei suoi Saggi filosofici sulle probabilità, Laplace scrisse:
Un’intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta da sottoporre questi dati ad analisi abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell’universo e quelli dell’atomo più leggero: per essa non ci sarebbe nulla d’incerto e il futuro come il passato sarebbe presente ai suoi occhi”.8
La difficoltà nasce dal metodo meccanicistico lasciato in eredità alla fisica del ’900 dalla fisica dell’800. In questo metodo la necessità e la casualità venivano considerati rigidamente opposti, l’uno escludeva l’altro. Una cosa o un processo era o accidentale o necessario, ma non le due cose insieme. Questo metodo fu sottomesso ad una profonda indagine analitica da Engels nella Dialettica della natura, dove egli spiega che il determinismo meccanicistico di Laplace porta inevitabilmente al fatalismo e ad una concezione mistica della natura:
E dopo di ciò si dichiara che unicamente il necessario ha interesse scientifico, e che il casuale è indifferente alla scienza. Cioè: ciò che si può descrivere usando delle leggi matematiche, ciò che quindi si conosce, è interessante; ciò che non si può ricondurre sotto leggi, ciò che quindi si conosce, è interessante; ciò che non si riesce a ricondurre sotto leggi, ciò che quindi non si conosce, è indifferente, può essere trascurato. Con ciò cessa ogni scienza, perché la scienza deve indagare proprio quello che noi non conosciamo. Cioè: tutto ciò che si può ricondurre a leggi generali, passa per necessario, e ciò che non si può, per casuale. Ognuno vede che questa è scienza della stessa specie di quella che spaccia per naturale ciò che riesce a spiegare e si libera di ciò che per essa è inspiegabile attribuendolo a cause soprannaturali; rimane completamente indifferente per la sostanza della cosa il fatto che io chiami caso la causa dell’inspiegabile o che la chiami Dio. Tutt’e due le espressioni sono un modo di dire: io non so, e non appartengono perciò alla scienza. Quest’ultima cessa, là dove viene a mancare il nesso necessario.9
Engels fa notare che tale determinismo meccanicistico riduce effettivamente la necessità al livello della casualità. Se ogni avvenimento insignificante viene posto allo stesso livello di importanza e di necessità della legge universale della gravità, tutti le leggi fondamentali della natura si trovano allo stesso livello insignificante:
Secondo tale concezione nella natura impera solo la semplice necessità diretta. Il fatto che questo baccello di piselli contiene cinque piselli e non quattro o sei; che la coda di questo cane è lunga cinque pollici, e non è di una linea più lunga o più corta; che questo fior di trifoglio quest’anno è stato fecondato da un’ape e quello no, ed esattamente da questa data ape e in questo dato momento; che questo determinato seme di dente di leone portato via dal vento ha germogliato e quello no; che una pulce la notte passata mi ha punto alle quattro della mattina e non alle tre o alle cinque e proprio sulla spalla destra, non invece sul polpaccio sinistro: tutti questi sono fatti che si sono prodotti per una concatenazione irrevocabile di cause ed effetti; per un’incrollabile necessità: tale, precisamente, da comportare che già la sfera gassosa, dalla quale è sorto il sistema solare, fosse disposta in modo che questi avvenimenti dovessero avvenire così e non altrimenti. Anche con questa specie di necessità non usciamo fuori dalla concezione teologica della natura. Se noi chiamiamo ciò, con Agostino e Calvino, l’eterno consiglio di Dio, o, con i turchi, il Kismet, oppure se lo chiamiamo invece necessità, la cosa non cambia davvero per la scienza. Di un’analisi della catena causale non è il caso di parlare in nessuno di questi casi; ne sappiamo quindi tanto quanto prima sia in un caso che nell’altro, la cosiddetta necessità resta un vuoto modo di dire, e con ciò anche il caso resta quello che era.
Laplace credeva che, se avesse potuto scoprire le cause di tutto nell’universo, avrebbe potuto abolire del tutto la contingenza. Per molto tempo si credeva che i meccanismi dell’intero universo si potessero ridurre a poche equazioni relativamente semplici. Uno dei limiti della teoria della meccanica classica è che essa presume che non ci siano influenze esterne sul moto di determinati corpi. In realtà, tuttavia, ogni corpo è influenzato e determinato da tutti gli altri corpi. Niente può essere considerato separatamente da tutto il resto.
Oggigiorno le posizioni di Laplace possono sembrare stravaganti e irragionevoli. Ma il fatto è che simili stravaganze si notano in ogni fase della storia della scienza, dove ogni generazione crede fermamente di possedere “la verità assoluta”. E questo non è del tutto sbagliato; le idee di ogni generazione sono infatti la verità assoluta, per quel periodo. Ma quando facciamo questa affermazione stiamo dicendo solo: “Questo è il punto in cui siamo arrivati nella comprensione della Natura, con le informazioni e capacità tecnologiche che possediamo attualmente”. Dunque, non è scorretto pretendere che queste verità siano assolute per noi in questo momento dato che non possiamo basarci su nient’altro.

L’Ottocento

All’epoca la meccanica classica di Newton rappresentava un enorme passo avanti per la scienza. Per la prima volta, le leggi del moto di Newton resero possibili previsioni quantitative precise, che potevano essere confermate dai fenomeni osservati. Tuttavia, fu proprio questa precisione che portò nuovi problemi quando Laplace ed altri tentarono di applicarle all’insieme dell’universo. Laplace era convinto che le leggi di Newton fossero valide a livello assoluto ed universale. In questo c’era un doppio errore. Prima di tutto perché non si consideravano le leggi di Newton come approssimazioni applicabili in determinate circostanze. In secondo luogo perché Laplace non prese in considerazione la possibilità che in circostanze diverse, in aree della fisica non ancora studiate, queste leggi forse avrebbero dovuto essere modificate o ampliate. Il determinismo meccanicistico di Laplace presumeva che una volta che si conoscevano le posizioni e le velocità in un dato momento il comportamento futuro dell’intero universo sarebbe stato stabilito una volta per sempre. Secondo questa teoria, tutta la ricca diversità delle cose si poteva ridurre ad un insieme assoluto di leggi quantitative basate su poche variabili.
La meccanica classica espressa dalle leggi del moto di Newton riguarda la semplice relazione di causa ed effetto, per esempio in riferimento all’azione isolata di un corpo su un altro. Ma si tratta di un fenomeno impossibile nella realtà, poiché nessun sistema meccanico è mai completamente isolato; le influenze esterne compromettono inevitabilmente il carattere esclusivo della connessione. Anche se potessimo isolare il sistema, si determinerebbero comunque dei disturbi inerenti al moto a livello molecolare, e altri disturbi al livello ancora più profondo della meccanica quantistica. Come osserva Bohm:
“Non esistono casi noti di un insieme di relazioni causali perfette tra due corpi che potrebbero, in linea di principio, rendere possibili previsioni di precisione assoluta, senza la necessità di prendere in considerazione insiemi qualitativamente nuovi di fattori causali esistenti al di fuori del sistema di interesse o a livelli diversi”.10
Tuttavia, questo non implica che sia impossibile formulare qualsiasi previsione. Quando miriamo ad un bersaglio, il singolo proiettile non giungerà precisamente al punto individuato dalla legge del moto di Newton, ma un gran numero di colpi sparati si concentreranno in un’area limitata vicina al punto previsto. Pertanto, all’interno di un dato margine di errore, inevitabile, è possibile formulare previsioni molto precise. Se volessimo ottenere precisione assoluta in questo ambito, scopriremmo un insieme sempre crescente di fattori che influenzano il risultato: irregolarità nella struttura di fucile e pallottola, minuscole variazioni di temperatura, pressione, umidità, correnti d’aria, e persino nel movimento molecolare di tutti questi fattori.
È dunque necessario un certo grado di approssimazione, che non prenda in considerazione l’infinità di fattori che occorrono per la previsione assolutamente precisa di un determinato risultato. Questo richiede necessariamente un’astrazione dalla realtà, come avviene nella meccanica newtoniana. Comunque, la scienza procede continuamente, passo dopo passo, alla scoperta di leggi sempre più precise che ci consentono di acquisire una conoscenza sempre più profonda dei processi naturali e, dunque, di pervenire a previsioni sempre più precise. L’abbandono del vecchio determinismo meccanicista di Newton e Laplace non comporta l’abolizione della causalità, bensì una comprensione più profonda del modo in cui essa funziona.
Le prime crepe nella scienza newtoniana fecero la loro comparsa nella seconda metà del XIX secolo, soprattutto attraverso la teoria dell’evoluzione elaborata da Darwin e il lavoro del fisico austriaco Ludwig Boltzmann sull’interpretazione statistica dei processi termodinamici. I fisici si sforzarono di descrivere con metodi statistici sistemi multi-particella come gas o fluidi. La statistica, tuttavia, veniva intesa come un mezzo ausiliario nel caso che, per ragioni pratiche, fosse impossibile raccogliere informazioni relative alle proprietà del sistema (per esempio, tutte le posizioni e velocità delle particelle di un gas in un momento dato).
Durante il XIX secolo si assistette allo sviluppo della statistica, prima nelle scienze sociali e poi nella fisica, per esempio nella teoria dei gas, in cui casualità e determinazione possono entrambe essere rinvenute nel movimento delle molecole. Da una parte, le singole molecole sembrano muoversi in modo del tutto casuale; dall’altra quando si tratta di un gran numero di molecole che compongono il gas queste sembrano comportarsi in un modo che obbedisce a precise leggi dinamiche. Come spiegare questa contraddizione? Se il movimento delle singole molecole che costituiscono il gas è casuale e pertanto non può essere previsto, il comportamento di un gas non dovrebbe essere altrettanto imprevedibile?
La legge della trasformazione della quantità in qualità fornisce la risposta a questo problema. Dal movimento apparentemente casuale di un gran numero di molecole sorgono una regolarità ed un comportamento che si possono esprimere in forma di legge scientifica. Dal caos nasce l’ordine. La relazione dialettica tra libertà e necessità, caos e ordine, casualità e determinazione, era del tutto ignorata dalla scienza del XIX secolo, che considerava le leggi relative ai fenomeni casuali (statistica) del tutto separate e distinte dalle equazioni esatte della meccanica classica.
Ogni liquido o gas – scrive Gleick – è una collezione di parti singole, in numero così grande da poter essere ben infinite. Se ogni parte si muovesse indipendentemente, il fluido avrebbe un numero di possibilità infinitamente grande, in gergo un numero infinitamente grande di ‘gradi di libertà’, e le equazioni che descrivono il moto dovrebbero occuparsi di un numero infinitamente grande di variabili. Non è però vero che ogni particella si muova indipendentemente; il suo movimento dipende moltissimo da quello delle particelle vicine e in un flusso regolare i gradi di libertà possono essere pochi”.11
Per molto tempo, la meccanica classica funzionò perfettamente e rese possibili importanti sviluppi tecnologici; perfino oggi essa conserva un gran numero di applicazioni. Tuttavia, ad un certo punto ci si rese conto che alcune aree non potevano essere adeguatamente investigate attraverso l’impiego di questi metodi; essi avevano raggiunto il loro limite. Il mondo logico ed ordinato della meccanica classica descrive solo una parte della natura. In natura vediamo ordine, ma anche disordine. Accanto ad organizzazione e stabilità esistono forze altrettanto rilevanti che tendono verso la direzione opposta. È dunque necessario, in questi casi, ricorrere alla dialettica per determinare le relazioni tra necessità e casualità, per individuare a che punto l’accumulazione di minuscoli mutamenti apparentemente insignificanti si traduca in improvvisi cambiamenti a livello qualitativo.
Bohm propose un ripensamento radicale della meccanica quantistica, unitamente ad un nuovo modo di considerare il rapporto tra il tutto e le parti.
In questi studi […] divenne chiaro che perfino il sistema con un solo corpo aveva una caratteristica fondamentalmente non meccanica, nel senso che esso e il suo ambiente dovevano essere intesi come un insieme indivisibile, e dunque che la consueta analisi classica del sistema più il suo ambiente, considerato questo come esterno e separato, non fosse più applicabile”. Il rapporto fra le parti “dipende fondamentalmente dallo stato dell’insieme, in un modo che non si può esprimere in termini delle proprietà delle singole parti. Anzi, le parti stesse sono organizzate in modi che dipendono dall’insieme.12
La legge dialettica della trasformazione di quantità in qualità esprime l’idea che la materia si comporti in modo differente a differenti livelli. Abbiamo quindi il sistema molecolare, le cui leggi vengono studiate dalla chimica ma in parte anche dalla fisica; abbiamo il livello della materia organica, studiata soprattutto dalla biologia; il livello subatomico, studiato dalla meccanica quantistica e perfino un ulteriore livello, più profondo di quello delle particelle elementari, che viene attualmente indagato dalla fisica delle particelle. Ciascuno di questi livelli presenta suddivisioni ulteriori.
È stato dimostrato che le leggi che governano i diversi livelli della materia non sono le stesse. Ciò era già emerso chiaramente nel corso del XIX secolo con la teoria cinetica dei gas; se consideriamo un gas contenuto all’interno di un recipiente, composto da miliardi di molecole che si muovono secondo percorsi irregolari e in collisione costante, è chiaramente impossibile determinare il movimento preciso delle singole molecole. In primo luogo, è da escludersi per motivi puramente matematici. Tuttavia, seppure fosse possibile risolvere i relativi problemi matematici, nella pratica sarebbe impossibile misurare posizione iniziale e velocità di ogni singola molecola, cosa che sarebbe necessaria per formulare previsioni esatte a riguardo. Persino una leggera modificazione nell’angolo iniziale di una sola molecola modificherebbe la sua direzione, conducendo così ad un cambiamento ancora maggiore nella collisione successiva e così via, fino a provocare errori grossolani nella previsione del movimento della singola molecola.
Se tentassimo di applicare lo stesso tipo di ragionamento al comportamento dei gas al livello macroscopico (“normale”), si potrebbe concludere che sia altrettanto impossibile prevedere il loro comportamento; invece il comportamento dei gas ad un livello macroscopico è del tutto prevedibile. Come osserva Bohm:
È chiaro che sia perfettamente ammissibile parlare di un livello macroscopico che possiede un insieme di qualità relativamente autonome che costituiscono in effetti un insieme di leggi macroscopiche casuali. Per esempio, se consideriamo una certa massa d’acqua, sappiamo per esperienza diretta che essa si comporta nel modo proprio dei liquidi, cioè che presenta tutte le caratteristiche macroscopiche che associamo allo stato liquido. Essa scorre, “bagna”, tende a conservare un certo volume; nel suo movimento, essa tende a soddisfare un insieme di equazioni fondamentali dell’idrodinamica che si esprimono unicamente in termini di proprietà macroscopiche, quali pressione, temperatura, densità locale, velocità locale. Pertanto, se si vuole arrivare a comprendere le proprietà di una certa massa d’acqua, non la si analizza in quanto aggregato di molecole, quanto piuttosto come entità esistente a livello macroscopico, sulla base delle leggi proprie di questo livello”.
Questo non significa che la composizione molecolare non abbia nulla a che vedere con il comportamento dell’acqua. Al contrario, la relazione tra le molecole determina, ad esempio, se essa si manifesti allo stato liquido, solido o di vapore. Però, come osserva Bohm, esiste una relativa autonomia, che fa sì che la materia si manifesti in modo diverso ai differenti livelli; esiste
una certa stabilità nel comportamento caratteristico a livello macroscopico, che tende a preservarsi non soltanto più o meno indipendentemente rispetto al comportamento delle singole molecole, ma anche rispetto ai diversi disturbi esterni cui il sistema è soggetto”.13

È possibile formulare previsioni?

Quando lanciamo una moneta in aria, esiste una possibilità del 50% che esca testa o croce: si tratta qui di un fenomeno effettivamente casuale, che non si può prevedere. (Per inciso, nel momento in cui è in aria, la moneta non è su testa né su croce ma, come osserverebbe la dialettica o, più recentemente, anche la nuova fisica, essa è contemporaneamente su testa e croce.) Poiché ci sono solo due possibili risultati, predomina la casualità; però la situazione cambia radicalmente laddove si passi a considerare i grandi numeri. I proprietari delle case da gioco, la cui attività si basa apparentemente sulla “casualità”, sanno che nel lungo periodo zero e doppio zero usciranno altrettanto frequentemente che gli altri numeri, pertanto essi potranno fare grandi profitti. Allo stesso modo le compagnie di assicurazione ottengono enormi profitti sulla base di probabilità che in ultima analisi si traducono in vere e proprie certezze, quantunque non si possa prevedere il destino individuale dei singoli clienti.
Il concetto di “eventi casuali di massa” si può applicare ad una grande varietà di fenomeni fisici, chimici, biologici e sociali, dal sesso dei neonati alla frequenza di difetti nella produzione alla catena di montaggio. Le leggi della probabilità hanno una lunga storia e sono state usate in passato in diversi campi: la teoria degli errori (Gauss), la teoria della precisione nello sparo (Poisson, Laplace) e, soprattutto, in statistica. Per esempio, la “legge dei grandi numeri” stabilisce il principio generale che l’azione casuale di un gran numero di fattori accidentali produce, per una larga parte di tali fattori, risultati che sono quasi del tutto indipendenti dalla probabilità. Questo concetto, già individuato nel 1713 da Bernoulli e generalizzato in forma di teoria da Poisson nel 1837, assunse nel 1867, con Cebyscev, la sua formulazione definitiva. Il contributo di Heisenberg fu quello di applicare le formule matematiche già note relative agli eventi casuali su larga scala al movimento delle particelle subatomiche, dove, come prevedibile, l’elemento della casualità venne rapidamente superato.
Poiché la meccanica quantistica ha scoperto leggi precise e meravigliose che governano la probabilità, è con questi numeri che la scienza supera l’ostacolo costituito dalla sua fondamentale indeterminatezza. È con questi mezzi che la scienza può fiduciosamente operare previsioni. Benché debba umilmente dichiararsi incapace a prevedere l’esatto movimento di singoli elettroni o protoni o altre entità fondamentali, può tuttavia dire con estrema sicurezza e precisione come si comportino grandi quantità di questi elementi.14
Dall’apparente casualità emerge un modello ricorrente. È la ricerca di tali modelli, ossia di una legge, che costituisce le basi dell’intera storia della scienza. Naturalmente, se accettassimo l’idea che tutto sia assolutamente casuale, che non ci sia causalità alcuna e che, comunque, non siamo in grado di stabilire nulla perché incontriamo limiti oggettivi alla nostre possibilità di conoscenza, dunque l’intera operazione sarebbe un’enorme spreco di tempo. Fortunatamente, l’intera storia della scienza dimostra che queste preoccupazioni non hanno la benché minima base. Nella grande maggioranza delle osservazioni scientifiche il grado di indeterminatezza è così piccolo che, per le applicazioni pratiche, può essere del tutto ignorato; a livello della vita quotidiana, il principio di indeterminatezza si dimostra assolutamente inutile. Pertanto, tutti i tentativi di trarne conclusioni filosofiche generali da applicare a scienza e conoscenza sono semplicemente una perversione. Perfino a livello subatomico, questo non implica che non si possano formulare previsioni esatte; al contrario, la meccanica quantistica è in grado di fare previsioni molto precise. È impossibile raggiungere un alto livello di certezza nelle coordinate delle singole particelle, che, potremmo dire, rispondono ad assoluta casualità; tuttavia, alla fine, dalla casualità emergono ordine ed uniformità.
Casualità, probabilità, contingenza, non si possono definire esclusivamente in termini di proprietà note degli oggetti presi in considerazione e, tuttavia, ciò non implica che esse non si possano comprendere. Consideriamo un tipico esempio di evento casuale, ossia un incidente automobilistico. Il singolo incidente è determinato da un numero infinito di eventi casuali: se l’autista fosse partito un minuto più tardi, se non avesse voltato un attimo la testa, se avesse guidato più lentamente, se l’anziana signora non avesse attraversato la strada, e quant’altro, come ben sappiamo. Proprio per questa ragione, l’evento singolo è del tutto imprevedibile: è accidentale e non necessario, poiché avrebbe potuto accadere oppure no. Tali eventi, contrariamente a quanto afferma la teoria di Laplace, sono determinati da un tale numero di fattori indipendenti che non è possibile prevederli.
Comunque, quando si prenda in considerazione un gran numero di tali incidenti, il panorama cambia drasticamente, poiché esistono tendenze regolari, che si possono individuare e calcolare con precisione per mezzo di leggi statistiche. Non possiamo prevedere il singolo incidente, ma possiamo prevedere con grande precisione il numero di incidenti che si verificheranno in una città in un dato periodo di tempo e dunque introdurre leggi e regolamenti che, per quanto possibile, intervengano a ridurne la frequenza. Pertanto, si può dire che esistano leggi che governano la casualità, altrettanto necessarie di quante governano la causalità.
La relazione effettiva che lega casualità e probabilità fu individuata da Hegel, che spiegava come la necessità si esprimesse attraverso la casualità. Un buon esempio di questo fenomeno è proprio l’origine della vita; lo scienziato russo Oparin spiega come, nelle complesse condizioni del primo periodo della storia della Terra, il movimento casuale delle molecole tendesse a formare molecole sempre più complesse con ogni genere di combinazioni casuali. Ad un certo punto, questo numero immenso di combinazioni casuali produsse un salto qualitativo notevole, ossia la costituzione della materia organica. Raggiunto ciò il processo non fu più una questione di semplice casualità: la materia organica cominciò ad evolversi secondo determinate regole che riflettevano le mutate condizioni. Come osserva Bohm a proposito della relazione tra causalità ed accidentalità:
Vediamo, dunque, l’importante ruolo della casualità. Poiché, dato un tempo sufficiente, si rendono possibili e, anzi, inevitabili, combinazioni di tutti i tipi. Una di queste combinazioni, che mette in moto un processo irreversibile o almeno una linea tendenziale di sviluppo che sottraggano il sistema all’effetto delle fluttuazioni di probabilità, ad un certo punto finirà per verificarsi. Pertanto, uno degli effetti della casualità è quello di ‘smuovere le cose’, consentendo la combinazione degli elementi in modo tale da permettere l’inizio di linee di sviluppo qualitativamente nuove.
Polemizzando contro l’interpretazione soggettiva e idealista della meccanica quantistica, Bohm dimostra in modo definitivo la relazione dialettica tra causalità e casualità. L’esistenza della causalità è stata dimostrata da tutta la storia del pensiero umano. Non si tratta qui di speculazione filosofica, bensì dell’esperienza pratica e del processo infinito della conoscenza umana:
Le leggi causali relative ad un problema specifico non si possono conoscere a priori, bensì si devono trovare nella natura. Tuttavia, a seguito degli esperimenti scientifici condotti nel corso delle generazioni, unitamente al patrimonio più generale della comune esperienza umana accumulata nel corso dei secoli, si sono evoluti metodi sufficientemente precisi per il rinvenimento delle leggi causali. Il primo elemento che suggerisce l’esistenza di una legge causale è, ovviamente, la permanenza di una relazione regolare che si manifesta in presenza di un gran numero di condizioni diverse. Quando ci si imbatte in regolarità di questo tipo, non supponiamo che si siano verificate in modo arbitrario e casuale, ma… supponiamo, almeno provvisoriamente, che siano il risultato di necessarie relazioni causali. E persino in relazione alle irregolarità, che sempre continuano a verificarsi unitamente alle regolarità, sulla base dell’esperienza scientifica generale si è indotti a ritenere che fenomeni che possono apparire irregolari nel contesto di un particolare stadio di sviluppo delle nostre capacità di comprensione si riveleranno in seguito rispondenti ad un più sottile tipo di regolarità, e questo suggerisce a sua volta l’esistenza di relazioni causali più profonde”.15

Hegel su necessità e caso

Nell’analisi della natura dell’essere nelle sue diverse manifestazioni, Hegel si occupa della relazione tra potenziale e reale e anche tra necessità e caso (contingenza). In relazione a ciò, è importante chiarire uno dei suoi detti più famosi:  “Ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale è reale.”16
A prima vista, questa affermazione sembra mistificante e perfino reazionaria, poiché sembra implicare che tutto l’esistente sia razionale e, quindi, giustificato. Tuttavia, questo non era affatto ciò che Hegel intendeva, come spiega Engels:
Orbene, la realtà, secondo Hegel, non è per niente un attributo che si applichi in tutte le circostanze e in tutti i tempi a un determinato stato di cose sociale o politico. Al contrario. La repubblica romana era reale, ma l’impero romano che la soppiantò lo era ugualmente. La monarchia francese era diventata nel 1789 così irreale, cioè così priva di ogni necessità, così irrazionale, che dovette essere distrutta dalla grande Rivoluzione, della quale Hegel parla sempre col più grande entusiasmo. In questo caso dunque la monarchia era l’irreale, la rivoluzione il reale. E così nel corso della evoluzione tutto ciò che prima era reale diventa irreale, perde la propria necessità, il proprio diritto all’esistenza, la propria razionalità; al posto del reale che muore subentra una nuova realtà vitale: in modo pacifico, se ciò che è vecchio è abbastanza intelligente da andarsene senza opporre resistenza alla morte; in modo violento, se esso si oppone a questa necessità. E così la tesi di Hegel si trasforma, secondo la stessa dialettica hegeliana, nel suo contrario: tutto ciò che è reale nell’ambito della storia umana diventa col tempo irrazionale, è dunque già irrazionale per proprio destino, è sin dall’inizio affetto da irrazionalità; e tutto ciò che vi è di razionale nelle teste degli uomini è destinato a diventare reale, per quanto possa contraddire alla apparente realtà del giorno. La tesi della razionalità di tutto il reale si risolve quindi secondo tutte le regole del ragionamento hegeliano nell’altra: tutto ciò che esiste è degno di perire.17
Una data forma di società è “razionale” fintanto che assolve la sua funzione, cioè che sviluppa le forze produttive, eleva il livello culturale e fa dunque avanzare il progresso umano. Quando smette di farlo, entra in contraddizione con se stessa, diventa cioè irrazionale e irreale, e non ha più diritto di esistere. Anche nelle dichiarazioni in apparenza più reazionarie di Hegel c’è quindi nascosta un’idea rivoluzionaria.
Tutto ciò che esiste, esiste per necessità. Ma non tutto può esistere. L’esistenza potenziale non è ancora l’esistenza in atto. Ne La scienza della logica, Hegel traccia accuratamente il processo secondo il quale qualcosa passa da una condizione di mera possibilità ad uno stato in cui la possibilità diventa probabilità, e quest’ultima diventa inevitabile (la “necessità”). Guardando la confusione colossale che è sorta nella scienza moderna intorno al concetto di “probabilità”, risulta molto istruttivo lo studio della trattazione puntuale e profonda di questo argomento da parte di Hegel.
Possibilità e realtà denotano lo sviluppo dialettico del mondo reale e le varie fasi dell’emergere e dello svilupparsi delle cose. Ciò che esiste potenzialmente contiene in sé la tendenza oggettiva a svilupparsi, o quantomeno l’assenza di condizioni che precluderebbero il suo venire in esistenza. Ma c’è una differenza tra possibilità astratta e potenzialità reale, sebbene le due cose vengano frequentemente confuse. La possibilità astratta o formale esprime solamente l’assenza di condizioni che escludano un certo fenomeno, ma non implica la presenza di condizioni che rendano inevitabile il suo manifestarsi.
Questo porta ad una confusione senza limiti, ed è anzi un trucco per giustificare ogni tipo di idea assurda o arbitraria. Per esempio, si dice che, se ad una scimmia venisse data la possibilità di battere liberamente i tasti di una macchina da scrivere per un tempo sufficientemente lungo, essa finirebbe per comporre uno dei sonetti di Shakespeare. Quest’obiettivo è troppo modesto. Perché un sonetto soltanto? Perché non l’opera completa di Shakespeare? Perché non l’intera letteratura mondiale, la teoria della relatività e, perché no, le sinfonie di Beethoven? La semplice asserzione che una cosa sia “statisticamente possibile” non ci porta avanti di un passo. L’articolato processo di natura, società e pensiero umano non è suscettibile di semplice trattazione statistica, né le grandi opere letterarie sorgeranno mai per mero caso, per quanto a lungo aspettassimo che la nostra scimmia ci consegni il dovuto.
Perché il potenziale diventi reale, deve verificarsi una particolare concatenazione di circostanze. Inoltre, questo processo non è semplice e lineare, ma dialettico, tale che l’accumulo di piccoli cambiamenti quantitativi produce, alla fine, un salto qualitativo. La possibilità reale, al contrario di quella astratta, implica la presenza di tutti i fattori necessari a che il potenziale perda il carattere di provvisorietà e diventi atto. E, come Hegel spiega, rimarrà atto solo fintanto che queste condizioni esistono, e non oltre. Questo vale sia che si riferisca alla vita di un individuo, che ad una data forma socioeconomica, a una teoria scientifica o ad un fenomeno naturale. Il punto in cui il cambiamento diventa inevitabile può essere individuato grazie al metodo inventato da Hegel e conosciuto come “linea nodale di misurazione”. Se si paragona il processo ad una linea, vi si possono vedere punti specifici (“punti nodali”) in cui lo sviluppo subisce un’improvvisa accelerazione, o salto qualitativo.
È facile individuare causa ed effetto in casi isolati, come quando si colpisce una palla con una mazza da baseball. Ma in senso più ampio, il concetto di causalità diventa molto più complesso; singole cause ed effetti si perdono nel vasto oceano dell’interazione, dove la causa si trasforma in effetto e viceversa. Se si prova a ricondurre l’evento più semplice alle sue “cause prime”, si vedrà che per questo non basta l’eternità. Si troverà sempre una nuova causa, che, a sua volta, dovrà essere spiegata, e così via all’infinito. Questo paradosso è entrato nella coscienza popolare in detti come questo:
Per colpa di un chiodo si perse lo zoccolo;
per colpa di uno zoccolo si perse il cavallo;
per colpa di un cavallo si perse il cavaliere;
per colpa di un cavaliere si perse la battaglia;
per colpa di una battaglia si perse il regno;
… e tutto per colpa di un chiodo.
L’impossibilità di stabilire una “causa prima” ha portato qualcuno ad abbandonare del tutto l’idea di causa e a considerare tutto casuale ed accidentale. Nel XX secolo, questa posizione è stata adottata, almeno in teoria, da un gran numero di scienziati, sulla base di una scorretta interpretazione della fisica quantistica, come nella posizione filosofica di Heisenberg. Hegel aveva già dato una risposta a simili argomentazioni, spiegando il rapporto dialettico tra necessità e caso.
Hegel spiega che non esiste una relazione di causalità, intesa come causa ed effetto isolati. Ogni effetto ha un contro-effetto, ogni azione produce una reazione. L’idea di causa ed effetto isolati è un’astrazione presa dalla fisica classica newtoniana, verso la quale Hegel era molto critico, sebbene all’epoca godesse di un enorme prestigio. Ancora una volta, Hegel era più avanti dei suoi contemporanei. Invece dell’azione-reazione della meccanica, egli avanzò la nozione di reciprocità, di interazione universale. Ogni cosa influenza tutte le altre, e ne è a sua volta influenzata e determinata. Quindi, Hegel ha reintrodotto il concetto di caso che era stato rigorosamente bandito dalla scienza dalla filosofia meccanicista di Newton e Laplace.
A prima vista, ci sembra di esserci persi in un mare di casi, ma questa confusione è solo apparente. I fenomeni casuali che compaiono e scompaiono di continuo, come le onde sulla superficie del mare, sono espressione di processi più profondi, questi ultimi non casuali, ma necessari. In un punto decisivo, questa necessità si rivela tramite il caso. L’idea dell’unità dialettica di necessità e caso può apparire strana, ma trova conferma in una serie nutrita di osservazioni tratte dai più svariati campi della scienza e della società. Il meccanismo della selezione naturale della teoria dell’evoluzione è l’esempio più noto, ma ce ne sono molti altri. Negli ultimi anni, ci sono state numerose scoperte nel campo della teoria del caos e della complessità, che danno precisi dettagli su come “l’ordine sorga dal caos”, che è esattamente ciò che Hegel elaborò un secolo e mezzo fa.
Dobbiamo tenere presente che Hegel scriveva all’inizio del secolo scorso, quando la scienza era dominata totalmente dalla fisica meccanica classica e mezzo secolo prima che Darwin sviluppasse l’idea della selezione naturale attraverso mutazioni casuali. Non aveva nessuna prova scientifica per sostenere la sua teoria che la necessità si esprima attraverso il caso, ma questa è l’idea centrale che sta dietro al più recente pensiero innovativo nella scienza.
Questa legge profonda è ugualmente fondamentale per comprendere la storia. Come Marx scrisse a Kugelmann nel 1871:
Sarebbe  del resto assai comodo fare la storia universale, se si accettasse battaglia soltanto alla condizione di un esito infallibilmente favorevole. D’altra parte, questa storia sarebbe di natura assai mistica se le ‘casualità’ non vi avessero nessuna parte. Queste casualità rientrano naturalmente esse stesse nel corso generale della evoluzione e vengono a loro volta compensate da altre. Ma l’accelerazione e il rallentamento dipendono molto da queste ‘casualità’ tra cui figura anche il ‘caso’ del carattere delle persone che si trovano da principio alla testa del movimento”.18
Engels farà le stesse considerazioni qualche anno più tardi, riguardo al ruolo dei “grandi uomini” nella storia:
Gli uomini fanno la storia non attraverso una volontà collettiva, secondo un piano comune oppure all’interno di una determinata società. Le loro aspirazioni entrano in conflitto e, proprio per questo motivo, tutte queste società sono governate dalla necessità, il cui complemento e forma fenomenica è il caso. Questa necessità, che qui si stabilisce attraverso tutti le casualità, è ancora fondamentalmente una necessità economica ed è a questo punto che i cosiddetti “grandi uomini” entrano in scena. Che proprio un certo uomo e nessun altro venga fuori in un determinato periodo, in un determinato paese, è naturalmente un puro caso. Toglilo di mezzo e ci sarà bisogno di un sostituto, che certamente verrà trovato; buono o cattivo che sia, alla fine verrà trovato”.19

Determinismo e caos

La teoria del caos si occupa di processi naturali che sono apparentemente caotici e casuali. La definizione di caos del vocabolario suggerisce disordine, confusione, casualità: movimento casuale senza scopo, fine o principio. Tuttavia, l’intervento del puro “caso” nel processo materiale favorisce l’ingresso di fattori non fisici, ovvero metafisici: capriccio, spirito o intervento divino. Poiché la nuova scienza del caos si occupa di eventi “casuali”, essa ha profonde implicazioni filosofiche.
Processi naturali che venivano in passato considerati casuali e caotici risultano ora rispondenti a precise leggi scientifiche e dipendenti da cause determinate. Inoltre, questa scoperta ha avuto un’applicazione così ampia, per non dire universale, da generare una scienza totalmente nuova: lo studio del caos. Essa ha creato una nuova visione e una nuova metodologia, alcuni direbbero una rivoluzione, applicabile a tutte le scienze preesistenti. Quando un pezzo di metallo si magnetizza, esso entra in uno “stato ordinato” in cui tutte le sue particelle tendono alla stessa direzione; esso può essere orientato in una direzione o nell’altra. In teoria, esso è “libero” di orientarsi in qualunque direzione, ma in pratica ogni sua parte prende la stessa “decisione”.
Uno scienziato del caos ha trovato le regole matematiche basilari che descrivono la “geometria frattale” di una foglia di felce nera (asplenio): ha inserito i dati nel suo computer, dotato di un generatore casuale di numeri e programmato per costruire un disegno usando dei punti messi apparentemente a caso sullo schermo. Nel corso dell’esperimento è impossibile prevedere dove apparirà ciascuno dei punti, ma infallibilmente viene riprodotta l’immagine della foglia di felce. La somiglianza superficiale di questi due fatti è chiara e suggerisce un parallelismo più profondo: proprio come il computer basava la sua selezione di punti, apparentemente casuale (e lo era di certo per l’osservatore esterno), su regole matematiche ben definite, allo stesso modo sembrerebbe che il comportamento dei fotoni (e, di conseguenza, tutti gli eventi quantistici) sia soggetto a regole matematiche, benché queste risultino attualmente al di là delle nostre capacità di comprensione.
Secondo il punto di vista marxista, l’intero universo si basa su forze e processi materiali. La coscienza umana è, in ultima analisi, solo un riflesso del mondo reale che esiste al di fuori di essa, riflesso basato sull’interazione fisica tra il corpo umano e il mondo materiale. Nel mondo materiale non c’è discontinuità, non c’è interruzione nell’interazione fisica di eventi e processi; in altre parole, non c’è spazio per l’intervento di forze metafisiche o spirituali. Il materialismo dialettico, dice Engels, è “la scienza dell’interazione universale”. Inoltre, l’interazione del mondo fisico si basa sul principio di causalità, nel senso che processi ed eventi sono determinati dalle loro condizioni e dalla regolarità delle loro interazioni:
“La prima cosa che ci colpisce, considerando la materia in movimento, è la connessione dei movimenti singoli dei singoli corpi, il loro essere condizionati l’uno dall’altro. Ma noi non scopriamo soltanto che ad un dato movimento ne segue un altro; noi scopriamo anche che possiamo produrre un dato movimento ponendo in essere le condizioni in base alle quali esso ha luogo in natura, anzi che possiamo produrre movimenti che in natura non si presentano (industria), perlomeno non nel modo dato, e che possiamo dare a questi movimenti una direzione ed un’ampiezza predeterminata. Da ciò, dall’attività dell’uomo, trae il suo fondamento l’idea di causalità, l’idea che un movimento è la causa di un altro”.20
La complessità del mondo può mascherare i processi di causa ed effetto e rendere i due elementi indistinguibili, ma questo non inficia la logica sottostante. Come spiega Engels,
“[…] causa ed effetto sono dei concetti che hanno validità come tali, solo se li applichiamo ad un caso singolo, ma che nella misura in cui consideriamo questo fatto singolo nella sua connessione generale con la totalità del mondo, questi concetti si confondono e si dissolvono nella visione della universale azione reciproca, in cui cause ed effetti si scambiano continuamente la loro posizione, ciò che ora o qui è effetto, là o poi diventa causa e viceversa”.21
La teoria del caos rappresenta senza ombra di dubbio un grande passo in avanti, ma anche in essa si trovano delle formulazioni discutibili, come il celebrato effetto farfalla, secondo cui il battito delle ali di una farfalla a Tokio potrebbe provocare un uragano a Chicago la settimana successiva. Si tratta qui indubbiamente di un esempio provocatorio, inteso a suscitare controversie, ma in ogni caso scorretto nella sua formulazione. Cambiamenti qualitativi possono verificarsi solo come risultato di una accumulazione di cambiamenti quantitativi. Un piccolo cambiamento casuale (il battito d’ali di una farfalla) può produrre un risultato drammatico solo se già esistono le condizioni perché si scateni un uragano. In questo caso, la necessità potrebbe esprimersi per mezzo di un evento casuale. Ma soltanto in questo caso.
Il rapporto dialettico tra necessità e caso si può osservare nel processo di selezione naturale. La possibilità di mutazioni casuali nell’organismo è infinitamente grande. Tuttavia, in un dato ambiente, solo una di queste mutazioni risulta utile all’organismo e viene mantenuta, mentre le altre scompaiono. Ancora una volta, la necessità si manifesta per il tramite del caso. In un certo senso, la comparsa della vita sulla Terra si può considerare un caso. Non era predeterminato che la Terra si trovasse esattamente alla giusta distanza dal sole, con le giuste proporzioni di gravità e atmosfera, perché questo avvenisse. Tuttavia, dato questo insieme di circostanze, per un periodo di tempo, da un grande numero di reazioni chimiche sorgerebbe inevitabilmente la vita. E questo non vale soltanto per il nostro pianeta, ma per un gran numero di altri pianeti dove esistano condizioni similari, sebbene non nel nostro sistema solare. Tuttavia, nel momento in cui la vita si manifesta, cessa di essere un caso e si sviluppa secondo le proprie regole interne.
La stessa coscienza non è venuta alla luce per un piano divino ma, in un certo senso, è sorta dal caso del bipedismo (posizione eretta), che ha liberato le mani ed ha quindi permesso che gli ominidi si sviluppassero come animali capaci di utilizzare attrezzi. È probabile che questo capriccio dell’evoluzione sia il risultato di un cambiamento climatico nell’Africa orientale, che distrusse parzialmente l’habitat forestale dei nostri antenati primati. Fu un caso. Come Engels spiega ne La parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia, è questa la base da cui si è sviluppata la coscienza umana. Però, in senso lato, l’emergere della coscienza – cioè di materia cosciente di sé – non si può considerare un caso, bensì un prodotto necessario dell’evoluzione della materia, che procede dalle forme più semplici alle più complesse e che, laddove esistano le condizioni, produrrà inevitabilmente una forma di vita intelligente e forme più alte di coscienza, società complesse e ciò che conosciamo come civiltà.
Ne La metafisica, Aristotele discute ampiamente la natura di necessità e casualità e prende ad esempio le parole casuali che portano ad una lite. In una situazione tesa, per esempio un matrimonio in difficoltà, anche i commenti più innocui portano alla rissa. Ma è chiaro che non sono quelle parole la vera causa del contenzioso. Quest’ultimo è il prodotto di un accumulo di tensioni, che prima o poi raggiunge un punto di rottura, e, quando questo viene raggiunto, la minima cosa può provocare un’esplosione. Lo stesso fenomeno si può osservare sul posto di lavoro; forza lavoro apparentemente docile e timorosa di perdere il posto è pronta ad accettare per anni ogni tipo di imposizione: riduzione di salari, licenziamento di colleghi, peggioramento delle condizioni. Niente accade in superficie, ma in realtà c’è un aumento costante dello scontento, che ad un certo punto deve venire fuori. Un bel giorno, i lavoratori decidono che ne hanno “avuto abbastanza”. A questo punto anche l’incidente più sciocco può provocare uno sciopero. La situazione si tramuta nel suo esatto contrario.
C’è una forte analogia tra la lotta di classe e i conflitti tra le nazioni. Nell’agosto del 1914, il principe ereditario dell’Impero austro-ungarico fu assassinato a Sarajevo e questo “incidente” fu considerato la causa della Prima guerra mondiale. In effetti, fu un caso della storia che avrebbe anche potuto non accadere. Prima del 1914, c’erano stati numerosi altri fatti (la crisi marocchina, l’incidente di Agadir) che avrebbero potuto ugualmente scatenare il conflitto. La vera causa della Prima guerra mondiale fu l’accumulazione di contrasti insostenibili tra le maggiori potenze imperialiste: Gran Bretagna, Francia, Germania, Austria-Ungheria e Russia. Si raggiunse uno stadio critico, in cui l’intera miscela esplosiva poteva essere innescata da una singola scintilla nei Balcani.
Infine, possiamo osservare lo stesso fenomeno nel mondo economico. Nel momento in cui stiamo scrivendo queste righe, la City di Londra viene scossa dal crollo della Barings Bank. La colpa è stata subito attribuita alle attività fraudolente di Nick Leeson, un dipendente della filiale di Singapore; tuttavia il crollo della Barings non è che l’ennesimo sintomo di un malessere molto più profondo che pervade il sistema finanziario mondiale. Il quotidiano The Independent titolava: “Un incidente che doveva succedere”. Su scala mondiale, in questo momento ci sono 25 mila  miliardi di dollari investiti in derivati. Ciò dimostra come il capitalismo non si basi più sulla produzione, bensì, in modo sempre più marcato, sulle attività speculative. Il fatto che Leeson abbia perso grandi somme di denaro sui mercati giapponesi può essere spiegato con il terremoto di Kobe; tuttavia, analisti economici seri capiscono che si tratta piuttosto della condizione traballante del sistema finanziario internazionale.
Con o senza Leeson, è inevitabile che ci saranno altri crolli in futuro. Le grandi aziende multinazionali e le istituzioni finanziarie, tutte coinvolte in questo spericolato gioco d’azzardo, stanno giocando col fuoco. Un enorme crollo finanziario è implicito nella situazione.
È possibile che molti fenomeni, di cui non sono stati pienamente compresi i processi sottostanti e le relazioni causali, ci appaiano casuali. Per i fini pratici, essi possono essere trattati solo con metodi statistici, come avviene nel caso del gioco della roulette. Però, al di sotto di questi eventi “casuali”, esistono forze e processi che ne determinano i risultati finali. Viviamo in un universo governato dal determinismo dialettico.

Marxismo e libertà

Il problema della relazione tra “necessità e libertà” era noto ad Aristotele e venne lungamente discusso dagli Scolastici nel Medioevo. Kant lo utilizza per una delle sue celebrate “antinomie”, in cui esso viene presentato come una contraddizione irrisolvibile. Nel XVII e XVIII secolo fu sviluppato in termini matematici all’interno della teoria della probabilità, in relazione al gioco d’azzardo.
La relazione dialettica tra necessità e libertà è ricomparsa all’interno della teoria del caos. Doyne Farmer, un fisico americano che studia la dinamica complessa, osserva:
A livello filosofico, questa nozione mi colpì come un modo operativo di definire la libertà del volere, un modo che permetteva di conciliare la libera volontà col determinismo. Il sistema è deterministico, ma non si può dire che cosa accadrà subito dopo. Al tempo stesso, avevo sempre pensato che i problemi importanti nel mondo avessero a che fare con la creazione dell’organizzazione, nella vita o nell’intelligenza. Ma come si poteva studiare una cosa del genere? Quel che stavano facendo i biologi sembrava molto applicato e specifico; i chimici certamente non stavano studiando quel problema e meno che mai i matematici; esso era inoltre un problema del tutto inaccessibile ai fisici. Io, d’altra parte, ho sempre pensato che l’emergere spontaneo dell’auto-organizzazione dovrebbe essere parte della fisica.
Ci trovavamo di fronte alla classica medaglia con due facce. Da un lato c’era l’ordine, con la casualità emergente, e poi, un passo più avanti, c’era la causalità col proprio ordine sottostante”.22
Il determinismo dialettico non ha nulla a che vedere con l’approccio meccanicistico e tanto meno con il fatalismo. Allo stesso modo in cui esistono leggi che governano la materia organica ed inorganica, ne esistono altre che governano l’evoluzione delle società umane. I modelli di società che si sono sviluppati nel corso della storia non sono in nessun modo casuali. Marx ed Engels spiegavano che la transizione da un sistema sociale ad un altro è determinato, in ultima analisi, dallo sviluppo delle forze produttive. Quando un sistema socioeconomico non è più in grado di sviluppare le forze produttive, esso entra in crisi, preparando il terreno per una svolta rivoluzionaria.
Questo non ci porta in nessun modo a negare il ruolo dell’individuo nella storia. Come abbiamo già detto, sono gli uomini che fanno la storia. Tuttavia, sarebbe stupido immaginare che essi siano “liberi agenti” capaci di determinare il proprio futuro puramente sulla base della propria volontà. Essi dovranno basarsi sulle condizioni createsi indipendentemente dalla propria volontà, economiche, sociale, politiche, religiose e culturali. In questo senso, l’idea di libero arbitrio non ha alcun valore. L’autentico atteggiamento di Marx ed Engels in relazione al ruolo dell’individuo nella storia può essere individuato nella seguente citazione dalla Sacra famiglia:
La storia non fa niente, essa non «possiede alcuna enorme ricchezza», «non combatte nessuna lotta»! È piuttosto l’uomo, l’uomo reale, vivente, che fa tutto, possiede e combatte tutto; non è la «storia» che si serve dell’uomo come mezzo per attuare i propri fini, come se essa fosse una persona particolare; essa non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini.23
Non si sostiene dunque che uomini e donne siano inconsapevoli marionette del fato, incapaci di modificare il proprio destino. Tuttavia, uomini e donne reali, che vivono nel mondo reale di cui scrivono Marx ed Engels, non si pongono e non potrebbero porsi al di sopra della società in cui vivono. Hegel scrisse che “l’interesse muove la vita dei popoli”.
Consciamente o meno, il singolo attore, sulla scena storica, alla fine riflette interessi, opinioni, pregiudizi, moralità ed aspirazioni di una classe o un gruppo specifici all’interno della società. Questo emerge con assoluta evidenza anche dall’analisi storica più superficiale.
Ciononostante, l’illusione del “libero arbitrio” è persistente. Il filosofo tedesco Leibniz osservava che un ago magnetico, qualora fosse in grado di pensare, avrebbe sicuramente ritenuto di indicare il nord per sua libera scelta. Nel XX secolo, Sigmund Freud demolì totalmente l’idea che uomini e donne esercitassero un controllo assoluto perfino sui propri pensieri.
Il fenomeno del lapsus freudiano è un ottimo esempio della reazione dialettica tra casualità e necessità. Freud individua numerosi esempi di errori nel linguaggio, “dimenticanze” e altri “casi”, che in molti casi rivelano senza dubbio processi psicologici più profondi. Come osserva Freud:
“[…] certe insufficienze del nostro funzionamento psichico…e certi atti apparentemente non-intenzionali si rivelano – una volta chiariti attraverso l’esame psicoanalitico – perfettamente motivati e determinati da elementi che sfuggono alla coscienza […].24
Il fatto che nessuno dei comportamenti umani sia casuale era uno dei cardini dell’approccio freudiano. I piccoli sbagli della vita quotidiana, i sogni e i sintomi apparentemente inesplicabili delle malattie mentali non sono “casuali”. Per definizione, la mente umana non è consapevole dei processi inconsci. Più profondamente inconscia è la motivazione, da un punto di vista psicanalitico, più è ovvio che la persona non ne sia consapevole. Freud capì molto presto il principio generale secondo cui tali processi inconsci si rivelano (e possono pertanto essere studiati) in quei frammenti del comportamento che la mente conscia bolla come semplici errori o incidenti.
È possibile raggiungere la libertà? Se si vuole intendere la “libera” azione come un’azione non determinata o prodotta da alcun tipo di causa, allora dobbiamo dire con estrema franchezza che una tale azione non è mai esistita né mai esisterà. Questa “libertà” immaginaria è pura metafisica. Hegel spiegava che la vera libertà consiste nel saper riconoscere la necessità. Nella misura in cui uomini e donne siano in grado di comprendere le leggi che governano natura e società, essi saranno in grado di impadronirsene e di rivolgerle a proprio vantaggio. Le basi materiali su cui l’umanità può rendersi libera sono state poste dallo sviluppo di industria, scienza e tecnica. Soltanto in un sistema sociale organizzato razionalmente, in cui i mezzi di produzione siano pianificati con equilibrio e controllati in modo consapevole, si potrà veramente parlare di un libero sviluppo umano. Come disse Engels, è questo il “balzo dell’umanità dal mondo della necessità a quello della libertà.”

Capitolo 7 La teoria della relatività

Indice dei Capitoli

Note

1. Isaac Asimov, Il libro della fisica, pag 442.

2. Bohm D., Causality and Chance in Modern Physics, pagg. 86-87.

3. Ferris Timothy, The World Treasury of Physics, Astronomy, and Mathematics, pagg. 103 e 106.

4. Lerner E. J., Il Big Bang non c’è mai stato, pag. 365.

5. Lenin, Materialismo ed empirio-criticismo, Opere Complete, Vol XIV, pag. 52.

6. Ferris Timothy, op. cit., pagg. 95-96.

7. Spinoza, Etica.

8. Laplace, Saggi filosofici sulle probabilità, citato in Ian Stewart, Dio gioca a dadi?, pag. 17.

9. Engels, Dialettica della natura, pag. 229.

10. Bohm D., Causality and Chance in Modern Physics, pag. 20.

11. J. Gleick, Caos, la nascita di una nuova scienza, pag. 126.

12. Bohm D., Causality and Chance in Modern Physics, pagg. X e XI.

13. Ibid, pagg. 50-51.

14. Hoffmann, The Strange Story of the Quantum pag. 152.

15. Bohm D., Causality and Chance in Modern Physics, pagg. 25 e 4.

16. Hegel G.W.F., Le filosofie del diritto.

17. Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, pag. 19.

18. Karl Marx, Lettere a Kugelmann. pag. 165.

19. Friedrich Engels, Lettera a Starkenburg, 25 gennaio 1894.

20. Engels, Dialettica della natura, pag. 239.

21. Engels, Anti-Dühring, pag. 28.

22. Citato da J. Gleick, Caos, la nascita di una nuova scienza, pag. 246.

23. Marx ed Engels, La Sacra Famiglia,  pag. 139.

24. Freud Siegmund, Psicopatologia della vita quotidiana, pagg. 952-953.

Condividi sui social