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Stephen Hawking, i buchi neri, e l’evoluzione dell’universo

Oggi, (14 Marzo 2018), Stephen Hawking, probabilmente lo scienziato più famoso della contemporaneità, è scomparso. Hawking fu un celebre fisico, famoso per i suoi libri come “Una breve storia del tempo”, che ha reso popolare la scienza della cosmologia – lo studio dell’universo. In occasione della morte di Hawking, ripubblichiamo qui un estratto dal libro di Alan Woods “La rivolta della ragione”. In questo passaggio, Alan, discute le idee di Stephen Hawking dalla prospettiva della filosofia marxista, proponendo un’analisi del cosmo e del concetto dei buchi neri secondo lo strumento del materialismo dialettico.

 

di Alan Woods e Ted Grant

 

Nel 1970 Stephen Hawking avanzò la teoria per cui il contenuto energetico di un buco nero potesse occasionalmente produrre una coppia di particelle subatomiche, una delle quali potesse sfuggire. Questo implica che un buco nero può evaporare, anche se ciò richiederebbe un tempo infinitamente lungo. Infine, secondo questa visione, esso esploderebbe, producendo una grande quantità di raggi gamma. Le teorie di Hawking hanno suscitato molta attenzione; il suo avvincente best-seller Dal Big Bang ai buchi neri, breve storia del tempo è stato forse il libro che più di ogni altro ha portato le nuove teorie cosmologiche all’attenzione del pubblico. Lo stile chiaro e lineare dell’esposizione fa apparire le complicate nozioni come semplici e attraenti. Ma si può dire altrettanto per molte opere di fantascienza e purtroppo sembra che sia diventato di moda per gli autori di opere divulgative sulla cosmologia sembrare il più mistici possibili e avanzare le teorie più bizzarre, basate su una quantità massima di speculazione e una quantità minima di dati. I modelli matematici hanno sostituito quasi interamente l’osservazione. La filosofia centrale di questa scuola di pensiero è riassunta nell’aforisma di Hawking: “Non è possibile opporsi veramente a un teorema matematico”. Hawking afferma di aver dimostrato (matematicamente), insieme a Roger Penrose, che la teoria generale della relatività “implica che l’universo debba avere un inizio e, forse, una fine”. Alla base di tutto ciò è l’accettazione della teoria della relatività come verità assoluta. Eppure, paradossalmente, al momento del Big Bang la relatività generale diventa improvvisamente irrilevante; non vale più, così come non è applicabile nessuna delle leggi della fisica, cosicché non si può dire assolutamente niente in proposito. Niente, cioè, tranne le speculazioni metafisiche della peggiore specie. Ma a questo torneremo in seguito.

Secondo questa teoria, il tempo e lo spazio non esistevano prima del Big Bang, momento in cui tutta la materia dell’universo sarebbe stata concentrata in un singolo punto infinitamente piccolo, chiamato singolarità dai matematici. Lo stesso Hawking spiega le dimensioni in gioco in questa notevole transazione cosmologica:

Noi oggi sappiamo che la nostra galassia è solo una delle centinaia di milioni di galassie che possiamo osservare con i moderni telescopi, contenenti ciascuna qualche centinaio di milioni di stelle… Noi viviamo in una galassia… che ha un diametro di circa centomila anni-luce e compie un lento movimento di rotazione; le stelle situate nelle braccia della spirale orbitano attorno al suo centro con un periodo di varie centinaia di milioni di anni. Il Sole è soltanto una comune stella gialla, di dimensioni medie, in prossimità del bordo interno di un braccio della spirale. Abbiamo certamente percorso un bel tratto di strada dal tempo di Aristotele e Tolomeo, quando si pensava che la Terra fosse il centro dell’universo!1

In realtà, le strabilianti quantità di materia di cui si parla non danno un’idea precisa sulla quantità di materia nell’universo. Vengono scoperte di continuo nuove galassie e superammassi, e il processo non ha limiti. Avremmo pure percorso un bel tratto di strada dal tempo di Aristotele sotto certi aspetti, ma in altri sensi sembra che siamo molto arretrati rispetto al filosofo greco, che non avrebbe mai commesso l’errore di parlare di un tempo prima che esistesse il tempo o di affermare che l’intero universo fosse stato creato praticamente dal nulla. Per ritrovare idee come queste si dovrebbe tornare indietro di parecchie migliaia di anni fino al mito giudaico-babilonese della Creazione.
Se qualcuno tenta di protestare contro questo modo di procedere, viene immediatamente condotto alla presenza del grande Albert Einstein, come lo scolaretto indisciplinato che viene portato nell’ufficio del preside, per ricevere una severa predica sulla necessità di avere un maggiore rispetto per la relatività generale, sentirsi dire che non è possibile opporsi a un teorema matematico ed essere mandato a casa debitamente castigato.
Solo che molti presidi sono vivi, mentre Einstein è morto e quindi non può commentare questa particolare interpretazione delle sue teorie. Di fatto, in tutti gli scritti di Einstein si cercherebbe invano qualsiasi riferimento al Big Bang, ai buchi neri e simili. Lo stesso Einstein, sebbene tendesse inizialmente verso l’idealismo filosofico, si oppose implacabilmente al misticismo nella scienza e passò gli ultimi decenni della sua vita lottando contro le idee idealiste soggettive di Heisenberg e di Bohr e in realtà si avvicinò ad una posizione materialista. Sarebbe rimasto senz’altro inorridito per il fatto che dalle sue teorie si traggano conclusioni mistiche. Il seguente passo ne è un buon esempio:

Tutte le soluzioni di Friedmann sono accomunate dal presupposto che in qualche momento del passato (fra dieci e venti miliardi di anni fa) la distanza fra galassie vicine deve essere stata nulla. A quel tempo, che noi chiamiamo il Big Bang, la densità dell’universo e la curvatura dello spazio-tempo devono essere state infinite. Poiché la matematica non può trattare in realtà numeri infiniti, ciò significa che la teoria generale della relatività (su cui si fondano le soluzioni di Friedmann) predice che nell’universo esiste un punto in cui la teoria stessa viene meno. Tale punto è un esempio di quella che i matematici chiamano una singolarità. In verità tutte le nostre teorie scientifiche sono formulate sulla base dell’assunto che lo spazio-tempo sia regolare e quasi piatto, cosicché esse cessano di essere valide in presenza della singolarità del Big Bang, dove la curvatura dello spazio-tempo è infinita. Ciò significa che, quand’anche ci fossero stati degli eventi prima del Big Bang, non li si potrebbe usare per determinare che cosa sarebbe accaduto dopo, poiché la predicibilità verrebbe meno proprio in corrispondenza del Big Bang. Analogamente, se – come si dà il caso – noi conoscessimo solo ciò che è accaduto dopo il Big Bang, non potremmo determinare che cosa è accaduto prima. Per quanto ci riguarda, gli eventi anteriori al Big Bang non possono avere conseguenze, cosicché non dovrebbero formare parte di un modello scientifico dell’universo. Noi dovremmo perciò escluderli dal modello e dire che il tempo ebbe un inizio col Big Bang.

Passaggi come questo ci ricordano fortemente la ginnastica intellettuale degli Scolastici del Medioevo, che discutevano su quanti angeli potessero danzare sulla punta di uno spillo. Questo non è da intendersi come un insulto; se la validità di un’argomentazione è determinata dalla sua coerenza interna, allora le argomentazioni degli Scolastici erano tanto valide quanto questa. Essi non erano degli imbecilli, bensì logici e matematici estremamente capaci, che ergevano costruzioni teoriche elaborate e perfette come le cattedrali medievali. Bastava solo accettare le loro premesse e ogni tassello andava al suo posto. Il problema è se le premesse originali sono valide o meno. Questo è un problema generale della matematica nel suo complesso e ne è una debolezza di fondo. E questa teoria poggia fortemente sulla matematica.
“A quel tempo, che noi chiamiamo il Big Bang…” Ma se non c’era tempo, come facciamo a parlare di un “tempo”? Si dice che il tempo sia iniziato a quel punto. Allora, cosa c’era prima del tempo? Un tempo in cui non c’era tempo! È lampante il carattere contraddittorio di questa idea. Il tempo e lo spazio sono il modo di esistere della materia. Se non c’erano né tempo, né spazio, né materia, cosa c’era? Energia? Ma l’energia, come spiega Einstein, è solo un’altra manifestazione della materia. Un campo di forza? Ma anche questo è energia, quindi il problema rimane e si può rimuovere solo se diciamo che prima del Big Bang non c’era… niente.
Il problema è: come è possibile passare dal nulla a qualcosa? Per i credenti, non c’è problema; Dio creò l’universo dal nulla. Questa è la dottrina della Chiesa cattolica, della creazione ex nihilo. Hawking se ne rende conto, come afferma proprio nella riga successiva:.

A molte persone l’idea che il tempo abbia avuto un inizio non piace, probabilmente perché questa nozione sa un po’ di intervento divino (la Chiesa cattolica, d’altra parte, si impadronì del modello del Big Bang e nel 1951 dichiarò ufficialmente che esso è in accordo con la Bibbia).

Hawking stesso non vuole accettare questa conclusione, ma è inevitabile farlo. Tutto il pasticcio nasce da una concezione filosoficamente scorretta del tempo. Ne fu in parte responsabile Einstein, poiché sembrava introdurre un elemento soggettivo confondendo la misurazione del tempo col tempo stesso. Anche qui la reazione contro la vecchia fisica meccanica di Newton è stata portata all’estremo. La questione non è se il tempo sia “relativo” o “assoluto”. Il problema è se sia oggettivo o soggettivo, cioè se il tempo è il modo di esistere della materia, oppure un concetto del tutto soggettivo che esiste nella mente ed è determinato dall’osservatore. Hawking adotta chiaramente una visione soggettiva del tempo quando scrive:

Le leggi del moto di Newton misero fine all’idea di una posizione assoluta nello spazio. La teoria della relatività si è liberata anche del tempo assoluto. Consideriamo due gemelli e supponiamo che uno vada a vivere sulla cima di una montagna, mentre l’altro rimanga al livello del mare. Il primo gemello invecchierà più rapidamente del secondo, cosicché, quando essi torneranno a incontrarsi, uno dei due sarà più vecchio dell’altro. In questo caso la differenza di età sarebbe molto piccola. Si avrebbe invece una differenza di età molto maggiore (…) se uno dei due gemelli partisse per un lungo viaggio su un’astronave lanciata nello spazio interstellare a una velocità prossima a quella della luce. Al suo ritorno, l’astronauta sarebbe molto più giovane del suo gemello rimasto sulla Terra. Questo caso è noto come il paradosso dei gemelli, ma è un paradosso solo se nel fondo della propria mente non si riesce ad andare oltre l’idea di un tempo assoluto. Nella teoria della relatività non esiste un’unica assoluta misura del tempo, ma ogni individuo ha la propria, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo.2

Che ci sia un elemento soggettivo nella misurazione del tempo non è in discussione. Misuriamo il tempo secondo un determinato punto di riferimento che può variare, ed effettivamente varia, da un luogo all’altro; l’ora di Londra è diversa dall’ora di Sidney o di New York. Ma ciò non significa che il tempo è puramente soggettivo. I processi oggettivi nello spazio si svolgono indipendentemente dal fatto che noi li possiamo misurare o meno. Il tempo, lo spazio e il moto sono oggettivi per la materia e non hanno né inizio né fine.
Qui è interessante notare quanto aveva da dire Engels in proposito:

Andiamo avanti. Dunque il tempo ha avuto un principio. Che cosa c’era prima di questo principio? Il mondo che si trovava in uno stato uguale a se stesso, immutabile. E poiché in questo stato non abbiamo mutamenti successivi, anche il concetto più specifico di tempo si trasforma nell’idea più generale dell’essere. In primo luogo, qui a noi non interessa affatto quali concetti si trasformino in testa a Dühring. Non si tratta del concetto di tempo, ma del tempo reale e di questo Dühring non si libererà tanto a buon mercato. In secondo luogo, per quanto il concetto di tempo possa trasformarsi nell’idea più generale dell’essere, non perciò noi faremo un passo avanti. Infatti, le forme fondamentali di tutto l’essere sono spazio e tempo, e un essere fuori del tempo è un assurdo altrettanto grande quanto un essere fuori dello spazio.
L’«essere trascorso senza tempo» di Hegel, il neo-Schellingiano «essere impensabile in precedenza» sono idee razionali in confronto a questo essere fuori del tempo. Perciò Dühring si mette all’opera con molta cautela: parlando con precisione, probabilmente c’è un tempo, ma è un tempo tale che in fondo non si può chiamare tempo; il tempo, invero, in se stesso, non consta di parti reali e solo dal nostro intelletto viene arbitrariamente diviso; solo un tempo realmente riempito di fatti distinguibili appartiene alla sfera del numerabile. Che cosa possa significare l’accumularsi di un vuoto durare è cosa che non si può assolutamente pensare. Che cosa possa significare questo accumularsi è qui assolutamente indifferente; ci si chiede se il mondo, nello stato che qui è presupposto, dura, ha una durata nel tempo. Che a misurare una tale durata priva di contenuto, non si ricavi niente, precisamente come a misurare lo spazio vuoto senza scopo, e senza meta, è cosa che sappiamo già da lungo tempo ed anzi, proprio per via dell’insulsaggine di questo procedere, Hegel questa infinità la chiama anche la cattiva infinità.3

Esistono le singolarità?

Un buco nero e una singolarità non sono la stessa cosa. Non c’è niente in via di principio che escluda la possibile esistenza di buchi neri stellari, intesi come stelle di grandi dimensioni collassate in cui la forza di gravità è così immensa che nemmeno la luce può sfuggire dalla loro superficie. L’idea non è nemmeno nuova; fu prevista nel XVIII secolo da John Mitchell, il quale osservò che una stella sufficientemente massiccia avrebbe intrappolato la luce. Egli giunse a questa conclusione in base alla teoria classica della gravitazione di Newton; la relatività generale non c’entrava.
Tuttavia, la teoria di Hawking e Penrose va ben oltre i fatti osservati e, come abbiamo visto, trae delle conclusioni che si prestano ad ogni genere di misticismo, anche se non era questa la loro intenzione. Eric Lerner considera poco fondata l’idea di buchi neri supermassicci al centro delle galassie. Insieme ad Anthony Peratt, ha dimostrato come tutte le caratteristiche associate a questi buchi neri supermassicci, quasar ecc. possono essere meglio interpretati come fenomeni elettromagnetici. Tuttavia, ritiene che siano più consistenti i dati a favore dell’esistenza di buchi neri di dimensioni stellari, poiché questo si basa sulla rilevazione di fonti di raggi X troppo intense per essere stelle di neutroni. Ma anche in questo caso le osservazioni non costituiscono affatto una prova definitiva.
Le astrazioni della matematica sono utili strumenti per capire l’universo, a una condizione: che non perdiamo di vista il fatto che anche il miglior modello matematico è solo una rozza approssimazione della realtà. I problemi cominciano quando si inizia a confondere il modello con il fenomeno reale. Hawking rivela inconsciamente la debolezza di questo metodo nel brano già citato; egli suppone che la densità dell’universo al momento del Big Bang fosse infinita, senza spiegarne il motivo, e poi aggiunge, con un ragionamento più strano, che, “poiché la matematica non può trattare in realtà numeri infiniti”, la teoria della relatività a questo punto viene meno. A questo bisogna aggiungere “e tutte le leggi note alla fisica”, poiché col Big Bang viene meno non solo la relatività generale, bensì tutta la scienza. Non è solo che non sappiamo cosa avvenne prima di questo punto, ma che non possiamo saperlo.
Qui si torna alla teoria di Kant sull’inconoscibilità della cosa in sé. In passato era il ruolo della religione e di certi filosofi idealisti, come Hume e Kant, a porre un limite alla comprensione umana. Si permetteva alla scienza di andare solo fino ad un certo punto e non oltre. Oltre il limite posto al procedere dell’intelligenza umana cominciavano il misticismo, la religione e l’irrazionalità. Eppure tutta la storia della scienza è la storia di come è stata abbattuta una barriera dopo l’altra; quello che per una generazione sembrava inconoscibile diventava un libro aperto per quella successiva. Tutta la scienza si basa sul presupposto che l’universo può essere conosciuto. Ora, per la prima volta, sono degli scienziati a porre limiti alla conoscenza, una situazione straordinaria e un triste commento alla condizione attuale della fisica teorica e della cosmologia.
Consideriamo le implicazioni del brano citato: a) visto che le leggi della scienza, compresa la relatività generale (la quale dovrebbe costituire la base di tutta la teoria), vengono meno al momento del Big Bang, è impossibile sapere che cosa, se qualcosa, avveniva prima di esso; b) anche se ci fossero stati eventi precedenti al Big Bang, non hanno rilevanza per quello che avvenne dopo; c) non ne possiamo sapere niente, e quindi d) dobbiamo semplicemente “escluderli dal modello e dire che il tempo ebbe inizio col Big Bang”.
La sicurezza con cui si fanno queste affermazioni è davvero sbalorditiva. Ci viene chiesto di accettare un limite assoluto alla nostra capacità di capire i problemi fondamentali della cosmologia, in pratica di non porre domande (perché tutte le domande sul tempo prima del tempo sono senza senso) e che dobbiamo accettare senza discussioni il fatto che il tempo iniziò col Big Bang. In questo modo, Hawking semplicemente suppone ciò che sarebbe da dimostrare. Alla stessa maniera, i teologi affermano che Dio creò l’universo e, quando si chiede chi creò Dio, rispondono che tali domande non rientrano nelle competenze dei mortali. Su una cosa però siamo d’accordo: tutta la faccenda infatti “sa un po’ di intervento divino”. Anzi, lo implica necessariamente.
Nella sua polemica contro Dühring, Engels osserva che è impossibile che il moto nasca dall’immobilità, che qualcosa nasca dal nulla: “Senza un atto di creazione non possiamo mai arrivare dal nulla a qualcosa, anche se il qualcosa fosse tanto piccolo quanto un differenziale matematico”.4
Pare che la difesa principale di Hawking sia che la teoria alternativa al Big Bang proposta da Fred Hoyle, Thomas Gold e Hermann Bondi – quella del cosiddetto stato stazionario – risulta falsa. Dal punto di vista del materialismo dialettico non è stata mai una questione di scelta fra queste due teorie; l’una era cattiva quanto l’altra. Anzi, la teoria dello stato stazionario, che ipotizzava la creazione continua di materia dal nulla nello spazio, era semmai ancora più mistica della sua rivale. Il fatto stesso che una tale idea potesse essere presa sul serio dagli scienziati è in sé un’amara dimostrazione della confusione filosofica che tormenta la scienza da lungo tempo.
Gli antichi già comprendevano che “dal nulla non viene nulla”. Questo fatto è espresso da una delle leggi fondamentali della fisica, quella della conservazione dell’energia. L’affermazione di Hoyle per cui si tratterebbe solo di una quantità minima non cambia niente e ricorda l’ingenua signorina che, rimasta incinta, cerca di calmare l’ira di suo padre rassicurandolo che si tratta di un bambino “piccolo piccolo”. Nemmeno la più infima particella di materia (o di energia, che è la stessa cosa) può essere mai creata né distrutta e quindi la teoria dello stato stazionario era condannata fin dall’inizio.
Inizialmente la teoria di Penrose della “singolarità” non aveva nulla a che fare con l’origine dell’universo; prevedeva semplicemente che una stella che collassa sotto la propria gravità sarà intrappolata in una regione la cui superficie si riduce prima o poi a zero. Tuttavia, nel 1970 Penrose e Hawking pubblicarono un documento nel quale ritennero di aver dimostrato che lo stesso Big Bang era una tale “singolarità”, a condizione “che la relatività generale sia corretta e che l’universo contenga tanta materia quanta ne osserviamo”.

Ci furono molte opposizioni al nostro lavoro, sia da parte dei russi in conseguenza della loro fede marxista nel determinismo scientifico, sia da parte di persone che ritenevano che l’idea di singolarità fosse ripugnante e che deturpasse la bellezza della teoria di Einstein. In realtà, però, non è possibile opporsi veramente a un teorema matematico, cosicché infine il nostro lavoro fu generalmente accettato e oggi quasi tutti ammettono l’ipotesi che l’universo abbia avuto inizio con la singolarità del Big Bang.

La relatività generale ha dimostrato di essere uno strumento molto potente, ma ogni teoria ha i propri limiti e in questo caso si ha l’impressione che essa venga spinta appunto al limite. È impossibile dire quanto tempo passerà prima che la relatività generale sia sostituita da un insieme di idee più ampio e comprensivo, ma è chiaro che questa particolare applicazione ci ha condotti a un vicolo cieco. Per quanto riguarda la quantità di materia presente nell’universo, non si avrà mai un dato definitivo, poiché non ha limite. È tipico di questa gente essere talmente immersa nelle equazioni matematiche da dimenticare la realtà. Di fatto le equazioni hanno sostituito la realtà.
Essendo riuscito a convincere molta gente, in base al fatto che “non è possibile opporsi veramente a un teorema matematico”, Hawking ha cominciato a ripensarci:

È forse un’ironia che, avendo cambiato parere, io cerchi ora di convincere altri fisici che in realtà non ci fu alcuna singolarità all’inizio dell’universo; come vedremo, tale singolarità potrà scomparire qualora si tenga conto degli effetti quantistici.”

La natura arbitraria di questo metodo nel suo complesso è dimostrata dallo straordinario mutamento d’opinione da parte di Hawking. Ora afferma che l’universo non è iniziato con una singolarità. Perché? Cosa è cambiato? Non disponiamo di una maggiore quantità di dati rispetto al passato; tutte queste svolte e contorsioni avvengono nel mondo dell’astrazione matematica.
La teoria di Hawking dei buchi neri rappresenta un’estensione dell’idea della singolarità a particolari regioni dell’universo. È piena di elementi contraddittori e mistici. Consideriamo il seguente brano, che descrive l’eccezionale scenario in cui un astronauta precipita in un buco nero:

Le ricerche compiute fra il 1965 e il 1970 insieme a Roger Penrose dimostrarono che, secondo la relatività generale, in un buco nero deve esserci una singolarità di densità e di curvatura dello spazio-tempo infinite. Un buco nero è un po’ come il Big Bang all’inizio del tempo, solo che sarebbe la fine del tempo per l’astro che subisce il collasso e per l’astronauta. In questa singolarità le leggi della scienza e la nostra capacità di predire il futuro verrebbero meno.Tuttavia, un osservatore che si trovasse al di fuori del buco nero non risentirebbe di questo venir meno della predicibilità, poiché dalla singolarità non potrebbero giungergli né luce, né alcun altro segnale.Questo fatto notevole condusse Roger Penrose ad avanzare l’ipotesi della censura cosmica, che si potrebbe parafrasare in questo modo: «Dio aborrisce una singolarità nuda». In altri termini, le singolarità prodotte dal collasso gravitazionale si verificano solo in luoghi – come i buchi neri – dove sono pudicamente nascoste a ogni osservatore esterno da un orizzonte degli eventi.A rigore, questa teoria è nota come ipotesi debole della censura cosmica: essa protegge gli osservatori che rimangono all’esterno del buco nero dalle conseguenze del venir meno della predicibilità in corrispondenza della singolarità, ma non comporta nessun beneficio del genere per lo sventurato astronauta che cade dentro il buco.5

Cosa ci possiamo capire? Non contenti di un inizio e di una fine del tempo nell’universo, Penrose e Hawking ora scoprono nell’universo numerose zone in cui il tempo è già finito! Sebbene i dati che suggeriscono l’esistenza dei buchi neri non siano molto consistenti, sembra probabile che un tale fenomeno esista, nella forma di stelle collassate con enormi concentrazioni di materia e di gravità. Ma dubitiamo fortemente che un tale collasso gravitazionale possa mai raggiungere il livello di una singolarità, tanto meno rimanere per l’eternità in tale condizione. Ben prima di raggiungere questo punto, una concentrazione talmente grande di materia e di energia provocherebbe una massiccia esplosione.
L’intero universo è prova che il processo di cambiamento è infinito, a tutti i livelli. Vaste regioni dell’universo possono essere in espansione, altre in contrazione. Lunghi periodi di apparente equilibrio vengono sconvolti da violente esplosioni come le supernove, le quali a loro volta forniscono materia prima per la formazione di nuove galassie; è un processo che non si ferma mai. Non c’è scomparsa o creazione di materia, ma solo un cambiamento continuo ed inquieto da uno stato ad un altro. Dunque, non si può porre la questione della “fine del tempo”, che sia dentro un buco nero o altrove.

Una vuota astrazione

L’interpretazione in chiave mistica deriva da una concezione soggettivista del tempo, che lo fa dipendere da (“relativo a”) un osservatore. Ma il tempo è un fenomeno oggettivo, indipendente da qualsiasi osservatore. La necessità di introdurre nello scenario uno sventurato astronauta non nasce da una qualche necessità scientifica, ma è il prodotto di un determinato punto di vista filosofico, contrabbandato sotto il vessillo della “teoria della relatività”. Il tempo, vedete, per essere “reale”, ha bisogno di un osservatore, che lo possa poi interpretare dal proprio punto di vista. Dobbiamo supporre che, se manca l’osservatore, nemmeno il tempo esiste! Secondo un ragionamento davvero singolare, questo osservatore è protetto contro la maligna influenza del buco nero da un’ipotesi arbitraria, una “censura cosmica debole”, qualunque cosa sia. Invece dentro il buco il tempo non esiste affatto. Dunque, fuori esiste il tempo, ma a poca distanza non esiste. Al confine fra questi due stati, c’è il misterioso orizzonte degli eventi, la cui natura è avvolta nell’oscurità.
Pare perlomeno che dobbiamo abbandonare ogni speranza di comprendere quello che succede oltre l’orizzonte degli eventi, poiché, citando Hawking, è “pudicamente nascosto a ogni osservatore esterno”. Ci viene riproposto l’equivalente nel XX secolo della kantiana cosa in sé. E, come la cosa in sé, dopo tutto non risulta tanto difficile da comprendere. Si tratta di una visione mistica e idealista del tempo e dello spazio, inserita in un modello matematico e contrabbandata per realtà.
Il tempo e lo spazio sono le proprietà basilari della materia. Più esattamente, sono il modo di esistere della materia. Kant aveva già osservato che, se lasciamo da parte tutte le proprietà fisiche della materia, ci rimangono il tempo e lo spazio. Ma questa è in realtà una vuota astrazione. Il tempo e lo spazio non possono esistere separati dalle proprietà fisiche della materia più di quanto non si possa consumare “frutta” in generale, al posto di mele e arance, o fare l’amore col “sesso femminile”. Contro Marx si è lanciata l’accusa, assolutamente ingiustificata, di aver concepito una Storia che si svolge senza la partecipazione cosciente di uomini e donne, come risultato di Forze Economiche, o sciocchezze simili. In realtà Marx precisa in modo ben chiaro che la Storia non può fare nulla e che gli uomini fanno la propria storia, sebbene non la facciano esclusivamente secondo la propria “libera volontà”.
Hawking, Penrose e molti altri sono rei precisamente dell’errore ingiustamente attribuito a Marx. Al posto della vuota astrazione Storia, che viene effettivamente personificata e dotata di una propria vita e di una propria volontà, vediamo l’astrazione altrettanto vuota Tempo, concepita come un’entità indipendente che nasce e muore e nel frattempo combina un sacco di marachelle, insieme al suo amico Spazio, che sorge, crolla e si piega, un po’ come un ubriacone cosmico, fino ad ingoiare sventurati astronauti in buchi neri. Ora, questo genere di cose va benissimo nella fantascienza, ma non è molto utile come mezzo per capire l’universo. Chiaramente ci sono immense difficoltà pratiche per ottenere informazioni precise, poniamo, sulle stelle di neutroni. In un certo senso, in relazione all’universo, ci troviamo in una situazione più o meno analoga a quella degli uomini primitivi in relazione ai fenomeni naturali. In mancanza di informazioni adeguate, cerchiamo una spiegazione razionale per le cose difficili ed oscure; dobbiamo ripiegare sulle nostre risorse: la mente e l’immaginazione. Le cose sembrano misteriose quando non vengono comprese e per comprenderle è necessario fare delle ipotesi; alcune di queste risulteranno erronee. Questo in sé non presenta problemi; la storia della scienza è piena di esempi in cui la ricerca basata su un’ipotesi errata ha portato a scoperte importanti.
Tuttavia, abbiamo il dovere di tentare di assicurare che le ipotesi abbiano un carattere ragionevolmente razionale. In tali circostanze diventa indispensabile lo studio della filosofia. Dobbiamo proprio tornare ai miti primitivi e alla religione per comprendere l’universo? Dobbiamo riportare in vita le nozioni screditate dell’idealismo, che in realtà sono strettamente legate a tali miti? È proprio necessario reinventare la ruota? “Non è possibile opporsi a un teorema matematico”. Forse no, ma è senz’altro possibile mettere in discussione premesse filosofiche scorrette e un’interpretazione idealista del tempo, che porta a conclusioni come le seguenti:

Ci sono alcune soluzioni delle equazioni della relatività generale in cui per il nostro astronauta è possibile vedere una singolarità nuda: può accadere che egli riesca a evitare di colpire la singolarità e precipiti invece in un «cunicolo» (wormhole) per fuoriuscire in un’altra regione dell’universo. Questo fatto offrirebbe grandi possibilità per i viaggi nello spazio e nel tempo, ma purtroppo pare che debba trattarsi in ogni caso di soluzioni altamente instabili; il minimo disturbo, come la presenza di un astronauta, potrebbe modificarle, cosicché l’astronauta potrebbe non vedere la singolarità finché non fosse a contatto con essa, nel qual caso il suo tempo finirebbe. In altri termini la singolarità sarebbe sempre nel suo futuro e mai nel suo passato. La versione forte dell’ipotesi della censura cosmica afferma che, in una soluzione realistica, le singolarità si troverebbero sempre interamente nel futuro (come la singolarità del collasso gravitazionale) o interamente nel passato (come il Big Bang). Auspichiamo che una qualche versione dell’ipotesi della censura si riveli valida poiché in prossimità di singolarità nude potrebbe essere possibile compiere viaggi nel passato. Questa potrebbe essere una bella cosa per gli scrittori di fantascienza, ma significherebbe anche che non sarebbe mai sicura la vita di nessuno; qualcuno potrebbe infatti andare nel passato e uccidere tuo padre o tua madre prima che tu fossi concepito!6

Il “viaggio nel tempo” appartiene alle pagine della fantascienza, dove può essere fonte di innocuo divertimento. Ma siamo convinti che nessuno debba temere che la propria esistenza sia messa a repentaglio da un qualche irriverente viaggiatore nel tempo che gli faccia fuori la nonna! Francamente, basta porre la questione per capire che si tratta di un’evidente assurdità. Il tempo si muove in una sola direzione, dal passato al futuro, e non può tornare indietro. Qualunque cosa scopra il nostro amico astronauta in fondo al buco nero, non troverà che il tempo è tornato indietro o si è “fermato” (tranne nel senso che, siccome egli stesso sarebbe fatto a pezzi dalla forza della gravità, il tempo cesserebbe per lui, insieme a tante altre cose).
Abbiamo già commentato la tendenza a confondere scienza e fantascienza. È anche da notare che molta della stessa fantascienza è pervasa da uno spirito semireligioso, mistico e idealista. Molto tempo fa, Engels osservò che gli scienziati che disprezzano la filosofia cadono spesso vittime di ogni genere di misticismo. Egli scrisse un articolo dal titolo La scienza naturale e il mondo degli spiriti, da cui è tratto il seguente brano:

Questa scuola prevale in Inghilterra. Suo padre, il tanto lodato Francis Bacon, già avanzava la proposta che il suo nuovo metodo empirico ed induttivo fosse seguito per raggiungere, tramite esso, vita più lunga, ringiovanimento, in una certa misura modifica alla statura ed ai tratti, la trasformazione di un corpo in un altro, la produzione di nuove specie, potere sull’aria e la produzione di tempeste. Egli si lamenta che tali indagini sono state abbandonate e nella sua storia naturale dà ricette vere e proprie per la creazione dell’oro e per svolgere vari miracoli. In modo analogo Isaac Newton nella vecchiaia si occupava molto dell’esposizione della Rivelazione di San Giovanni.
Quindi non c’è da stupirsi se negli ultimi anni l’empirismo inglese nella persona di alcuni suoi esponenti – e non i peggiori – sembra essere caduto vittima perduta delle sedute spiritiche importate dall’America.7

Non c’è dubbio che Stephen Hawking e Roger Penrose siano scienziati e matematici eccezionali. Il problema è che, se si parte da una premessa sbagliata, si arriva inevitabilmente a conclusioni sbagliate.
Hawking evidentemente si sente a disagio all’idea che dalle sue teorie si possano trarre conclusioni religiose. Racconta come nel 1981 partecipò ad una conferenza sulla cosmologia tenutasi nel Vaticano, organizzata dai Gesuiti, e commenta:

La Chiesa cattolica aveva compiuto un grave errore nella vicenda di Galileo, quando aveva tentato di dettar legge su una questione scientifica, dichiarando che era il Sole a orbitare intorno alla Terra. Ora, a qualche secolo di distanza, aveva deciso di invitare un certo numero di esperti per farsi dare consigli sulla cosmologia. Al termine del convegno i partecipanti furono ammessi alla presenza del santo padre. Il papa ci disse che era giustissimo studiare l’evoluzione dell’universo dopo il Big Bang, ma che non dovevamo cercare di penetrare i segreti del Big Bang stesso perché quello era il momento della creazione e quindi l’opera stessa di Dio. Fui lieto che il papa non sapesse quale argomento avessi trattato poco prima nel mio intervento al convegno: la possibilità che lo spazio-tempo fosse finito ma illimitato, ossia che non avesse alcun inizio, che non ci fosse alcun momento della Creazione. Io non provavo certamente il desiderio di condividere la sorte di Galileo, pur essendo legato a lui da un forte senso di identità, dovuto in parte alla coincidenza di essere nato esattamente 300 anni dopo la sua morte!8

Chiaramente Hawking vuole delineare un confine tra se stesso e i creazionisti. Ma il tentativo non riesce molto bene. Come può l’universo essere finito, ma non avere confini? In matematica è possibile avere una serie infinita di numeri, che parte da uno. Ma in pratica l’idea dell’infinito non può partire da uno, né da qualsiasi altro numero. L’infinito non è un concetto matematico; non si può valutare come entità numerica. Questo “infinito” squilibrato è quello che Hegel definisce cattivo infinito. Engels tratta l’argomento nella sua polemica con Dühring:

Ma la contraddizione della «serie numerica infinita numerata»? Saremo in grado di indagarla da vicino non appena Dühring ci avrà esibito il pezzo di bravura di numerarla. Ne riparleremo quando sarà riuscito a contare da -∞ (meno infinito) a zero. È chiaro invero che dovunque egli comincerà a contare, si lascerà sempre alle spalle una serie infinita e con essa il compito che doveva assolvere. Si provi solo a rovesciare la sua propria serie infinita 1+2+3+4… e tenti di contare da capo, partendo dal termine infinito sino a 1; sarà evidentemente il tentativo di un uomo che non capisce affatto di che cosa si tratta. Ma c’è di più. Dühring, affermando che la serie infinita del tempo trascorso è numerata, afferma conseguentemente che il tempo ha un principio; difatti, diversamente non potrebbe, di certo, nemmeno cominciare a «numerare». Quindi ancora una volta introduce di soppiatto come presupposto ciò che deve dimostrare. L’idea della serie infinita e numerata, in altri termini, la legge duhringhiana del numero determinato, legge che abbraccia l’universo, non è quindi che una contradictio in adjecto, contiene in se stessa una contraddizione, e invero una contraddizione assurda.
È chiaro che l’infinità che ha una fine, ma non ha un principio, non è più nemmeno infinita di quella che ha un principio, ma non ha una fine. L’intuito dialettico più modesto avrebbe dovuto suggerire a Dühring che principio e fine sono necessariamente legati l’uno all’altra, come il polo nord e il polo sud, che, se si omette la fine, il principio diventa precisamente la fine, l’unica fine che la serie ha, e viceversa. Tutta l’illusione sarebbe impossibile senza la consuetudine propria della matematica di operare con serie infinite. Poiché nella matematica si deve partire dal determinato, dal finito, per arrivare all’indeterminato, all’infinito, tutte le serie matematiche, positive e negative, devono cominciare da 1, altrimenti sarebbe impossibile servirsene per calcolare. Ma l’esigenza ideale del matematico è molto lontana dall’essere una legge obbligatoria per il mondo reale.9

Stephen Hawking ha portato questa speculazione relativistica ad un punto estremo con il suo studio sui buchi neri, che ci porta proprio nel regno della fantascienza. Nel tentativo di aggirare la scomoda questione di cosa succedeva prima, viene proposta l’idea degli “universi baby”, connessi fra loro dai cosiddetti “cunicoli” (wormholes). Come osserva ironicamente Lerner: “È una visione che sembra implori una qualche forma di cosmico controllo delle nascite.10
È davvero stupefacente che scienziati equilibrati possano prendere per buone idee così grottesche.
L’idea di un “universo finito senza confini” è ancora un’altra astrazione matematica, che non corrisponde alla realtà di un universo eterno e infinito, in continuo cambiamento. Una volta adottato quest’ultimo punto di vista, non c’è bisogno di speculazioni mistiche su “cunicoli”, singolarità, supercorde e tutto il resto. Un universo infinito non richiede la ricerca di un inizio o una fine, ma solo la definizione del processo incessante di movimento, mutamento e sviluppo. La concezione dialettica non lascia spazio a Paradiso e Inferno, Dio e Diavolo, Creazione e Giudizio universale. Lo stesso non si può dire riguardo a Hawking, il quale prevedibilmente finisce per tentare di “conoscere la mente di Dio”.
Di fronte a questo spettacolo i reazionari si sfregano le mani e utilizzano per i propri fini la corrente di oscurantismo predominante nella scienza. William Rees-Mogg, consulente del grande capitale, scrive:

Pensiamo che sia estremamente probabile che il movimento religioso che vediamo in atto in molte società del mondo sarà rafforzato se attraverseremo un periodo economicamente molto difficile. La religione sarà rafforzata perché la tendenza attuale della scienza non erode più la percezione religiosa della realtà, ma, anzi, per la prima volta dopo secoli, addirittura la sorregge.”11

Pensieri nel vuoto

Ebbene, certe volte ho creduto fino a sei cose impossibili prima di colazione
(Lewis Carroll)
Con gli uomini questo è impossibile; ma con Dio tutte le cose sono possibili
(Matteo, 19:26)
Niente può essere creato dal nulla
(Lucrezio)

Poco prima di terminare la stesura di questo libro, ci è capitato sotto mano l’ultimo contributo alla cosmologia del Big Bang, pubblicato sul New Scientist del 25 febbraio 1995. In un articolo di Robert Matthews dal titolo Niente come un vuoto, leggiamo quanto segue: “È tutto intorno a voi, eppure non potete sentirlo. È la fonte di tutto, ma non è niente.” Cos’è questa cosa incredibile? È un vuoto. E cos’è un vuoto? Il suo nome indica che è proprio vuoto. Il dizionario lo definisce come uno “spazio vuoto, o privo di materia o di contenuto; qualsiasi spazio non occupato, non riempito”. Così è stato finora – ma non più. L’umile vuoto, citando Matthews, è diventato “uno degli argomenti più scottanti della fisica contemporanea”.
Ha mostrato di essere un paese delle meraviglie di effetti magici: campi di forza che emergono dal nulla, particelle spumeggianti che compaiono e scompaiono e vibrazioni energetiche apparentemente senza una fonte d’energia.
Grazie ad Heisenberg e Einstein (povero Einstein!) abbiamo

la sorprendente constatazione che tutto intorno a noi particelle subatomiche «virtuali» saltano continuamente fuori dal nulla e poi scompaiono nel giro di 10-23 secondi. Lo ‘spazio vuoto’ dunque non è affatto vuoto, ma è un mare che ribolle di attività e pervade l’intero universo.
Questo è allo stesso tempo vero e falso. È vero che tutto l’universo è pervaso da materia ed energia e che lo “spazio vuoto” non è realmente vuoto ma pieno di particelle, radiazioni e campi di forza. È vero che le particelle cambiano continuamente e che alcune hanno un’esistenza così fuggevole da venire definite particelle “virtuali”. Non c’è assolutamente niente di “sorprendente” in questi concetti, che erano noti già decenni fa. Ma non è affatto vero che queste particelle saltano fuori “dal nulla”. Abbiamo già trattato questo equivoco e non è necessario ripetere ciò che è stato detto.
Come un vecchio disco con il solco danneggiato, coloro che vogliono introdurre l’idealismo nella fisica battono sempre il tasto sull’idea che si può ottenere qualcosa dal niente. È un’idea che contraddice tutte le leggi note della fisica, compresa quella quantistica, eppure qui troviamo espresso proprio il concetto che l’energia si possa ottenere letteralmente dal nulla! È analogo ai tentativi fatti in passato di scoprire il moto perpetuo, che giustamente venivano ridicolizzati.
La fisica moderna parte dal rifiuto della vecchia idea dell’etere, come mezzo invisibile universale attraverso il quale si riteneva viaggiassero le onde di luce. La teoria di Einstein della relatività ristretta dimostrò che la luce può viaggiare attraverso il vuoto e non richiede un mezzo particolare. Incredibilmente, dopo aver citato Einstein come autorità in materia (ormai un atto obbligatorio, come farsi il segno della croce prima di uscire dalla chiesa, e per niente più significativo), Matthews cerca di reintrodurre l’etere nella fisica:
Ciò non significa che non possa esistere un fluido universale, bensì che tale fluido deve conformarsi ai dettami della relatività ristretta. Il vuoto non è obbligato ad essere mera fluttuazione quantistica intorno ad uno stato medio di vero nulla; può essere una fonte di energia permanente, non nulla, di energia nell’universo.”
Ora, cosa precisamente si deve trarre da tutto ciò? Finora ci è stato raccontato di “sorprendenti” nuovi sviluppi della fisica, di “paesi delle meraviglie” di particelle; ci è stato assicurato che un vuoto dispone di abbastanza energia per rispondere ad ogni nostra esigenza. Ma i dati stessi forniti dall’articolo non sembrano dire niente di nuovo. Contiene una grande quantità di affermazioni, ma è molto avaro di dati. Forse l’autore intendeva compensare questa carenza con l’oscurità delle sue formulazioni. Possiamo solo tirare ad indovinare il significato di “fonte permanente, non nulla, di energia”. E cosa sarebbe uno “stato medio di vero nulla”? Se intendeva dire un vero vuoto, sarebbe stato meglio usare due parole chiare invece di cinque poco chiare. Questo genere di ambiguità intenzionale viene usata di solito per celare pensieri confusi, soprattutto in questo campo. Perché non parlare in modo semplice? A meno che, ovviamente, non si tratti di un “vero nulla” di contenuto.
Lo scopo dell’articolo è dimostrare che il vuoto ricava quantità illimitate di energia dal nulla. L’unica “prova” di ciò è qualche accenno alle teorie della relatività, generale e ristretta, che vengono usate regolarmente come attaccapanni a cui appendere qualsiasi ipotesi arbitraria.

La relatività ristretta richiede che le proprietà del vuoto appaiano le stesse per tutti gli osservatori, qualunque sia la loro velocità. Affinché questo sia vero risulta che la pressione del «mare» di vuoto annulli esattamente la sua densità d’energia. È una condizione che può sembrare abbastanza innocua, ma ha alcune conseguenze sorprendenti. Significa, per esempio, che una determinata regione di energia di vuoto conserva la stessa densità d’energia, indipendentemente da quanto si espande quella regione. Questo è, a dir poco, strano. Confrontiamolo col comportamento di un gas normale, la cui densità d’energia diminuisce con l’aumento del volume. È come se il vuoto potesse attingere ad una riserva d’energia costante.

In primo luogo, notiamo che quello che un paio di frasi addietro era solo un ipotetico “fluido universale” si è trasformato adesso in un effettivo “mare” di vuoto, anche se nessuno sa di sicuro da dove venga tanta “acqua”. Questo è, a dir poco, strano. Ma lasciamolo lì dov’è; supponiamo ora, come fa l’autore, che sia vero quello che è ancora da dimostrare e accettiamo l’esistenza di questo vasto oceano di nulla. Risulta ora che questo “nulla” è ora non solo qualcosa, ma è un “qualcosa” di notevole consistenza. Come per magia, è riempito di energia da una “riserva costante”. Questo è l’equivalente cosmologico della cornucopia, il “corno dell’abbondanza” della mitologia greca e irlandese, un misterioso corno o calderone che, per quanto se ne attingesse, non era mai vuoto. Era un dono degli dèi, ma sembra roba da bambini in confronto a quello che ci regala ora il signor Matthews.
Se in un vuoto entra energia, essa deve provenire dall’esterno. Questo è abbastanza chiaro, dato che un vuoto non può esistere isolato dalla materia e dall’energia. L’idea di spazio vuoto senza materia è assurda quanto l’idea di materia senza spazio. Sulla Terra non esiste niente di assimilabile a un vuoto perfetto. La cosa che più si avvicina ad un vuoto perfetto è lo spazio. Ma in realtà nemmeno lo spazio è vuoto. Alcuni decenni fa, Hannes Alfvén spiegò come lo spazio brulica di intrecci di correnti elettriche e di campi magnetici riempiti di filamenti di plasma. Questo non è risultato di speculazioni o di appelli alla teoria della relatività, ma è confermato dall’osservazione, comprese quelle effettuate dalle sonde spaziali Voyager e Pioneer che hanno rilevato queste correnti e filamenti intorno a Giove, Saturno ed Urano.
Quindi c’è, effettivamente, parecchia energia nello spazio – non però del tipo di cui parla Matthews. Avendo stabilito l’esistenza del suo “mare del vuoto” egli intende prelevare la sua energia direttamente dal vuoto. Non occorre materia! Questo è molto meglio del prestigiatore che tira fuori un coniglio da un cilindro perché, in fondo si sa, il coniglio era nascosto da qualche parte. Invece questa energia viene proprio dal niente. Essa viene dal vuoto, per cortese intercessione della relatività generale:

Uno degli aspetti chiave della teoria generale della relatività di Einstein è che la massa non è l’unica fonte di gravitazione. In particolare la pressione, sia positiva che negativa, può generare effetti gravitazionali.

A questo punto il lettore sarà totalmente confuso. Ora, però, tutto diventa chiaro (o quasi):

Tale caratteristica del vuoto – ci viene detto a questo punto – è il nucleo forse del più importante nuovo concetto cosmologico dell’ultimo decennio: l’inflazione cosmica. Sviluppata principalmente da Alan Guth al MIT e da Andrei Linde, ora a Stanford, l’idea di inflazione cosmica sorge dalla supposizione che l’universo nelle primissime fasi fosse riempito di instabile energia di vuoto il cui effetto «antigravitazionale» fece espandere l’universo di un fattore forse di 1050 in solo 10-32 secondi. L’energia di vuoto svanì lasciando fluttuazioni casuali la cui energia si trasformò in calore. Dato che energia e materia sono interscambiabili, il risultato fu quella creazione di materia che ora chiamiamo Big Bang.

Ci siamo! Tutta questa costruzione assolutamente arbitraria è concepita unicamente per appoggiare la teoria inflazionaria del Big Bang. Come sempre, si cambiano continuamente le regole per puntellare a tutti i costi la loro ipotesi. Ricorda i sostenitori della vecchia teoria aristotelico-tolemaica delle sfere celesti, la quale veniva continuamente rivista e resa più complicata per adattarla ai fatti. Come abbiamo visto, la teoria di recente se la passava male, col problema della “materia oscura e fredda” introvabile e con il caos infernale intorno alla costante di Hubble. Di fronte alla pressante necessità di un appoggio, i sostenitori della teoria sono andati alla ricerca di una qualche spiegazione a uno dei problemi centrali della teoria: da dove è venuta tutta l’energia necessaria a provocare il Big Bang inflazionario, il “più grande pranzo gratuito di tutti i tempi”, come lo ha chiamato Alan Guth. Ora vogliono passare il conto a qualcuno, o a qualcosa, e trovano… un vuoto. Dubitiamo che questo conto sarà mai pagato e, nel mondo reale, chi non paga un conto viene condotto in cucina a lavare i piatti, nonostante offra la teoria generale della relatività al posto del denaro contante.
“Dal nulla, attraverso il nulla, fino al nulla”, disse Hegel. È un epitaffio adatto per la teoria dell’inflazione. C’è in realtà un solo modo per ottenere qualcosa dal nulla: con un atto di Creazione. E questo è possibile solo attraverso l’intervento di un Creatore. Malgrado i loro sforzi, i sostenitori del Big Bang troveranno che i loro passi li portano sempre in questa direzione. Qualcuno ci andrà di buon grado, altri insistendo che non sono religiosi “nel senso convenzionale”. Ma il ritorno al misticismo è la conseguenza inevitabile di questo mito moderno della Creazione. Per fortuna sempre più persone si scoprono insoddisfatte di questo stato di cose. Prima o poi si verificherà una rottura grazie all’osservazione, che consentirà l’emergere di una nuova teoria, permettendo al Big Bang una decente sepoltura. Prima succede e meglio sarà.

Le origini del sistema solare

Lo spazio non è veramente vuoto. In natura non esiste un vuoto perfetto. Lo spazio è riempito da un gas estremamente rarefatto, il “gas interstellare” rilevato per la prima volta nel 1904 da Hartmann. Le concentrazioni di gas e di polvere diventano molto maggiori e più dense nelle vicinanze delle galassie, che sono circondate da “nebbia” composta per la maggior parte da atomi di idrogeno ionizzati dalle radiazioni stellari. Anche questa materia non è inerte, ma viene scomposta in particelle subatomiche elettricamente cariche, soggette ad ogni tipo di movimenti, processi e cambiamenti. Questi atomi occasionalmente collidono e possono cambiare il loro stato energetico. Sebbene questo possa succedere ad un singolo atomo solo una volta ogni 11 milioni di anni, dato il vasto numero in gioco è sufficiente per creare un’emissione continua e rilevabile, il “canto dell’idrogeno”, rilevato per la prima volta nel 1951.
Si tratta quasi interamente di idrogeno, ma ci sono anche deuterio – una forma di idrogeno più complessa – ossigeno ed elio. Può sembrare impossibile che avvengano combinazioni, vista l’estrema rarefazione di questi elementi nello spazio. Però avvengono e ad un notevole grado di complessità. La molecola dell’acqua (H2O) è stata individuata nello spazio, come pure quella dell’ammoniaca (NH3), seguita dalla formaldeide (H2CO) e da molecole ancora più complesse, dando vita ad una nuova scienza: l’astrochimica. Infine è stato dimostrato che nello spazio sono presenti gli amminoacidi, cioè le molecole di base della vita stessa.
Kant (nel 1755) e Laplace (nel 1796) avanzarono per primi l’ipotesi nebulare della formazione del sistema solare. Secondo tale ipotesi, il Sole e i pianeti si erano formati dalla condensazione di un’immensa nube di materia. Questo sembrava coerente con i fatti e, quando Engels scrisse la Dialettica della natura, era generalmente accettato. Invece nel 1905 Chamberlain e Moulton proposero una teoria alternativa: l’ipotesi planetaria. Questa fu sviluppata ulteriormente da Jean e Jeffreys, che nel 1918 presentarono l’ipotesi tidal (delle maree), per cui il sistema solare sarebbe stato generato dalla collisione fra due stelle. Il problema di questa teoria è che, se fosse esatta, i sistemi planetari sarebbero fenomeni estremamente rari. Le enormi distanze fra le stelle sono tali che collisioni del genere sono 10.000 volte meno comuni delle supernove, anch’esse avvenimenti niente affatto comuni. Ancora una volta vediamo come, ricorrendo ad una fonte esterna e accidentale come una stella vagante, creiamo più problemi di quanti ne risolviamo.
Infine fu dimostrato che la teoria che pretendeva di sostituire il modello Kant-Laplace era matematicamente difettosa. Altre ipotesi, come la “collisione fra tre stelle” (Littleton) e la teoria di Hoyle sulla supernova, furono escluse nel 1939 quando si dimostrò che il materiale espulso dal Sole in tale modo sarebbe stato troppo caldo per condensare in pianeti; si sarebbe semplicemente espanso per formare un gas rarefatto. Così fu abbattuta la teoria catastrofico-planetaria. L’ipotesi nebulare è stata riabilitata, ma ad un livello superiore rispetto alla prima formulazione; non è solo una ripetizione delle idee di Kant e Laplace. Ad esempio, si ritiene attualmente che le nubi di polvere e di gas previste da quel modello dovrebbero essere molto più grandi di quanto si fosse pensato. Su scala così grande, la nube sarebbe soggetta a turbolenza, creando vasti vortici che in seguito si condenserebbero in sistemi separati. Questo modello perfettamente dialettico fu sviluppato nel 1944 dall’astronomo tedesco Karl F. von Weizsäcker e perfezionato dall’astrofisico svedese Hannes Alfvén.
Weiszäcker calcolò che ci sarebbe stata materia sufficiente nei vortici più ampi per creare galassie nel corso di un processo di contrazione turbolenta, dando luogo a vortici secondari, ognuno dei quali avrebbe potuto produrre sistemi solari e pianeti. Hannes Alfvén compì uno studio particolare del campo magnetico solare. Nel primo stadio della sua esistenza, il Sole ruotava su se stesso ad un’alta velocità, ma col tempo venne rallentato dal suo campo magnetico, il che trasmetteva momento angolare ai pianeti. La nuova versione della teoria di Kant-Laplace, come sviluppata da Alfvén e Weizsäcker, è ora generalmente accettata come versione più probabile delle origini del sistema solare.
La nascita e la morte delle stelle costituisce un esempio ulteriore del modo di operare dialettico della natura. Prima di esaurire il proprio combustibile nucleare, la stella vive un lungo periodo di pacifica evoluzione che dura milioni di anni. Ma quando raggiunge il punto critico, subisce una fine violenta, crollando sotto il proprio peso in meno di un secondo. In questo processo, essa emette una quantità colossale di energia sotto forma di luce, emettendone in pochi mesi più di quanto il nostro Sole ne generi in un miliardo di anni. Eppure questa luce rappresenta solo una piccola parte dell’energia totale di una supernova. L’energia cinetica dell’esplosione è dieci volte maggiore; e forse una quantità dieci volte maggiore di quest’ultima viene portata via sotto forma di neutrini, emessi in un lampo che dura un attimo. Gran parte della massa della stella viene sparsa nello spazio. L’esplosione di una supernova nei pressi della Via Lattea scagliò lontano la sua massa, ridotta in ceneri nucleari contenenti una gran varietà di elementi. La Terra e tutto quello che c’è in essa, noi compresi, è composta interamente da questa polvere di stelle riciclata; il ferro nel nostro sangue è un tipico esempio di detriti cosmici riciclati.
Queste rivoluzioni cosmiche, come quelle sociali, sono avvenimenti rari. Nella nostra galassia, negli ultimi mille anni sono state registrate solo tre supernove. Quella più brillante, osservata dagli astronomi cinesi nel 1054, produsse la nebulosa del Granchio. Inoltre, la classificazione delle stelle ha portato alla conclusione che non c’è nessun tipo nuovo di materia nell’universo; la stessa materia esiste ovunque. Le caratteristiche principali degli spettri di tutte le stelle vengono definite in termini di sostanze presenti sulla Terra. Lo sviluppo dell’astronomia ad infrarossi ha fornito il mezzo per esplorare l’interno delle nubi interstellari oscure, che sono probabilmente il sito di formazione della maggior parte delle nuove stelle. La radioastronomia ha cominciato a rivelare la composizione di queste nubi: principalmente idrogeno e polvere, insieme a una mistura di alcune molecole sorprendentemente complesse, molte delle quali di natura organica.
La nascita del nostro sistema solare circa 4,6 miliardi di anni fa ebbe inizio da una nube di detriti frantumati di una stella ormai estinta. Il Sole attuale si condensò al centro di una nube piatta rotante, mentre i pianeti si svilupparono in diversi punti intorno al Sole. Si ritiene che i pianeti esterni – Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone – siano un campione della nube originaria: idrogeno, elio, metano, ammoniaca e acqua. I pianeti interni, più piccoli – Mercurio, Venere, Terra e Marte – sono più ricchi di elementi più pesanti e più poveri di gas come elio e neon, che hanno potuto sfuggire alle loro gravità più deboli.
Aristotele pensava che tutto sulla Terra fosse destinato a perire, ma che i cieli stessi fossero immutevoli ed immortali. Ora la nostra conoscenza ci dice cose ben diverse. Mentre scrutiamo meravigliati l’immensità del cielo notturno, sappiamo che ognuno di questi corpi celesti che illuminano l’oscurità un giorno si estinguerà. Non solo gli uomini e le donne mortali, ma le stelle stesse, che portano i nomi degli dèi, subiscono l’agonia e l’estasi di cambiamento, nascita e morte. E, in qualche modo, questo fatto ci porta più vicino al grande universo della natura, dal quale siamo venuti e al quale dovremo un giorno tornare. Il nostro Sole dispone attualmente di abbastanza idrogeno per durare miliardi di anni nel suo stato attuale. Infine, però, aumenterà la sua temperatura al punto che la vita sulla Terra diventerà impossibile. Tutti gli individui devono perire, ma la meravigliosa diversità dell’universo materiale in tutta la sua miriade di manifestazioni è eterna ed indistruttibile. La vita sorge, scompare e risorge ancora. Così è stato e così sarà per sempre.
Note
1. S. W. Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri, una breve storia del tempo, pagg. 52-3.
2. Ibid., pagg. 64-65 e 49.
3. Engels, Anti-Dühring, pag. 50.
4. Ibid., pag. 89.
5. Hawking, op. cit., pagg. 69 e 108-9.
6. Ibid., pag. 109.
7. Engels, Dialettica della Natura, pagg. 68-9.
8. Hawking, op. cit., pagg. 136-7.
9. Engels, Anti-Dühring, pagg. 49.
10. Lerner, op. cit., pag. 190.
11. James Davidson e William Rees-Mogg, op. cit., pag. 447.
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