La Rivolta della Ragione – Capitolo 3 Il materialismo dialettico – Razionalità e irrazionalità

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La Rivolta della Ragione – Capitolo 3 Il materialismo dialettico – Razionalità e irrazionalità

di Alan Woods e Ted Grant

 

Tutto scorre, nulla rimane immobile
(Eraclito)

Che cos’è la dialettica?

La dialettica è un modo di concepire e di interpretare il mondo, sia della natura sia della società. È un modo di guardare l’universo partendo dall’assunto che tutto è in uno stato di movimento e di continuo cambiamento. Ma non solo; la dialettica sostiene che il moto e il cambiamento comportano contraddizioni e possono verificarsi solo attraverso contraddizioni. Dunque, invece di una tranquilla e continua linea evolutiva, abbiamo una linea interrotta da periodi improvvisi ed esplosivi in cui i lenti cambiamenti accumulatisi (cambiamenti quantitativi) subiscono una rapida accelerazione, in modo che la quantità si trasformi in qualità. La dialettica è la logica della contraddizione. Le leggi della dialettica erano già state elaborate in dettaglio da Hegel, benché nei suoi scritti esse appaiano in una forma mistificata ed idealista. Furono Marx ed Engels a dare alla dialettica per la prima volta una base scientifica, cioè materialista.
“Hegel scrisse le sue opere prima di Darwin e di Marx” – disse Trotskij. “Grazie al potente impulso dato al pensiero dalla rivoluzione francese, Hegel precedette il movimento generale della scienza. Ma proprio perché era solo una anticipazione, sebbene ad opera di un genio, ricevette da Hegel un carattere idealista, in quanto Hegel operava con ombre ideologiche come se fossero realtà in forma compiuta. Marx dimostrò che il movimento di queste ombre ideologiche non rifletteva altro che il movimento dei corpi materiali.”1
Negli scritti di Hegel ci sono molti efficaci esempi delle leggi della dialettica tratti dalla storia e dalla natura. Tuttavia, l’idealismo di Hegel conferiva necessariamente alla sua dialettica un carattere altamente astratto e arbitrario. Affinché la dialettica fosse al servizio dell'”Idea Assoluta”, Hegel dovette imporre uno schema alla natura e alla società, in netta contraddizione con lo stesso metodo dialettico, il quale richiede la derivazione delle leggi di un dato fenomeno da uno studio meticolosamente oggettivo della questione presa in esame, come fece Marx nel Capitale. I critici di Marx spesso affermano che il suo metodo consisteva nella pura riproposizione della dialettica idealista di Hegel imposta arbitrariamente alla storia; invece era proprio il contrario, come spiega lo stesso Marx:
“Il mio metodo dialettico non solo è diverso da quello hegeliano, ma ne è l’esatto opposto. Per Hegel, il processo vitale del cervello umano, cioè quello del pensiero, che egli, sotto il nome di Idea, trasforma addirittura in un soggetto indipendente, è il demiurgo del reale e reale è solo la forma esterna, fenomenica del processo del pensiero. Per me invece l’ideale altro non è che il mondo materiale riflesso dalla mente umana e tradotto in forme di pensiero.2
Quando iniziamo a contemplare il mondo intorno a noi, vediamo un’immensa e incredibilmente complessa serie di fenomeni, un intreccio di cambiamenti, cause ed effetti, azione e reazione, apparentemente senza fine. La forza motrice dell’indagine scientifica è il desiderio di ottenere una visione razionale di questo sbalorditivo labirinto, di capirlo per conquistarlo. Ricerchiamo leggi in grado di separare il generale dal particolare, l’accidentale dal necessario, e di consentirci di capire le forze che danno origine ai fenomeni che abbiamo di fronte. Il fisico e filosofo inglese David Bohm scrisse:
“In natura niente rimane costante. Tutto è in uno stato continuo di trasformazione, moto e cambiamento. Tuttavia, scopriamo che nulla nasce dal nulla; esiste sempre qualcosa precedentemente. Allo stesso modo, niente sparisce mai senza lasciar traccia, nel senso di non originare assolutamente niente. Questa caratteristica generale del mondo può essere espressa in termini di un principio che riassume un enorme dominio di diversi tipi di esperienze e che finora non è mai stato contraddetto da nessuna osservazione o sperimentazione, scientifica o di altro genere; cioè che tutto nasce da altre cose e genera altre cose.3
La proposizione fondamentale della dialettica è che tutto è in uno stato costante di cambiamento, di moto e di sviluppo. Anche quando ci sembra che non succeda nulla, in realtà la materia cambia sempre. Le molecole, gli atomi e le particelle subatomiche cambiano continuamente posizione, sono sempre in moto. La dialettica è quindi un’interpretazione essenzialmente dinamica dei fenomeni e dei processi che si svolgono a tutti i livelli della materia, sia organica che inorganica.
“Ai nostri occhi, ai nostri rozzi occhi, niente cambia” – osserva il fisico americano Richard P. Feynman – “ma se potessimo osservare il mondo ingrandito un miliardo di volte, vedremmo che muta incessantemente: delle molecole lasciano la superficie della materia, mentre altre vi tornano.”4
Questa idea è così fondamentale per la dialettica che Marx ed Engels consideravano il moto la caratteristica di base della materia. Come in molti altri casi, questa nozione dialettica fu già anticipata da Aristotele, che scrisse:
“Comunque, da quanto si è detto risulta che la natura, nella sua accezione primaria e fondamentale, è la sostanza di quelle cose che hanno un principio di movimento in se stesse in-quanto-esse-sono-se-stesse, giacché la materia è chiamata “natura” perché può accogliere tale principio […]5
Questa non è la nozione meccanica di moto inteso come qualcosa impartito ad una massa inerte da una “forza” esterna, ma una nozione del tutto diversa di materia come qualcosa che si muove per impulso proprio. Per Marx ed Engels, la materia e il moto (energia) erano la stessa cosa, due modi di esprimere la stessa idea. Questa ipotesi venne confermata in modo eclatante dalla teoria di Einstein sull’equivalenza fra massa ed energia. Ecco come Engels esprime il concetto:
“Movimento nel senso più generale, concepito cioè come modo di esistere, come attributo inerente alla materia, comprende in sé tutti i mutamenti e i processi che hanno luogo nell’universo, dal semplice spostamento fino al pensiero. Lo studio della natura del movimento doveva evidentemente prendere le mosse dalle forme più basse, più semplici del movimento e imparare a comprenderle prima di poter arrivare a qualche risultato nello studio delle forme più alte e complesse.6

“Tutto scorre”

Tutto è in uno stato continuo di moto, dai neutrini ai superammassi stellari. La Terra stessa è sempre in moto, compie una rivoluzione intorno al Sole in un anno e una rotazione completa sul proprio asse in un giorno. Il Sole a sua volta ruota sul proprio asse in 26 giorni e, insieme a tutte le altre stelle della nostra galassia, compie una rotazione galattica ogni 230 milioni di anni. È probabile che strutture ancora più grandi (ammassi di galassie) abbiano anch’esse un qualche moto rotatorio globale. Sembra che questa sia una caratteristica della materia fino al livello atomico, dove gli atomi che compongono le molecole girano gli uni intorno agli altri con diversi periodi. All’interno dell’atomo, gli elettroni ruotano intorno al nucleo a velocità enormi. L’elettrone possiede una qualità detta spin intrinseco. È come se ruotasse intorno al proprio asse ad una velocità fissa che non possa essere fermata né modificata se non distruggendo l’elettrone in quanto tale. Se lo spin dell’elettrone aumenta, ciò cambia così drasticamente le sue proprietà che ne risulta un cambiamento qualitativo, il quale origina una particella completamente diversa. La grandezza chiamata momento angolare – la misura combinata di massa, dimensione e velocità di un sistema rotante – viene usata per misurare lo spin delle particelle elementari. Il principio della quantizzazione dello spin è fondamentale a livello subatomico, ma è valido anche nel mondo macroscopico, dove però i suoi effetti sono trascurabili al punto che si possono ignorare. Il mondo delle particelle subatomiche è in uno stato di movimento e di fermento continuo, in cui nulla è mai uguale a se stesso. Le particelle si trasformano continuamente nel loro opposto, cosicché è impossibile persino attribuirvi un’identità in un dato momento. I neutroni si trasformano in protoni e viceversa in uno scambio incessante d’identità. Engels definisce la dialettica come “la scienza delle leggi generali del moto e dello sviluppo della natura, della società umana e del pensiero.” Nell’Anti-Duhring e ne La dialettica della natura, Engels riassume le leggi della dialettica, partendo dalle tre fondamentali:
1) la legge della trasformazione della quantità in qualità e viceversa;
2) la legge della unità e compenetrazione degli opposti;
3) la legge della negazione della negazione.
A prima vista, tale pretesa può sembrare eccessivamente ambiziosa. È davvero possibile elaborare leggi che abbiano un’applicazione così generale? Ci può essere un modello che sta alla base dei processi, non solo della società e del pensiero, ma anche della natura? Nonostante tutte queste obiezioni, sta diventando sempre più evidente che tali modelli effettivamente esistono e ricompaiono costantemente a tutti i livelli, in tutti i modi. E ci sono esempi sempre più numerosi, tratti da campi molto diversi, dalle particelle subatomiche agli studi sulle popolazioni, che attribuiscono un peso sempre maggiore alla teoria del materialismo dialettico. Il punto essenziale del pensiero dialettico non è l’idea di cambiamento e di moto, bensì la concezione di moto e di cambiamento come fenomeni che si fondano sulla contraddizione. Mentre la logica formale tradizionale cerca di bandire la contraddizione, il pensiero dialettico la accoglie. La contraddizione è un aspetto essenziale dell’essere; è insita nel cuore della materia stessa. È la fonte di tutto il moto, il cambiamento, la vita e lo sviluppo. La legge dialettica che esprime questa idea è quella dell’unità e della compenetrazione degli opposti. La terza legge della dialettica, la negazione della negazione, esprime la nozione di sviluppo. Invece di un circolo chiuso, in cui i processi continuamente si ripetono, questa legge spiega come il passaggio per contraddizioni consecutive porta in realtà allo sviluppo, dal semplice al complesso, dall’inferiore al superiore. I processi non si ripetono esattamente allo stesso modo, anche se così può sembrare. Sono queste, esposte in modo estremamente schematico, le tre leggi fondamentali della dialettica. Da esse scaturisce tutta una serie di proposizioni aggiuntive, che riguardano il rapporto tra intero e parte, forma e contenuto, finito ed infinito, attrazione e repulsione e così via. Cercheremo di trattare questi punti, iniziando dal rapporto tra quantità e qualità.

Quantità e qualità

La legge della trasformazione della quantità in qualità presenta una gamma di applicazioni estremamente ampia, dalle più piccole particelle della materia a livello subatomico ai più grandi fenomeni noti all’uomo. Si può osservare in ogni genere di manifestazioni e a molti livelli, eppure questa legge così importante deve ancora ricevere il riconoscimento che merita. Essa si impone alla nostra attenzione in ogni momento. La trasformazione della quantità in qualità era già nota ai greci dell’isola di Megara, che la usavano per dimostrare certi paradossi, a volte anche in forma umoristica. Ne sono un esempio la “testa pelata” e il “mucchio di grano”: un capello in meno significa forse una testa calva, o un solo chicco costituisce un mucchio di grano? La risposta è no. E togliendo un altro capello (o aggiungendo un altro chicco)? La risposta è sempre no. La domanda si ripete finché non abbiamo un mucchio di grano e una testa pelata. Abbiamo in tal modo la contraddizione per cui i singoli piccoli cambiamenti, insufficienti per determinare un cambiamento qualitativo, ad un certo punto hanno proprio quest’effetto: la quantità si trasforma in qualità. L’idea che in certe condizioni anche le cose piccole possono provocare grandi cambiamenti trova espressione in tanti proverbi e modi di dire. Ad esempio: “La goccia che fa traboccare il vaso”, “l’unione fa la forza”, “la goccia scava la roccia” e così via. In molti modi, la legge della trasformazione della quantità in qualità ha penetrato la coscienza popolare, come osservava argutamente Trotskij:
“Ogni individuo è un dialettico in una certa misura, e nella gran parte dei casi senza esserne cosciente. Una donna di casa sa che una certa quantità di sale insaporisce piacevolmente la minestra, ma sa anche che aggiungendo ancora sale la minestra diventa immangiabile. Di conseguenza una contadina analfabeta si fa guidare, nel cuocere la minestra, dalla legge hegeliana della trasformazione di quantità in qualità. Esempi del genere presi dalla vita quotidiana potrebbero essere citati senza posa. Anche gli animali arrivano alle loro conclusioni pratiche non solo sulla base del sillogismo aristotelico ma anche sulla base della dialettica hegeliana. Così la volpe sa che i quadrupedi e gli uccelli sono prelibati e nutrienti. Vedendo una lepre, un coniglio o una gallina, la volpe conclude: questa creatura appartiene al tipo prelibato e nutriente e si getta sulla preda. Abbiamo qui un sillogismo completo, sebbene la volpe, possiamo supporre, non abbia mai letto Aristotele. Tuttavia, quando la stessa volpe incontra il primo animale che la supera in grandezza, ad esempio un lupo, conclude rapidamente che la quantità diventa qualità e se la dà a gambe. È chiaro che le zampe della volpe sono fornite di tendenze hegeliane, anche se non pienamente coscienti. Tutto ciò dimostra, di passata, che i nostri metodi di pensiero, sia la logica formale sia la dialettica, non sono costruzioni arbitrarie della nostra ragione ma piuttosto espressioni delle reali interrelazioni nella stessa natura. In questo senso tutto l’universo è permeato di dialettica inconscia. Ma la natura non si è fermata qui. C’è voluto uno sviluppo non trascurabile per far sì che le intime relazioni della natura si convenissero nel linguaggio della coscienza della volpe e dell’uomo, e allora l’uomo è stato capace di generalizzare queste forme di coscienza e di trasformarle in categorie logiche (dialettiche), creando così la possibilità di sondare più a fondo il mondo che ci circonda.7
Nonostante il carattere apparentemente frivolo di questi esempi, essi rivelano una verità profonda sul modo in cui funziona il mondo. Consideriamo l’esempio del mucchio di grano. Alcuni dei più recenti studi riguardanti la teoria del caos si sono concentrati sul punto critico in cui una serie di piccole variazioni produce un cambiamento di stato di ampia portata (nella terminologia moderna, questo è detto “orlo del caos”). Lo studio del fisico danese Per Bak e di altri sulla “criticità auto-organizzata” si è servito proprio dell’esempio del mucchio di sabbia – un’esatta analogia del mucchio di grano dei greci di Megara – per illustrare processi profondi che si verificano a molti livelli in natura e che corrispondono precisamente alla legge della trasformazione della quantità in qualità.
Facciamo cadere granelli di sabbia, uno alla volta, su una superficie piana. L’esperimento è stato condotto numerose volte, sia con sabbia reale, ammucchiata su un tavolo, sia con simulazioni al computer. Per un certo tempo si ammucchieranno l’uno sull’altro fino a formare una piccola piramide. Una volta che si sarà raggiunto questo punto, altri granelli o troveranno un punto in equilibrio sul mucchio, o sbilanceranno un lato in modo sufficiente da provocare la caduta a valanga di una parte degli altri granelli. A seconda di come i granelli si posano, la valanga può essere molto piccola o considerevole, trascinando con sé un gran numero di granelli. Quando la pila raggiunge tale punto critico, anche un singolo granello sarà in grado di influenzare in modo significativo quelli intorno a sé. Questo esempio apparentemente banale fornisce un ottimo “modello dell’orlo del caos” con un’ampia gamma di applicazioni, dai terremoti all’evoluzione, dalle crisi in borsa alle guerre. La pila di sabbia cresce ancora, mentre la sabbia in eccesso scivola ai lati. Quando tutta la sabbia in eccesso è caduta, la pila che ne risulta è detta “auto-organizzata”; in altri termini, nessuno l’ha formata coscientemente in questo modo. Essa si “auto-organizza” secondo le proprie leggi intrinseche, finché non raggiunge uno stato di criticità, in cui i granelli di sabbia sulla sua superficie sono in equilibrio instabile. In questa condizione critica, anche l’aggiunta di un solo granello può provocare risultati imprevedibili; può causare solo un ulteriore piccolo spostamento, oppure può innescare una reazione a catena, portando ad una frana catastrofica e alla distruzione del mucchio.
Secondo Per Bak, si può attribuire un’espressione matematica a questo fenomeno, secondo la quale la frequenza media di valanghe di una determinata dimensione è inversamente proporzionale ad una qualche forza legata alla dimensione stessa. Osserva inoltre che questo comportamento è estremamente diffuso in natura, come succede quando si raggiunge la massa critica del plutonio e avviene la reazione a catena che genera un’esplosione nucleare. Al di sotto di questo livello critico, le reazioni a catena all’interno del plutonio si estinguono, mentre al di sopra avviene l’esplosione. Un fenomeno simile può essere osservato nei terremoti, nel corso dei quali le rocce ai due lati di una faglia della crosta terrestre raggiungono un punto in cui sono pronte a scivolare, l’una rispetto all’altra. La faglia subisce una serie di scorrimenti di piccola e grande entità, che per un certo periodo mantengono la tensione al punto critico finché non crolla tutto e si ha un terremoto.
Anche se gli esponenti della teoria del caos ne sembrano ignari, tutti questi esempi sono applicazioni della legge di trasformazione della quantità in qualità. Hegel definì la linea nodale di rapporti di misura, in cui i piccoli cambiamenti quantitativi ad un certo punto provocano un salto qualitativo. Spesso si porta ad esempio l’acqua, che alla normale pressione atmosferica bolle a 100°C. Quando la temperatura si avvicina al punto di ebollizione, l’aumento del calore non porta le molecole a separarsi immediatamente. Finché non raggiunge il punto di ebollizione, l’acqua mantiene il suo volume; rimane acqua a causa dell’attrazione fra le molecole. Tuttavia, l’aumento continuo di temperatura ha l’effetto di aumentare il moto, cioè l’energia cinetica, molecolare. La distanza fra gli atomi aumenta gradualmente, fino al punto in cui la forza d’attrazione non è più sufficiente per tenere le molecole unite. Esattamente a 100°C, qualsiasi aumento di energia termica porta le molecole a separarsi, producendo vapore.
Si può osservare anche il processo inverso. Quando l’acqua viene raffreddata da 100°C fino a 0°C, essa non congela gradualmente, attraversando una fase colloidale e poi gelatinosa, prima di raggiungere lo stato solido. Il moto degli atomi gradualmente rallenta man mano che diminuisce l’energia termica finché, a 0°C, si raggiunge il punto critico, in corrispondenza del quale le molecole si organizzano in una certa struttura, il ghiaccio. La differenza qualitativa fra un solido e un liquido può essere compresa facilmente da chiunque; l’acqua può essere usata per determinati scopi, come lavare o dissetare; il ghiaccio no. In termini tecnici, la differenza è che in un solido gli atomi sono disposti in un reticolo cristallino. Non hanno una posizione casuale, quindi la posizione degli atomi su un lato del cristallo è determinata da quelli del lato opposto. Per questo possiamo muovere la mano liberamente attraverso l’acqua, mentre il ghiaccio è rigido e oppone resistenza. Questa è la descrizione di un cambiamento qualitativo, un cambiamento di stato, che nasce da un accumulo di cambiamenti quantitativi. Una molecola d’acqua è una cosa relativamente semplice: un atomo di ossigeno legato a due di idrogeno, tutti governati da ben note equazioni di fisica atomica. Tuttavia, quando una gran quantità di molecole sono unite, esse acquisiscono una proprietà che nessuna molecola isolata possiede: la liquidità. Tale proprietà non è implicita nelle equazioni; nel linguaggio della complessità, la liquidità è un fenomeno “emergente”.
Raffreddiamo delle molecole di acqua liquida, per esempio e, a 0°C, smetteranno improvvisamente di scontrarsi a caso l’una con l’altra. Invece subiranno una «transizione di fase», incastrandosi nell’ordinato reticolo cristallino chiamato ghiaccio. Oppure, se procediamo nella direzione opposta, riscaldando il liquido, quelle stesse molecole improvvisamente si allontaneranno l’una dall’altra, subendo una transizione di fase verso il vapore. Nessuna transizione di fase avrebbe significato per una sola molecola.8
La “transizione di fase” non è né più né meno che un salto qualitativo. Processi simili si possono osservare in relazione a svariati fenomeni come il clima, le molecole di DNA e la mente stessa. Le caratteristiche dello stato liquido sono ben noti in base alla nostra esperienza quotidiana. Anche nella fisica il comportamento dei liquidi è ben compreso e perfettamente prevedibile – fino ad un certo punto. Le leggi di moto dei fluidi (gas e liquidi) distinguono chiaramente un flusso tranquillo laminare, ben definito e prevedibile, da un flusso turbolento, che nel migliore dei casi può essere espresso solo approssimativamente. Il moto dell’acqua intorno ad un pilastro in un fiume può essere previsto con precisione usando le equazioni normali dei fluidi, purché il moto sia lento. Anche se aumenta la velocità del flusso, provocando vortici, possiamo sempre prevederne il comportamento. Però se la velocità aumenta oltre un certo punto, diventa impossibile prevedere dove si formeranno i vortici e, anzi, non si può fare nessuna previsione sul comportamento dell’acqua. È diventato caotico.

La Tavola periodica di Mendeleev

L’esistenza di cambiamenti qualitativi nella materia era nota molto tempo prima che gli esseri umani cominciassero a pensare alla scienza, ma non fu veramente compresa fino all’avvento della teoria atomica. In precedenza, la fisica considerava i passaggi di stato da solido a liquido e a gas come qualcosa che accade, ma senza sapere precisamente perché. Solo ora si capiscono veramente questi fenomeni. La scienza della chimica fece grandi passi avanti durante il XIX secolo. Vennero scoperti molti elementi. Però, proprio come oggi esiste una situazione confusa nella fisica delle particelle, vi regnava il caos. L’ordine fu stabilito dal grande scienziato russo Dimitri Ivanovic Mendeleev il quale, nel 1869, in collaborazione con il chimico tedesco Julius Meyer, elaborò la tavola periodica degli elementi, così chiamata perché mostra la ricorrenza periodica di proprietà chimiche simili. Era stato Cannizzaro nel 1862 a scoprire l’esistenza del peso atomico. Ma il genio di Menddeev consistette nel fatto che egli non considerò gli elementi da un punto di vista puramente quantitativo, cioè non vide il rapporto fra i diversi atomi solo in termini di peso; in caso contrario non avrebbe mai fatto la sua grande scoperta. Ad esempio, dal punto di vista puramente quantitativo, l’elemento tellurio (peso atomico = 127,61) dovrebbe venire dopo lo iodio nella tavola, eppure Mendeleev lo mise prima dello iodio, sotto il selenio, a cui è più simile, mentre pose lo iodio sotto l’elemento affine, il bromo. Il metodo di Mendeleev fu confermato nel XX secolo, quando l’analisi a raggi x dimostrò che la disposizione da lui scelta era quella corretta. Il nuovo numero atomico 52 fu stabilito per il tellurio, mentre per lo iodio è 53.
L’intera tavola periodica di Mendeleev si basa sulla legge di quantità e qualità, deducendo differenze qualitative negli elementi da differenze quantitative dei pesi atomici. Ciò fu ribadito all’epoca da Engels:
“Infine, la legge di Hegel vale non soltanto per i corpi composti, ma anche per gli stessi elementi chimici. Sappiamo adesso ‘che le proprietà chimiche degli elementi sono una funzione periodica del peso atomico’, che cioè la loro qualità è condizionata dalla quantità del loro peso atomico. E la prova di questo fatto è stata smagliante. Mendeleev dimostrò che nelle serie di elementi affini ordinate secondo il peso atomico si trovavano diverse lacune, che stavano ad indicare che in quei posti c’erano dei nuovi elementi che dovevano ancora essere scoperti. Descrisse anticipatamente le proprietà chimiche generali di uno di questi elementi, che egli chiamò eka-alluminio, perché seguiva l’alluminio nella serie che con esso ha inizio e ne predisse con buona approssimazione il peso specifico, quello atomico e anche il volume atomico. Pochi anni dopo Lecoq de Boisbaudran scoprì realmente questo elemento: le previsioni di Mendeleev si erano verificate, a meno di piccole differenze. L’eka-alluminio prese corpo nel gallio […]. Grazie all’applicazione – inconsapevole – della legge di Hegel della conversione della quantità in qualità, Mendeleev aveva portato a termine un’impresa scientifica che può porsi arditamente sullo stesso piano di quella compiuta da Leverrier con la determinazione dell’orbita del pianeta Nettuno, ancora sconosciuto.9
La chimica riguarda cambiamenti di carattere sia quantitativo che qualitativo, cambiamenti sia di grandezza, sia di stato. Questo si osserva chiaramente nel cambiamento di stato da gas a liquido o a solido, che di solito è associato a variazioni di temperatura e di pressione. Nell’Anti-Dühring, Engels fornisce una serie di esempi di come, in chimica, la semplice addizione quantitativa di elementi origini sostanze qualitativamente diverse. Dall’epoca di Engels il sistema di nomenclatura usato in chimica è cambiato; tuttavia, la trasformazione della quantità in qualità è espressa precisamente nel seguente esempio:

Punto

di ebollizione

Punto

di fusione

CH2O2 acido formico 100°C l°C
C2H4O2 acido acetico 118°C l7°C
C3H6O2 acido propionico 40°C
C4H8O2 acido butirrico 162°C
C5H10O2 acido valerianico 175°C

e così via fino a C30H60O2, acido melissico, che fonde solo a 80°, e che non ha un punto di ebollizione, perché esso non si volatilizza senza scomporsi.10
Lo studio dei gas e dei vapori costituisce una branca particolare della chimica. Il grande pioniere inglese della chimica Faraday riteneva che non si potessero liquefare sei gas, e li chiamò “gas permanenti”: idrogeno, ossigeno, azoto, monossido di carbonio, ossido d’azoto e metano. Ma nel 1887 il chimico svizzero R. Pictet riuscì a liquefare l’ossigeno ad una temperatura di -140°C e ad una pressione di 500 atmosfere. In seguito, vennero liquefatti l’azoto, l’ossigeno e il monossido di carbonio a temperature ancora più basse. Nel 1900 fu liquefatto l’idrogeno a -240°C e, ad una temperatura ancora più bassa, si solidificò. Infine, la sfida più difficile di tutte, la liquefazione dell’elio, fu realizzata a -255°C. Queste scoperte hanno trovato applicazioni pratiche importanti; idrogeno e ossigeno liquidi sono usati attualmente in gran quantità come combustibili nei razzi. La trasformazione della quantità in qualità è dimostrata dal fatto che i cambiamenti di temperatura determinano importanti cambiamenti di proprietà. Questa è la chiave del fenomeno della superconduttività; attraverso il super-raffreddamento si è osservato che certe sostanze, a partire dal mercurio, non oppongono alcuna resistenza alle correnti elettriche. Lo studio delle temperature estremamente basse fu sviluppato alla metà dell’Ottocento dall’inglese William Kelvin (in seguito Lord Kelvin), che stabilì il concetto dello zero assoluto (la temperatura più bassa possibile), che secondo i suoi calcoli era -273°C. A questa temperatura, egli riteneva che l’energia delle molecole dovesse scendere a zero. Questa temperatura viene chiamata zero Kelvin ed è usata come base di una scala di misura delle temperature molto basse. Tuttavia, anche allo zero assoluto il moto non cessa completamente; c’è ancora energia che non può essere sottratta. Per fini pratici si dice che l’energia è zero, ma non è esattamente così; la materia e il moto, come osservava Engels, sono assolutamente inseparabili – persino allo “zero assoluto”. Al giorno d’oggi si raggiungono regolarmente temperature incredibilmente basse, che svolgono un ruolo importante nella produzione dei superconduttori. Il mercurio diventa superconduttivo esattamente a 4,12 Kelvin (K), il piombo a 7,22 K, lo stagno a 3,73 K, l’alluminio a 1,20 K, l’uranio a 0,8 K, il titanio a 0,53 K. Circa 1400 sostanze fra elementi e leghe presentano questa proprietà. L’idrogeno liquido bolle a 20,4 K; l’elio è l’unica sostanza nota che non può essere congelata, nemmeno allo zero assoluto; è anche l’unica sostanza che possieda la proprietà della superfluidità. Però anche in questo caso i cambiamenti di temperatura provocano salti qualitativi. A 2,2 K il comportamento dell’elio subisce un cambiamento così fondamentale da prendere il nome di elio-2, per distinguerlo dall’elio liquido al di sopra di questa temperatura (elio-1). Usando nuove tecniche sono state raggiunte temperature come 0,000001 K, sebbene si ritenga che lo zero assoluto sia irraggiungibile.

Finora ci siamo concentrati sui cambiamenti chimici in laboratorio e nell’industria, ma non bisogna dimenticare che questi cambiamenti si verificano su scala molto più vasta in natura. La composizione chimica del carbone e dei diamanti, a parte le impurità, è la stessa: carbonio. La differenza è il risultato di un’enorme pressione che, ad un certo punto, trasforma un pezzo di carbone nel gioiello di una contessa. Trasformare la grafite comune in diamanti richiederebbe una pressione di almeno 10.000 atmosfere per un periodo molto lungo; è un processo che si verifica spontaneamente sotto la superficie terrestre. Nel 1955, la grande multinazionale General Electric riuscì a cambiare la grafite in diamanti a una temperatura di 2.500°C e a una pressione di 100.000 atmosfere. Il medesimo risultato fu ottenuto nel 1962, con una temperatura di 5.000°C e una pressione di 200.000 atmosfere, trasformando la grafite direttamente in diamante, senza l’ausilio di un catalizzatore. Questi sono diamanti sintetici, usati non per adornare il collo di una contessa, ma per scopi molto più produttivi – nella costruzione di utensili da taglio per l’industria.

Transizioni di fase

Un campo d’indagine molto importante riguarda quelle che vengono chiamate transizioni di fase – il punto critico in cui la materia si trasforma da solida a liquida o da liquida in vapore, oppure il cambiamento da non-magnete in magnete, o da conduttore in superconduttore. Sono processi diversi fra loro, eppure è stato dimostrato oltre ogni dubbio che sono simili, al punto che le relazioni matematiche che si applicano ad uno di questi esperimenti sono applicabili a molti altri. Questo è un esempio molto chiaro di salto qualitativo, come dimostra il seguente brano di James Gleick:
“Come tanta parte del caos stesso, le transizioni di fase implicano una sorta di comportamento macroscopico che sembra difficile da predire sulla base dell’osservazione dei particolari microscopici. Quando un solido viene riscaldato, le sue molecole vibrano con un’energia aggiunta. Esse spingono verso l’esterno contro i confini dello spazio in cui sono racchiuse, e costringono la sostanza ad espandersi. Quanto maggiore è il calore applicato, tanto maggiore è l’espansione. In corrispondenza di una certa temperatura e pressione, il mutamento diventa improvviso e discontinuo. Una fune è stata tesa a un punto tale che infine si rompe. Una forma cristallina si dissolve e le molecole scivolano via l’una dall’altra. Esse obbediscono a leggi dei fluidi, che non avremmo potuto inferire da alcun aspetto del solido. L’energia media degli atomi è cambiata pochissimo, ma il materiale – ora un liquido, un magnete o un superconduttore – è entrata in un nuovo ambito.11
La dinamica di Newton era del tutto adeguata per spiegare i fenomeni su larga scala, ma veniva meno per i sistemi di dimensioni atomiche. Di fatto, la meccanica classica è tuttora valida per la maggior parte delle operazioni che non comportano alte velocità o processi che si svolgono a livello subatomico. La meccanica quantistica sarà trattata in dettaglio in un altro capitolo; essa rappresentò un salto qualitativo della scienza. Il suo rapporto con la meccanica classica è simile a quello fra matematica superiore e inferiore o quello fra dialettica e logica formale. Può spiegare fenomeni che la meccanica classica non era in grado di spiegare, come il decadimento radioattivo oppure la trasformazione della materia in energia. Ha originato nuove branche della scienza – la chimica teorica, capace di risolvere problemi che prima erano insolubili. La teoria del magnetismo metallico subì un cambiamento fondamentale, rendendo possibili grandi scoperte riguardanti il flusso elettrico attraverso i metalli. Fu eliminata tutta una serie di difficoltà teoriche una volta accettato il nuovo punto di vista. Però per molto tempo essa incontrò una resistenza ostinata, proprio perché i suoi risultati si scontravano frontalmente con il modo tradizionale di pensare e con le leggi della logica formale.
La fisica moderna è ricca di esempi delle leggi della dialettica, a partire da quella sulla quantità e la qualità. Consideriamo ad esempio il rapporto fra i diversi tipi di onde elettromagnetiche e le loro frequenze, cioè il ritmo con cui vibrano. Il lavoro di Maxwell, che Engels seguiva con molto interesse, dimostrò che le onde elettromagnetiche e la luce sono dello stesso tipo. La meccanica quantistica avrebbe dimostrato in seguito che la situazione era molto più complessa e contraddittoria, ma alle basse frequenze la teoria ondulatoria è valida. Le proprietà delle diverse onde sono determinate dal numero di oscillazioni al secondo. La differenza è nella frequenza delle onde, ovvero il ritmo con cui pulsano, il numero di vibrazioni al secondo. Ciò significa che i cambiamenti quantitativi portano a diversi tipi di onde. Tradotto in colori, la luce rossa rappresenta onde a bassa frequenza. Con un ritmo di vibrazione maggiore la luce diventa giallo-arancione, poi viola, poi l’invisibile ultravioletta, seguita dai raggi X e infine da quelli gamma. Se andiamo invece nella direzione opposta, delle basse frequenze, passiamo dalla luce rossa a quella infrarossa, alle onde di calore e alle radio-onde. Così lo stesso fenomeno si manifesta in modi diversi a seconda della frequenza inferiore o superiore. La quantità si trasforma in qualità.

 

Frequenza in

oscillazioni/sec

Nome Comportamento approssimativo
102 Disturbo elettrico Campo
5×105-106 Trasmissione radio Onde
108 FM-TV
1010 Radar
5×1014-1015 Luce
1018 Raggi X Particelle
1021 Raggi γ, nucleari
1024 Raggi γ, artificiali
1027 Raggi γ, nei raggi cosmici

Fonte: R P. Feynman, Discorsi sulla fisica, capitolo 2, tabella 2-1.

Materia organica e inorganica

La legge della trasformazione della quantità in qualità serve anche a gettare luce su uno degli aspetti più controversi della fisica moderna, il cosiddetto “principio di indeterminazione”, che esamineremo più in dettaglio in un altro capitolo. Mentre è impossibile conoscere la posizione e la velocità esatte di una singola particella subatomica, è possibile prevedere con grande precisione il comportamento di un elevato numero di particelle. Un altro esempio: gli atomi radioattivi decadono in un modo che rende impossibile una previsione accurata, eppure un gran numero di atomi decadono ad un ritmo così statisticamente attendibile da essere usati dagli scienziati come “orologi” naturali con cui calcolare l’età della Terra, del Sole e delle stelle. Il fatto stesso che le leggi che governano il comportamento delle particelle subatomiche siano diverse da quelle che operano al livello “normale” è in sé un esempio della trasformazione della quantità in qualità. Il punto preciso in corrispondenza del quale le leggi sui fenomeni su piccola scala non sono più applicabili fu definito dal quanto d’azione, stabilito nel 1900 da Max Planck.
Ad un certo punto, la concatenazione di circostanze provoca un salto qualitativo nel quale si passa dalla materia inorganica a quella organica. La differenza fra materia inorganica ed organica è solo relativa; la scienza moderna ha fatto grandi passi avanti verso la scoperta del modo preciso in cui la seconda si origina dalla prima. La vita stessa consiste in atomi organizzati in un certo modo. Gli esseri umani sono un insieme di atomi, ma non un “semplice” insieme di atomi. Nella disposizione incredibilmente complessa dei nostri geni è racchiuso un numero infinito di possibilità. Consentire ad ogni individuo di sviluppare queste possibilità nel modo più completo è il compito del socialismo.
Ai biologi molecolari è ormai nota la sequenza completa del DNA di un organismo, ma essi non sono in grado di dedurre da questa come l’organismo si costruisce durante il suo sviluppo, così come la conoscenza della struttura dell’H2O non fornisce una comprensione delle proprietà della liquidità. Un’analisi delle sostanze chimiche e delle cellule del corpo non fornisce la formula della vita. Lo stesso dicasi per la mente stessa; i neurologi hanno raccolto una gran quantità di dati sul funzionamento del cervello. Il cervello umano è composto da dieci miliardi di neuroni, ognuno dei quali è collegato mediamente a un migliaio di altri neuroni. Il computer più veloce è in grado di compiere circa un miliardo di operazioni al secondo; il cervello di una mosca svolge nello stesso tempo circa 100 miliardi di operazioni. Questo paragone ci dà un’idea dell’abissale differenza fra il cervello umano e un computer, anche quello più avanzato.
L’enorme complessità del cervello umano è uno dei motivi per cui gli idealisti hanno tentato di circondare il fenomeno “mente” con un’aura mistica. La conoscenza dettagliata dei singoli neuroni, assoni e sinapsi non è sufficiente per spiegare il fenomeno del pensiero e dell’emozione; però non vi è nulla di mistico in ciò. Nel linguaggio della teoria della complessità, la mente e la vita sono fenomeni emergenti. Nel linguaggio della dialettica, il salto dalla quantità alla qualità significa che l’intero possiede qualità che non si possono dedurre o ricondurre alla somma delle parti. Nessun neurone in sé è cosciente, eppure è cosciente la somma dei neuroni e dei loro collegamenti. Le reti neurali sono sistemi dinamici non lineari; sono l’attività e le interazioni complesse fra i neuroni a produrre il fenomeno che chiamiamo coscienza.
Lo stesso tipo di cose si può osservare in molti sistemi multicomponenti, nei campi più vari. Gli studi sulle colonie di formiche all’Università di Bath (Gran Bretagna) hanno dimostrato come comportamenti non osservati nelle singole formiche appaiano invece nella colonia. La singola formica, lasciata a se stessa, girovaga a caso, nutrendosi e riposandosi ad intervalli irregolari. Invece quando l’osservazione si sposta sulla colonia intera di formiche, è subito evidente che esse diventano attive ad intervalli perfettamente regolari. Questo massimizza l’efficacia del loro lavoro; se tutte lavorassero insieme, è improbabile che una formica ripeta un compito appena eseguito da un’altra. Il grado di coordinamento delle formiche a livello della colonia è tale che qualcuno la considera come un singolo organismo, piuttosto che come una colonia. Anche questa è un’interpretazione mistica di un fenomeno che esiste a molti livelli in natura e nella società, sia animale che umana, e che può essere compreso solo in termini di rapporto dialettico fra intero e parte.
Vediamo all’opera la legge della trasformazione della quantità in qualità quando consideriamo l’evoluzione delle specie. In termini biologici una determinata “stirpe” o “razza” di animali è definita dalla capacità dei suoi individui di riprodursi. Ma nella misura in cui le modifiche evolutive allontanano un gruppo da un altro si raggiunge un punto in cui non possono più riprodursi. I paleontologi Stephen Jay Gould e Niles Eldredge hanno dimostrato che questi processi sono a volte lenti e protratti e altre volte estremamente rapidi. In altri termini, un accumulo graduale di piccoli cambiamenti ad un certo punto determina un cambiamento qualitativo. Questi scienziati usano il termine “equilibri punteggiati” per descrivere lunghi periodi di stabilità interrotti da cambiamenti rapidi ed improvvisi. Quando questa idea venne proposta da Gould e Eldredge nel 1972 al Museo Americano di Storia Naturale, causò un aspro dibattito fra i biologi per i quali, fino ad allora, l’evoluzione darwiniana era sinonimo di gradualismo.
Per molto tempo si credeva che l’evoluzione precludesse mutamenti così drastici; era vista come un cambiamento graduale. Invece il registro fossile, sebbene incompleto, presenta un quadro molto diverso, con lunghi periodi di evoluzione graduale che si alternano a sconvolgimenti violenti, accompagnati dall’estinzione di massa di alcune specie e dalla rapida ascesa di altre. Non sappiamo se l’estinzione dei dinosauri dipenda o no dalla collisione di un meteorite con la Terra, ma sembra altamente improbabile che la maggior parte delle grandi estinzioni sia stata causata in questo modo. Anche se i fenomeni esterni, compreso l’impatto di meteoriti o comete, possono svolgere un ruolo “incidentale” nel processo evolutivo, è necessario cercare una spiegazione dell’evoluzione nell’ambito delle sue leggi interne. La teoria degli “equilibri punteggiati”, ormai sostenuta dalla maggior parte dei paleontologi, rappresenta una rottura decisiva con la vecchia interpretazione gradualista del darwinismo e presenta un quadro veramente dialettico dell’evoluzione, in cui lunghi periodi di stasi sono interrotti da balzi improvvisi e mutamenti catastrofici di ogni genere.
Ci sono innumerevoli esempi di questa legge, che coprono un campo molto ampio. È forse possibile continuare a dubitare della validità di questa legge estremamente importante? Si può continuare ad ignorarla o a scartarla come un’invenzione soggettiva applicata arbitrariamente a fenomeni diversi che non hanno tra loro alcun rapporto? Vediamo come nella fisica lo studio delle transizioni di fase ha portato alla conclusione che cambiamenti apparentemente scollegati – l’ebollizione dei liquidi, la magnetizzazione dei metalli – seguano tutti le stesse regole. È solo questione di tempo prima che si stabiliscano collegamenti simili che rivelino oltre ogni dubbio che la legge della trasformazione della quantità in qualità è davvero una delle leggi fondamentali della natura.

L’intero e la parte

Secondo la logica formale, l’intero è uguale alla somma delle parti. Tuttavia, ad un esame più accurato si è visto che non è così. Nel caso degli organismi viventi è chiaramente falso; un coniglio sezionato in laboratorio non è più un coniglio. Questo fatto è stato compreso dai fautori della teoria del caos e della complessità. Mentre la fisica classica, con i suoi sistemi lineari, accettava che l’intero fosse esattamente la somma delle parti, la logica non lineare della complessità sostiene la proposizione opposta, in completo accordo con la dialettica:
“L’intero è quasi sempre uguale a molto più della somma delle parti – afferma Waldrop – e l’espressione matematica di questa proprietà, nella misura in cui tali sistemi possono essere descritti dalla matematica, è un’equazione non lineare, il cui grafico è curvilineo.12
Abbiamo già citato esempi di cambiamenti qualitativi in chimica, utilizzati da Engels nell’Anti-Dühring. Sebbene tali esempi rimangano validi, la questione non è affatto conclusa. Engels era limitato, naturalmente, dalle conoscenze scientifiche dell’epoca; oggi è possibile andare molto oltre. La teoria atomica classica della chimica parte dal postulato che qualsiasi combinazione di atomi in un’unità maggiore può essere solo un aggregato di tali atomi, rappresenti cioè un rapporto puramente quantitativo.
L’unione degli atomi in molecole era vista come una semplice giustapposizione. Formule chimiche come H2O, H2SO4 ecc. presuppongono che ogni atomo rimanga fondamentalmente immutato anche quando entra in una nuova combina zione per formare una molecola. Ciò riflette esattamente il modo di procedere della logica formale, la quale dichiara che l’intero è solo la somma delle parti. In questo modo, visto che il peso molecolare uguaglia la somma dei pesi dei singoli atomi, si presumeva che gli atomi stessi fossero rimasti immutati, cioè che fossero entrati in una relazione puramente quantitativa. Tuttavia, molte delle proprietà dei composti non potrebbero essere determinate in questo modo; anzi, gran parte delle proprietà chimiche dei composti è molto diversa da quelle degli elementi che li costituiscono. Il cosiddetto “principio della giustapposizione” non spiega questi cambiamenti; è incompleto e insufficiente, in altri termini, errato.
La teoria atomica moderna ha dimostrato l’inesattezza di questa idea. Pur accettando il fatto che le strutture complesse debbano essere spiegate in termini di aggregati di fattori più elementari, essa ha dimostrato che i rapporti fra questi elementi non sono solo neutri e quantitativi, ma anche dinamici e dialettici. Le particelle elementari che compongono gli atomi interagiscono continuamente, compenetrandosi. Non sono costanti fisse, ma in ogni istante sono se stesse e qualcos’altro. È precisamente questo rapporto dinamico che conferisce alle molecole risultanti la loro particolare natura, proprietà e identità specifica.
In questa nuova combinazione, gli atomi sono e non sono se stessi. Si combinano fra loro in un modo dinamico per produrre un’entità del tutto diversa, un rapporto diverso che a sua volta determina il comportamento dei suoi componenti. In tal modo, non abbiamo puramente una sterile “giustapposizione”, un aggregato meccanico, bensì un processo. Perciò, per capire la natura di un’entità è assolutamente insufficiente ridurla alle singole componenti atomiche; è necessario capire le sue interrelazioni dinamiche, cioè arrivare a un’analisi dialettica, non formale.
David Bohm fu uno dei pochi ad elaborare un’alternativa teorica alla soggettivista “interpretazione di Copenhagen” della meccanica quantistica. L’analisi di Bohm, chiaramente influenzata dal metodo dialettico, propone un ripensamento radicale della teoria quantistica e un nuovo modo di guardare il rapporto fra l’intero e le parti. Egli osserva che la consueta interpretazione della teoria quantistica non dà un’idea sufficiente della portata della rivoluzione effettuata dalla fisica moderna.
“Infatti – afferma Bohm – quando si estende questa interpretazione alle teorie dei campi, non solo la relazione tra le parti ma anche la loro stessa esistenza è considerata una derivazione della legge dell’intero. Dunque, non rimane nulla dello schema classico, in cui l’intero deriva dalle parti preesistenti messe in relazione in modi predeterminati. Piuttosto, quello che abbiamo è paragonabile a un rapporto fra l’intero e le parti in un organismo, in cui ogni organo cresce e si sviluppa in una maniera che dipende in modo cruciale dall’intero.13
Una molecola di zucchero può essere scomposta nei suoi costituenti, in singoli atomi, ma allora non è più zucchero. Una molecola non può essere ridotta ai suoi componenti senza perdere la sua identità. È proprio questo il problema quando cerchiamo di trattare fenomeni complessi da un punto di vista puramente quantitativo. L’eccessiva semplificazione porta ad un quadro distorto e parziale del mondo naturale, poiché l’aspetto qualitativo non viene considerato. È proprio attraverso la qualità che possiamo distinguere una cosa da un’altra. La qualità è alla base di tutta la nostra conoscenza del mondo poiché esprime la realtà più profonda di tutte le cose, mostrando i confini critici che esistono a tutti i livelli della realtà materiale. Il punto preciso in corrispondenza del quale i piccoli, graduali mutamenti provocano un cambiamento di stato è uno dei problemi fondamentali della scienza. È una questione che occupa un posto centrale nel materialismo dialettico.

Organismi complessi

La vita stessa deriva da un salto qualitativo dalla materia inorganica a quella organica. Spiegare i processi in base ai quali ciò ha avuto luogo costituisce uno dei problemi più importanti e stimolanti della scienza contemporanea. I progressi della chimica nell’analizzare più dettagliatamente la struttura di molecole complesse, prevedere il loro comportamento con maggior precisione e identificare il ruolo di determinate molecole nei sistemi viventi hanno aperto la strada all’emergere di nuove scienze – la biochimica e la biofisica – che trattano rispettivamente le reazioni chimiche che avvengono negli organismi viventi e i fenomeni fisici che accompagnano i processi vitali. Queste a loro volta si sono unite nella biologia molecolare, che negli ultimi anni ha registrato sorprendenti progressi.
In questo modo sono state completamente abolite le vecchie, rigide divisioni che separavano la materia organica da quella inorganica, fra le quali i primi chimici tracciavano un netto confine. Gradualmente si è giunti a comprendere che le stesse leggi chimiche erano valide tanto per le molecole organiche, quanto per quelle inorganiche. Tutte le sostanze che contengono carbonio (con la possibile eccezione di alcuni composti semplici come l’anidride carbonica) sono definite organiche; tutte le altre sono inorganiche. Solo gli atomi di carbonio e di silicio (inorganico) sono in grado di formare catene molto lunghe, permettendo un’infinita varietà di molecole complesse. L’unica differenza tra i due elementi risiede nel fatto che solo la chimica del carbonio determina i processi della vita.
Nell’Ottocento i chimici analizzarono le proprietà delle sostanze “albuminose”. A partire da questo si scoprì che la vita dipende dalle proteine, macromolecole costituite da amminoacidi. All’inizio del Novecento, mentre Planck stava compiendo la sua rivoluzione nella fisica, Emil Fischer tentava di collegare gli amminoacidi in catene in modo tale che il gruppo carbossilico di un amminoacido fosse sempre legato al gruppo amminico di quello successivo. Nel 1907 era riuscito a sintetizzare una catena di diciotto amminoacidi. Fischer chiamò queste catene peptìdi, dalla parola greca che significa “digerire”, poiché riteneva che le proteine si sarebbero scomposte formando tali catene durante il processo digestivo. Questa teoria fu confermata nel 1932 da Max Bergmann.
Queste catene erano ancora troppo semplici per produrre le complesse catene polipeptidiche necessarie per costituire le proteine. Inoltre, il compito di decifrare la struttura di una molecola proteica era incredibilmente arduo. Le proprietà di ogni proteina dipendono dalla sua esatta relazione con ogni amminoacido della catena molecolare. Anche in questo caso la quantità determina la qualità. Questo poneva un problema insormontabile ai biochimici, poiché il numero di possibili disposizioni in cui diciannove amminoacidi possono comparire in una catena è circa 120 milioni di miliardi. Una proteina grande come l’albume del siero, composta da più di 500 amminoacidi, ha dunque circa 10600 possibili disposizioni, cioè 1 seguito da 600 zeri. La struttura completa della molecola di una proteina chiave, l’insulina, fu determinata per la prima volta nel 1953 dal biochimico inglese Fredrich Sanger. Utilizzando lo stesso metodo, altri scienziati sono riusciti a decifrare la struttura di tutta una serie di altre molecole proteiche. In seguito sono riusciti a sintetizzare proteine in laboratorio; ora è possibile sintetizzare molte proteine, fra cui una molto complessa quale l’ormone della crescita umana, che contiene una catena di 188 amminoacidi.
La vita è un complesso sistema di interazioni, il quale comporta un numero immenso di reazioni chimiche che procedono continuamente e rapidamente. Ogni reazione nel cuore, nel sangue, nel sistema nervoso, nelle ossa e nel cervello interagisce con ogni altra parte del corpo. Il funzionamento dell’organismo vivente più semplice è molto più complesso del computer più avanzato, in quanto consente movimenti rapidi, reazioni veloci al minimo cambiamento ambientale, adeguamenti continui al mutamento delle condizioni interne ed esterne. Questo è un esempio eclatante di intero superiore alla somma delle parti. Ogni parte del corpo, ogni reazione muscolare e nervosa, dipende da tutto il resto. È un’interrelazione dinamica e complessa, in altri termini dialettica, che da sola è capace di creare e di sostenere il fenomeno che chiamiamo vita.
Il metabolismo è un processo in base al quale, in qualsiasi momento, l’organismo vivente sta cambiando, assorbendo ossigeno, acqua e cibo (carboidrati, grassi, proteine, sali minerali ed altre sostanze), “negandoli”, cioè assimilandoli, per trasformarli nei materiali che servono per sostenere e sviluppare la vita ed espellendo i prodotti di scarto. Il rapporto dialettico fra intero e parte si manifesta nei diversi livelli di complessità in natura, che si riflettono nelle diverse branche della scienza.
a) Le interazioni atomiche e le leggi della chimica determinano le leggi della biochimica, ma la vita è un fenomeno qualitativamente diverso.
b) Le leggi della biochimica “spiegano” tutti i processi dell’interazione umana con l’ambiente, eppure l’attività e il pensiero umano sono qualitativamente diversi dai processi biologici che li costituiscono.
c) Ogni individuo, a sua volta, è il prodotto del proprio sviluppo fisico e ambientale. Eppure le complesse interazioni del totale degli individui che compongono una società sono anch’esse qualitativamente diverse. In ognuno di questi casi l’intero è superiore alla somma delle parti ed obbedisce a leggi diverse.
In ultima analisi, tutta l’esistenza e l’attività umana si fondano sulle leggi di moto degli atomi. Facciamo parte di un universo materiale, che è un intero continuo e funziona secondo le proprie leggi interne. Eppure, quando passiamo da a) a c), eseguiamo una serie di salti qualitativi e dobbiamo operare ai diversi “livelli” con leggi diverse; c) si basa su b), e b) si basa su a), ma solo un pazzo cercherebbe di spiegare i moti complessi nella società umana in termini di forze atomiche. Per lo stesso motivo, è assolutamente inutile ridurre il problema della criminalità alle leggi della genetica.
Un esercito non è semplicemente l’insieme dei singoli soldati. L’atto stesso di unirsi ad una forza di massa, organizzata su linee militari, trasforma il singolo soldato sia fisicamente, sia psicologicamente. Finché la coesione dell’esercito viene mantenuta, esso costituisce una forza formidabile. Non è solo una questione numerica; Napoleone era ben consapevole dell’importanza del morale in guerra. Quando fa parte di una forza di combattimento disciplinata e numerosa, il singolo soldato è capace di realizzare atti di coraggio e di abnegazione in situazioni di pericolo estremo, atti che egli, in condizioni normali, come individuo isolato, non crederebbe mai di essere in grado di compiere. Eppure l’uomo e il soldato sono la stessa persona. Nel momento in cui la coesione dell’esercito viene meno sotto l’impatto della sconfitta, l’intero si dissolve nei suoi singoli “atomi” e l’esercito diventa una folla demoralizzata.
Engels si interessava molto di questioni militari; per questo le figlie di Marx lo avevano soprannominato “il generale”. Seguì con attenzione la guerra civile americana e quella di Crimea, su cui scrisse molti articoli. Nell’Anti-Dühring, egli dimostra come la legge della quantità e della qualità si applichi alla tattica militare, ad esempio nelle capacità combattive dei soldati altamente disciplinati di Napoleone e della cavalleria egiziana (mamelucchi):
“Per concludere, vogliamo invocare un altro testimone in favore della trasformazione della quantità in qualità: Napoleone. Ecco come descrive il combattimento fra la cavalleria francese, che andava male a cavallo ma era ben disciplinata, e i mamelucchi, che erano indubbiamente i migliori cavalieri del loro tempo nel combattimento individuale, ma erano indisciplinati: ‘Due mamelucchi erano incondizionatamente superiori a tre francesi; 100 mamelucchi erano pari a 100 francesi; 300 francesi erano di molto superiori a 300 mamelucchi e 1000 francesi sconfiggevano sempre 1500 mamelucchi’. Così come per Marx era necessaria una grandezza minima, anche se variabile, della somma del valore di scambio per rendere possibile la sua trasformazione determinata in capitale, così per Napoleone un distaccamento di cavalleria doveva essere di una grandezza determinata per consentire alla forza della disciplina, insita nella formazione in ordine chiuso e nell’impiego razionale, di diventare apprezzabile e anche di accrescersi sino a raggiungere la superiorità anche su una massa maggiore di cavalleria irregolare, composta da uomini che montavano meglio, più agili nel cavalcare e nel combattere, e almeno altrettanto valorosi.14

Il processo molecolare della rivoluzione

Il processo della reazione chimica attraversa una barriera energetica decisiva detta stato di transizione. In tale fase, prima che i reagenti diventino prodotti, essi non sono né una cosa né l’altra. Alcuni vecchi legami si stanno scindendo mentre altri, nuovi, sono in formazione. L’energia necessaria per superare questo punto critico è chiamata energia di Gibbs. Prima che una molecola possa reagire, occorre una quantità di energia che, ad un certo punto, la porti allo stato di transizione. A una temperatura determinata (a seconda del tipo di reazione considerata) solo una minima frazione delle molecole del reagente possiede energia sufficiente. A temperatura superiore, una quantità maggiore di molecole avrà questa energia (il calore è un modo di accelerare una reazione chimica). Il processo può essere aiutato mediante l’uso di catalizzatori, che trovano ampio utilizzo nell’industria. Senza catalizzatori molti processi, pur verificandosi ugualmente, sarebbero così lenti da non essere economicamente convenienti. Il catalizzatore non può cambiare la composizione delle sostanze interessate né può modificare l’energia di Gibbs dei reagenti, ma può fornire un percorso di reazione più favorevole tra essi.
Ci sono certe analogie fra questo fenomeno e il ruolo dell’individuo nella storia. È diffusa l’errata convinzione per cui il marxismo non riconoscerebbe il ruolo dell’individuo nel plasmare il proprio destino. Secondo questa caricatura, la concezione materialista della storia ridurrebbe tutto alle “forze produttive”. Gli esseri umani sono visti come semplici agenti ciechi di forze economiche o come marionette che ballano guidate dai fili dell’inevitabilità storica. Questa visione meccanicista del processo storico (determinismo economico) non ha nulla a che vedere con la filosofia dialettica del marxismo.
Il materialismo storico parte dalla proposizione elementare che gli uomini fanno la propria storia, ma, diversamente dalla nozione idealista che vede gli esseri umani come agenti assolutamente liberi, il marxismo spiega che essi sono limitati dalle condizioni materiali reali della società in cui sono nati. Queste condizioni sono date fondamentalmente dal livello di sviluppo delle forze produttive, che è in definitiva il terreno su cui si fondano la cultura, la politica e la religione. Queste cose però non sono determinate direttamente dallo sviluppo economico, ma possono acquisire, ed acquisiscono, una vita propria. Il rapporto estremamente complesso fra tutti questi fattori ha un carattere dialettico, non meccanico. Gli individui non scelgono le condizioni in cui nascono; esse sono “date”. Non è nemmeno possibile, come credono gli idealisti, che gli individui impongano la propria volontà alla società, semplicemente in virtù della loro grandezza intellettuale o della loro forza di carattere. La teoria che la storia sia fatta da “grandi individui” è una fiaba per divertire i bambini di cinque anni; ha più o meno Io stesso valore scientifico della “teoria cospirativa” della storia, che attribuisce le rivoluzioni alla maligna influenza di “agitatori”.
Ogni lavoratore sa che gli scioperi non sono causati da agitatori, ma da bassi salari e cattive condizioni di lavoro. Contrariamente all’impressione data a volte da certi giornali sensazionalisti, gli scioperi non sono un evento frequente. Per molti anni una fabbrica, o un altro luogo di lavoro, può rimanere apparentemente tranquilla; i lavoratori possono non reagire, nemmeno quando i loro salari e le loro condizioni vengono attaccati. Questo è vero particolarmente in condizioni di disoccupazione di massa o quando non c’è alcuna iniziativa da parte dei vertici sindacali. Questa indifferenza apparente della maggioranza porta spesso la minoranza di attivisti alla disperazione. Traggono l’errata conclusione che gli altri lavoratori sono “arretrati” e non faranno mai niente. Ma in realtà, sotto la superficie di un’apparente tranquillità, i cambiamenti sono in atto. Mille piccoli fatti; seccature e ingiustizie gradualmente lasciano il segno nella coscienza dei lavoratori. Il processo è stato descritto appropriatamente da Trotskij come “il processo molecolare della rivoluzione”. È l’equivalente dell’energia di Gibbs in una reazione chimica.
Nella vita, come nella chimica, i processi molecolari richiedono tempo. Nessun chimico si lamenterebbe per la lentezza della reazione prevista, specialmente se fossero assenti le condizioni per una reazione veloce (alta temperatura, ecc.). Ma alla fine si raggiunge lo stato di transizione. A questo punto la presenza di un catalizzatore è di grande aiuto nel condurre il processo a buon fine, nella maniera più rapida ed economica. Allo stesso modo, lo stato d’animo di malcontento nei luoghi di lavoro arriverà al punto critico. Tutta la situazione può trasformarsi nel giro di ventiquattro ore. Se gli attivisti non sono preparati, se si sono lasciati ingannare dalla calma superficiale del periodo precedente, saranno presi completamente alla sprovvista.
Nella dialettica, prima o poi, le cose si trasformano nel loro opposto. Come dice la Bibbia, “i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi”. L’abbiamo visto tante volte, anche nella storia delle grandi rivoluzioni. Strati fino a un certo momento apparentemente arretrati ed inerti possono raggiungere di colpo quelli avanzati; la coscienza si sviluppa con improvvisi balzi in avanti. Si può osservare questo processo in qualsiasi sciopero; e in qualsiasi sciopero possiamo vedere gli elementi di una rivoluzione in una forma embrionale. In tali situazioni, la presenza di una minoranza cosciente e audace può giocare un ruolo simile a quello del catalizzatore in una reazione chimica. In certe circostanze, persino un solo individuo può giocare un ruolo assolutamente decisivo.
Nel novembre 1917, il destino della Rivoluzione russa fu determinato in ultima istanza da due uomini – Lenin e Trotskij. Senza di loro, non c’è dubbio che la rivoluzione sarebbe stata sconfitta. Altri importanti dirigenti, Kamenev, Zinoviev e Stalin nel marzo 1917, erano disposti a collaborare con il governo provvisorio dominato dai partiti borghesi che aveva sostituito lo zar. Lenin, appena rientrato dalla svizzera, fu costretto a rivolgersi alla base del partito con il famoso scritto Le tesi di aprile per ribaltare il rapporto di forza nel Comitato Centrale del partito che inizialmente lo vedeva in minoranza.
Non è una questione di astratte “forze storiche”, bensì un problema concreto del grado di preparazione, previsione, coraggio personale e capacità dei dirigenti. Dopo tutto si tratta di una lotta di forze viventi, non di una semplice equazione matematica.
Questo vuol dire forse che l’interpretazione idealista della storia è corretta? Tutto viene deciso da grandi individui? Lasciamo che i fatti parlino da sé. Per un quarto di secolo prima del 1917, Lenin e Trotskij avevano passato gran parte della loro vita più o meno isolati dalle masse, spesso lavorando con gruppi di persone molto ristretti. Perché non poterono avere lo stesso effetto decisivo, ad esempio, nel 1916? Oppure nel 1890? Perché mancavano le condizioni oggettive. Allo stesso modo, l’attivista sindacale che invitasse continuamente allo sciopero indipendentemente dallo stato d’animo dei lavoratori finirebbe presto per essere lo zimbello della fabbrica. In modo simile, quando la rivoluzione venne isolata in condizioni di grande arretratezza e il rapporto di forza fra le classi mutò, né Lenin né Trotskij furono in grado di arrestare l’ascesa della controrivoluzione burocratica capeggiata da un uomo sotto tutti gli aspetti a loro inferiore: Stalin. Qui, in sintesi, vediamo il rapporto dialettico fra il fattore oggettivo e quello soggettivo nella storia umana.

Unità e compenetrazione degli opposti

Ovunque in natura si osserva la coesistenza dinamica di tendenze opposte. È questa tensione creativa che dà origine a vita e moto. Questo aspetto era già stato compreso da Eraclito 2500 anni fa. È presente in forma embrionale anche in certe religioni orientali, come nella concezione di yin e yang in Cina e nel buddismo. In tali casi la dialettica appare in una forma mistificata, ma nondimeno essi riflettono un’intuizione del funzionamento della natura. La religione indù contiene il germe di un’idea dialettica quando afferma le tre fasi di creazione (Brahma), mantenimento dell’ordine (Vishnu) e distruzione o disordine (Shiva). Nella sua interessante opera sulla matematica del caos, Ian Stewart osserva che la differenza fra gli dèi Shiva, “l’Indomito”, e Vishnu non è l’antagonismo fra bene e male, ma che i due principi di armonia e discordia insieme sottendono tutta l’esistenza:
“Nello stesso modo, […] i matematici stanno cominciando a considerare ordine e caos come due manifestazioni distinte di un determinismo sottostante, nessuna delle quali esiste separatamente. Il sistema tipico può esistere in una varietà di stati, di cui alcuni ordinati, altri caotici. Invece di due polarità distinte, si ha uno spettro continuo. Come l’armonia e la dissonanza si combinano nella bellezza musicale, così ordine e caos si combinano nella bellezza matematica.15
Per Eraclito, tutto questo aveva il carattere di un’ispirata intuizione. Ora l’ipotesi è stata confermata da un’enorme quantità di esempi. L’unità degli opposti si trova nel cuore dell’atomo e tutto l’universo è composto da molecole, atomi e particelle subatomiche. La questione è stata espressa efficacemente da R. P. Feynman:

“Tutte le cose, compreso l’uomo, sono costituite di particelle positive e negative che interagiscono intensamente, il tutto accuratamente equilibrato.”16
La domanda è: come possono un più e un meno essere “accuratamente equilibrati”? È un’idea contraddittoria! Nella matematica elementare un più e un meno non si “equilibrano”; si annullano reciprocamente. La fisica moderna ha messo a nudo le enormi forze che risiedono nel cuore dell’atomo. Perché le forze contraddittorie di elettroni e protoni non si annullano? Perché gli atomi semplicemente non si scindono? La spiegazione fornita attualmente attribuisce alla “forza nucleare forte” la coesione dell’atomo, ma resta il fatto che l’unità degli opposti è alla base di tutta la realtà.
Dentro il nucleo di un atomo ci sono due forze opposte, di attrazione e di repulsione. Da una parte abbiamo le repulsioni elettriche che, se non trattenute, disgregherebbero il nucleo; dall’altra, ci sono potenti forze d’attrazione che legano insieme le particelle nucleari. Questa forza però ha i suoi limiti, oltre i quali non è in grado di tenere insieme le cose. Le forze d’attrazione, a differenza della repulsione, hanno un raggio d’azione molto ristretto. In un nucleo di piccole dimensioni possono tenere sotto controllo le forze di disgregazione, ma in un nucleo grande le forze di repulsione non possono essere facilmente dominate.
Oltre un certo punto critico, il legame si rompe e si verifica un salto qualitativo, come una goccia d’acqua troppo grande che sta per disintegrarsi. Quando un neutrone viene aggiunto al nucleo, aumenta rapidamente la tendenza alla disintegrazione. Il nucleo si scinde, formando due nuclei minori, che si separano con violenza liberando un’enorme quantità di energia. È quanto succede nella fissione nucleare. Tuttavia, si possono osservare processi analoghi a molti livelli in natura. L’acqua che cade su una superficie liscia si divide in una complessa distribuzione di goccioline; questo perché operano due forze opposte: la gravità, che tenta di distribuire l’acqua in una pellicola uniforme su tutta la superficie, e la tensione superficiale, l’attrazione fra una molecola e un’altra, che tenta di tenere unito il liquido, formando sfere compatte.
La natura sembra funzionare “a coppie”. Abbiamo le forze “forte” e “debole” a livello subatomico; l’attrazione e la repulsione; nord e sud nel magnetismo; positivo e negativo nell’elettricità; materia e antimateria; maschio e femmina in biologia; pari e dispari in matematica; persino il concetto di rotazione “sinistra e destra” in relazione allo spin delle particelle subatomiche. Esiste una certa simmetria in cui le tendenze contraddittorie, usando le parole di Feynman, “si equilibrano” o, per usare l’espressione più poetica di Eraclito, “si accordano fra loro differendo come le tensioni contrapposte delle corde e dell’arco di uno strumento musicale”. Ci sono due generi di materia, che si possono definire positivo e negativo. I generi simili si respingono, quelli opposti si attraggono.

Positivo e negativo

Il positivo non ha senso senza il negativo; sono necessariamente inseparabili. Hegel spiegò molto tempo fa che “il puro essere” (privo di ogni contraddizione) è la stessa cosa del puro nulla, cioè una vuota astrazione. Allo stesso modo, se tutto fosse bianco, sarebbe per noi la stessa cosa come se tutto fosse nero. Nel mondo reale tutto ha in sé il positivo e il negativo, l’essere e il non essere, poiché tutto è in uno stato di moto e cambiamento continui. A tal proposito, anche la matematica dimostra che lo zero non è uguale a nulla:
“Lo zero – scrive Engels – non è sprovvisto di contenuto per il fatto di essere la negazione di ogni quantità determinata. Al contrario, lo zero ha un contenuto molto ben determinato. Come linea di separazione tra tutte le grandezze positive e negative, come unico numero veramente neutro, non è soltanto un numero ben determinato, ma anche in sé molto più importante di tutti gli altri numeri da esso separati. In effetti, lo zero è più ricco di contenuto di ogni altro numero. Posto a destra di ogni altro numero, esso ce ne dà il decuplo, nel nostro sistema di numerazione. Si potrebbe a questo scopo adoperare qualsiasi altro simbolo invece dello zero ma alla condizione tuttavia che questo simbolo, per sé preso, significhi zero, sia = 0. Il fatto di trovare questo impiego, il fatto che esso solo può essere così impiegato, sta quindi nella stessa natura dello zero. Lo zero annulla ogni altro numero per il quale venga moltiplicato; accoppiato con qualsiasi altro numero come divisore, o dividendo, lo fa divenire nel primo caso infinitamente grande, nel secondo infinitamente piccolo; è l’unico numero il cui rapporto con qualsiasi altro numero è infinitamente grande. 0/0 può esprimere ogni numero tra -∞ e +∞ [∞=infinito, Ndt], e rappresenta, in ogni singolo caso, un’effettiva grandezza.17
Le dimensioni negative dell’algebra hanno significato solo in relazione alle loro grandezze positive, senza le quali non hanno alcun senso. Nel calcolo differenziale, il rapporto dialettico fra l’essere e il non essere è particolarmente chiaro. Questo aspetto è stato trattato in modo esteso da Hegel nella sua Scienza della Logica. Hegel trovava molto divertente la perplessità dei matematici tradizionali, che erano sconcertati dal ricorso ad un metodo che si serve dell’infinitamente piccolo e “non si può fare a meno d’immaginarsi che qualcosa non è veramente uguale a zero, ma è però di così poco rilievo, da poter essere trascurato”, eppure ottiene sempre un risultato preciso.18
Inoltre, tutto è in costante rapporto con le altre cose. Anche a distanze molto grandi, siamo influenzati dalla luce, dalle radiazioni, dalla gravità. Pur non essendo rilevato dai nostri sensi, si svolge un processo di interazione che provoca una serie continua di cambiamenti. La luce ultravioletta è in grado di far “evaporare” elettroni dalle superfici metalliche in modo analogo ai raggi del sole che fanno evaporare l’acqua dell’oceano. Commenta Banesh Hoffman:
“È un pensiero strano che mette soggezione, che io e voi stiamo scambiando ritmicamente particelle fra noi e con la Terra e i suoi animali, e il Sole e la Luna e le stelle, fino alla galassia più distante.19
L’equazione di Dirac che esprime l’energia di un singolo elettrone porta a due soluzioni – una positiva, l’altra negativa. È simile alla radice quadrata di un numero, che può essere positiva o negativa. Nel primo caso, però, la soluzione negativa implica un’idea contraddittoria – l’energia negativa – un concetto assurdo dal punto di vista della logica formale. Dato che l’energia e la massa sono equivalenti, energia negativa significa a sua volta massa negativa. Lo stesso Dirac rimase turbato dalle implicazioni della propria teoria. Fu costretto a prevedere l’esistenza di particelle che sarebbero state identiche all’elettrone ma con una carica positiva, un concetto fino ad allora inaudito.
Il 2 agosto 1932 Robert Millikan e Cari D. Anderson del California Institute of Technology scoprirono una particella la cui massa era chiaramente quella dell’elettrone ma che si muoveva in direzione opposta. Non era né un elettrone, né un protone, né un neutrone. Anderson la definì un “elettrone positivo”, ovvero un positrone. Era un nuovo tipo di materia – l’antimateria – come prevista dalle equazioni di Dirac. Successivamente si scoprì che elettroni e positroni scontrandosi si annientano, producendo due fotoni (due quanti di energia). Allo stesso modo, un fotone che attraversa la materia può scindersi originando un elettrone e un positrone virtuali.
Il fenomeno dell'”opposizione” esiste in fisica dove, per esempio, ad ogni particella corrisponde un’antiparticella (elettrone e positrone, protone e antiprotone ecc.). Tali particelle non sono semplicemente diverse, bensì sono opposte nel senso più letterale del termine, essendo identiche in ogni aspetto tranne uno: hanno cariche elettriche opposte, positiva e negativa. Per inciso, è indifferente quale sia definita negativa e quale positiva; è importante il rapporto fra esse. Ogni particella è dotata di una proprietà chiamata spin, espressa come un più o un meno, a seconda della sua direzione. Per quanto possa sembrare strano, ai fenomeni opposti di rotazione destra o sinistra, che come è noto svolgono un ruolo fondamentale in biologia, corrisponde un equivalente a livello subatomico. Onde e particelle sono opposte le une alle altre. Il fisico danese Niels Bohr vi si riferiva, in modo piuttosto confuso, come a “concetti complementari”, definizione con la quale intendeva dire precisamente che si escludono a vicenda.
I più recenti studi della fisica delle particelle stanno gettando luce sul livello più profondo della materia scoperto finora, i quark. Anche queste particelle hanno “qualità” contrapposte che non sono paragonabili alle forme ordinarie, per cui i fisici sono obbligati ad escogitare proprietà nuove ed artificiali per descriverle. Abbiamo in tal modo quark “up” [su], quark “down” [giù], quark “charm” [incanto], quark “strange” [strani], e così via. Sebbene le qualità dei quark siano ancora da esplorare a fondo, una cosa è chiara: la proprietà della contrapposizione si manifesta fino al livello delle particelle più piccole, finora note alla scienza, che formano la materia.
Il fenomeno universale dell’unità degli opposti è, in realtà, la forza motrice di tutto il moto e lo sviluppo in natura. È il motivo per cui non è necessario introdurre il concetto di impulso esterno per spiegare il moto e il cambiamento, concetto che rappresenta la debolezza fondamentale di tutte le teorie meccaniciste. Anche il moto, che comporta una contraddizione, è possibile solo come risultante delle tendenze contrastanti e delle tensioni interne che risiedono nel nucleo di ogni forma di materia. Le tendenze opposte possono coesistere in uno stato di equilibrio instabile per lunghi periodi, finché un cambiamento, anche un piccolo cambiamento quantitativo, rompe l’equilibrio dando origine ad uno stato critico che può produrre una trasformazione qualitativa. Nel 1936, Bohr paragonò la struttura del nucleo ad una goccia di liquido, ad esempio una goccia di pioggia sospesa ad una foglia. La forza di gravità contrasta quella della tensione superficiale che si sforza di tenere unite le molecole d’acqua. L’aggiunta di poche molecole al liquido lo rende instabile. La goccia ingrandita comincia a fremere, la tensione superficiale non è più in grado di tenere la massa attaccata alla foglia e la goccia precipita.

Fissione nucleare

Questo esempio apparentemente semplice, di cui molti equivalenti possono essere osservati centinaia di volte al giorno nell’esperienza quotidiana, è un’analogia abbastanza stretta con i processi in atto nella fissione nucleare. Il nucleo stesso non è in quiete, ma è in uno stato continuo di cambiamento. In un quadrilionesimo di secondo si verificano miliardi di collisioni casuali fra particelle. Esse entrano ed escono dal nucleo continuamente. Tuttavia, il nucleo è tenuto insieme da quella che comunemente è definita forza forte; rimane in uno stato di equilibrio instabile, “sull’orlo del caos”, come direbbero i fautori dell’omonima teoria.
Come nella goccia di liquido che vibra per il moto delle molecole al suo interno, le particelle sono in moto continuo, si trasformano, scambiano energia. Come in una goccia di pioggia ingrandita, il legame fra le particelle in un nucleo di grandi dimensioni è meno stabile ed ha maggiori probabilità di disintegrarsi. Il ripetuto rilascio di particelle alfa dalla superficie del nucleo lo rende più piccolo e più stabile. Di conseguenza, può stabilizzarsi. Però fu scoperto che bombardando un nucleo di grandi dimensioni con neutroni lo si può indurre a dividersi, rilasciando una parte dell’enorme quantità di energia racchiusa nell’atomo. Questa energia corrisponde al difetto di massa del nucleo, che deriva dal fatto che la somma delle singole masse delle singole particelle componenti il nucleo è maggiore della massa del nucleo stesso. Questa differenza è il cosiddetto difetto di massa; anche in questo esempio si ha la conferma che l’intero è qualitativamente superiore alla somma delle parti. Questo è il processo della fissione nucleare, che può verificarsi anche senza l’intervento di particelle dall’esterno. In natura il processo della fissione spontanea (decadimento radioattivo) avviene in continuazione. In un secondo, in un chilogrammo di uranio avvengono otto fissioni spontanee, e particelle alfa vengono emesse da circa sedici milioni di nuclei. Più pesante è il nucleo, più aumenta la probabilità che si inneschi un processo di fissione.
L’unità degli opposti si trova alla radice della vita stessa. Quando furono scoperti gli spermatozoi per la prima volta, si credeva che fossero “homunculae”, esseri umani in miniatura, perfettamente formati, che semplicemente crescevano. In realtà, il processo è ben più complesso e dialettico. La riproduzione sessuata dipende dalla fusione fra un singolo spermatozoo e un ovulo, in un processo in cui entrambi sono distrutti e allo stesso tempo preservati, trasmettendo tutte le informazioni genetiche necessarie per la creazione di un embrione. Dopo aver subìto un ciclo di trasformazioni, le cui fasi presentano evidenti analogie con le fasi evolutive della vita animale sulla terra, dalla divisione di una sola cellula risulta infine un individuo completamente nuovo. Inoltre, il risultato di questa unione contiene geni di entrambi i genitori, ma in modo tale da essere diverso da entrambi. Quindi non si tratta di una semplice riproduzione, bensì di un reale sviluppo. L’accresciuta diversità in tal modo resa possibile è uno dei grandi vantaggi evolutivi della riproduzione sessuata.
Le contraddizioni abbondano in natura a tutti i livelli, e guai a quella logica che lo neghi. Un elettrone non solo può essere in due o più luoghi nello stesso momento, ma può anche muoversi simultaneamente in direzioni diverse. Non ci resta che affermare, in accordo con Hegel, che essi sono e non sono. Le cose si trasformano nel loro opposto; gli elettroni, a carica negativa, si trasformano in positroni, a carica positiva. Un elettrone che si unisca ad un protone non viene distrutto, come ci si potrebbe aspettare, bensì produce una nuova particella, il neutrone, a carica neutra.
Le leggi della logica formale hanno subìto un’umiliante batosta nel campo della fisica moderna, dove si sono dimostrate assolutamente inadeguate ad affrontare i processi contraddittori che avvengono a livello subatomico. Particelle che si disintegrano così rapidamente da rendere difficile affermare se esistano o meno, pongono problemi insormontabili ad un sistema che tenta di bandire ogni contraddizione dalla natura e dal pensiero. Questo porta immediatamente a nuove contraddizioni insolubili. Il pensiero si trova in opposizione a fatti stabiliti e ripetutamente confermati dalla sperimentazione e dall’osservazione. L’unione di un protone e di un elettrone è il neutrone; ma se un positrone dovesse unirsi ad un neutrone il risultato sarebbe la perdita di un elettrone e il neutrone si trasformerebbe in un protone. Attraverso questo processo incessante, l’universo si crea e si ricrea a più riprese. Non occorre alcuna forza esterna, nessun “primo impulso”, come nella fisica classica. Non occorre assolutamente nulla, tranne il moto infinito e inquieto della materia tn accordo con le proprie leggi oggettive.

Opposti polari?

La polarità è una caratteristica che pervade tutta la natura. Non esiste solo ai poli magnetici nord e sud della Terra, si ritrova nel Sole, nella Luna e negli altri pianeti. Esiste anche a livello subatomico, dove i nuclei si comportano precisamente come se avessero non una, ma due coppie di poli magnetici.
“La dialettica – scrisse Engels – ha dimostrato, in base ai risultati delle esperienze finora fatte, che tutte le opposizioni polari sono condizionate dall’alterno gioco dei due poli opposti l’uno sull’altro, che la separazione e l’opposizione dei poli sussiste soltanto nel loro reciproco appartenersi, nella loro unione, e che viceversa la loro unione può sussistere solo nella loro separazione, il loro rapporto nella loro opposizione. Dato ciò, non ha senso parlare né di un definitivo annullamento reciproco di attrazione e repulsione, né di una definitiva suddivisione delle due forme di movimento su due metà della materia; e quindi né di reciproca compenetrazione; ne di separazione assoluta. Sarebbe lo stesso che richiedere, nel primo caso, che il polo nord e il polo sud di un magnete si annullino reciprocamente, e, nel secondo caso, che tagliando un magnete nel mezzo, tra i due poli, si ottenga da una parte un magnete col solo polo nord, dall’altra un magnete col solo polo sud.20
Ci sono alcuni fenomeni considerati come opposti assoluti ed immutabili. Ad esempio, quando vogliamo comunicare la nozione di estrema incompatibilità, usiamo il termine “opposti polari”; nord e sud sono visti come fenomeni assolutamente fissi ed opposti. Per oltre mille anni i marinai hanno riposto la loro fiducia nella bussola, che li ha guidati attraverso oceani sconosciuti, puntando sempre verso questa cosa misteriosa chiamata polo nord. Eppure un’analisi più accurata dimostra che questo polo nord non è né fisso né stabile. La Terra è circondata da un forte campo magnetico (un dipolo assiale geocentrico), come se al centro della Terra ci fosse un magnete gigantesco, allineato parallelamente all’asse del pianeta. Ciò è in relazione con la composizione metallica del nucleo terrestre, formato principalmente da ferro. Nei 4,6 miliardi di anni trascorsi da quando è nato il sistema solare, le rocce della Terra si sono formate e riformate più volte. E non solo le rocce, ma ogni cosa. Misurazioni e studi dettagliati hanno ormai dimostrato oltre ogni dubbio che l’ubicazione dei poli magnetici si sposta di continuo. Attualmente si stanno muovendo molto lentamente: 0,3 gradi ogni milione di anni. Questo fenomeno è conseguenza di complessi cambiamenti in atto dentro la Terra, nell’ atmosfera e nel campo magnetico solare.
Lo spostamento è così piccolo che per secoli era rimasto inosservato. Eppure, anche questo processo di cambiamento apparentemente impercettibile dà origine a un salto improvviso e spettacolare, in cui il nord diventa sud e il sud diventa nord. I cambiamenti della posizione dei poli sono accompagnati da fluttuazioni dell’intensità del campo magnetico stesso. Tale processo graduale, caratterizzato da un indebolimento del campo magnetico, culmina in un salto improvviso; i poli si invertono, trasformandosi letteralmente ognuno nel proprio opposto, dopodiché il campo comincia a riprendersi e a rafforzarsi.
Questo rivolgimento è avvenuto più volte durante la storia della Terra. È stato calcolato che oltre 200 inversioni polari di questo genere hanno avuto luogo negli ultimi 65 milioni di anni, almeno quattro negli ultimi quattro milioni di anni. Circa 700.000 anni fa, il polo nord magnetico era ubicato in qualche zona nell’Antartide, luogo dell’attuale polo sud geografico. Attualmente siamo in una fase di indebolimento del campo magnetico terrestre, che culminerà inevitabilmente in una nuova inversione. Lo studio della storia magnetica della Terra è il particolare terreno di studio di una branca del tutto nuova della scienza – il paleomagnetismo – che tenta di ricostruire le mappe di tutte le .inversioni polari della storia del nostro pianeta.
Le scoperte del paleomagnetismo a loro volta hanno fornito prove conclusive della correttezza della teoria della deriva dei continenti. Quando le rocce (in particolare quelle vulcaniche) creano minerali ricchi di ferro, questi reagiscono al campo magnetico terrestre così come è configurato in quel momento, allo stesso modo in cui pezzetti di ferro reagiscono ad un magnete, orientando i propri atomi in linea con l’asse del campo. In pratica si comportano come una bussola. Confrontando gli orientamenti dei minerali presenti in rocce della stessa età in diversi continenti, è possibile tracciare il movimento dei continenti, anche di quelli che non esistono più o di cui sono rimasti solo piccoli frammenti.
Nell’inversione dei poli vediamo un esempio molto chiaro della legge dialettica dell’unità e della compenetrazione degli opposti. Nord e sud – opposti polari nel senso più letterale del termine – non solo sono uniti inseparabilmente ma si determinano a vicenda mediante un processo dinamico e complesso, che culmina in un salto improvviso in cui fenomeni presunti fissi e immutabili si trasformano nel loro opposto. E tale processo dialettico non è l’invenzione arbitraria e fantasiosa di Hegel o di Engels, ma è dimostrato in modo definitivo dalle più recenti scoperte del paleomagnetismo. È stato detto, a ragione, che “quando gli uomini tacciono, gridano le pietre!”.
Il rapporto tra attrazione e repulsione è un’estensione della legge dell’unità e della compenetrazione degli opposti. È una legge che permea tutta la natura, dai fenomeni più piccoli a quelli più grandi. Alla base dell’atomo ci sono immense forze di attrazione e repulsione. L’atomo di idrogeno, per esempio, è composto da un protone e un elettrone tenuti insieme dall’attrazione elettrica. La carica portata da una particella può essere positiva o negativa; le cariche simili si respingono, mentre quelle opposte si attirano. Così, dentro il nucleo, i protoni si respingono, ma il nucleo e tenuto insieme dalla potente forza nucleare. Nei nuclei molto pesanti però la forza della repulsione elettrica può raggiungere un punto in cui la forza nucleare viene sopraffatta e il nucleo si disintegra. Engels sottolinea il ruolo universale di attrazione e repulsione:
“Ogni movimento consiste nell’alterno gioco di attrazione e repulsione. Esso però è possibile soltanto se ogni singola azione attrattiva è compensata altrove da una corrispondente azione repulsiva. Altrimenti l’una delle due patti finirebbe, col tempo, con l’avere il sopravvento, e con ciò, alla fine, il movimento cesserebbe. Perciò nell’universo tutte le azioni attrattive e tutte le azioni repulsive si devono bilanciare reciprocamente. La legge dell’increabilità e dell’indistruttibilità del movimento si esprime questa volta nell’affermazione che nell’universo ogni movimento dovuto all’attrazione deve essere compensato da un equivalente movimento dovuto alla repulsione, e viceversa; o se vogliamo, nel modo in cui la esprimeva la vecchia filosofia, molto prima che la scienza formulasse la legge della conservazione della forza (o energia): la somma di tutte le attrazioni nell’universo è uguale alla somma di tutte le repulsioni.
Ai tempi di Engels, l’idea prevalente di moto derivava dalla meccanica classica secondo la quale il moto è impartito da una forza esterna che vince la forza d’inerzia. Engels fece una dura critica all’uso del termine “forza”, che considerava parziale e inadeguato per descrivere i processi reali della natura.
“Tutti i processi naturali – scrisse – hanno due facce, riposano sul rapporto di almeno due parti operanti, su azione e reazione. Il concetto di forza, in quanto derivante dall’azione dell’organismo umano sul mondo esterno e, oltre a ciò, dalla meccanica terrestre, implica invece che solo una delle due parti sia attiva, operante, l’altra sia al contrario passiva, ricettiva […].21
Engels, fortemente critico verso questa nozione che era stata già attaccata da Hegel, era in anticipo sul suo tempo. Nella sua Storia della filosofia, Hegel osserva che:
“È meglio [dire] che il magnete ha un’anima (come lo esprime Talete), piuttosto che dire che abbia una forza d’attrazione; la forza è un tipo di proprietà che, separata dalla materia, viene proposta come una specie di predicato, mentre l’anima, d’altra patte, è questo stesso moto, identico alla natura della materia.
Questo commento di Hegel, citato e condiviso da Engels, contiene un’idea profonda: che il moto e l’energia sono legati alla materia. La materia ha moto proprio ed è auto-organizzata.
Anche la parola “energia”, a parere di Engels, non era del tutto adeguata, sebbene preferibile di gran lunga a “forza”. La sua obiezione era che
“[…] fa pensare che l’«energia» sia qualcosa di esterno alla materia, qualcosa che è portato in essa dall’esterno. Ma è da preferire in tutti i casi al termine ‘forza’.22
Il vero rapporto è stato dimostrato dalla teoria di Einstein sull’equivalenza fra massa ed energia, la quale mostra che materia ed energia sono la stessa cosa. Questo era precisamente il punto di vista del materialismo dialettico, espresso da Engels e persino anticipato da Hegel, come dimostra il brano riportato sopra.

Negazione della negazione

Ogni scienza ha il proprio vocabolario, i cui termini frequentemente non coincidono con l’uso quotidiano; questo può generare difficoltà e malintesi. La parola “negazione” viene correntemente intesa come semplice distruzione o annientamento. È importante capire che nella dialettica il termine negazione ha un contenuto ben diverso. Significa negare e allo stesso tempo conservare. Si può negare un seme schiacciandolo sotto il piede. Il seme è così “negato”, ma non in senso dialettico! Se però lo stesso seme viene lasciato a se stesso, in condizioni favorevoli germinerà. Così è negato come seme e si sviluppa come una pianta che, in una fase successiva, morirà, producendo nuovi semi.
Questo, apparentemente, è un ritorno al punto di partenza. Tuttavia, come sa ogni giardiniere di professione, semi identici variano da una generazione all’altra, dando origine a nuove specie. Il giardiniere sa inoltre che certe razze possono essere indotte artificialmente con l’accoppiamento selettivo. Fu proprio questa selezione artificiale a fornire a Darwin un indizio fondamentale sul processo di selezione naturale che avviene spontaneamente in natura e che è la chiave per interpretare lo sviluppo di tutte le piante e gli animali. Quello che osserviamo non è solo cambiamento ma sviluppo reale, che procede generalmente da forme più semplici a forme più complesse, comprese le molecole complesse della vita stessa che, ad un certo punto, sorge dalla materia inorganica.
Consideriamo il seguente esempio di negazione tratto dalla meccanica quantistica. Cosa succede quando un elettrone interagisce con un fotone? L’elettrone subisce un “salto quantico” e il fotone scompare. Il risultato non è una qualche combinazione meccanica; è lo stesso elettrone di prima, ma in un nuovo stato energetico. Lo stesso avviene quando l’elettrone interagisce con un protone: l’elettrone scompare e si verifica un salto dello stato energetico e della carica del protone. Il protone è lo stesso, ma in un nuovo stato energetico e con diversa carica. Ora è elettricamente neutro e diventa un neutrone. In termini dialettici, l’elettrone è stato negato e conservato allo stesso tempo; è scomparso ma non è annientato. Esso entra nella nuova particella e si esprime come cambiamento di energia e di carica.
Gli antichi greci conoscevano bene la dialettica della discussione. In un dibattito condotto correttamente, un’idea (la tesi) viene proposta e successivamente contrastata dall’opinione opposta (l’antitesi) che la nega. Infine, attraverso un processo esauriente di discussione, che esplora la questione in esame da tutti i punti di vista e rivela tutte le contraddizioni nascoste, si arriva alla conclusione (la sintesi). Possiamo giungere o meno al consenso, ma l’aspetto fondamentale è che attraverso il dibattito abbiamo approfondito la nostra conoscenza e comprensione e condotto la discussione su un piano diverso.
È piuttosto evidente che quasi nessuno dei critici del marxismo si è preso la briga di leggere Marx ed Engels. Spesso si suppone, ad esempio, che la dialettica operi con il processo di “tesi-antitesi-sintesi”, che Marx avrebbe scopiazzato da Hegel (che a sua volta l’avrebbe copiato dalla Santa Trinità) e applicato alla società. Questa caricatura infantile viene riproposta tuttora da persone ritenute intelligenti. In realtà, non solo il materialismo dialettico di Marx è l’opposto della dialettica idealista di Hegel, ma pure la dialettica di Hegel è molto diversa da quella della filosofia greca classica.
Plechanov, padre del marxismo russo, giustamente ridicolizzava il tentativo di ridurre l’imponente edificio della dialettica hegeliana alla “rigida triade” di tesi-antitesi-sintesi. Il rapporto tra la dialettica avanzata di Hegel e quella dei Greci è pressoché lo stesso che tra la chimica moderna e la scienza dei primi alchimisti. È corretto affermare che questi ultimi prepararono il terreno per la chimica moderna, ma dichiarare che si tratta “fondamentalmente della stessa cosa” è semplicemente assurdo. Hegel si rifece ad Eraclito, ma ad un livello qualitativamente superiore, arricchito da 2.500 anni di progressi filosofici e scientifici. Lo sviluppo della dialettica e esso stesso un processo dialettico.
Oggigiorno la parola “alchimia” viene usata come sinonimo di ciarlataneria. Essa evoca immagini di incantesimi e magia nera. Certo tali elementi non sono assenti dalla storia dell’alchimia, ma le sue attività non si limitavano affatto a questo. Nella storia della scienza l’alchimia ha rivestito un ruolo molto importante. Il termine deriva da una parola araba, usata per qualsiasi scienza dei materiali; tra i suoi esponenti ci furono diversi ciarlatani, ma anche non pochi scienziati validi! E chimica è la parola occidentale per indicare la stessa cosa. Molte parole della chimica sono, di fatto, di origine araba: acido, alcali, alcool e così via.
Gli alchimisti partivano dal presupposto che fosse possibile trasmutare un elemento in un altro. Per secoli cercarono la “pietra filosofale”, che credevano avrebbe permesso loro di trasformare il vile metallo (piombo) in oro. Se vi fossero riusciti, non sarebbe servito a molto, poiché il valore dell’oro sarebbe sceso rapidamente a quello del piombo! Ma questo è un altro discorso; dato il livello effettivo della tecnica dell’epoca, gli alchimisti tentavano l’impossibile. Alla fine furono costretti a trarre la conclusione che la trasmutazione degli elementi era impossibile. Tuttavia, gli sforzi degli alchimisti non erano stati vani. In cerca di conferma di un’ipotesi antiscientifica, la pietra filosofale, svolsero in realtà un prezioso lavoro pionieristico, sviluppando l’arte della sperimentazione, inventando apparecchi da laboratorio usati ancora oggi e descrivendo ed analizzando un’ampia gamma di reazioni chimiche. In questo modo l’alchimia preparò il terreno per lo sviluppo della chimica. La chimica moderna poté progredire solo ripudiando l’ipotesi di base degli alchimisti, la trasmutazione degli elementi. Dalla fine del Settecento in poi, la chimica si sviluppò su basi scientifiche; mettendo da parte i grandiosi obiettivi del passato, essa fece passi da gigante. In seguito, nel 1919, lo scienziato inglese Rutherford fece un esperimento in cui nuclei di azoto vennero bombardati con particelle alfa. Con questo si aprì una breccia per la prima volta all’interno del nucleo. Rutherford riuscì a trasmutare un elemento (azoto) in un altro (ossigeno). La secolare ricerca degli alchimisti era stata risolta, ma assolutamente non nel modo che essi avrebbero potuto prevedere!
Ora osserviamo più da vicino il seguente processo. Partiamo con la tesi: a) trasmutazione degli elementi; questa è poi negata dalla sua antitesi: b) impossibilità di trasmutare gli elementi; questa, a sua volta, è capovolta da una seconda negazione: c) trasmutazione degli elementi. In tale processo dobbiamo notare tre cose: in primo luogo, ogni negazione segna un deciso progresso, anzi un salto qualitativo. Secondo: ogni progresso consecutivo nega la fase precedente, reagisce contro di essa, pur conservandone tutto ciò che è utile e necessario. Infine, l’ultima fase – la negazione della negazione – non significa affatto un ritorno all’idea originaria (in questo caso l’alchimia), bensì la ricomparsa di forme precedenti ad un livello qualitativamente superiore. A proposito, oggi è possibile trasformare il piombo in oro, anche se sarebbe troppo costoso perché ne valga la pena.
La dialettica considera i processi fondamentali in atto nell’universo, nella società e nella storia delle idee non come un cerchio chiuso, in cui essi semplicemente si ripetono in un ciclo meccanico senza fine, ma come una specie di spirale aperta di sviluppo, in cui nulla si ripete mai nello stesso modo. Questa evoluzione può essere chiaramente rilevata nella storia della filosofia e della scienza, poiché tutta la storia del pensiero consiste in un processo interminabile di sviluppo per contraddizioni.
Quando viene postulata una teoria che spiega certi fenomeni, essa trova gradualmente consensi, sia attraverso l’accumulo di dati che la confermano, sia per la mancanza di un’alternativa soddisfacente. Però ad un certo punto appaiono delle incongruenze che inizialmente venivano ignorate come eccezioni prive di importanza. In seguito emerge una nuova ipotesi che contraddice la precedente e sembra spiegare meglio i fatti osservati. È possibile che, dopo uno scontro, la nuova teoria abbatta l’ortodossia esistente. Ma nuovamente sorgono problemi che a loro volta devono essere risolti. Spesso sembra di tornare ad idee che in passato erano ritenute screditate, ma ciò non significa un ritorno al punto di partenza. Si tratta di un processo dialettico che comporta una comprensione sempre più profonda del funzionamento della natura, della società e di noi stessi. Questa è la dialettica della storia della filosofia e della scienza.
Joseph Dietzgen, un compagno di Marx ed Engels, disse una volta che il vecchio che guarda il proprio passato può vedere la sua vita come una continua serie di errori che egli, se potesse tornare indietro, sceglierebbe senz’altro di eliminare. Ma poi resta la contraddizione dialettica: solo per mezzo di questi errori l’uomo ha acquisito la saggezza necessaria per poterli giudicare appunto tali. Come Hegel acutamente osservava, le stesse massime in bocca ai giovani non hanno il medesimo peso quando sono pronunciate da un uomo la cui esperienza di vita le ha riempite di significato e di contenuto. Sono le stesse, eppure non lo sono. Ciò che era inizialmente un pensiero astratto con scarso o nessun contenuto diventa ora il prodotto di una matura riflessione. Fu il genio di Hegel a comprendere che la storia delle diverse scuole filosofiche era in sé un processo dialettico. Egli la paragona alla vita di una pianta la quale attraversa diverse fasi, che si negano l’un l’altra, ma che, nella loro totalità, rappresentano la vita della pianta stessa:
“Quanto più la mente ordinaria considera fissa l’opposizione fra vero e falso, tanto più è abituata a prevedere accordo o contraddizione rispetto a un determinato sistema filosofico e a vedere una ragione dell’uno o dell’altro in un’affermazione di spiegazione riguardo tale sistema. Essa non concepisce la diversità dei sistemi filosofici come la progressiva evoluzione della verità; piuttosto, vede solo contraddizione in tale varietà. Il bocciolo scompare quando emerge il fiore e potremmo dire che il primo è negato dal secondo; allo stesso modo, quando viene il frutto, il fiore può essere spiegato come una forma falsa dell’esistenza della pianta, poiché il frutto ne appare come l’autentica natura, al posto del fiore. Queste fasi non sono semplicemente differenziate; si soppiantano in quanto incompatibili l’una con l’altra. Ma l’attività incessante della loro propria natura inerente ne fa allo stesso tempo momenti di un’unità organica, in cui non semplicemente si contraddicono, ma in cui l’una è tanto necessaria quanto l’altra; e l’uguale necessità di tutti i momenti costituisce da sola e perciò la vita dell’insieme.23

La dialettica del Capitale

Nei tre volumi del Capitale, Marx fornisce un esempio brillante di come il metodo dialettico può essere usato per analizzare i processi fondamentali della società. Così facendo, egli rivoluzionò la scienza dell’economia politica, fatto che non è negato neppure da quegli economisti le cui opinioni sono in forte conflitto con quelle di Marx. Il metodo dialettico è così fondamentale per lavoro di Marx che Lenin giunse al punto cli sostenere che non era possibile capire il Capitale, e in particolare il primo capitolo, senza aver letto tutta la Logica di Hegel! Questa era indubbiamente un’esagerazione, ma ciò che Lenin voleva dire era che il Capitale di Marx è in sé un’applicazione esemplare della dialettica.
“Anche se Marx non ci ha lasciato una Logica (con la lettera maiuscola), ci ha lasciato però la logica del Capitale, che bisognerebbe utilizzare al massimo nella questione data. Nel Capitale si applica a una sola scienza la logica, la dialettica, la teoria della conoscenza (non occorrono tre parole: sono una stessa cosa) del materialismo, che ha attinto da Hegel quanto vi è in lui di prezioso e lo ha sviluppato ulteriormente.24
Quale metodo fu usato da Marx nel Capitale? Egli non impose le leggi della dialettica all’economia, ma le derivò da uno studio lungo e meticoloso cli tutti gli aspetti del processo economico. Non avanzò uno schema arbitrario per poi adeguarvi i fatti, ma partì con l’obiettivo di scoprire le “leggi del moto” della produzione capitalistica attraverso un attento esame del fenomeno stesso. Nella sua Prefazione alla critica dell’Economia Politica, Marx spiega il suo metodo:
“Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato perché, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi, e il lettore che avrà deciso di seguirmi dovrà decidersi a salire dal particolare al generale.25
Il Capitale rappresentò una rottura con i vecchi schemi di pensiero, non solo nel campo dell’economia, ma anche per le scienze sociali in generale. Esso ha un’attinenza diretta con i dibattiti attualmente in corso fra gli scienziati; tali discussioni erano già in corso al tempo cli Marx. In quell’epoca, gli scienziati erano ossessionati dell’idea di scomporre le cose per esaminarle in dettaglio. Questo metodo oggi è detto “riduzionismo”; Marx ed Engels, che erano molto critici nei suoi riguardi, lo chiamavano “metodo metafisico”. I meccanicisti dominarono la fisica per 150 anni; solo ora la reazione contro il riduzionismo comincia ad acquistare forza. Una nuova generazione di scienziati sta affrontando il compito di superare questa eredità e di passare alla formulazione di nuovi princìpi, al posto delle vecchie approssimazioni. Fu grazie a Marx che la tendenza riduzionista nell’economia fu sconfitta alla metà del secolo scorso. Dopo il Capitale, un simile approccio era impensabile. Il metodo individualista “alla Robinson Crusoe” di spiegare l’economia politica (“immaginate due persone su un’isola deserta…”) torna ogni tanto a galla nei testi scolastici di pessima qualità e nei tentativi volgari di divulgazione, ma non può essere preso sul serio. Le crisi economiche e le rivoluzioni non avvengono fra due individui su un’isola deserta! Marx analizza l’economia capitalista non come sommatoria di singoli atti di scambio, ma come un sistema complesso, dominato da leggi proprie che sono potenti come le leggi di natura. Allo stesso modo, tra i fisici è ora in corso il dibattito sull’idea di complessità, intesa come un sistema nel quale l’intero non sia puramente un insieme di parti elementari. Naturalmente è utile conoscere, se possibile, le leggi che governano le singole parti, ma il sistema complesso sarà governato da nuove leggi che non sono semplici estensioni di quelle precedenti. È proprio questo il metodo del Capitale di Marx, quello del materialismo dialettico.
Marx parte da un’analisi della cellula di base dell’economia capitalista: la merce. In base a questa, egli spiega come sorgono tutte le contraddizioni della società capitalista. Il riduzionismo considera i rapporti tra intero e parte, tra particolare e universale, come tra opposti reciprocamente incompatibili ed esclusivi; invece essi sono completamente inseparabili, si compenetrano e si determinano l’un l’altro. Nel primo volume del Capitale, Marx spiega il carattere dualistico della merce, intesa come valore d’uso e valore di scambio. La gente in generale considera le merci in base al loro valore d’uso, come oggetti concreti e utili per la soddisfazione dei bisogni umani. Il valore d’uso è sempre stato prodotto in ogni tipo di società umana. La società capitalista però compie strane operazioni con i valori d’uso. Essa li trasforma in valori di scambio: merci prodotte non direttamente per il consumo, ma per la vendita. Di conseguenza ogni merce ha due facce: quella domestica e familiare di valore d’uso e il volto nascosto e misterioso del valore di scambio. Il primo è legato direttamente alle proprietà fisiche di una determinata merce (indossiamo una camicia beviamo il caffè, guidiamo un’automobile ecc.). Invece il valore di scambio non può essere né visto, né indossato, né mangiato; non ha alcuna esistenza materiale. Eppure è questa la natura essenziale di una merce sotto il capitalismo. L’espressione ultima del valore di scambio è il denaro, l’equivalente universale attraverso il quale tutte le merci esprimono il proprio valore. Questi pezzetti di carta colorata non hanno alcuna relazione con le camicie, il caffè o le auto come tali; non possono essere mangiati, indossati o guidati. Eppure il potere che contengono è tale – e questo è riconosciuto da tutti – che per essi la gente è disposta ad uccidere.
Il carattere dualistico della merce esprime la contraddizione centrale della società capitalista: il conflitto fra lavoro salariato e capitale. Il lavoratore crede di vendere al padrone il suo lavoro, ma in realtà ciò che vende è una parte del proprio tempo, la sua forza-lavoro, che il capitalista poi utilizza come meglio gli conviene. Il plusvalore così ottenuto è il lavoro non pagato della classe operaia, la fonte di accumulazione del capitale. È questo lavoro non pagato a mantenere tutti i membri della società che non lavorano, attraverso rendite, interessi, profitti e tasse. La lotta di classe è in sostanza la lotta per la divisione di questo plusvalore.
Marx non inventò l’idea di plusvalore, già nota ad economisti precedenti come Adam Smith e Ricardo. Tuttavia, mettendo a nudo la contraddizione fondamentale che essa contiene, egli rivoluzionò completamente l’economia politica.
Questa scoperta può essere paragonata ad un processo simile nella storia della chimica. Fino al tardo Settecento si supponeva che il processo della combustione consistesse nella separazione dalle sostanze bruciate di un ipotetico flogisto. Questa teoria venne utilizzata per spiegare gran parte dei fenomeni chimici noti all’epoca. In seguito, nel 1774, lo scienziato inglese Joseph Priestley scoprì qualcosa che egli chiamò “aria deflogistizzata”; in seguito si scoprì che questa spariva ogni volta che in essa veniva bruciata una qualche sostanza.
In realtà Priestley aveva scoperto l’ossigeno. Ma egli stesso e gli altri scienziati non furono in grado di afferrare le implicazioni rivoluzionarie di questa scoperta. Per molto tempo dopo continuarono a pensare nella vecchia maniera. In seguito il chimico francese Lavoisier scoprì che il nuovo tipo di aria era in realtà un elemento chimico, che non scompariva nel processo di combustione, ma si univa alla sostanza bruciata. Sebbene altri avessero scoperto l’ossigeno, non sapevano che cosa avessero scoperto. Fu questa la grande scoperta di Lavoisier. Marx rivestì un ruolo simile nell’economia politica. I predecessori di Marx avevano scoperto l’esistenza del plusvalore ma il suo vero carattere rimaneva avvolto nell’oscurità. Sottoponendo tutte le teorie precedenti, a partire da quella di Ricardo, a un’analisi dettagliata, Marx scoprì la natura reale e contraddittoria del valore. Esaminò tutti i rapporti all’interno della società capitalista, iniziando con la forma più semplice di produzione e scambio di merci e seguendo il processo attraverso tutte le sue molteplici manifestazioni, osservando un metodo strettamente dialettico. Marx mostrò la relazione fra merce e denaro, e fu il primo a fornire un’analisi esauriente del denaro. Mostrò come il denaro si trasforma in capitale, provando come questo cambiamento avvenga attraverso la compravendita di forza lavoro. Questa distinzione fondamentale tra lavoro e forza-lavoro fu la chiave che schiuse in misteri del plusvalore, un problema che Ricardo non era riuscito a risolvere. Stabilendo la differenza fra capitale costante e variabile, Marx fu in grado di tracciare in dettaglio l’intero processo di formazione e quindi a spiegarlo, compito in cui nessuno dei suoi predecessori era riuscito.
Il metodo di Marx è, dall’inizio alla fine, rigorosamente dialettico, e segue assai fedelmente le linee principali tracciate dalla Logica di Hegel. Ciò è affermato esplicitamente nel poscritto alla seconda edizione tedesca del Capitale, nel quale Marx rende un grande tributo al filosofo tedesco:
“Nel rappresentare quel che egli chiama il mio metodo effettivo, in maniera così esatta e così benevola per quanto concerne la mia applicazione personale di esso, che cos’altro ha rappresentato l’egregio autore se non il metodo dialettico? (Marx si riferisce all’autore di un articolo pubblicato nel “Vestnik Evropy” – Il messaggero europeo – nel maggio 1872, Ndr). […] Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent’anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lessing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo Spinoza: come un ‘cane morto’. Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico. Nella sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda tedesca, perché sembrava trasfigurare lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale, la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e per i suoi corifei dottrinari, perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può intimidire ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza.26

Capitolo 4 Logica formale e dialettica

Indice dei Capitoli

Note

  1. L. Trotskij, In difesa del marxismo, pagg. 112-113.
  2. K. Marx, Il Capitale.
  3. David Bohm, Causality and Chance in Modern Physics, pag. 1.
  4. R.P. Feynman, Lectures on Physics, chapter I, pag. 8.
  5. Aristotele, Metafisica, libro V, pag. 129.
  6. F. Engels, Dialettica della natura, pag. 39.
  7. L. Trotskij, In difesa del marxismo, pagg. 162-163.
  8. M. Waldrop, Complexity, p. 82.
  9. F. Engels, Dialettica della natura, pagg. 37-38.
  10. F. Engels, Anti-Dühring, pagg. 135-136.
  11. J.Gleick, Caos, la nascita di una nuova scienza.
  12. M. Waldrop, op. cit., pag. 65.
  13. David Bohm, Causality and Chance in Modern Physics, pag. X.
  14. F. Engels, Anti-Dühring, pagg. 141-142.
  15. Ian Stewart, Dio gioca a dadi?, pag. 28.
  16. Feynman, op. cit., chapter 2, pag. 5.
  17. F. Engels, Dialettica della natura, pagg. 193-194.
  18. G. W F. Hegel, Scienza della logica, pag. 266.
  19. Banesh Hoffman, The strange story of the quantum, pag. 159.
  20. F. Engels, Dialettica della natura, pag. 42.
  21. Ibidem, pag. 41 e pag. 51.
  22. Ibidem, pag. 49.
  23. Hegel, Fenomenologia dello spirito.
  24. Lenin, Opere Complete, Vol. 38, pag. 341.
  25. Marx-Engels, Selected Works, Vol. 1, pag. 502.
  26. K. Marx, Il Capitale, Poscritto alla seconda edizione, pagg. 44-45.
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