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Pdac-Lit: navigazione a vista elevata a sistema

di Francesco Giliani

Qualche settimana fa il Pdac, sezione italiana della Liga Internacional de los Trabajadores-Cuarta Internacional (Lit-Ci), ha polemizzato con la nostra posizione di difesa della rivoluzione cubana e contraria alle mobilitazioni reazionarie del movimento cubano 15N, pro-imperialista e favorevole alla piena restaurazione del capitalismo nell’isola caraibica. A dedicarci tanta attenzione – ma non è la prima volta – è stato il compagno del Pdac, Francesco Ricci, il quale ci ha invitato ad un dibattito di idee. Ne prendiamo atto, anche perché in altri tempi lo stesso Ricci era uso proporre confronti politici dileggiando le vere (o da lui presunte) dimensioni dei gruppi contro cui “polemizzava”, come quando ci definì un “piccolo gruppo” che pubblicava “una rivistina”[1].
Per parte nostra, non ci limiteremo ad una replica sull’analisi della situazione cubana e sui conseguenti compiti per i marxisti ma cercheremo di risalire alle radici teoriche, il morenismo, della gravissima deviazione opportunista del Pdac e della Lit-Ci, che, nei fatti, si sono schierate dalla parte della coalizione “Arcipelago”, punta di lancia del fronte filo-imperialista che si batte per una completa restaurazione del capitalismo a Cuba.
Solo attraverso un’analisi approfondita, infatti, è possibile spiegare gli zig-zag e le “capriole” teoriche di una corrente capace, negli ultimi decenni, di liquidarsi politicamente all’interno del peronismo negli anni ’50, di equiparare Fidel Castro a Lenin e Trotsky negli anni ’60[2], di proporre un “fronte unico antimperialista” alla giunta militare argentina in occasione della guerra delle Malvinas/Falklands nel 1982, di criticare la validità della teoria della rivoluzione permanente di Trotsky prima negli anni ’60 e di nuovo negli anni ’80, di considerare “rivoluzioni democratiche” le contro-rivoluzioni che restaurarono il capitalismo in Urss e nei paesi dell’Est nel 1989-1991, di ritenersi “vicini all’ELS (Esercito Libero Siriano)”[3], milizia filo-imperialista e manovrata dalla Turchia di Erdōgan nella guerra civile siriana, di applaudire le bande fasciste di piazza Maidan in Ucraina come avanguardie della rivoluzione mondiale[4] o ancora di considerare come antimperialista il movimento talebano in Afghanistan[5].

Questioni di metodo e di ABC (del marxismo)
La strada per l’inferno, si sa, è lastricata di buone intenzioni. Così, malgrado l’impegno dichiarato a dibattere senza deformare le idee espresse dall’avversario, già alla prima lettura dell’articolo di Ricci si nota il suo impulso ad inserire nella polemica tutto l’armamentario di brevi e talora brevissime citazioni estrapolate dal loro contesto che da anni gli servono per produrre, ad intervalli quasi regolari, lo stesso articolo-collage sui nostri presunti vizi (castro-chavisti, entristi strategici e altre amenità).
In questa foga, le scorrettezze sono numerose. Prima di affrontare la questione cubana, toccheremo quelle principali. Diamo la parola a Ricci stesso:

“Scr e la Imt riprendono la vecchia concezione anti-marxista dei ‘governi condizionabili dalle masse’. Cioè, pur facendo opposizione ai governi borghesi “ordinari”, sostengono la possibilità che, sotto la pressione delle masse, i governi borghesi “di sinistra” (cioè composti da partiti riformisti o che in ogni caso loro considerano riformisti) possano evolvere in una direzione progressiva. Solo alla luce di questa teoria si spiega perché la sezione inglese della Imt si sia battuta fino a poco tempo fa per un governo del Labour Party (all’epoca diretto da Corbyn) “su un programma socialista”.

Grande è la confusione sotto il cielo! Qui, infatti, Ricci insinua che Sinistra Classe Rivoluzione (SCR) pensi che la pressione delle masse su un governo riformista possa produrre un’evoluzione verso il socialismo. L’unico argomento portato a suffragio della sua tesi è la parola d’ordine dei nostri compagni britannici del Socialist Appeal in occasione della campagna elettorale del 2018: “Labour to Power on a Socialist Programme”. Questa parola d’ordine, in un contesto oggettivo nel quale i rivoluzionari sono una piccola minoranza del movimento operaio, serve ad accompagnare l’esperienza politica della gran massa dei lavoratori ancora riformisti spiegando quello che il Partito Laburista dovrebbe fare, in caso di vittoria elettorale, per fare avanzare gli interessi dei lavoratori – ovvero, senza prendere alcuna responsabilità per la condotta effettiva dei capi riformisti, in questo caso Jeremy Corbyn. Questa parola d’ordine era parte del patrimonio tattico del movimento trotskista degli anni Trenta e della stessa Quarta Internazionale (QI) fondata nel 1938: fino al 1947, infatti, essa venne applicata alle specifiche situazioni concrete dalla gran parte delle principali sezioni della QI, particolarmente laddove si trovarono ad operare in presenza di forze socialdemocratiche o staliniste di massa (Gran Bretagna, Belgio, Francia, Italia, Austria, Germania, Grecia, ecc.)[6].
Ma Ricci finisce per polemizzare anche contro Lenin il quale, criticando nel 1920 la comunista inglese Sylvia Pankhurst, scrisse:

“[Al contrario], dal fatto che la maggioranza degli operai segue ancora i Kerenski e gli Scheidemann inglesi e non ha ancora fatto esperienza di un governo costituito da questa gente, esperienza che si è rivelata indispensabile in Russia e in Germania per il passaggio in massa degli operai al comunismo, da questo fatto risulta indubbiamente che i comunisti inglesi devono prendere parte all’attività parlamentare e dall’interno del parlamento devono aiutare le masse operaie a vedere nella pratica i risultati del governo Henderson e Snowden, da questo fatto risulta che i comunisti devono aiutare gli Henderson e gli Snowden [capi riformisti del Partito Laburista] a vincere i Lloyd George e i Churchill coalizzati.
Agire in modo diverso significa intralciare la causa della rivoluzione, perché senza un cambiamento delle opinioni della maggioranza della classe operaia la rivoluzione è impossibile, e questo cambiamento è un prodotto dell’esperienza politica delle masse, non è mai il risultato della sola propaganda”[7].

La correttezza della tattica seguita dalla nostra internazionale ha anche ricevuto, di recente, una conferma eclatante da parte di un agguerrito nemico di classe: il servizio segreto britannico. Alcuni dossier da poco desecretati del MI5, infatti, attestano che negli anni ’70 la crescita del Militant, antenato del Socialist Appeal, all’interno del Partito Laburista mise in allarme anche i servizi segreti di Sua Maestà, preoccupati della possibile connessione tra le idee rivoluzionarie del marxismo e la massa di lavoratori aderenti a quel partito (vedi https://www.marxist.com/how-mi5-came-to-see-militant-as-a-subversive-threat.htm). Le questioni di tattica rivoluzionaria, però, sembrano essere un libro chiuso per il gruppo dirigente del Pdac, che dovrebbe avere la coerenza di accusare di revisionismo Lenin e Trotsky. Ricci, al contrario, invece di fermarsi ed analizzare più approfonditamente le sue posizioni alla luce dei classici del marxismo, procede nella sua consueta requisitoria:

“Questa posizione revisionista sullo Stato si combina nella Imt-Scr con un rifiuto del partito d’avanguardia così come lo intendevano Marx e Lenin. Di questo tema ci siamo già occupati in un articolo di alcuni anni fa, a cui rimandiamo: ‘Le nostre differenze con Scr (e le differenze di Scr col marxismo)’.
Ci basti qui dire che la Imt e Scr hanno, su questo tema, una concezione che vede nei trotskisti un pungolo per l’evoluzione di presunti settori dirigenti progressivi dei partiti riformisti e i partiti  riformisti sono visti come le organizzazioni ‘naturali’ della classe. Di qui la norma di costruirsi con un entrismo permanente in essi (financo quando si sono già trasformati da decenni in organizzazioni puramente     liberali, come è il caso del Labour Party britannico, che ora li sta espellendo). Unica eccezioneammessa è quando (come in Italia) non vi sia nessun partito in cui fare entrismo, per cui si passa alla costruzione esterna in attesa che emerga un partito in cui fare entrismo (fino a qualche anno fa Scr attendeva la costruzione di un ‘partito del lavoro’ per mano… di Landini)”.

Anche in questo caso Ricci, troppo affezionato alla sua critica che va sotto l’inflazionata espressione di “entrismo permanente”, evita di fare i conti con la realtà. Ricci, infatti, ci accusa piuttosto calunniosamente di aver rifiutato la concezione del partito di avanguardia e, costruendosi una prova a favore, scrive che noi avremmo atteso passivamente la costruzione di un “‘partito del lavoro’ per mano… di Landini”. In questo caso, per fortuna, parlano i fatti. Che hanno la testa dura, come amava ricordare Lenin. Quali sono i fatti?
Nel 2006 i compagni si scissero dal Partito della rifondazione comunista (Prc) per dare vita al Pdac. Non è chiaro in base a quale criterio “di principio” nei circa 15 anni precedenti la partecipazione (anche a livelli dirigenti) a un partito riformista come il Prc fosse accettabile, mentre da allora in poi avrebbe costituito un “rifiuto del partito d’avanguardia”. Ad ogni modo, è cominciata lì la traiettoria del Pdac. Ma tra proclamarsi “partito” ed esserlo effettivamente corre una bella distanza.
Nei 15 anni trascorsi i compagni del Pdac hanno più volte polemizzato contro la nostra organizzazione su questo punto, accusandoci in sostanza di rinunciare al compito di costruire un partito rivoluzionario. Ma i fatti parlano da soli: in questi anni le forze raccolte inizialmente dal Pdac non hanno fatto che ridursi, anche a causa di una serie di scissioni e conflitti interni. Autoproclamarsi partito, o proclamare “fronti di lotta” dei quali la classe lavoratrice non si accorge minimamente, è solo una pratica autoreferenziale o autoconsolatoria, non è “leninismo”.
Quanto al lavoro condotto in questi anni dalla nostra organizzazione sul piano della diffusione delle idee marxiste, della costruzione fra i giovani, nei luoghi di lavoro, nel movimento sindacale, nei movimenti ambientalisti, delle donne e altri ancora, chiunque giudichi con obiettività non può non vedere che si situa, per quantità e qualità, al di sopra di quello svolto da qualsiasi altra organizzazione. E abbiamo l’impressione che non sia l’ultimo dei motivi per i quali il compagno Ricci sente periodicamente l’impulso di attaccarci con articoli come quello di cui trattiamo qui.
Prima di trattare nello specifico la nostra posizione su Cuba, e la critica alla Lit-Ci, ci tocca richiamare l’attenzione su nuove scorrettezze nel sistema “a collage” delle citazioni utilizzate da Ricci. Questi, infatti, scrive che un nostro articolo (Jorge Martin, “Cuba: l’ottavo congresso del Pcc e le sfide di fronte alla rivoluzione”, 15-6-2021) è “tutto un plauso di Raul Castro… E, in uno slancio dell’immaginazione, Raul Castro è paragonato al Lenin che durante il dibattito sulla Nep difese l’importanza del monopolio sul commercio estero”. Furbescamente, Ricci taglia le citazioni ad uso dei suoi lettori, al solo fine di poter sostanziare l’impressione che Scr e la International Marxist Tendency (IMT) sostengano la prospettiva di una riforma della burocrazia cubana. Un intero paragrafo dell’articolo di Jorge Martin è intitolato “Differenze con la NEP” ma, di questo, nel “taglia e cuci” di Ricci non c’è traccia. Ecco, in ogni caso, quello che abbiamo scritto:

“Il discorso di Raúl Castro all’VIII Congresso era chiaramente diretto contro quelli che volevano      passi avanti rapidi verso la restaurazione del capitalismo, cosa che non possiamo che applaudire. Tuttavia, il problema è che le riforme economiche finora applicate vanno proprio in quella direzione, anche se forse non così rapidamente come alcuni vorrebbero. Come abbiamo spiegato in precedenza, le         misure adottate sotto il nome di Processo di ordinamento vanno nella direzione di incrementare i meccanismi di mercato all’interno dell’economia cubana, applicandole alla valutazione dell’efficienza delle aziende del settore statale, dando priorità agli incentivi materiali e alla concorrenza tra le aziende, l’eliminazione del principio di universalità delle politiche sociali, ecc.[…]
In realtà, nonostante le parole usate da Raúl Castro nel suo rapporto, la rotta della politica economica cubana è chiara. Le misure approvate dieci anni fa, e soprattutto la svolta del Processo di ordinamento monetario, rappresentano un insieme di riforme che hanno una loro dinamica: il rafforzamento del mercato a spese della pianificazione e il rafforzamento dell’accumulazione privata a spese del settore statale. Questa dinamica è indipendente dalla volontà soggettiva di chi applica le riforme”[8].

Facciamo appello alle capacità dei nostri lettori per giudicare cosa resti delle calunnie diffuse dal Pdac.

Rivoluzione e contro-rivoluzione a Cuba

Il 14 novembre 2021, il titolo di una dichiarazione della Lit-Ci è stato: “Cuba. Pieno sostegno e solidarietà alla mobilitazione del 15N! Rifiuto di ogni tentativo di ingerenza imperialista!”. Nel corpo dell’articolo, si afferma che “La protesta indetta dal gruppo Arcipelago e da decine di attivisti che hanno partecipato all’11 luglio chiede essenzialmente la liberazione dei prigionieri politici e, in termini generali, la garanzia dei diritti democratici fondamentali nel Paese, come la libertà di espressione, di riunione, di organizzazione. Non è un’azione politica spontanea, come quella dell’11 luglio, ma il suo asse di rivendicazioni è progressivo”[9]. Per salvare le forme di una capitolazione davanti a forze filo-imperialiste, la Lit-Ci si affretta a dare consigli agli organizzatori delle proteste previste per il giorno seguente: “Da un lato, Arcipelago e i principali organizzatori della marcia hanno l’obbligo di salvaguardare la più stretta indipendenza politica dall’imperialismo, dai suoi agenti e, in questo senso, di promuovere l’autorganizzazione e la libera partecipazione democratica di ampi settori scontenti della classe operaia”[10].
Chi sono, dunque, i promotori di Arcipelago e che cosa vogliono? Il nostro compagno Jorge Martin ne ha fornito un’analisi eccellente:
“Il principale promotore della piattaforma Arcipelago è il drammaturgo Yunior García Aguilera, recentemente inserito nel “consiglio deliberativo” di Cuba Próxima, una delle numerose organizzazioni fautrici della restaurazione del capitalismo (“lo Stato di diritto”) a Cuba. Per dare un’idea della natura di questa accozzaglia, Esperanza Aguirre, politico reazionario spagnolo del Pp, macchiato da vari scandali di corruzione, fa parte del “comitato consultivo internazionale” di tale gruppo. Ma c’è di peggio. Tra le altre “punte di diamante” del “consiglio deliberativo” di Cuba Próxima c’è Orlando Gutiérrez-Boronat, leader del cosiddetto Direttorio democratico cubano e dell’Assemblea della resistenza cubana: due organizzazioni reazionarie in esilio a Miami che ricevono milioni di dollari da varie agenzie governative statunitensi (Ned, Usaid, Iri). Il 12 luglio di quest’anno, con i suoi ruggiti da Miami, Gutiérrez-Boronat ha invocato un’intervento militare a Cuba, che aveva già chiesto nel dicembre 2020”[11].
Per chi avesse ancora dubbi su un eventuale carattere “indefinito” di Arcipelago, richiamiamo il suo asse programmatico fondamentale:
“Onde fugare ogni dubbio, il programma di 50 misure annunciato dal Consiglio è abbastanza esplicito: ‘Lo scopo ultimo… dev’essere quello di trasformare Cuba in un’economia di mercato con il settore privato – le aziende a proprietà privata – come asse’, raggiungibile tramite un ‘processo di privatizzazione aperta e trasparente delle imprese, agenzie e proprietà di Stato, ivi comprese le terre fertili’. A questo pacchetto di misure restauratrici e monetariste aggiungono un ‘piano speciale di indennizzi per gli espropri del periodo rivoluzionario’, che permetterebbe ‘il miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti’ (leggasi “sottomissione servile”)”[12].
Avere offerto all’associazione “Arcipelago” il proprio “pieno appoggio”, per quanto a distanza, significa essersi posti nel campo della contro-rivoluzione, al di là di qualunque velleità soggettiva. Il dirigente di Arcipelago che la Lit-Ci descrive come “progressista” e a cui si rivolge, Yunior Garcìa, al suo arrivo in Spagna si è riunito con i rappresentanti del Pp e con il golpista venezuelano Leopoldo Lòpez.
Di fatto, questa posizione è una sorta di “campismo al contrario”, ossia una tendenza sistematica ad accodarsi a qualunque movimento si opponga a ciò che il Pdac definisce “castro-chavismo” – tenendosi aperta, in caso di trionfo della reazione, la possibilità di lavarsi la coscienza affermando di essere sempre stati  per l’indipendenza dalle interferenze borghesi e dell’imperialismo. Precisiamo, dal nostro punto di vista, che la lotta inconciliabile contro le fazioni apertamente filo-imperialiste dell’emigrazione cubana non può essere sufficiente:
“Oggi la rivoluzione è minacciata non solo dalla Cia o dalla borghesia cubana di Miami, ma anche da un pericolo più insidioso: quello di una restaurazione capitalista sul modello cinese o, per usare un termine comune a Cuba, sul modello vietnamita.
Negli ultimi mesi sono state annunciate nuove liberalizzazioni che permettono il lavoro privato inoltre 2000 professioni (in precedenza erano 127) con aziende che possono arrivare fino a 100 dipendenti. Oggi l’impresa privata occupa oltre 600mila persone, il 13% dei lavoratori cubani, il 40% dei quali è occupato nell’industria turistica e nel trasporto. Questa è la base materiale per l’aumento delle diseguaglianze sociali, un cancro che distrugge dall’interno l’economia pianificata e che oggi rappresenta la maggiore insidia per il futuro della rivoluzione”[13].
Per difendere le conquiste della rivoluzione, a nostro parere, gli elementi chiave sono la lotta per la democrazia operaia e per l’internazionalismo proletario. Siamo sicuri che questo asse strategico complessivo ci permetterà di entrare in dialogo con quei movimenti, come i “pañuelos rojos” (fazzoletti rossi), che, per quanto al momento minoritari ed eterogenei, esprimono le tendenze rivoluzionarie più feconde che stanno emergendo all’interno della gioventù comunista a Cuba (“Certamente è solo l’inizio, ma in alcuni interventi è emerso che ‘il modo migliore di combattere la controrivoluzione è la rivoluzione’. Slogan come ‘abbasso la corruzione, abbasso le diseguaglianze, abbasso il capitalismo, abbasso il machismo, abbasso l’omofobia’ dimostrano come questo settore cerchi un’uscita rivoluzionaria dalla crisi che attanaglia il paese”, ibidem).
A chiarire che non si tratta di rivendicare “più socialismo”, Jorge Martin ha scritto, dialogando col giovane comunista cubano Aybar, che “Noi diremmo che non si tratta tanto di ‘aggiungere il controllo dal basso’, né di concedere ‘più potere’, ma che la vera democrazia operaia si basa proprio sul principio della partecipazione democratica e vincolante della classe operaia nei processi decisionali, e nell’amministrazione di tutti gli affari correnti. Tutto il potere deve essere messo nelle mani della classe operaia”[14].
In conclusione, i compiti della nuova generazione di rivoluzionari a Cuba sono per noi sintetizzabili anche in questo modo:
“I dibattiti in corso tra i comunisti cubani necessitano di essere approfonditi. L’ora è grave. La Rivoluzione cubana è a un bivio decisivo. Per difenderla, è necessario aprire la discussione e riarmare ideologicamente l’avanguardia, in particolare i giovani. Dobbiamo rivendicare pieno accesso ai media statali per tutte le correnti di pensiero rivoluzionarie. Per combattere la controrivoluzione, è necessario combattere la burocrazia con ‘metodi conflittuali’ e ‘mobilitazioni pubbliche’. È ora di passare dalle parole ai fatti. Non c’è tempo da perdere”[15].
“Riforma della burocrazia”, “è tutto un elogio a Raul Castro” e tanto altro: cosa resta delle calunnie di Ricci? Al contrario, la posizione del Pdac e della Lit-Ci, fondata sul presupposto, errato, che il capitalismo sia stato restaurato a Cuba da alcuni decenni (notiamo, en passant, che Ricci quasi sorvola sulla questione economica), li ha portati direttamente nelle braccia della reazione filo-imperialista.

Alle origini del morenismo (1944-1960): Perón o non Perón?

Il sottotitolo di Palabra Obrera recita: “sotto la disciplina del generale Peron e del Consiglio superiore peronista.

L’inizio della traiettoria politica di Hugo Miguel Bressano (1924-1987), alias Nahuel Moreno, fondatore e leader della Lit-Ci (corrente internazionale alla quale aderisce il Pdac), risale ai primi anni Quaranta, quando da giovane studente aderì al Partido Obrero de la Revolución Socialista (Pors), considerato all’epoca dalla direzione della Quarta Internazionale come un tentativo di unificazione del trotskismo argentino. Moreno venne escluso dal Pors nel 1942, aderendo alla Liga Obrera Revolucionaria (Lor) di Liborio Justo, alias Quebracho, dalla quale sarebbe stato a sua volta espulso poche settimane dopo. Dopo la deflagrazione del Pors, dalla quale nacquero una decina di gruppi rivali, nel 1944 Moreno fondò il Grupo Obrero Marxista (Gom), che dal novembre del 1946 pubblicò il periodico Frente Proletario. In quel contesto, il dibattito a sinistra era concentrato sulla natura del nascente movimento peronista.
La Seconda Guerra mondiale era stato il punto di svolta che aveva creato le basi per il peronismo. Infatti, visto che gran parte dell’industria europea e nordamericana s’era convertita alla produzione bellica, l’Argentina ebbe la possibilità di rilanciare le proprie esportazioni, accumulando ingenti somme di valuta utili per finanziare piani di sviluppo. Da metà anni Trenta al 1943 gli operai occupati nell’industria passarono da 600mila a un milione. Per la prima volta nella storia nazionale la produzione industriale superò quella agricola.
Tale situazione obiettiva rilanciò l’idea che l’Argentina potesse avere uno sviluppo capitalista “indipendente”. Eppure, per ragioni differenti, nessuna forza politica tradizionale (né i conservatori, né l’Unión Civica Radical) coagulò un movimento di massa sulla base di quella strategia. Toccò dunque ai militari riuniti nel Grupo obra de unificación del ejercito (Gou) riempire il vuoto ed abbattere il governo del generale Castillo. Il golpe del 4 giugno del 1943 fu molto particolare, perché si proponeva di impedire che il potere politico rimanesse nelle mani dell’oligarchia argentina che voleva subordinare completamente il paese all’imperialismo. La borghesia nazionale di cui si faceva interprete anche il colonnello Domingo Perón, fino al 1945 responsabile della Segreteria de Trabajo y de Previsión (una sorta di ministro del lavoro), decise con quell’azione di forza di opporsi ai settori economici proni alla “colonizzazione” yankee. Il Gou aveva simpatie per i Paesi dell’Asse, anche se mantenne l’Argentina neutrale fino al 28 marzo 1945, quando aderì al fronte degli Alleati ormai vittorioso.
Tuttavia, formule, dichiarazioni e divise non bastano a caratterizzare un regime o un movimento politico. La politica di Perón, infatti, si basava su un coinvolgimento in funzione subalterna delle masse operaie nella gestione del capitalismo. Sulla base delle riforme sociali più importanti concesse in Argentina nel XX secolo (aumenti salariali, diritti pensionistici, ferie pagate, statuto del contadino ecc.), la popolarità di Perón tra gli operai, soprattutto le fasce proletarizzate più di recente, crebbe enormemente, assieme a quella dei membri della “sua” Segreteria de Trabajo y de Previsión immersi nella costruzione della Confederación General del Trabajo (CGT, sindacato che nel 1945 superò il mezzo milione di membri).
Trotskij, nel 1938, applicando in modo non schematico la teoria della rivoluzione permanente, aveva fornito una spiegazione scientifica di quei processi nei quali esponenti della borghesia, come Lazaro Cárdenas in Messico, provavano ad opporsi all’imperialismo:

“Nei paesi industrialmente arretrati il capitale straniero ha una funzione decisiva. Di qui la relativa debolezza della borghesia nazionale rispetto al proletariato nazionale. Ciò determina un potere statale di tipo particolare. Il governo si barcamena tra il capitale straniero e il capitale indigeno, tra la debole borghesia nazionale e il proletariato relativamente forte. Ciò conferisce al governo un carattere bonapartista sui generis, di tipo particolare. Si colloca, per così dire, al di sopra delle classi. In realtà,       può governare o divenendo strumento del capitale         straniero e tenendo incatenato il proletariato con una dittatura poliziesca o manovrando con il proletariato e giungendo persino a fargli delle concessioni, assicurandosi in tal modo la possibilità di una certa libertà nei confronti dei capitalisti stranieri. La politica attuale (di Cárdenas) rientra nella seconda categoria: le sue maggiori conquiste sono l’espropriazione delle ferrovie e delle industrie petrolifere. Queste misure si pongono direttamente sul   piano del capitalismo di Stato. Tuttavia, in un paese semicoloniale, il capitalismo di Stato si trova sotto la pesante pressione del capitale privato straniero e dei suoi governi, e non può reggere senza l’appoggio attivo dei lavoratori. Per questo, senza lasciarsi sfuggire di mano il potere reale, tenta di far ricadere sulle organizzazioni operaie una parte considerevole della responsabilità per l’andamento della produzione nei settori nazionalizzati dell’industria”[16].

Queste considerazioni, oltre che a Lazaro Cárdenas, si adattano a quei movimenti e regimi, comunemente chiamati populisti, che hanno attraversato l’America Latina: da Vargas in Brasile ad Arbenz in Guatemala, dall’Apra peruviana a Perón in Argentina. Il fatto che la borghesia nazionale non sia in grado di agire in maniera conseguente dal punto di vista rivoluzionario non significa, dunque, che, in determinate circostanze, essa non possa entrare in conflitto col capitale straniero e con l’imperialismo.
Da qui deriva la contraddizione permanente che avrebbe dato origine alla particolare dinamica del regime sorto nel ‘43. La polarizzazione in due campi della società, oltre a spaccare la classe dominante, divise anche le organizzazioni del proletariato. Il Partito Socialista (Ps) ed il Partito Comunista Argentino (Pca) erano parte integrante dell’opposizione conservatrice e liberale della Unión Democratica, diretta nei fatti da Braden, ambasciatore statunitense a Buenos Aires.
Nella miriade di gruppi formatisi dal fallimento del Pors, il Gom di Moreno era senza dubbio quello che si  tenne distante dall’ondata di lotte operaie che nel 1945-1947 fece emergere il peronismo come forza egemone tra la classe lavoratrice, allineandosi in effetti alla critica di quel movimento propria delle correnti borghesi “democratiche” asservite all’imperialismo. Secondo Moreno, si trattava di un “movimento fittizio incoraggiato e appoggiato da funzionari statali e polizieschi”[17]. La relazione complessa tra governo peronista e sindacati dei lavoratori veniva derubricata a qualche formula altisonante ma del tutto impressionista (“i sindacati ufficialisti sono fascisti o semifascisti”[18]).
Nello stesso momento, il Gom offriva consigli ai sindacati diretti dal Ps e dal Pca. In balia di un settarismo viscerale nei confronti delle mobilitazioni operaie dirette dal movimento peronista, il Gom le disertò, qualificando come un diversivo l’appoggio dell’imperialismo statunitense all’Unión Democratica. In quella situazione, certo complessa, un’organizzazione marxista avrebbe dovuto partecipare alle mobilitazioni del settore operaio del peronismo mantenendo una piena indipendenza di classe e delimitarsi con nettezza dall’Unión Democratica.
Quando la pressione imperialista portò all’arresto di Perón fu un’azione dei lavoratori, culminata nello sciopero generale convocato dalla Cgt il 17 ottobre 1945, a liberarlo. Quattro mesi dopo lo stesso Perón vinse le elezioni presidenziali.
Nel 1948 il Gom si trasformò nel Partido Obrero Revolucionario (Por) ma la sua posizione non mutò. Ancora nel 1949 Moreno definiva lo sciopero del 17 ottobre 1945 una “mobilitazione fabbricata dalla polizia, i militari e nient’altro”[19]. Tra il 1945 ed il 1953 la parola d’ordine del gruppo morenista fu quella di “fronte unico contro la CGT”! In generale, la neutralità di fronte alle ingerenze imperialiste nella vita politica del paese portò il Por ad accusare i partiti borghesi di non lottare fino in fondo contro il peronismo – in realtà, lo facevano ma senza bisogno dei consigli di Moreno – e a rimanere passivo di fronte al tentativo di golpe del settembre 1951, quando Frente Proletario titolò pilatescamente: “Contro il peronismo, il golpe, l’opposizione borghese”[20]. In realtà, il Por pendeva verso l’opposizione borghese liberale, come attestato dalla sua campagna a favore della restituzione ai vecchi proprietari del periodico filo-imperialista La Prensa, chiuso da Perón dopo che dalle sue colonne erano partiti inviti al rovesciamento del governo nel febbraio 1951. In quel caso, il Por amalgamò la rivendicazione democratica a favore dei giornali del movimento operaio – anche Frente Proletario e Voz Proletaria erano stati chiusi – con una lotta per la libertà di espressione della borghesia legata all’imperialismo nordamericano. Inoltre, continuava il sostegno elettorale del Por al Pca, definito senza imbarazzo come un partito il cui programma includeva “formulazioni principali [che] coincidono con quelle del Por”[21].
Per coprirsi alla sua sinistra, il colonnello Perón ottenne la collaborazione di un gruppo scissionista del Ps che, nel 1953, fondò il Partido Socialista de la Revolución Nacional (Psrn). L’anno seguente il Por, con una delle tipiche svolte di 180° di Moreno, confluì in questa articolazione di sinistra del peronismo. Retrospettivamente, Moreno si giustificò affermando che soltanto allora s’era reso conto della forza del piano statunitense di dominazione dell’Argentina, aggiungendo che il Pca – da lui stesso appoggiato elettoralmente – fu per anni “la cinghia di trasmissione nel movimento operaio di questi piani di colonizzazione”[22].
L’obiettivo divenne quello di costruire un “partito centrista di sinistra legale”[23]. Davanti al golpe del 1955, la federazione di Buenos Aires del Psrn, il cui giornale era La Verdad ed era diretta dall’ex Por, non si distinse per una proposta di mobilitazione operaia indipendente contro il golpe in marcia e si limitò a sostenere una soluzione istituzionale basata sull’elezione di un senatore peronista appartenente alla Cgt come vicepresidente del Senato, in caso di rinuncia di Perón[24].
Dopo il golpe del 1955, Moreno formò il Movimiento de agrupaciones obreras (Mao), pubblicando Unidad Socialista, antecedente di Palabra Obrera (1957) che concretizzò la svolta verso una liquidazione politica all’interno del peronismo (teorizzata da Milciades Peña sin dal 1956 sulle pagine di Estrategia). Palabra Obrera venne sottotitolata “organo del peronismo obrero revolucionario” ed in seguito “bajo la disciplina del Gral. Peron y del Consejo Superior Justicialista”. Non era una questione di pura forma: il numero di Palabra Obrera del 27 marzo 1958, per esempio, invitò a seguire l’ordine di Perón e votare il candidato borghese Arturo Frondizi alle presidenziali, polemizzando persino con quei gruppi della sinistra peronista contrari al tentativo di riconciliazione col regime e favorevoli alla scheda bianca. La direzione di Palabra Obrera cominciò a definire “il peronismo, in blocco, come rivoluzionario.(…) Con questo, si cadeva nella liquidazione di Palabra Obrera come organizzazione trotskista. Si smise di pubblicare il periodico come tale. […] Per alcuni mesi i militanti di Palabra Obrera andarono persino a distribuire il giornale borghese Democracia”[25].

Cadendo nel grottesco, nel 1958 Palabra Obrera pubblicò Los vendepatria di Perón, che attribuiva la caduta di quest’ultimo nel 1955 ad una trama del “comunismo internazionale”. Curiosamente, in quello stesso anno Palabra Obrera si felicitò per “la sconfitta del gorilla Fidel Castro nello sciopero generale a Cuba”[26]. L’anno seguente, rincarando la dose, giunse a scrivere che Castro era appoggiato dalle compagnie statunitensi in attrito con Batista, che veniva di conseguenza dipinto, con una certa fantasia, come un Perón cubano.

Non c’è da meravigliarsi se, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, Palabra Obrera registrò una pesante emorragia di quadri sindacali verso il peronismo ufficiale. Questa autentica “ubriacatura” filo-peronista avrebbe avuto un nuovo sviluppo in occasione del rientro di Perón in Argentina a inizio anni Settanta, quando la borghesia lo utilizzò per incanalare e reprimere l’ascesa rivoluzionaria della classe operaia innescata dalle lotte del 1969. Dal 1960 in poi, invece, l’impatto degli avvenimenti cubani indusse un’ennesima sbandata, questa volta in direzione di un filo-castrismo del tutto acritico.

Cuba e la deviazione “fochista”: Moreno contro Trotsky

La scarsa attenzione per la teoria marxista spinse Palabra Obrera ad accodarsi completamente al gruppo dirigente castrista che aveva guidato la rivoluzione cubana del 1959-1962. Ciò implicò anche un cedimento alle teorie, allora molto di moda in America Latina e oltre, sulla centralità della guerriglia contadina come strategia fondamentale della rivoluzione socialista. Nel 1962, il revisionismo di Moreno era già senza freni: “La vita ha messo in evidenza le lacune, le omissioni e gli errori del programma della Rivoluzione permanente’, innanzitutto poiché ‘non menziona la guerra di guerriglia e solo di sfuggita le parole d’ordine nel mondo agricolo”[27]. In pieno eclettismo, i riferimenti concreti di Moreno diventavano Fidel Castro e Mao Tse-tung:

Le rivoluzioni cubana e cinese iniziarono in circostanze che i marxisti classici definiscono oggettivamente sfavorevoli. Pur non essendoci grandi lotte sociali, un pugno di uomini comincia la lotta armata; questo gruppo, tuttavia, trasforma le condizioni rendendole favorevoli. Si deve ampliare il concetto classico di situazione oggettivamente rivoluzionaria: è sufficiente che ci sia una serie di condizioni sociali insopportabili e gruppi sociali disposti a combatterle appoggiandosi alle masse che le subiscono”[28].

Con formulazioni che riportavano il pensiero politico fin quasi alle impostazioni mazziniane di epoca risorgimentale sui “colpi di mano” di un manipolo di ribelli, Moreno favorì un’altra emorragia di militanti, questa volta in direzione del “fochismo” guerrigliero. Ángel Bengochea, dirigente di primo piano di Palabra Obrera, tornò da Cuba convinto della necessità di passare alla guerriglia; altri militanti argentini, guidati da Daniel Pereyra[29], appoggiarono il tentativo guerrigliero di Hugo Blanco in Perù.

 

Parallelamente, il sostegno acritico per Castro divenne una vera e propria adulazione:

La nostra ammirazione, rispetto, riconoscimento verso di loro come capi del processo rivoluzionario latinoamericano non ha limiti. Nel caso di Fidel Castro, non abbiamo dubbi nel considerarlo, assieme a Lenin e a Trotsky, uno dei più grandi geni rivoluzionari di questo secolo”[30].

L’anno seguente, in piena continuità con la linea fochista, iniziò il processo di fusione col Frente revolucionario indoamericano popular (Frip), gruppo di Tucumán guidato da Mario Roberto Santucho. Dalla fusione nacque il Partido Revolucionario de Trabajadores (Prt): fin dalla sua origine, in esso si manifestarono due posizioni politiche non conciliabili. Invece di chiarire le divergenze, Moreno e Santucho cercarono entrambi di utilizzare strumentalmente la fusione con l’altro settore, altro che partito di modello bolscevico! Dopo una parentesi durata un decennio, dal 1963 il gruppo di Moreno era rientrato nel Segretariato Unificato-Quarta Internazionale (Su-Qi) diretto da Ernest Mandel, Pierre Frank e Livio Maitan, anch’essi acritici davanti all’ascesa del castrismo e favorevoli al passaggio alla lotta armata in America Latina.

Il passaggio di ampi settori del Prt verso la scorciatoia disastrosa della guerriglia iniziò nel 1966-1967. Moreno si tirò indietro soltanto a inizio 1968 ma, per la Bolivia, continuò ad avanzare la parola d’ordine “Tutto il potere all’Eln (Ejercito de Liberación Nacional)!”[31]. Il IX congresso del Su-Qi appoggiò Santucho, dichiarando la frazione di Moreno (Prt-La Verdad) simpatizzante. Soltanto tre anni dopo, i morenisti ed il Swp statunitense costruirono una tendenza interna al Su-Qi sulla base dell’opposizione alla linea fochista, omettendo, beninteso, di avere condiviso tale linea almeno a partire dal 1963.

Il fronte unico…ma con la dittatura militare!

La critica, tardiva, al fochismo si combinò con una svolta di tipo elettoralista in Argentina. Il Prt-La Verdad, così, si fuse con uno spezzone della socialdemocrazia, il Ps di Juan Carlos Coral. Nelle elezioni presidenziali del 1973, i candidati alla presidenza del Psa (poi Partido Socialista de Trabajadores, Pst) non furono dirigenti operai emersi dal ciclo delle lotte apertosi col Cordobazo del 1969 ma grigi esponenti della socialdemocrazia come lo stesso Coral. Questa convergenza trascinò il morenismo a porsi come ala sinistra del campo peronista, quest’ultimo a sua volta in piena svolta a destra sotto la pressione della borghesia. Nel 1974, addirittura, Coral partecipò con altri sette partiti ad una riunione con Perón al termine della quale venne redatto un documento centrato sulla difesa delle istituzioni.

Incapace di cogliere la preparazione del golpe, il giornale del Pst, Avanzada Socialista, scrisse: “Ora la battaglia contro il governo, contro le sue varianti e contro le varie alternative padronali si va trasferendo sul terreno elettorale. Ci dobbiamo preparare attivamente per la battaglia su questo terreno”[32]. Persistendo oltremodo in questa prospettiva errata, il Pst cercò di mettere in circolazione una rivista legale, poco più di un mese dopo il golpe del marzo 1976, scrivendo che “in linea generale, sono stati rispettati i delegati operai. Alcuni arresti, però, alcuni licenziamenti, certe minacce e la presenza di un terrorismo di ultradestra – la cui attività sussiste senza stabilizzarsi – lasciano in piedi la possibilità di una persecuzione generalizzata contro l’attivismo operaio”[33]. La repressione della dittatura militare colpì con ferocia il movimento operaio. Anche il Pst subì una repressione terribile, con un centinaio di martiri ai quali anche noi rendiamo omaggio. Il Pst venne sciolto ufficialmente dalla dittatura ma la sua produzione teorica continuò sorprendentemente nell’adattamento alla nuova situazione:
Ancora oggi, e a ragione, i militari dicono che non volevano il golpe. Che furono costretti a farlo. (…) Il padronato e le Forze armate si opposero a López Rega. Ne diffidavano e non pensavano che i suoi metodi fossero i migliori per affrontare il movimento operaio. Comunque fu la classe operaia – inclusa la burocrazia sindacale – insieme ai settori popolari ad ottenere la semisconfitta del lopezreguismo”[34].

Palabra socialista

Ma la forma più organica di adattamento alla dittatura militare doveva ancora manifestarsi. Si sarebbe dovuto attendere il mese di aprile del 1982, quando la traballante giunta militare al governo in Argentina occupò militarmente le isole Malvinas/Falklands, precipitando un conflitto militare con la Gran Bretagna[35]. In quel contesto, come hanno richiamato i nostri compagni Michel Goulart Da Silva e Serge Goulart, Moreno “pensò che fosse giunta l’ora di un ‘Fronte Unico Antimperialista’ (FUA) con la dittatura di Galtieri contro il governo imperialista di Sua Maestà britannica. Sviluppando il suo pensiero schematico e pieno di formule scivolose, Moreno fu così soddisfatto di realizzare un FUA (che sarebbe dovuto terminare, ovviamente, con una rivoluzione diretta da lui stesso), da non rendersi conto che era stata la dittatura militare, con alle spalle suoi 30mila morti assassinati, ad attaccare l’impero britannico. Moreno non comprese che Galtieri manovrava col nazionalismo argentino per cercare di salvare quella dittatura che aveva distrutto sindacati, partiti e libertà democratiche.

Il PST pubblicò un manifesto che affermava: “Come socialisti, come antimperialisti e come argentini reiteriamo la nostra decisione di partecipare con tutte le nostre forze e con la massima energia  nella lotta che il popolo argentino deve sostenere per respingere la aggressione imperialista, qualunque sia il             governo e senza considerare i rischi che tale lotta implichi. Questa posizione si mantiene e si manterrá al di là delle differenze inconciliabili che la nostra corrente conserva col Governo Militare” (Partido Socialista de los Trabajadores, “El mandato de la hora: derrotar al invasor”, 1982)“[36].

L’iniziativa del Pst fu pienamente condivisa dalla Lit-Ci, fondata nel 1981. Ricardo Napurí, all’epoca senatore peruviano eletto nelle liste del Pomr e membro della frazione di Moreno a livello internazionale, ha recentemente ricordato quello che fu il suo impegno a favore del sostegno del Perù alla guerra della dittatura di Galtieri. Napurí, addirittura, promosse il viaggio di una delegazione internazionale in Argentina, dove fu ricevuto da esponenti del governo. Un’escursione aerea delle Malvinas/Falklands a bordo dell’aeronautica militare argentina fu resa impossibile soltanto dalla sconfitta militare della dittatura[37]

La “Escuela de cuadros” [1984]: una nuova revisione del trotskismo

Dopo la caduta della dittatura militare, con un’ennesima sbandata, Moreno ed il Pst, di nuovo nella legalità, acclamarono la transizione al governo civile come una “rivoluzione democratica trionfante”, aprendo esplicitamente ad una teoria della rivoluzione, di origine menscevica, divisa in due fasi separate e distinte[38]. La linea politica sprofondò nell’elettoralismo, base per una successiva crisi che frantumò il Movimiento al Socialismo (Mas), nuovo nome della corrente morenista, in decine di organizzazioni rivali. L’approccio revisionista ricevette una giustificazione teorica in un lungo intervento di Moreno nel corso di una scuola quadri del Pst tenutasi nel 1984.

Ad una teoria della rivoluzione socialista “a tappe”, Moreno aggiunse l’abbandono della prospettiva, centrale per i marxisti, del ruolo egemone della classe lavoratrice e della costruzione del partito rivoluzionario mondiale:
Dobbiamo teorizzare che non è obbligatorio che la classe operaia e che un partito marxista rivoluzionario con influenza di massa siano chi diriga il processo della rivoluzione democratica verso la rivoluzione socialista. Non è obbligatorio che sia così. Al contrario: si sono date, e non è escluso che continueranno a darsi, rivoluzioni democratiche che nel terreno economico si trasformano in socialiste. E cioè rivoluzioni che espropriano la borghesia senza tenere come asse essenziale la classe operaia o tenendola come partecipante importante, e non avendo partiti marxisti rivoluzionari alla testa, ma partiti piccolo-borghesi”[39].
Moreno aveva, a suo dire, rimesso all’ordine del giorno la rivoluzione democratica tanto nei paesi capitalisti avanzati quanto nei paesi coloniali o semi-coloniali dominati dall’imperialismo. Per chi non fosse stato d’accordo con questa teoria che riportava le lancette della storia al XIX secolo, Moreno era pronto a sfoderare l’accusa di “massimalismo”. Questo cambiamento strategico disponeva (e dispone) il morenismo ad accordi anche con le correnti borghesi che si fossero opposte ad un regime dittatoriale, abbandonando qualsiasi minima delimitazione di classe. Peraltro, Moreno esplicitava che “Come passo verso la rivoluzione socialista, siamo a favore di un regime borghese del tutto distinto dal regime controrivoluzionario”[40]. Con questa strategia, un gruppo marxista finirebbe per accodarsi alla borghesia liberale ed ai riformisti in ogni transizione post-dittatoriale nella quale la classe dominante cercasse di tornare ad esercitare il suo dominio attraverso forme democratico-borghesi.

Tale visione fu approfondita, in aperta polemica con Trotsky, nel 1986:

Ciò che Trotsky mancò di porre, anche se fece il parallelo tra stalinismo e fascismo, fu che anche nei paesi capitalisti era necessaria una rivoluzione di tipo politico: distruggere il fascismo per conquistare le libertà della democrazia borghese, anche se fosse sul terreno dei regimi politici della borghesia e dello stato borghese. Concretamente, non comprese la necessità di una rivoluzione democratica che liquidasse il regime totalitario fascista come parte o primo passo verso la rivoluzione socialista, e lasciò in sospeso questo grave problema teorico”[41].

In realtà, malgrado le proiezioni personali di Moreno, Trotsky non lasciò in sospeso alcunché. Più semplicemente, il rivoluzionario russo fornì una risposta diametralmente opposta a quella del dirigente argentino. Nella corrispondenza che Trotsky ebbe nel 1930 con Pietro Tresso, Alfonso Leonetti e Paolo Ravazzoli (membri dell’Ufficio Politico del Partito Comunista d’Italia appena espulsi dal partito per “trotskismo” e futuri dirigenti della Nuova Opposizione Italiana), riflettendo sulle prospettive politiche che si sarebbero aperte in Italia alla caduta del regime fascista, il fondatore dell’Armata rossa propose questa riflessione, anche di metodo, dopo aver premesso che la natura della rivoluzione a venire sarebbe stata operaia e socialista e non “popolare” e democratica:

Ciò vuol dire che l’Italia non può per un certo periodo di tempo tornare ad essere uno Stato parlamentare o diventare una “repubblica democratica”? Ritengo – in perfetto accordo con voi, penso – che questa eventualità non è esclusa. Ma allora essa non risulterà come un frutto d’una rivoluzione borghese,ma come un aborto di una rivoluzione proletaria insufficientemente matura o prematura. Nel corso di una crisi rivoluzionaria profonda e di combattimenti di massa nel corso dei quali l’avanguardia proletaria non fosse all’altezza di prendere il potere, accadrà che la borghesia ristabilisca il suo potere su “basi democratiche”. Si può dire, ad esempio, che l’attuale repubblica tedesca costituisca una conquista della rivoluzione borghese? Una tale affermazione sarebbe assurda. Ci fu in Germania nel 1918-19 una rivoluzione proletaria che, privata di direzione, fu ingannata, tradita e schiacciata. Ma la  controrivoluzione borghese si vide costretta ad adattarsi alle circostanze risultanti da questa sconfitta   della rivoluzione proletaria, e da ciò nacque una Repubblica parlamentare “democratica”. La stessa      eventualità – più o meno è esclusa per l’Italia? No, non è esclusa. […] Soltanto una nuova rivoluzione proletaria può rovesciare il fascismo. Se anche questa volta essa non fosse destinata a trionfare (debolezza del partito comunista, manovre e tradimento dei socialdemocratici, dei massoni e dei cattolici) lo Stato di transizione che la controrivoluzione si vedrà costretta a stabilire sulle rovine del suo potere sotto forma fascista, non potrà essere altro che uno Stato parlamentare e democratico”[42].

In queste potenti righe di Trotsky, è contenuta la chiave per comprendere, ancora oggi, come lottano le differenti classi sociali ed i loro partiti in occasione delle cosiddette, e numerose, transizioni “democratiche”. In Moreno il metodo di indagine abbracciato da Trotsky è capovolto: una “rivoluzione proletaria insufficientemente matura” diventa magicamente una “rivoluzione democratica trionfante”. E l’incomprensione dell’utilizzo borghese dei mezzi di dominio “democratici” non può che generare disastri politici.

Dopo Moreno: il mito della rivoluzione democratica e la confusione permanente (Siria, Ucraina, Venezuela, Afghanistan ecc.)

A teorie errate corrispondono necessariamente errori nell’azione politica. Questa legge ha funzionato anche nel caso del morenismo anche dopo la scomparsa di Moreno, che avvenne nel gennaio del 1987.
Così, davanti alle controrivoluzioni del 1989-1991 che aprivano la via alla restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica ed in Europa dell’Est, la Lit-Ci esaltò quei movimenti come “rivoluzioni democratiche” prive di un contenuto di classe. Senza paura di cadere nel grottesco, il governo filo-capitalista di Mazowiecki[43] in Polonia venne definito come “un governo operaio nel quadro di una dittatura del proletariato non burocratica”[44]. Si tratta di sciocchezze talmente evidenti che diventa persino difficile commentarle. Ancora oggi, però, la Lit-Ci rivendica quell’analisi, caratterizzando la disgregazione dell’Unione Sovietica come “un trionfo del trotskismo”[45] ed una vittoria di portata mondiale per i lavoratori.

La musica non cambia se si prendono in esame eventi di politica internazionale più vicini cronologicamente. La Lit-Ci, come nel caso delle mobilitazioni filo-imperialiste a Cuba, mostra una tendenza sistematica a confondere rivoluzione e contro-rivoluzione.
In Siria, per esempio, dopo che il movimento popolare di massa contro il regime di Assad fu schiacciato dalla guerra civile e dall’emergere del fondamentalismo islamico, la Lit-Ci ha continuato senza sosta a parlare di una rivoluzione in corso, cadendo in posizioni apertamente opportuniste nei confronti del settore dell’opposizione siriana guidato dall’Esercito Libero Siriano (Els), una forza reazionaria da alcuni anni particolarmente sotto influenza turca. Abbellendo scandalosamente i cosiddetti ribelli siriani, Daniel Sugasti, dirigente della Lit-Ci, ha riconosciuto che quelle milizie, considerate come progressiste dalla sua corrente, “sono composte fondamentalmente dall’Esercito Libero Siriano, dal Fronte Islamico, la principale forza insurrezionale sul campo con circa 45 mila soldati, e da un’estesa rete di comitati locali che in alcuni casi amministrano le città sottratte alla dittatura”[46]. La direzione dell’Els, al massimo, è criticata per una sua “incapacità” di portare la lotta contro Assad fino in fondo, mentre del Fronte Islamico di Aleppo s’è avuto l’ardire di scrivere che “a prescindere dal suo programma islamico ha come obiettivo la lotta contro la dittatura al fianco dei ribelli laici”[47]. Non guasta ricordare che il Fronte Islamico è un’organizzazione salafista, finanziata dall’Arabia Saudita che respinge esplicitamente ogni forma di “democrazia rappresentativa”, il cui obiettivo è stabilire un califfato. Interessanti alleati a cui dare sostegno dal punto di vista della “rivoluzione democratica”.

Concretamente, la Lit-Ci ha proposto nientemeno che “una campagna di solidarietà incondizionata, di totale sostegno alla vittoria militare delle masse popolari siriane e delle milizie ribelli dell’ELS, del Fronte Islamico, dei comitati locali, dei consigli locali e di un ampio ventaglio di settori, laici e non”[48], paragonando la Siria di metà anni Dieci con la Spagna rivoluzionaria del 1936-1937[49]…
Passando al quadrante europeo, con una cecità sorprendente davanti all’analisi di dinamiche di massa, nel 2014 la Lit-Ci ha qualificato come “rivoluzionario” il movimento ucraino di piazza Maidan, in realtà filo-UE e segnato da una rilevante componente neo-nazista, arrivando a decantare una situazione che sarebbe stata segnata “da un ‘dualismo di poteri’ tra quello esercitato dall’autoproclamato ‘nuovo governo’ e il potere di piazza Maidan, con le sue commissioni e le sue milizie, indipendentemente dal fatto che in queste agiscano settori di estrema destra, i quali possono aver svolto un ruolo di “avanguardia” negli scontri con la polizia ma continuano ad essere solamente una parte di un movimento popolare molto più ampio”[50].

Ancora di recente, la sezione russa della Lit-Ci ha mescolato analiticamente movimenti dalla natura molto differente, scrivendo che “La rivoluzione ucraina fu il culmine della grande ascesa e della polarizzazione sociale vigente nel Vecchio Continente, che ebbe inizio con la ‘Generazione Difficile’ portoghese e gli ‘Indignados’ spagnoli e che prosegue, nel momento in cui scriviamo questo articolo, con la lotta dei ‘gilet gialli’ in Francia”[51].
Non possono, quindi, destare più molta sorpresa i ripetuti appelli della Lit-Ci a partecipare in Venezuela – naturalmente, col proprio programma! – alle mobilitazioni convocate dalla destra contro il regime di Maduro, come nel 2017 in occasione delle proteste lanciate dalla Mesa por la Unión Democratica (Mud) o nel 2019 agli albori del tentativo di golpe filo-imperialista di Guaidó[52].

Ci sia permessa, infine, un’ultima nota. L’impressionismo senza limiti della Lit-Ci ha “colpito” anche in occasione del ritiro dell’imperialismo statunitense dall’Afghanistan nell’agosto 2021. Precisiamo che, come International Marxist Tendency (IMT), ci siamo opposti sin dal primo giorno all’occupazione imperialista dell’Afghanistan. Questo, però, non ci ha mai indotti ad emettere una patente di anti-imperialismo nei confronti dei Talebani, uno dei movimenti più reazionari esistenti al mondo, fondato e alimentato negli anni Novanta sotto la protezione – ed il finanziamento – del’ISI, i potenti servizi segreti dell’esercito pakistano. Non è così per la Lit-Ci, che accredita ai Talebani una funzione almeno parzialmente progressiva[53].

La storia del morenismo è una storia di zig-zag, di svolte e controsvolte a 180° gradi. Moreno aveva una certa capacità oratoria e carisma ma il suo limite principale era una notevole dose di impressionismo e una tendenza all’improvvisazione con gli inevitabili errori politici ai quali tale metodo conduce. Non si trattava di semplici errori tattici, che sono possibili in qualsiasi organizzazione rivoluzionaria, ma di principio, talvolta macroscopici. Nel 1970 il marxista britannico Ted Grant, fondatore della nostra internazionale, criticando l’opportunismo del Segretariato Unificato della Quarta Internazionale (SU-QI) nei confronti dei regimi stalinisti cinese e jugoslavo, caratterizzò in questo modo i dirigenti di quella corrente:

In questa maniera rafforzarono gli errori del loro atteggiamento precedente, violando alcune idee fondamentali del marxismo, questa volta al polo opposto. Ripeterono questo processo come prima di loro gli stalinisti: a ogni grande svolta degli avvenimenti facevano zig-zag da una posizione a un’altra, senza mai usare il metodo marxista di analizzare gli avvenimenti dal punto di vista originario e di correggere gli errori, per raggiungere su queste basi un livello di pensiero superiore. Ogni cambiamento di linea, ogni svolta tattica, cadeva bruscamente come una nuova rivelazione dall’alto, da somministrare ai fedeli in risonanti discorsi e documenti. Fu questa, tra gli altri fattori, una delle cause principali dell’incapacità totale di orientarsi correttamente nell’evoluzione degli avvenimenti. L’onestà di intenti può essere raggiunta solo da coloro che hanno fiducia in se stessi, nelle proprie idee e nella propria autorità politica. Solo con questi mezzi si possono temprare ed educare i quadri del movimento rivoluzionario per il grande compito che incombe all’umanità”[54].

Questa righe descrivono anche la traiettoria dei gruppi diretti da Moreno: un viaggio perpetuo dall’opportunismo all’estremismo e dall’estremismo all’opportunismo, che ha condannato le organizzazioni moreniste in più di un’occasione a passare dal campo della rivoluzione a quello della controrivoluzione. Come dimostrano le recenti posizioni assunte dalla Lit in Siria, Ucraina, Afghanistan e Cuba. È questa, in ultima analisi, la scuola di Moreno. Chi è passato per quella scuola oggi pretende di impartirci lezioni di marxismo rivoluzionario. Liberi di farlo, ci mancherebbe altro, e i compagni del Pdac non sono certo gli unici a cimentarsi in questo esercizio.

Solitamente non rispondiamo a questo tipo di polemiche pubbliche. Ma in questo caso abbiamo deciso di fare una eccezione. La ragione è presto detta. Siamo giunti alla conclusione che la polemica recente che i compagni del Pdac ci hanno rivolto sia il frutto di una frustrazione e di un disorientamento dettato dalla crisi della loro Internazionale (con la grave e pesante scissione della sezione brasiliana) e da un clima di autocritica che si è generato nel Congresso mondiale della Lit del 2018.
I compagni, nei loro bollettini, parlano di basso livello politico dei quadri, scarsa collegialità nella direzione delle sezioni nazionali e internazionale, opportunismo manifesto di alcuni dei loro dirigenti sul piano elettorale e sindacale e ci pare che questa disamina si ponga l’obiettivo di trovare una possibile via d’uscita. Seguiamo questo loro dibattito con rispetto, ma proprio per questo abbiamo deciso di intervenire e manifestare il nostro punto di vista, che può essere più o meno ascoltato ma che è ispirato da motivazioni sincere.

Il nostro punto di vista è che il movimento morenista, pur provenendo dalla tradizione trotskista, non ha saputo resistere alle pressioni a cui i rivoluzionari sono stati sottoposti nel dopoguerra e non ha offerto né un argine né una valida alternativa alla degenerazione della Quarta Internazionale. Basta esaminare i congressi mondiali della Quarta ed il ruolo ondivago svolto da Moreno per comprenderlo. Se c’è una caratteristica principale nel morenismo è proprio quella della navigazione a vista elevata a sistema.

In conclusione, è difficile pensare che da questa eredità politica si possa pretendere di gettare le basi teoriche, programmatiche, strategiche e tattiche per la costruzione di quell’internazionale marxista e rivoluzionaria che è più urgente che mai per salvare l’umanità dalla crisi del capitalismo. In realtà, lo stesso morenismo non possiede una base teorica stabile ma è il risultato di una serie di adattamenti e cedimenti al quadro politico dato, amplificati da ciò che si rendeva di volta in volta necessario per giustificare teoricamente le manovre politiche di Moreno. Per i militanti in buona fede del Pdac, il nostro invito è quello di impegnarsi in un serio riesame delle basi teorico-politiche e delle tradizioni della propria organizzazione, unico rimedio efficace per trovare una strada per separarsi dal vicolo cieco nel quale è irreversibilmente infilato il loro movimento da più di mezzo secolo.
Note

[1]  Vedi F. Ricci, “Polo di classe o fronte unico con D’Alema? Proposta congressuale alternativa chiara e unitaria rivolta a migliaia di compagni e compagne del Prc o unità pasticciata con FalceMartello?”, 15-10-2004, pubblicato su progettocomunista.it.
[2]  Vedi N. Moreno, “Dos metodos frente a la revolución latinoamericana”, Estrategia, nuova serie, 1964.
[3]  N. Lavalle, “Parla un dirigente della guerriglia siriana”, 5-3-2014, tradotto da Avanzada Socialista (dicembre 2013), periodico della sezione argentina della Lit-Ci.
[4]  “Il processo rivoluzionario in Ucraina è diventato uno dei più avanzati a livello mondiale”, in R. Leon, “Ucraina: un’analisi di classe e internazionalista dei fatti contro le false letture della stampa borghese e di gran parte della sinistra”, 5-3-2014.
[5]  Segretariato Internazionale (Lit-Ci), “Afghanistan: il compimento della sconfitta dell’imperialismo”, 20-8-2021.
[6] Il Socialist Workers Party (SWP), sezione statunitense della Q I, rimase tiepido di fronte  all’ uso di questa parola d’ordine ma, all’epoca, non ne fornì alcuna critica teorica. Il primo gruppo significativo a rompere con quella formulazione tattica fu la sezione francese, il Parti Communiste Internationaliste (PCI), quando, dopo il suo IV congresso del novembre 1947, la frazione di sinistra guidata da Pierre Frank conquistò di un soffio la maggioranza dell’organizzazione. Da quel momento, convinto erroneamente che gli scioperi operai di quell’autunno indicassero uno scavalcamento operaio dello stalinismo, il PCI utilizzò la formula del “governo operaio e contadino” al modo di un sinonimo di dittatura del proletariato. Già in occasione della Conferenza internazionale del 1946, il Revolutionary Communist Party (RCP) britannico di Ted Grant e Jock Haston aveva ammonito sui rischi di sottovalutare il ruolo del riformismo, soprattutto stalinista, tra gli operai, si veda RCP, “Sur la construction du parti et nos tâches”, in R. Prager (ed.), Les congrès de la Quatrième Internationale, vol. II, La Brèche, Paris 1981, pp. 452-453.
[7] V. I. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, AC Editoriale, Milano 2003, pp. 103-104.
[8] J. Martin, “Cuba: l’ottavo congresso del Pcc e le sfide di fronte alla rivoluzione”, 15-6-2021.
[9] Dichiarazione della Lit-Ci, “Cuba. Pieno sostegno e solidarietà alla mobilitazione del 15N! Rifiuto di ogni tentativo di ingerenza imperialista!”, 14-11-2021.
[10] Ibidem.
[11]         J. Martin, “Cuba e la provocazione reazionaria del 15 novembre: come difendere la rivoluzione?”, 15-11-2021, (vedi https://www.rivoluzione.red/cuba-e-la-provocazione-reazionaria-del-15-novembre-come-difendere-la-rivoluzione/).
[12] Ibidem.
[13] J. Renda, “Cuba. Come difendere la rivoluzione?”, Rivoluzione, n° 83, 10-12-2021, p. 6.
[14] J. Martin, “Cuba e la provocazione reazionaria del 15 novembre: come difendere la rivoluzione?”, 15-11-2021 (https://www.marxist.com/cuba-e-la-provocazione-reazionaria-del-15-novembre-come-difendere-la-rivoluzione.htm).
[15] Ibidem.
[16] L. Trotsky, “Industria nazionalizzata e gestione operaia”, in I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali 1924-1940, Einaudi, Torino 1970, p. 585, anche in L. Trotsky, Œuvres, vol. XVIII, Juin 1938/Septembre 1938, Institut Léon Trotsky, Grenoble 1984, p. 118.
[17] Frente Proletario, n° 7, agosto 1947.
[18] Ibidem.
[19] N. Moreno,  “Movilización antimperialista o movilización clasista”, Revolución Permanente, n° 1, 21 luglio 1949.
[20] Frente Proletario, n° 66, 8-10-1951.
[21] Frente Proletario, n° 67, 15-10-1951.
[22] N. Moreno, 1954, año clave del peronismo, Ediciones Elevé, Buenos Aires 1971, p. 35.
[23] N. Moreno, El golpe gorilla de 1955, Ediciones El Socialista, Buenos Aires 2012, p. 65.
[24] In quell’occasione, il segretario generale della Cgt offrì a Perón il sostegno militare dei propri iscritti. Si paventava la formazione di milizie operaie ma Perón rifiutò di armare il proletariato. Nel settembre del 1955 il golpe della reazione si affermò senza colpo ferire e il generale argentino preferì dimettersi volontariamente e ritirarsi in un esilio dorato.
[25] E. Gonzaléz, El trotskismo obrero e internacionalista en la Argentina, Antídoto, Buenos Aires 1996, tomo 2, p. 279.
[26] Palabra Obrera, 17-4-1958.
[27] N. Moreno, La revolución latinoamericana, Ed. Chaupimayo, Lima 1962, p. 53.
[28] Ibidem.
[29] Poco incline ad accordare parole e atti, un mese dopo l’arresto dei suoi militanti, Moreno dichiarò al giornale La Prensa di Lima: “Pereyra è un matto e un avventuriero. […] Fu Pereyra a coordinare l’assalto e i piani rivoluzionari” (La Prensa, 29-5-1962).
[30] N. Moreno, “Dos metodos frente a la revolución latinoamericana”, Estrategia, nuova serie, 1964.
[31] Vedi Estrategia, n° 7, settembre 1968.
[32] Avanzada Socialista, n° 245, 5-12-1975.
[33] Cambio, n° 1, 1/15-5-1976.
[34] Boletín mensuel, PST, gennaio 1977, p. 1, riprodotto in Francia.
[35] Le Malvinas/Falklands sono un arcipelago nell’Oceano Atlantico meridionale composto di 778 isole. L’arcipelago fu occupato da britannici, spagnoli e francesi in diversi periodi. Nel 1832 i britannici tornarono ad occuparlo, integrandolo nel Regno Unito e favorendo una colonizzazione da parte di una popolazione prevalentemente scozzese e gallese. I governi argentini, sin da Juan Manuel de Rosas, rivendicarono il ritorno dell’arcipelago all’Argentina. Per più di un secolo, la Falkland Islands Company (FIC) dominó la vita economica di quelle isole, sviluppando l’allevamento ovino e la produzione di lana, venduta alla Gran Bretagna.
[36] Michel Goulart Da Silva, Serge Goulart, “Nahuel Moreno, revisionismo y adaptación en la guerra de las Malvinas”, 5-5-2021 (vedi https://argentinamilitante.org/nahuel-moreno-revisionismo-y-adaptacion-en-la-guerra-de-las-malvinas/).
[37] Lo ricorda Napurí stesso: “Fui recibido por el vicecanciller argentino ya que Costa Méndez no estaba en ese momento. Como yo era ex aviador y periodista, me propusieron viajar a las Malvinas, pero como la guerra tomó un rumbo negativo, no pude concretarlo” (vedi http://pabloraulfernandez.blogspot.com/2012/04/entrevista-ricardo-napuri-30-anos-de-la.html).
[38] Vedi Argentina: revolución democrática triunfante, documento interno del PST del 1984, ripubblicato in forma cartacea nel 1992 presso le Ediciones Crux di Buenos Aires.
[39] Escuela de cuadros, 1984, op. cit..
[40] Escuela de cuadros, 1984, documento interno del PST, ripubblicato nel 1992 presso le Ediciones Crux di Buenos Aires, p. 108.
[41] N. Moreno, Revoluciones del Siglo XX, Cuaderno de Formación n° 3, Editorial Antídoto, Buenos Aires, 1986, p. 53.
[42] L. Trotsky a “Chers camarades”, 14-5-1930, in L. Trotsky, Scritti sull’Italia, controcorrente, II edizione rivista e ampliata, Roma 1990, pp. 187 e 188.
[43] Tadeusz Mazowiecki (1927-2013), intellettuale cattolico e liberale, fu primo ministro della Polonia tra l’agosto del 1989 ed il gennaio 1991, guidando la prima fase della restaurazione capitalista in tandem con Lech Wałęsa, presidente della Polonia nel 1990-1995.
[44] Vedi Correo Internacional, n° 44, gennaio 1990.
[45] Martín Hernández, Correo Internacional, n° 17, maggio 2017, pp. 44-47.
[46] Daniel Sugasti, “Siria: la rivoluzione continua”, 14-9-2014, tradotto dal sito della Lit-Ci.
[47] Ibidem.
[48] Ibidem.
[49] Vedi Lit-Ci, “Una nuova fase della rivoluzione pone la necessità della solidarietà internazionale”, 5-10-2013.
[50] R. Leon, “Ucraina: un’analisi di classe e internazionalista dei fatti. Contro le false letture della stampa borghese e di gran parte della sinistra”, 5-3-2014.
[51] Sezione russa della LIT-CI, “Cinque anni della rivoluzione ucraina: sottovalutata, fraintesa e diffamata”, 19-12-2018.
[52] Vedi “In questo quadro manifestiamo che la nostra posizione politica è partecipare alle mobilitazioni contro Maduro, ponendoci categoricamente per il ‘Fuori Maduro!’ e contro l’intervento imperialista”, in Dichiarazione della LIT-CI, “Fuori l’imperialismo dal Venezuela! Fuori Maduro! Né Maduro, né Guaidò!”, 15-2-2019.
[53] “Questa organizzazione divenne la direzione politico-militare della resistenza nazionale all’imperialismo ed è stata poi l’artefice della sconfitta imperialista. Ci fu una lotta molto progressiva delle masse afgane e per questo la sostenemmo. Tuttavia, non possiamo ignorare due aspetti. Da un lato, il carattere borghese dei talebani fa sì che sia impossibile che portino avanti fino alla fine la lotta contro l’imperialismo”, in Segretariato Internazionale della LIT-CI, “Afghanistan: il compimento della sconfitta dell’imperialismo”, 20-8-2021.
[54] T. Grant, Il programma dell’Internazionale, maggio 1970, in T. Grant, Il lungo filo rosso. Scritti scelti 1942-2002, AC Editoriale, Milano 2007, p. 517.

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