La rivoluzione in Germania del 1918
9 Novembre 2018
16 novembre, No Salvini day – Ribellarsi è giusto! (il nostro volantino)
12 Novembre 2018
La rivoluzione in Germania del 1918
9 Novembre 2018
16 novembre, No Salvini day – Ribellarsi è giusto! (il nostro volantino)
12 Novembre 2018
Mostra tutto

Marxismo versus politiche identitarie

Questo documento è stato approvato all’unanimità dal Congresso Mondiale della Tendenza Marxista Internazionale (TMI) alla fine di luglio 2018, con il titolo originale Teoria marxista e La lotta contro le idee estranee alla classe, dopo un’approfondita discussione a tutti i livelli della TMI nel corso dell’ultimo anno. Il suo scopo è di tracciare una linea di demarcazione tra il marxismo e una serie di idee idealiste e postmoderniste estranee alla classe, che influenzano da tempo un settore di attivisti nei circoli accademici e che sono anche utilizzate in modo reazionario all’interno del movimento operaio a livello internazionale.
Questo documento è un invito a intensificare la lotta teorica e politica contro queste idee e metodi.

 

La crisi del capitalismo ha esposto molte correnti radicate di opposizione alla società esistente, ai suoi valori, alla sua moralità e alle sue ingiustizie e oppressione intollerabili. La contraddizione centrale nella società rimane l’antagonismo tra lavoro salariato e capitale. Tuttavia, l’oppressione assume molte forme diverse, alcune delle quali considerevolmente più antiche e più radicate della schiavitù salariale.

Tra le forme di oppressione più universali e dolorose c’è l’oppressione delle donne in un mondo dominato dagli uomini. La ribellione delle donne contro questa oppressione mostruosa è di fondamentale importanza nella lotta per la rivoluzione socialista, che non può essere realizzata senza la piena partecipazione delle donne alla lotta contro il capitalismo.

Per secoli la stabilità della società divisa in classi ha costruito un solido punto di appoggio nella famiglia: vale a dire, sull’asservimento delle donne agli uomini. Questa forma di schiavitù è molto più antica del capitalismo, come spiegò Engels, l’emergere della famiglia patriarcale rappresenta la “sconfitta sul piano storico universale del sesso femminile. L’uomo prese nelle mani anche il timone della casa, la donna fu avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e semplice strumento per produrre figli“.

Questa dominazione maschile e la posizione sottomessa delle donne nella società e nella famiglia vengono ora messe in discussione, assieme a tutte le altre istituzioni barbare che abbiamo ereditato dal passato. Perché le donne dovrebbero continuare a tollerare la posizione di cittadine di serie b? La messa in discussione del ruolo delle donne nella società e nella famiglia ha serie implicazioni rivoluzionarie e può portare alla messa in discussione da un punto di vista rivoluzionario della stessa società capitalista.

La degenerazione senile del capitalismo conduce a un grave deterioramento delle condizioni di tutti i lavoratori. Ma impone condizioni particolarmente dure a donne e giovani. A molti viene negato l’accesso a un lavoro e a un alloggio adeguati. I genitori single e i loro figli sono condannati alla povertà e a infinite difficoltà. Per molti, persino avere un tetto sopra la testa diventa difficile o addirittura impossibile. Sul posto di lavoro, le donne subiscono disparità salariali e ogni sorta di molestie e abusi. La situazione è diventata assolutamente intollerabile.

È possibile giudicare il livello di civiltà di una data cultura da come vendono trattati donne, bambini e anziani. Da questo punto di vista il capitalismo moderno è molto meno civilizzato, più inumano e crudele delle precedenti forme di società umana. Il livello di alienazione e degradazione degli esseri umani, l’indifferenza verso la sofferenza umana e l’egoismo osceno hanno raggiunto livelli sconosciuti nella storia.

La degenerazione della società capitalista si rivela nella sua forma più cruda nell’epidemia di violenza contro le donne. In India, Pakistan, Argentina, Messico e altri paesi, ciò si è espresso in un numero di rapimenti, stupri e omicidi senza precedenti. Ma nelle società che amano descriversi come civilizzate, orrori simili vengono perpetrati contro donne e bambini. Questi sono i sintomi rivoltanti della malattia di una società che è putrefatta e da rovesciare.

Un sentimento crescente di alienazione, ingiustizia e oppressione sta alimentando un movimento generale di ribellione tra le donne contro lo stato attuale delle cose. Il risveglio di milioni di donne, in particolare delle giovani generazioni che esprimono una indignazione urgente per la discriminazione, l’oppressione e l’umiliazione a cui sono sottoposte sotto un sistema ingiusto, è un fenomeno profondamente progressivo e rivoluzionario che dovremmo valorizzare e sostenere con il massimo entusiasmo.

È inutile dire che i marxisti sono al cento per cento a favore della completa emancipazione delle donne. Non ci può essere la minima esitazione, ambiguità o dubbio su ciò. Dobbiamo lottare contro l’oppressione delle donne a tutti i livelli, non solo a parole ma nei fatti. In nessuna circostanza possiamo fornire l’impressione che questo sia in qualche modo un problema secondario che può essere incluso nella categoria generale della lotta di classe. Sarebbe fatale per la causa del marxismo se le donne credessero che i marxisti sono pronti a rimandare la lotta per i loro diritti al periodo successivo alla vittoria del socialismo. Ciò è completamente falso e una caricatura maligna del marxismo rivoluzionario.

Mentre è vero che la completa emancipazione delle donne (e degli uomini) può essere raggiunta solo in una società senza classi, è altrettanto vero che una tale società può essere realizzata solo attraverso il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo. Non ci si può aspettare che le donne mettano da parte le loro rivendicazioni immediate e urgenti e attendano l’avvento del socialismo. La vittoria della rivoluzione socialista è impensabile senza la lotta quotidiana per il progresso sotto il capitalismo.

I marxisti devono lottare anche per le più piccole riforme che possano servire a migliorare il tenore di vita dei lavoratori sotto il capitalismo per due ragioni. In primo luogo, ci battiamo per difendere i lavoratori dallo sfruttamento, per difendere il tenore di vita, i diritti democratici e le condizioni più elementari di un’esistenza civilizzata, per difendere la cultura e la civiltà dalla barbarie. In secondo luogo, e soprattutto, è solo attraverso l’esperienza della lotta quotidiana che la classe può acquisire un senso del proprio potere, sviluppare la propria forza organizzata e elevare la propria coscienza collettiva al livello richiesto dalla storia.

Rivendicare, come fanno i settari e i dogmatici, che i lavoratori mettano da parte le loro rivendicazioni quotidiane “nell’interesse della rivoluzione” è raggiungere l’apice della stupidità. Ci condannerebbe all’impotenza e all’isolamento totali. Su quella strada la rivoluzione socialista rimarrebbe per sempre un miraggio impossibile. Allo stesso modo, la lotta per il miglioramento della condizione della donna, contro lo sciovinismo maschile reazionario, per riforme progressive e per la completa uguaglianza nel campo sociale, politico ed economico, è un dovere fondamentale di tutti i veri marxisti rivoluzionari.

L’8 marzo 2018 abbiamo visto un’indicazione grafica del potenziale rivoluzionario colossale del movimento delle donne in Spagna, quando 5,3 milioni di persone (donne e uomini) hanno risposto alla convocazione dello sciopero. Centinaia di migliaia di persone hanno partecipato a manifestazioni in tutta la Spagna. Questa mobilitazione magnifica si è svolta sotto le insegne del femminismo, sebbene riflettesse anche un ambiente enorme di malcontento che si è sviluppato nella società spagnola su una vasta gamma di questioni, come ad esempio i pensionati che hanno organizzato anche loro manifestazioni di massa in questo periodo.

Le questioni centrali, tuttavia, erano specificamente legate all’oppressione delle donne: le disparità salariali, la violenza e le molestie nei confronti delle donne in famiglia, al lavoro, nell’istruzione, il peso delle faccende domestiche, ecc. Questo è stato esemplificato dal caso mostruoso dello stupro di gruppo a Pamplona, e la scandalosa condotta dei giudici di destra, una chiara prova del marciume e del carattere reazionario dell’intero stato spagnolo, della polizia e della magistratura, tutti ereditati direttamente dalla dittatura di Franco come risultato del tradimento della cosiddetta Transizione Democratica.

È una verità elementare del marxismo che in ogni movimento di massa è necessario distinguere attentamente tra elementi reazionari e progressisti. Che ci fosse un elemento tremendamente progressista in questo movimento straordinario è fuori questione. Non solo l’abbiamo sostenuto, ma lo abbiamo fatto con energia ed entusiasmo.

Ma sarebbe del tutto scorretto e unilaterale solo sottolineare questo aspetto del movimento e ignorare l’altro. Qual è stato il ruolo dei leader di questo movimento? Hanno proposto che ci sarebbero state picchetti di sole donne e spezzoni di sole donne al corteo, dove volevano ammettere la presenza solo di bandiere viola. Lo sciopero doveva essere fatto solo da donne, con gli uomini che dovevano sostituirle al lavoro – vale a dire che si sarebbero dovuti comportare da crumiri!

Ciò avrebbe seriamente limitato la portata del movimento l’8 marzo e reso assolutamente impossibile uno sciopero generale. Ciò sarebbe stato completamente contrario agli interessi del movimento e rifletteva chiaramente la visione ristretta e le politiche reazionarie e divisive delle femministe borghesi e piccolo borghesi.

I nostri compagni spagnoli sono intervenuti energicamente in questo movimento di massa e sono stati accolti in maniera molto positiva. Sebbene non ci definiamo femministi, abbiamo messo bene in chiaro che siamo favorevoli alla lotta per l’emancipazione delle donne e combattiamo fianco a fianco a tutti coloro che lottano contro l’oppressione. In tutte le manifestazioni e le riunioni, non abbiamo trovato alcun pregiudizio contro di noi, almeno dalla grande maggioranza delle donne che si considerano femministe.

È vero che il femminismo non è una teoria o una scuola di pensiero? Dipende da come lo si guardi. È perfettamente vero che i milioni di persone che hanno partecipato agli scioperi e alle manifestazioni in Spagna l’8 marzo sotto le insegne del femminismo non hanno nulla a che fare con i pregiudizi femministi della leadership. Stavano istintivamente lottando contro fenomeni reazionari che li riempivano di giusta indignazione. Questo è il punto di partenza per sviluppi rivoluzionari.

Tuttavia, la direzione di quel movimento era nelle mani di femministe borghesi e piccolo borghesi che rappresentano certamente una scuola di pensiero e un’ideologia definita fondamentalmente opposta, non solo al marxismo, ma fondamentalmente agli interessi della lotta per l’emancipazione. delle donne stesse.

Oggigiorno il concetto di femminismo è diventato così ampio da diventare praticamente privo di significato. All’improvviso, tutti sono diventati “femministi”. Persino i politici reazionari del PP si definiscono femministi, perché, sapete, hanno delle donne ministro – ognuna di loro reazionaria e corrotta come i loro colleghi maschi.

La nuova versione di seconda mano del PP, Ciudadanos, insiste particolarmente sul fatto che sia naturalmente “femminista”. Ma la realtà di questo femminismo borghese è stata palesemente rivelata dal fatto che lo stesso leader del partito, Albert Rivera, ha dichiarato che non potevano sostenere lo sciopero femminista dell’8 marzo “perché era anticapitalista”. Notiamo anche che quei politici di Ciudadanos che alla fine hanno deciso di presentarsi alle manifestazioni sono stati fischiati dai manifestanti ed cacciati dai corteo.

Anche tra i settori più avanzati ci sono tutti i generi di confusione e illusioni, che sono deliberatamente alimentati dai “teorici” borghesi e piccolo-borghesi del femminismo. Un’altra idea diffusa è il carattere “trasversale” del movimento, cioè che il movimento dovrebbe coinvolgere tutte le donne indipendentemente dalla classe, dall’ideologia politica, ecc.

Con un approccio amichevole e paziente, possiamo combattere questi pregiudizi e chiarire le questioni confuse. Ma dobbiamo evitare di mescolare le nostre idee. Al fine di conquistare gli elementi migliori, è necessario mantenere una posizione marxista ferma e chiara in ogni momento.

È necessario che definirci femministi per connetterci a questo settore importante? Tutta la nostra esperienza indica che non è così. Il seguente esempio è di grande interesse sintomatico. Ad Antequera (Málaga), abbiamo organizzato un incontro sullo sciopero femminista dell’8 marzo con diverse donne provenienti da organizzazioni di sinistra e dai sindacati. Una delle nostre compagne ha parlato all’incontro, spiegando che era un’attivista sindacale e una marxista rivoluzionaria e ha delineato il nostro programma. Alla fine della riunione, un gruppo di giovani donne, si sono immediatamente avvicinate a lei al nostro banchetto e hanno detto che volevano essere coinvolte nella nostra attività. Queste giovani donne si considerano ovviamente femministe. Ma non hanno avuto alcun problema ad identificarsi con il programma del marxismo.

Se i nostri compagni avessero adottato un atteggiamento settario e dogmatico nei confronti del movimento, avrebbero operato senza dubbio una separazione da donne come queste. Non è ammissibile che i marxisti adottino un approccio così sciocco come questo. Ma allo stesso tempo, dobbiamo adottare un atteggiamento di principio, rendendo molto chiaro che siamo marxisti che lottano per i diritti della donna e che riteniamo che questa lotta importante possa essere condotta con successo solo come parte di una lotta di classe rivoluzionaria generale per un cambiamento radicale e profondo nella società.

Qui abbiamo un’analogia molto chiara, che è l’atteggiamento dei marxisti rispetto alla questione nazionale. Sosteniamo la richiesta dell’indipendenza della Catalogna dallo stato spagnolo? Sì, lo facciamo. Ma lo facciamo, spiegando che sulla base del capitalismo, l’indipendenza non risolverà nulla. Lottiamo per la Repubblica dei lavoratori della Catalogna, che in futuro potrebbe far parte di una federazione socialista dei popoli iberici.

Ma quindi ci definiamo marxisti nazionalisti? Certamente no! Non siamo nazionalisti, ma internazionalisti proletari. Fa parte precisamente del nostro programma internazionalista rivoluzionario sostenere la lotta del popolo catalano per liberarsi dalla giogo dello stato reazionario spagnolo, dal governo marcio dei PP e dalla monarchia non democratica ereditata da Franco. Ma la definizione “marxista nazionalista ” è una contraddizione in termini.

Ancora una volta, la nostra esperienza in Catalogna indica che non è necessario usare un linguaggio così confuso per convincere gli elementi migliori e più rivoluzionari  fra gli operai e i giovani, molti dei quali stanno cominciando a capire la natura limitata e reazionaria del nazionalismo borghese e piccolo-borghese e sono alla ricerca di un’alternativa più radicale, rivoluzionaria e di classe.

In ultima analisi, tutte le questioni – la questione dell’oppressione nazionale, la lotta per l’emancipazione delle donne, la lotta contro il razzismo – hanno un carattere di classe. Questa è la linea fondamentale di divisione che separa il marxismo dal nazionalismo, dal femminismo e da ogni altra manifestazione della lotta contro l’oppressione.

Il movimento dell’8 marzo in Spagna serve proprio  a evidenziare questi punti. Il movimento di massa contro l’oppressione della donna ha un potenziale rivoluzionario enorme . Ma questo potenziale può essere espresso pienamente solo  nella misura in cui il movimento va oltre gli stretti limiti del femminismo borghese e piccolo borghese e si collega a un movimento generale della classe operaia per cambiare la società. Il nostro compito è di aiutarlo a compiere la transizione necessaria.

Mentre partecipiamo attivamente a tali movimenti e tentando di conquistare gli elementi migliori, dobbiamo sempre mettere in luce le divisioni di classe che esistono in tutti questi movimenti, basandoci su ciò che è progressista in essi, svelando i limiti e criticando gli elementi borghesi e piccolo-borghesi nella direzione.

L’importanza della teoria

Engels ha evidenziato l’importanza della teoria per il movimento rivoluzionario. Ha sottolineato che non ci sono due forme di lotta (politica ed economica), ma tre, ponendo la lotta teorica sullo stesso piano delle prime due. Lenin ha espresso in maniera netta il suo accordo con la posizione di Engels quando ha scritto nel “Che fare?”:“Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimentorivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è accompagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica.

La condizione necessaria per la costruzione di una autentica Internazionale marxista è la difesa dei principi base del marxismo. Questo implica una lotta implacabile contro ogni tipo di idea revisionista, che nella propria essenza riflette la pressione di classi estranee sul movimento operaio.

Marx ed Engels hanno condotto una lotta implacabile contro tutti i tentativi di annacquare le idee del movimento, smascherando senza pietà le false teorie, prima dei socialisti utopisti, poi dei seguaci di Proudhon e Bakunin, e alla fine contro i “socialisti cattedratici” opportunisti come Dühring – quei professori universitari “intelligenti” che, sotto il pretesto di “aggiornare il socialismo”, cercavano di privarlo della sua essenza rivoluzionaria.

Lenin, fin dall’inizio della propria attività rivoluzionaria, dichiarò guerra ai “giovani” che, come Dühring, affermavano che alcune delle idee di Marx erano obsolete e dovevano essere riviste, richiedendo “libertà di critica”. Lenin mostrò che questa cosiddetta “opposizione al dogmatismo” era solo un pretesto per coloro che desideravano sostituire il contenuto rivoluzionario del marxismo con la politica opportunista dei “piccoli gesti”, una tendenza che in seguito si cristallizzò nel menscevismo.

Più tardi, nel periodo di reazione che seguì alla sconfitta della Rivoluzione del 1905, lo stato di disperazione tra i settori dell’intellighenzia della classe media trovò un’eco all’interno del bolscevismo quando una sezione della dirigenza (Bogdanov e Lunacharsky) iniziò a riflettere sulla filosofi a alla moda del soggettivismo idealista (neo-kantianesimo) e del misticismo.

Non è un caso che Lenin abbia scritto una delle sue più importanti opere filosofi che, Materialismo ed empiriocriticismo, per combattere queste idee. Potremmo aggiungere che Lenin era pronto a rompere con la maggioranza dei leader bolscevichi su queste questioni filosofiche, che erano anche legate a una politica di estrema sinistra.

Prima della sua morte, Trotskij fu impegnato in una lotta molto aspra contro una tendenza piccolo borghese nel SWP americano (Burnham e Shachtman) sulla questione della natura di classe dell’Unione Sovietica. Trotskij spiegò che la loro posizione errata che respingeva la difesa dell’Urss era, da un lato, un riflesso della pressione delle classi aliene (gli intellettuali piccolo-borghesi) sul SWP e, dall’altro, un rifiuto della filosofia marxista (dialettica).

Da questi pochi esempi, possiamo vedere il ruolo vitale che la lotta per la teoria ha sempre giocato nella storia del nostro movimento. Ciò che distingue la Tendenza Marxista Internazionale (TMI) da tutte le altre tendenze è soprattutto la nostra attenzione meticolosa alla teoria. In più di un secolo e mezzo, il marxismo ha costruito un programma scientifico sulle leggi che regolano il movimento della società capitalista.

Questa è una conquista colossale, che dobbiamo difendere contro tutti gli attacchi – sia da destra che da “sinistra”.

La TMI ha una tradizione di cui andare fieri a riguardo. In un periodo in cui molti abbandonavano le idee del marxismo, inclusi molti ex “comunisti”, siamo rimasti implacabili nella nostra difesa delle idee fondamentali di Marx, Engels, Lenin e Trotskij.

Il sito web Marxist.com si è guadagnato una reputazione eccellente per la sua chiarezza teorica. Questo è ciò che ci ha fermamente separati dalle altre tendenze nel movimento operaio.

Ci siamo sempre rifiutati di fare concessioni ai revisionisti che riflettono le pressioni dell’ideologia borghese e piccolo borghese. Siamo rimasti completamente impermeabili al coro assordante che richiedeva “nuove idee” in luogo delle idee “fuori moda” di Marx, che sono, in realtà, le idee più moderne, le uniche idee che possono spiegare l’attuale crisi e mostrare una via d’uscita.

Il decadimento della cultura
Ci sono periodi nella storia caratterizzati da stati d’animo di pessimismo, dubbio e disperazione. In questi periodi, avendo perso la fiducia nella società esistente e nella sua ideologia, le persone cercano un’alternativa praticabile, che è necessariamente rivoluzionaria. Ma la vecchia società, anche se ormai è un morto che cammina, esercita ancora una forte influenza. Non dispone più di un appoggio positivo, emana stati d’animo negativi, come un cadavere emette un cattivo odore.

Nei giorni della sua gioventù, la borghesia credeva nel progresso, perché, nonostante tutte le sue caratteristiche brutali e sfruttatrici, il capitalismo ha giocato un ruolo molto progressista nello sviluppo delle forze produttive, gettando così le basi materiali per uno stadio superiore della società umana: il socialismo.

In passato, quando la borghesia era ancora in grado di svolgere un ruolo progressista, aveva un’ideologia rivoluzionaria. Ha prodotto pensatori grandi e originali: Locke e Hobbes, Rousseau e Diderot, Kant e Hegel, Adam Smith e David Ricardo, Newton e Darwin. Ma la produzione intellettuale della borghesia nel periodo del declino mostra tutte le prove del decadimento senile avanzato.

La confusione postmodernista che viene fatta passare per filosofia al giorno d’oggi è di per sé una confessione della più abietta bancarotta intellettuale. Gli snob intellettuali che si pavoneggiano nei campus universitari con aria di grande superiorità trattano con disprezzo i filosofi del passato. Ma la povertà di contenuti di questa cosiddetta filosofia è così lampante che i sottili spulciatori postmoderni diventano immediatamente insignificanti rispetto a tutti quei grandi pensatori.

Il postmodernismo nega il concetto di progresso storico in generale, per la semplice ragione che la società che lo ha generato non è in grado di compiere alcun progresso. Il solo fatto che questa “narrativa” postmoderna possa essere presa sul serio come una nuova filosof a è di per sé una denuncia schiacciante della bancarotta teorica del capitalismo e dell’intellighenzia borghese all’epoca della decadenza imperialista. Nelle parole di Hegel: “Dalla facilità con cui lo spirito si contenta possiamo misurare la grandezza di ciò che ha perduto.

Non è un caso. L’epoca attuale è caratterizzata da confusione ideologica, apostasia, disintegrazione e dispersione. In queste condizioni l’intellighenzia è pervasa da un clima di pessimismo, perchè fino a ieri considerava il capitalismo come una fonte infinita di lavoro e come garanzia di un livello di vita confortevole.

Per salvare i banchieri, il capitalismo si prepara a sacrificare il resto della società. Milioni di persone si trovano di fronte a un futuro incerto. La rovina generale non colpisce solo la classe operaia, ma si estende alla classe media, agli studenti e ai professori, ai ricercatori e ai tecnici, ai musicisti e agli artisti, ai docenti e ai medici.

C’è un fermento generale nella classe media, che trova la sua espressione più acuta nell’intellighenzia. Questa è una classe che, schiacciata tra i grandi capitalisti e la classe operaia,avverte intensamente la precarietà della sua situazione. Mentre alcuni si stanno radicalizzando a sinistra, la maggioranza, in particolare nel mondo accademico, è dominata da stati d’animo di pessimismo e incertezza.

Quando dicono “non esiste una cosa come il progresso”, ciò che intendono è: la società attuale non ci dà assolutamente alcuna garanzia che domani non sarà peggiore di oggi. E questoè abbastanza corretto. Ma invece di trarne la conclusione che è necessario lottare per rovesciare l’attuale sistema che ha portato l’umanità in un vicolo cieco storico e minaccia il futuro stesso della civiltà e della cultura, se non la stessa razza umana, si rannicchiano in un angolo, ritirandosi in se stessi, mentre assolvono la propria coscienza inquieta con il pensiero confortante che “comunque non esiste il progresso”.

Da questo pregiudizio meschino, dalla mancanza di visione e dalla vigliaccheria intellettuale, fluiscono inevitabilmente altre conclusioni più pratiche: un rifiuto della rivoluzione a favore delle “piccole azioni” (come discussioni e cavilli su parole e “narrazioni”), una ritirata nella soggettività, una negazione della lotta di classe, elevando la “mia” particolare oppressione sopra alla “tua”, il che a sua volta porta ad una crescente divisione in compartimenti stagni e, in definitiva, all’atomizzazione del movimento.

Ci sono, naturalmente, alcune differenze tra la situazione attuale e le idee che Lenin ha combattuto con tanta ferocia nel 1908. Ma le differenze sono semplicemente di forma. Il contenuto è molto simile, se non identico. E le conseguenze pratiche sono al cento per cento reazionarie.

Un’epoca di apostasia
Lenin è sempre stato onesto riguardo a problemi e difficoltà. Il suo slogan era: dire sempre le cose come stanno. A volte la verità è sgradevole, ma dobbiamo sempre dire la verità.

La realtà è che, per una combinazione di circostanze, oggettive e soggettive, il movimento rivoluzionario è stato spinto indietro e le forze del vero marxismo ridotte a una piccola minoranza. Questa è la verità, e coloro che lo negano stanno semplicemente ingannando se stessi e gli altri.

Negli ultimi decenni la richiesta insistente di una revisione dei postulati fondamentali del marxismo è diventata assordante. Il marxismo, ci viene detto, è sinonimo di “dogmatismo” o addirittura di stalinismo. Questa ricerca disperata di “idee nuove” che presumibilmente sostituiranno le “idee vecchie e screditate” del marxismo non è affatto un caso.

La classe operaia non vive isolata dalle altre classi e inevitabilmente viene sottoposta all’influenza di classi e ideologie aliene. Viviamo e lavoriamo nella società e siamo costantemente sottoposti a queste pressioni e ambienti. Gli stati d’animo generali della società possono anche penetrare nella classe operaia e nelle sue organizzazioni. Nei periodi in cui la classe generalmente non è in movimento, le pressioni della borghesia e specialmente della piccola borghesia si intensificano.

Dopo il lungo periodo in cui gli operai sono caduti in uno stato di temporanea inattività, gli elementi della piccola borghesia sono saliti alla ribalta nel movimento operaio, mettendo da parte i lavoratori. La voce dei lavoratori è soffocata dal coro delle persone “intelligenti” che hanno abbandonato ogni volontà di lottare in prima persona e sono ansiose di persuadere i lavoratori che la rivoluzione porta solo lacrime e delusione.

In seguito alla caduta dello stalinismo, si è verificato uno stato d’animo generale di confusione e di arretramento ideologico. Molte persone hanno abbandonato il movimento comunista e il cinismo e lo scetticismo sono diventati di moda. Disillusi dai tradimenti dei partiti socialisti e comunisti, la reazione degli intellettuali di sinistra non è stata quella di rompere con lo stalinismo e il riformismo, ma di abbandonare del tutto le idee del marxismo e del socialismo rivoluzionario.

Molti, in particolare gli ex stalinisti, hanno abbandonato il marxismo e la lotta per il socialismo e si sono lanciati in una ricerca donchisciottesca di “nuovi metodi” (che, come per la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno, non trovano mai). A questi cinici attempati, tutti i loro sogni giovanili di rivoluzione ora sembrano folli (“i peccati della giovinezza”, come ama definirli l’arcirevisionista Heinz Dieterich). E sono presi da uno stimolo inarrestabile, quello di regolare i conti con il passato per correggere questi peccatucci giovanili e, quindi, scoraggiano la nuova generazione dal seguire la strada del peccato.

Le organizzazioni del movimento operaio si sono gradualmente spostate a destra. I lavoratori sono stati messi all’angolo da carrieristi della classe media che hanno conquistato le posizioni di vertice. Questo, a sua volta, ha condotto molti lavoratori nell’inattività, portando ad un aumento ancora maggiore degli elementi piccolo borghesi.

In questi periodi, la voce dei lavoratori è soffocata dal coro riformista fatto di “innovazioni” come il “new realism” o il “New Labour” e così via. Le idee piccolo borghesi diventano predominanti. Le idee della politica di classe e del socialismo rivoluzionario vengono proclamate “antiquate”. Al posto del “marxismo dogmatico” abbiamo tante, tante idee diverse: pacifismo, femminismo, ambientalismo – in effetti, qualsiasi “ismo” si voglia, eccetto, ovviamente, il socialismo e il marxismo.

Trotskij ha affrontato tale fenomeno quando ha scritto Il Programma di transizione nel 1938: “Le tragiche sconfitte del proletariato mondiale da lunghi anni a questa parte hanno spinto le organizzazioni ufficiali verso un conservatorismo ancora maggiore e hanno portato d’altra parte i “rivoluzionari” piccolo-borghesi delusi a ricercare “nuove vie”. Come sempre nei periodi di reazione e di declino, saltano fuori da tutte le parti gli stregoni e i ciarlatani. Vogliono rivedere tutto lo sviluppo del pensiero rivoluzionario. Invece di imparare dal passato, lo “rifiutano”. Gli uni scoprono l’inconsistenza del marxismo, gli altri proclamano il fallimento del bolscevismo.

Gli uni fanno ricadere sulla dottrina rivoluzionaria la responsabilità degli errori e dei crimini di coloro che l’hanno tradita; gli altri maledicono la medicina perché non garantisce una guarigione immediata e miracolosa. I più audaci promettono di scoprire una panacea e nel frattempo raccomandano di arrestare la lotta di classe. Molti profeti della nuova morale si accingono a rigenerare il movimento operaio con una cura omeopatica etica. La maggioranza di questi apostoli sono diventati invalidi morali senza mai essere stati sul campo di battaglia. Così, dietro la parvenza di nuove rivendicazioni, non si propongono al proletariato che vecchie ricette sepolte da tempo negli archivi del socialismo premarxista”

(Lev Trotskij, Il programma di transizione).

Oggi le cose non vanno meglio con le sette di estrema sinistra che conducono un’esistenza miserabile ai margini del movimento operaio. Sebbene invochino Marx, Lenin e Trotskij in ogni loro frase, non si preoccupano nemmeno di ristampare le loro opere, preferendo idee più “moderne” (o “postmoderne”) che hanno assunto acriticamente dalla borghesia e dalla piccola borghesia. La setta dei Mandelisti (il cosiddetto Segretariato unificato della Quarta Internazionale) è l’esempio più chiaro di questo.

All’estremo opposto, sette come i Taffisti (CWI) e la SWP in Gran Bretagna e Lutte Ouvrière in Francia ricadono nella palude dell’“economicismo”, che Lenin ha duramente condannato. La maschera demagogica dell’“operaismo” e il rigetto degli studenti e degli intellettuali nel loro complesso non sono che una facciata per mascherare il disprezzo per la teoria e la sostituzione di una politica rivoluzionaria per la cosiddetta “politica pratica” che si occupa dei “problemi quotidiani”. È difficile capire quale deviazione dal vero marxismo sia peggiore.

“Idee nuove al posto delle vecchie”

Nella favola di Aladino, un mago malvagio si traveste da venditore ambulante e offre lampade nuove e lucide in cambio di quelle vecchie. La principessa di Aladino accetta ingenuamente lo scambio e perde così il potere del genio della lampada. È un racconto divertente, ma contiene un messaggio serio: è sciocco scambiare cose di comprovato valore per oro luccicante, che risulta essere un’illusione.

È ironico che proprio in questo momento, quando la crisi del capitalismo ha completamente dimostrato la validità del marxismo, c’è una vera e propria corsa all’interno della “sinistra” per disfarsi della teoria marxista, come se fosse una zavorra inutile. Gli ex “comunisti” non parlano nemmeno più di socialismo e hanno gettato gli scritti di Marx ed Engels nella spazzatura.

Le idee del marxismo rivoluzionario sono presentate come antiquate e irrilevanti. Gli intellettuali della classe media e i “progressisti” non vedono l’ora di screditare il marxismo. Questo clima generale di confusione ideologica, di messa in discussione dell’“ortodossia” marxista e il rifiuto della teoria può avere un effetto dannoso persino nelle nostre fila.

Questa non è la prima volta che vediamo queste cose. Queste tendenze riformiste controrivoluzionarie sono sempre state presenti nel movimento. Come abbiamo visto, Marx, Lenin, Engels e Trotskij hanno tutti dovuto fronteggiare la stessa campagna per “idee nuove” che è sempre stata il cavallo di battaglia di ogni revisionista da Dühring e Bernstein in poi. Ci siamo occupati di alcuni di queste “nuove alternative” nel libro di Alan Woods Riformismo o Rivoluzione, il socialismo del XXI secolo, Risposta a Heinz Dieterich.

Ciò che questa incessante ricerca di revisione del marxismo riflette è lo sconforto di quel vecchio settore che, demoralizzato dalle sconfitte e dai fallimenti del passato, ha perso la volontà di lottare per un cambiamento rivoluzionario nella pratica, ma desidera assolvere la propria coscienza mantenendo una posa da marxisti che, diventando “più vecchi e saggi” hanno capito che le “vecchie idee” dopo tutto erano solo sogni utopici senza alcuna rilevanza pratica per il mondo attuale.

L’unico scopo di questa litania assordante è distogliere l’attenzione dei giovani, causare la massima confusione e fungere da barriera per impedire alla nuova generazione di accedere al marxismo. È solo il riflesso speculare della campagna della borghesia contro il socialismo e il comunismo. Ma è molto più pericolosa e dannosa di quest’ultima perché è una campagna condotta sotto una falsa bandiera.

I suoi fautori sono radicalmente contrari alla rivoluzione e al socialismo, ma non osano ammetterlo – forse anche a se stessi (fino a che punto in realtà credono nelle assurdità che scrivono è qualcosa che solo uno psicologo esperto può determinare). Nascondono il loro messaggio reazionario, antirivoluzionario e antisocialista sotto uno spesso strato di fraseologia “di sinistra” e “radicale” che lo rende ancora più difficile da identificare per la maggior parte delle persone. Le idee del socialismo sono annacquate, riviste o semplicemente abbandonate.

La tendenza marxista non è immune alle pressioni del capitalismo. L’ambiente confuso e pessimista degli intellettuali della classe media può a volte trovare un’eco all’interno del movimento marxista, dove si manifesta come un costante attacco all’“ortodossia stucchevole” e come un appello continuo a “qualcosa di Nuovo” che ci ricorda molto il richiamo ammaliatore del mago di Aladino.

 I rischi del lavoro studentesco

I socialisti rivoluzionari sono abituati agli assalti furiosi contro il socialismo e il comunismo – non solo quelli dei difensori aperti del capitalismo e dell’imperialismo, ma anche dei riformisti (sia di destra che di sinistra), e anche della cosiddetta intellighenzia radicale piccolo borghese, alcuni dei quali desiderano combattere contro il capitalismo, ma non hanno la minima idea di come farlo.

Abbiamo posto l’accento sull’importanza del lavoro fra gli studenti e i giovani, e questo ci sta dando risultati molto importanti non solo in Gran Bretagna ma anche in molti altri paesi, inclusi Stati Uniti e Canada. Dobbiamo continuare con questo orientamento per il prossimo futuro, ma dobbiamo anche considerare attentamente il modo in cui viene condotto.

È vero che il lavoro tra gli studenti ha enormi opportunità per noi. Ma è altrettanto vero che contiene molti rischi e pericoli. Dobbiamo sempre tenere gli occhi aperti su questi pericoli, per evitare conseguenze molto gravi. È necessario tener presente che le università sono un ambiente alieno, pieno di gente di classi aliene e pesantemente sotto l’influenza di idee borghesi e piccolo borghesi.

L’ambiente studentesco rimane prevalentemente borghese e piccolo borghese, che colpisce quegli studenti che vengono da una famiglia della classe lavoratrice. In molti casi sono troppo ansiosi di salire sulla scala sociale per poi spingerla lontano, lasciando in basso la loro classe nella fretta di diventare medici, avvocati e politici. Forse non succede sempre così, ma troppo spesso invece sì.

Le università sono una cinghia di trasmissione per la diffusione di idee borghesi reazionarie nella società. Sono vere e proprie serre in cui i borghesi sviluppano mille idee strane e fantasiose per confondere e fuorviare i giovani e allontanarli dalla rivoluzione. Le università non sono “templi di apprendimento” ma fabbriche per la produzione di massa di difensori ideologici del capitalismo.

Nell’epoca della decadenza senile del capitalismo le università sono diventate una palude velenosa in cui fioriscono idee reazionarie, e nessuno sembra avere il coraggio di affrontarle a testa alta.

È il primo dovere degli studenti marxisti combattere queste idee – non solo le idee apertamente reazionarie del sistema accademico borghese, ma anche le innumerevoli nozioni confuse degli elementi “progressisti” e “radicali” piccolo borghesi che fingono di essere contrari al sistema, ma in pratica si limitano a una furia impotente contro questo o quel sintomo.

Un’arma ideologica della reazione

Non è un caso che i sostenitori di queste idee abbiano guadagnato importanza nelle università alla fine degli anni ‘80 o ‘90. Mentre la lotta di classe è entrata in riflusso, è stata intrapresa una vasta campagna anti-marxista nelle università. Gli individui che erano stati coinvolti nei movimenti rivoluzionari degli anni ‘70 e dei primi anni ‘80 furono portati nelle università e collocati in occupazioni comode allo scopo di attaccare il Marxismo.

Questi attacchi erano in parte di un tipo grezzo, apertamente filocapitalista, ma altri erano più velati e astuti. L’intersezionalità e le politiche identitarie permisero agli intellettuali “di sinistra” di trovare una maniera comoda di lasciar perdere la lotta di classe e abbandonare il socialismo, pur continuando a sostenere a parole “cause progressiste”.

Non è un caso che oggi queste idee siano diffuse in tutto il sistema educativo dalla classe dominante. Ad esempio, la Teoria Queer può essere ricondotta all’onda del postmodernismo e ad altre idee idealiste e soggettiviste che si sono sviluppate come reazione al marxismo negli ultimi decenni. Un rapporto della CIA recentemente desecretato del 1985 chiamato Francia: Defezione degli intellettuali della sinistra rivela il compiacimento dell’agenzia di intelligence per la deriva a destra nel mondo accademico:

“I fallimenti politici di Mitterrand e l’alleanza di breve durata con i comunisti possono aver accelerato la disaffezione verso il suo governo, ma gli intellettuali di sinistra si sono allontanati dal socialismo – sia dal partito che dall’ideologia – almeno dai primi anni ‘70. Guidati da un gruppo di giovani rinnegati dai ranghi comunisti che hanno chiamato la loro corrente nouvelle philosophie, molti intellettuali della Nuova Sinistra hanno rigettato il marxismo e sviluppato una profonda antipatia nei confronti dell’Unione Sovietica. L’ideologia anti-sovietica, infatti, è diventata la pietra di paragone della legittimità nei circoli di sinistra, indebolendo il tradizionale antiamericanismo degli intellettuali di sinistra e permettendo alla cultura americana – e persino alle politiche sociali ed economiche – di essere nuovamente di moda”.

Il rapporto prosegue:

“La bancarotta dell’ideologia marxista. La disaffezione con il marxismo come sistema filosofico – parte di una ritirata più ampia dall’ideologia tra intellettuali di tutti i colori politici – era la fonte della disillusione intellettuale particolarmente forte e diffusa nella sinistra tradizionale. Raymond Aaron lavorò per lunghi anni per screditare il suo vecchio compagno di stanza al college Sartre e, attraverso di lui, la struttura intellettuale del marxismo francese. Ancor più efficaci nel minare il marxismo, tuttavia, furono quegli intellettuali che partirono come veri credenti con l’intenzione di applicare la teoria marxista nelle scienze sociali, ma finirono col ripensare e rigettare l’intera tradizione.

Tra gli storici francesi del dopoguerra, l’influente scuola di pensiero associata a Marc Bloch, Lucien Febvre e Fernand Braudel ha travolto i tradizionali storici marxisti. La scuola delle Annales, come è conosciuta dal nome della sua rivista principale, ha trasformato la cultura storica francese negli anni ‘50 e ‘60, principalmente sfidando e in seguito rigettando le teorie marxiste fino ad allora dominanti sul progresso storico. Sebbene molti dei suoi sostenitori affermino di collocarsi “nella tradizione marxista”, vogliono dire solo che usano il marxismo come punto critico di partenza per cercare di scoprire i modelli reali della storia sociale. Per la maggior parte, hanno concluso che le nozioni marxiste della struttura del passato – delle relazioni sociali, dei modelli di eventi e della loro influenza a lungo termine – sono semplicistiche e non valide. Nel campo dell’antropologia, l’influente scuola strutturalista associata a Claude Levi-Strauss, Foucault e altri ha praticamente svolto la stessa missione. Sebbene sia la metodologia dello strutturalismo sia delle Annales abbiano passato tempi difficili (i critici li accusano di essere troppo difficili da seguire per i non iniziati), crediamo che la loro demolizione critica dell’influenza marxista nelle scienze sociali è probabile che persista come un profondo contributo alla cultura moderna sia in Francia che altrove in Europa occidentale.”

Allo stesso modo, la CIA è stata coinvolta nel sostenere segretamente un certo numero di pubblicazioni di sinistra “anti-totalitarie” come la Partisan Review, Der Monat (che ha pubblicato articoli di Adorno e Arendt tra gli altri), Mundo Nuevo e così via. Il tema comune che emergeva in queste riviste era una difesa dell’“intellettuale” in contrasto con la lotta di classe.

Fu proprio dalle mani di questi intellettuali che sorsero le idee borghesi e piccolo borghesi che dominano oggi le università. Foucault è considerato come il padre della teoria queer. Mentre la lotta di classe rifluiva, sulla scia di innumerevoli tradimenti da parte dei leader, questi signore e signori conclusero che in realtà il problema era da cercare nella lotta di classe e nella classe operaia e non nella sua direzione. Hanno semplicemente adattato la loro “filosofia” agli interessi della borghesia e della burocrazia sindacale. Nella loro testa, la lotta di classe si è dissolta in una serie infinita di piccole lotte individuali senza caratteristiche comuni.

Nella misura in cui hanno riconosciuto la lotta di classe, hanno denigrato la presunta “arretratezza” della classe operaia e chiesto un cambiamento nel “discorso” piuttosto che una guida audace da parte dei vertici codardi alla testa del movimento. Come vediamo dal rapporto della CIA, la classe dominante, lungi dal sentirsi minacciata da qualcuna di queste nuove idee “radicali” le ha accolte in maniera entusiasta come strumenti preziosi nella lotta ideologica contro il marxismo.

 “Intersezionalità” e politiche identitarie

Una delle varianti più recenti delle politiche identitarie diffusa tra la piccola borghesia radicale è il concetto di intersezionalità. Questa non è solo una piccola deviazione o un elemento di confusione di giovani benintenzionati, ma un’ideologia interamente regressiva, reazionaria e controrivoluzionaria che dobbiamo combattere con tutti i mezzi a nostra disposizione.

La classe dominante ha sempre cercato di seminare la divisione nella classe operaia, seguendo l’antica tattica del divide et impera. Usano tutti i mezzi per mettere una settore di lavoratori contro un altro: il razzismo, la questione nazionale, la lingua, il genere o la religione – ognuno di questi è stato usato, ed è ancora utilizzato, per dividere la classe operaia e per distogliere l’attenzione dalla lotta di classe tra ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati.

Questo fatto è ben noto e compreso da quasi tutti a sinistra. Ma nella lotta contro il razzismo, il sessismo e altre forme di oppressione che esistono nella società, è possibile andare all’estremo opposto, abbandonando il punto di vista della classe e giocando al gioco della classe dominante mettendo ciò che ci divide sopra ogni altra cosa, ignorando le radici dell’oppressione nella società di classe, facendo avanzare gli interessi settoriali di questo o quel gruppo a scapito della lotta di classe unitaria.

La maggior parte delle persone che si focalizzano su particolari forme di oppressione tendono a ignorare o minimizzare la vera base dell’oppressione, che è la stessa società di classe. Si oppongono a qualsiasi tentativo di unire la classe operaia in una lotta rivoluzionaria contro il capitale, insistendo sul fatto che ci si deve focalizzare su questo o quel problema. I risultati sono estremamente negativi.

In un numero crescente di casi, autorità universitarie e sindacati studenteschi, che si nascondono dietro il “politicamente corretto”, politiche identitarie e il presunto desiderio di non ferire la sensibilità di certe persone, stanno praticando una politica di discriminazione e censura palesi, impedendo a determinate persone di parlare – non solo razzisti e fascisti, ma anche in misura crescente persone di sinistra.

Il seguente esempio dal Canada è sufficiente per esporre le attività controrivoluzionarie di questi gruppi. Dopo le elezioni americane, un gruppo di giovani a Toronto ha cercato spontaneamente di organizzare una manifestazione anti-Trump attraverso Facebook. Questi giovani sono stati immediatamente sottoposti a un diluvio di insulti da parte dei sostenitori delle “politiche identitarie” che li hanno criticati in modo feroce perché non avevano un oratore nero sul palco, ecc ecc. Come risultato, questi giovani, sentendosi intimiditi, sono stati demoralizzati e spinti ad abbandonare il movimento. Questo non è un caso isolato, ma è del tutto tipico delle tattiche reazionarie di questa tendenza.

È il momento di chiamare le cose con il loro giusto nome: cioè, dire chiaramente che le politiche identitarie e tutte le sciocchezze che hanno alzato la testa negli ultimi anni rappresentano una tendenza chiaramente reazionaria, che deve essere combattuta con il massimo vigore.

La questione nazionale

È possibile tracciare una certa analogia tra le cosiddette politiche identitarie e la questione nazionale. Certo, ogni analogia ha i suoi limiti. Ma in questo caso, l’analogia è molto evidente e può essere spiegata in maniera semplice: i marxisti sono contrari e lottano contro ogni forma di oppressione o discriminazione, sia per motivi di nazionalità, sesso, etnia, lingua, religione o qualsiasi altra cosa. E questo è del tutto sufficiente.

I marxisti difenderanno le nazioni oppresse dagli stati imperialisti potenti e predatori. Siamo contro l’oppressione in tutte le sue forme. Questo è il nostro punto di partenza. Ma queste proposizioni elementari non esauriscono affatto la questione di quale atteggiamento marxista adottare rispetto alla questione nazionale. Dopo A, B e C ci sono anche le lettere nell’alfabeto.

Marx ha spiegato che la questione di classe è sempre la questione più importante, e la questione nazionale è sempre subordinata ad essa. Il diritto delle nazioni all’autodeterminazione non è un diritto assoluto al di fuori del tempo e dello spazio. È sempre subordinato agli interessi generali della rivoluzione proletaria internazionale. Lenin sottolineava spesso lo stesso punto. La lotta della classe lavoratrice contro il capitalismo esige la completa solidarietà e la massima unità dei lavoratori di tutte le nazioni.

Mentre lottiamo contro ogni manifestazione di oppressione o discriminazione nazionale, è necessario resistere ai tentativi dei nazionalisti borghesi e piccolo borghesi di subordinare gli operai alle loro opinioni e politiche particolari. Ne Il diritto delle nazioni all’autodecisione, nel 1914, scrisse quanto segue:

“Per l’operaio salariato è indifferente che il suo principale sfruttatore sia la borghesia grande-russa piuttosto che quella allogena, o la borghesia polacca piuttosto che quella ebrea, ecc. L’operaio salariato, cosciente degli interessi della propria classe, è indifferente sia ai privilegi statali dei capitalisti grandi-russi, sia alle promesse dei capitalisti polacchi o ucraini di instaurare il paradiso in terra, quando essi avranno i privilegi statali. In tutti i casi, lo sviluppo del capitalismo prosegue e proseguirà tanto in uno Stato plurinazionale che in singoli Stati nazionali.”

È noto che Lenin ha sostenuto costantemente la richiesta del diritto delle nazioni all’autodeterminazione, anche fino alla separazione. Ma questo è solo un lato dell’equazione. Lenin ha anche difeso l’unità della classe operaia e le sue organizzazioni e si è opposto implacabilmente a ogni ipotesi di costituzione di organizzazioni dei lavoratori sulla base di linee nazionali (possiamo dire, sulle linee delle ‘politiche identitarie’?)

Nei suoi scritti sulla questione nazionale, insieme alla sua insistenza sul diritto delle nazioni all’autodeterminazione fino alla separazione inclusa, Lenin ha anche sottolineato la necessità per i marxisti di tracciare una chiara linea di demarcazione tra loro e i nazionalisti piccolo borghesi e democratici:

“In secondo luogo, nel nostro Paese, l’inevitabile lotta per separare il proletariato dalla democrazia borghese e piccolo borghese generale – una lotta che è fondamentalmente la stessa in ogni Paese – viene condotta nelle condizioni di una completa vittoria teorica del marxismo nell’Occidente e nel nostro paese. La forma presa da questa lotta, quindi, non è tanto quella di una lotta per il marxismo ma di una lotta pro o contro le teorie piccolo borghesi che giacciono nascoste dietro frasi ‘quasi marxiste'”. (Il programma nazionale del Posdr, 1913)

Difenderemo sempre i diritti delle nazioni oppresse contro i loro oppressori. Ma questo non significa che dobbiamo accettare le pretese della borghesia delle nazioni oppresse o subordinare gli interessi della classe operaia alle loro richieste. Al contrario, è anzitutto il primo dovere di tutti i lavoratori di una nazione oppressa condurre una lotta implacabile contro la propria borghesia nazionale, criticando apertamente le sue rivendicazioni demagogiche e opponendosi a tutti i tentativi di subordinare gli operai della nazione oppressa alla “loro” borghesia.

Nel Diritto delle nazioni all’autodeterminazione, scritto nel febbraio-maggio 1914, scrive: “La borghesia pone sempre in primo piano le sue rivendicazioni nazionali. Le pone incondizionatamente. Il proletariato le subordina agli interessi della lotta delle classi.”

Gli ebrei dovettero soffrire l’oppressione più terrificante nella Russia zarista. Gli operai ebrei erano doppiamente oppressi – come lavoratori e anche come ebrei. I bolscevichi sostenevano i pieni diritti per gli ebrei e combattevano con le armi in pugno contro chi organizzava i pogrom antisemiti. Eppure Lenin ha denunciato nel modo più categorico i tentativi del Bund ebraico di rivendicare uno status speciale all’interno del Partito operaio socialdemocratico russo. Ha negato il loro diritto di parlare esclusivamente a nome di lavoratori ebrei. Ha detto che accettare tali affermazioni sarebbe deviare dalle politiche proletarie e subordinare gli operai alla politica della borghesia. Gli esponenti del Bund furono scandalizzati e attaccarono Lenin per la sua presunta mancanza di sensibilità verso i problemi del popolo ebraico, ma Lenin si limitò a scrollare le spalle. I principi dell’unità di classe proletaria e dell’internazionalismo dovevano avere la precedenza sulla questione nazionale.

Facciamo un’analogia tra l’atteggiamento di Lenin verso l’oppressione nazionale e la questione delle “politiche identitarie” in generale e del femminismo in particolare. Le femministe borghesi e piccolo borghesi, come i nazionalisti borghesi, chiedono categoricamente che la questione di genere debba avere la precedenza su tutto il resto e che le donne della classe operaia debbano identificarsi prima di tutto con tutte le altre donne, tra cui, e soprattutto, le intellettuali borghesi e piccole borghesi “intelligenti” che dominano il movimento femminista.

Rispondiamo alle loro richieste insistenti come segue: mentre ci batteremo per i diritti delle donne, non siamo disposti a subordinare noi stessi alla guida di donne borghesi e piccolo-borghesi che stanno perseguendo i propri interessi con il pretesto di lottare per la causa di “tutte le donne”. Gli interessi delle donne della classe lavoratrice sono fondamentalmente uguali a quelli degli uomini della classe lavoratrice. Tutti sono oppressi e sfruttati dai banchieri e dai capitalisti, e non fa differenza se questi banchieri e capitalisti siano uomini o donne.

Le donne della classe lavoratrice sono oppresse non solo in quanto lavoratrici, ma anche in quanto donne, e si trovano a dover affrontare questioni specifiche che devono essere affrontate nelle nostre rivendicazioni programmatiche. Tuttavia, non possiamo fidarci degli elementi borghesi e piccolo borghesi nella lotta per le rivendicazioni delle donne della classe lavoratrice, poiché in ultima analisi i loro interessi non coincidono e sono reciprocamente antagonisti.

Nel caso della questione nazionale, l’antagonismo tra operai e contadini e la borghesia nazionale prendeva spesso la forma di una guerra civile. Qual era l’atteggiamento dei bolscevichi in questi casi? Prendiamo un esempio specifico dalla Rivoluzione russa. Il movimento nazionale in Finlandia è stato progressista o reazionario? I bolscevichi hanno concesso il diritto all’autodeterminazione alle nazionalità oppresse, compresi i finlandesi e i polacchi. Ma questa è solo metà della storia. In Finlandia ci fu una guerra civile tra i bolscevichi e i Bianchi, i quali combatterono sotto lo slogan dell’indipendenza finlandese.

Non vi è alcun dubbio che se i bolscevichi avessero potuto disporre di una forza militare sufficiente, sarebbero intervenuti in Finlandia per annientare i nazionalisti borghesi e sostenere i lavoratori, e la vittoria dei lavoratori finlandesi non avrebbe portato all’indipendenza, ma all’adesione della Finlandia alla Repubblica Sovietica.

Trotskij scrisse una volta che il nazionalismo degli oppressi può rappresentare il “guscio esterno di un bolscevismo immaturo”. Questa affermazione è del tutto corretta – in alcuni casi. Ma non è vero in qualsiasi caso. Il nazionalismo delle nazionalità oppresse potrebbe essere il guscio esterno di un bolscevismo immaturo; ma potrebbe ugualmente essere il guscio esterno di un fascismo nascente. Questo dipende da circostanze concrete.

Per esempio, se l’equilibrio di forze fosse stato diverso, il giusto diritto all’autodeterminazione finlandese sarebbe stato completamente subordinato agli interessi della rivoluzione proletaria internazionale. Sfortunatamente, la Repubblica Sovietica non si era ancora dotata dell’Armata Rossa e la Rivoluzione finlandese fu schiacciata dai Bianchi. In questo caso sarebbe assolutamente reazionario sostenere che il nazionalismo finlandese era il “guscio esterno di un bolscevismo immaturo”. E si potrebbero citare molti esempi simili.

Razzismo e politiche identitarie

Gli Stati Uniti sono un paese incredibilmente vario al proprio interno, in gran parte a causa di una storia lunga e brutale di guerre, conquiste e schiavitù. In un momento in cui il giovane capitalismo americano era sicuro di sé e del suo futuro e poteva assorbire infinite ondate di immigranti, ha inciso sulla Statua della Libertà: “Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi”. Ciò si è tramutato nel suo opposto. La decadenza senile del capitalismo americano trova un’espressione esplicita nella politica reazionaria, intollerante e xenofoba di Donald Trump. Le politiche “America first” implicano un tentativo di tornare alle vecchie politiche dell’isolazionismo in un momento in cui è impossibile per gli Stati Uniti liberarsi dal resto del mondo e quindi dalla crisi mondiale del capitalismo.

La demagogia reazionaria di Trump punta a confondere i lavoratori degli Stati Uniti incolpando immigrati e stranieri della disoccupazione e della povertà. C’è un’intensificazione del razzismo e uno stato d’animo di paura tra immigrati e non bianchi. Tra questi settori l’idea di “politiche identitarie” può trovare una certa simpatia. Questo è abbastanza comprensibile. Ma come qualsiasi altra cosa, un’idea corretta se portata all’estremo si trasforma nel suo opposto.

Negli Stati Uniti c’è una lunga storia di “identità” che precede le più recente “politiche identitarie”. Il concetto di identità nel senso di identificarsi come irlandese americano, italoamericano, ebreo americano e così via, era usato per far passare l’idea che i lavoratori irlandesi americani dovessero identificarsi con i padroni irlandesi americani, i lavoratori italoamericani con i padroni italoamericani, i lavoratori ebrei americani con padroni ebrei americani e, più recentemente, lavoratori neri e ispanici con i padroni neri e ispanici. Questo è stato usato in modo reazionario per dividere i lavoratori in base alle loro origini etniche e quindi indebolire la classe operaia nel suo insieme.

Nonostante ciò, per un giovane nero il desiderio di affermare la propria identità e sentirsi orgoglioso di ciò è una reazione comprensibile e giustificata dato il tipo di razzismo istituzionalizzato che per generazioni ha disprezzato le persone di colore, negando loro qualsiasi posto nella storia e cultura della terra dove sono nati. È lo stesso sentimento sviluppato da alcuni popoli indigeni dell’America Latina, che, stanchi dello sfruttamento e della sottomissione, si sentono orgogliosi di essere indigeni e desiderano difendere la propria lingua e cultura.

In modo simile, è ovvio che i marxisti devono opporsi attivamente a qualsiasi discriminazione e oppressione delle persone per il loro orientamento sessuale, etnia o identità di genere, lottando per abolire tutte le leggi reazionarie sul matrimonio e simili. Questo è parte integrante di una lotta più complessiva contro la destra e la classe dominante. I marxisti denunciano tutte le oppressioni e le ingiustizie che il capitalismo provoca, chiunque possa soffrirne. Tutti i flagelli del capitalismo, dall’oppressione delle donne, ai disastri ambientali, o l’oppressione delle piccole nazioni, ci riempiono di rabbia contro il sistema. Stiamo dietro lo slogan di “Un’offesa a uno è un’offesa a tutti”. Il marxismo è una teoria omnicomprensiva della lotta per la liberazione dell’umanità e pone la classe lavoratrice alla testa di quella lotta perché è la classe sociale oppressa più rivoluzionaria, che ha un ruolo speciale nella produzione e nella società, e perché è un prodotto diretto del sistema capitalista. Questo ruolo guida della classe operaia nella lotta contro ogni tipo di oppressione deriva anche dalle sue condizioni di vita e di lavoro che contengono, in forma embrionale, gli elementi futuri di una società socialista, che abolisce la divisione in classi sociali, l’oppressione di una nazione o di un popolo da parte di un’altra e, ovviamente, l’oppressione delle donne da parte degli uomini.

Questa solidarietà attiva è completamente incompatibile con la nozione di alleanza, che deriva dall’insistenza delle politiche identitarie rispetto al primato dell’esperienza soggettiva. Poiché si sostiene che solo coloro che hanno vissuto l’oppressione lo capiscono e sono in grado di combatterla, coloro che sono solidali con la condizione dei gruppi oppressi ed emarginati sono relegati a un ruolo secondario di sostenitori passivi.

Ma le cosiddette “politiche identitarie” sono in realtà dannose per la causa delle donne, dei neri americani, degli immigrati, degli indigeni e delle persone LGBT. Approfondiscono le divisioni razziali mentre fingono di unire tutti, regolano la libertà di parola e rendono impossibile un dibattito razionale. Politici demagoghi e piccolo-borghesi fanatici che urlano e accusano invece che discutere per tappare la bocca a chiunque osi mettere in discussione le loro posizioni “politicamente corrette”. Si genera un’atmosfera di isteria.

Queste persone ritengono che i problemi politici e sociali possano essere ridotti ai problemi dei gruppi oppressi. Sembrano pensare che la rivendicazione di una giustizia separata per colore – e genere – risolverà tutti i problemi. In realtà, i problemi delle minoranze oppresse riflettono le profonde contraddizioni del capitalismo, non ne sono la causa. In questo modo queste rivendicazioni distolgono l’attenzione dai problemi reali e seminano confusione e divisione senza fine. Queste persone accusano i marxisti di ignorare le lotte degli oppressi. Dicono che stiamo aspettando una rivoluzione che risolverà tutti i problemi e che non abbiamo risposte per il presente. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Proponiamo metodi di lotta di classe per combattere l’oppressione. Proponiamo tattiche di massa combattive contro ogni ingiustizia. Sono i fautori delle politiche identitarie riformiste che trafficano con quote e termini legali lasciando intatta la struttura del capitalismo. Seminano confusione e dividono le persone in gruppi sempre più piccoli, lasciandole impotenti a combattere contro la vera fonte di oppressione e sfruttamento. Noi spieghiamo semplicemente che i problemi degli oppressi riflettono le profonde contraddizioni della società di classe ed è utopico credere che questi problemi possano essere completamente risolti mentre rimane la schiavitù di classe. Solo l’unità più ampia di tutti i settori degli oppressi e degli sfruttati può combattere l’oppressione oggi e preparare la strada per rovesciare il sistema capitalista.

La politica della divisione

Non c’è assolutamente alcun dubbio che il razzismo sia una questione importante nella società capitalista. È sempre stato usato dalla classe dominante per dividere e indebolire la classe operaia, ponendo un gruppo sociale contro un altro per motivi di etnia, colore della pelle, lingua, ecc. La lotta contro il razzismo in tutte le sue forme è quindi una priorità per i marxisti che cercheranno sempre di raggiungere la massima unità della classe operaia nella sua lotta contro il Capitale.

In nessun paese capitalista avanzato la lotta al razzismo è così importante come negli Stati Uniti. L’emergere di Black Lives Matter è l’espressione del desiderio di milioni di neri di combattere contro la violenza, la discriminazione e il razzismo della polizia. Questo è del tutto progressista e deve essere appoggiato.

Tuttavia, la tendenza a “teorizzare” questo fenomeno ha portato a esagerazioni che possono avere risultati negativi, in particolare per la lotta dei neri americani per i loro giusti diritti. I marxisti combattono contro il razzismo e la violenza della polizia, ma non abbiamo alcun obbligo di accettare un’ideologia unilaterale e sbagliata che non fa nulla per aiutare questa lotta e tutto per ostacolarla e indebolirla.

Indubbiamente, esistono numerose forme di oppressione oltre allo sfruttamento di classe, come il razzismo, il sessismo, l’omofobia, la transfobia e così via. Come marxisti le riconosciamo e combattiamo contro tutte le forme di oppressione. Il problema dell’intersezionalità è che enfatizza ciò che ci divide rispetto a ciò che ci unisce, concentrandosi sulle infinite combinazioni di diverse forme di oppressione e il cosiddetto “privilegio” che ogni persona può sperimentare e sostenendo perciò che tutti noi abbiamo interessi in conflitto fra di loro. Ciò contrappone diversi gruppi oppressi e settori della classe operaia l’uno contro l’altro, invece di promuovere il tipo di lotta di classe collettiva e militante che è necessaria per combattere l’oppressione e porre fine allo sfruttamento di classe.

Secondo la prominente femminista intersezionalista Patricia Hill Collins, “tutti i gruppi hanno gradi diversi di penalità e privilegi” e “a seconda del contesto, un individuo può essere un oppressore, un membro di un gruppo oppresso, o allo stesso tempo oppressore e oppresso”.

Utilizza l’esempio di donne bianche penalizzate dal loro genere ma privilegiate dalla loro razza. Il problema con questo punto di vista è che suggerisce che se una persona non sperimenta una determinata forma di oppressione, allora è un oppressore che ha interesse a mantenere quella forma di oppressione sugli altri. Questo focalizzarsi sull’individuo come autore principale dell’oppressione serve solo a atomizzare ulteriormente le lotte degli oppressi. Inoltre, nessun settore della classe operaia ha alcun interesse nel mantenere l’oppressione di un altro. Precisamente il contrario.

Invece di unire tutti i popoli oppressi in una lotta comune contro il capitalismo e lo stato borghese, gli “intersezionalisti” vogliono scomporre la lotta nelle sue componenti più piccole: contrapponendo donne nere a uomini neri, donne disabili nere contro donne nere abili ecc. Scomponendo e separando le cose in questo modo stanno dividendo il movimento, distogliendo l’attenzione dai problemi principali e mettendo i diversi gruppi di oppressi l’uno contro l’altro.

Quindi ogni segmento separato è invitato ad affermare i nostri diritti contro i vostri diritti. Il movimento viene quindi suddiviso in parti sempre più piccole. Nel frattempo, i veri oppressori, i banchieri e capitalisti, i padroni dei giornali e i capi della polizia, i reazionari e i razzisti, si fregano le mani e osservano compiaciuti il movimento consumare le proprie energie in una miriade di litigi e conflitti insensati.

Ciò conduce ad attacchi di alcuni attivisti contro altri attivisti per il loro presunto posizionamento in una “gerarchia del privilegio”. Quindi, viene detto che gli uomini di colore siano “privilegiati” rispetto alle donne nere, e così via. La lista è infinita e il risultato inevitabile è l’atomizzazione del movimento in mille frammenti. Invece di lottare contro il nemico comune, ogni settore degli oppressi è incoraggiato a concentrarsi sulla propria forma di oppressione e andare contro ogni altro settore degli oppressi.

Piuttosto che nella lotta di massa, piccoli gruppi di attivisti si impegnano nelle loro battaglie isolate su questioni particolari. Ma le cose non finiscono qui. Portato alla propria logica conclusione, nessuna organizzazione è possibile poiché inevitabilmente ogni individuo è unico e ha una propria esperienza unica del capitalismo. Parlare di “alleanze” e riunirsi è solo una copertura per oscurare l’approccio divisivo che sostengono.

Un esempio degli estremi assurdi a cui queste idee conducono è il recente furore sulla transfobia da parte delle femministe radicali, come Julie Bindel, Germaine Greer e altre che hanno fatto una serie di commenti provocatori sulle donne transgender, accusandole fondamentalmente di “non essere vere donne”. Questa è un’espressione dell’ossessione delle politiche identitarie che richiedono una definizione della categoria di appartenenza di ciascuno. Inoltre, invece di porre in discussione in maniera politica le idee con le quali non sono d’accordo, entrambe le parti rispondono con boicottaggi, divieti di parola, proteste e atti di teppismo che interrompono le assemblee e impediscono il dibattito.

Se è vero che ogni segmento di persone oppresse sperimenta l’oppressione in un modo diverso, si può sostenere con uguale validità che ogni individuo separato sperimenta le cose in modo diverso, e quindi nessun’altra persona può capire i miei problemi, che sono di mia proprietà personale. Questo argomento ci fa ritornare di nuovo al pantano filosofico dell’idealismo soggettivo che Lenin ha demolito in modo esaustivo in Materialismo ed empiriocriticismo. L’idealismo soggettivo inerente all’intersezionalità è svelato nella sua forma più cruda nel seguente passaggio di Patricia Hill Collins: “La matrice omnicomprensiva della dominazione alberga in molteplici gruppi, ognuno con esperienze diverse con limiti e privilegi che producono corrispondenti prospettive parziali… Nessun gruppo ha un chiaro angolo di visione. Nessuno gruppo possiede la teoria o metodologia che permette di scoprire la ‘verità’ assoluta”.

Il punto di vista di classe abbandonato

In uno qualsiasi degli articoli e discorsi dei sostenitori dell’“intersezionalità”, raramente viene menzionata la classe, tanto meno la classe operaia.

In quei rari momenti in cui si menziona la classe, non se ne parla in un modo marxista, ma come una forma di discriminazione (“classismo”) – solo uno delle tante e niente affatto la più importante. La classe operaia non è più il produttore di tutta la ricchezza, sfruttata nel processo produttivo, ma solo un’altra categoria di persone che sono “discriminate”: ancora un altro triste caso di ex-stalinisti che hanno completamente abbandonato il punto di vista del comunismo e della rivoluzione socialista.

Piuttosto che trovare la radice dell’oppressione nella società divisa in classi e, all’interno del capitalismo, nel dominio economico dei banchieri e dei capitalisti, gli “intersezionalisti” cercano di trovarlo nel comportamento sociale delle persone e del linguaggio che usano. Secondo loro, l’oppressione della donna oggi non è il risultato della schiavitù capitalista, ma è il risultato dell’uso di un linguaggio discriminatorio o di strutture discriminatorie nelle organizzazioni.

Nei paesi ex – coloniali, in seguito alla bancarotta ideologica dello stalinismo, diversi gruppi o tendenze cercarono, dopo il trionfo delle rivoluzioni cinese e cubana, una forma nuova, più originale, al di fuori dell’“ortodossia marxista”, una nuova filosofia della liberazione. Questa presunta filosofia sostiene che la chiave per la liberazione dei paesi ex-coloniali è di abolire il pensiero e il linguaggio eurocentrici, e questo porterà a una decolonizzazione epistemologica e del pensiero. Questa sarà la base per comprendere la storia di questi paesi in un modo “originale” e così inizieranno la loro liberazione. Questo pensiero riformista e reazionario ci invita, non a combattere contro la borghesia e le sue forme brutali di sfruttamento, ma a trovare, in termini epistemologici, nuove strade da percorrere.

Da questo punto di vista, ciò che è necessario non è una rivoluzione finalizzata alla ricostruzione radicale della società dalle fondamenta, ma la riforma e un cambiamento nella mentalità e comportamento delle persone. L’obiettivo non è quello di cambiare la società, ma di lottare per l’auto realizzazione in astratto – non importa il fatto che finché esisterà il capitalismo, esisteranno anche lo sfruttamento e l’oppressione.

Il partito rivoluzionario è uno strumento per la classe operaia allo scopo di prendere il potere e trasformare la società. Non è una copia in miniatura della nuova società, ma il catalizzatore per crearla. Va da sé che combattiamo ogni espressione di oppressione nelle nostre fila e nella nostra attività politica. Tuttavia, gli intersezionalisti immaginano di poter costruire una organizzazione pura che sia epurata dal comportamento discriminatorio, capace di creare una società libera dalla discriminazione. Non capiscono che qualsiasi organizzazione sarà posta sotto pressione dalla società in cui è costruita. Ad esempio, l’oppressione delle donne sotto il capitalismo rende improbabile che avremo la stessa rappresentanza di uomini e donne nella maggior parte delle organizzazioni finché esiste il capitalismo. Dobbiamo rimuovere tutte le barriere per la partecipazione delle donne e degli altri gruppi oppressi, ma non possiamo rimuovere le pressioni della società di classe, finché la società di classe stessa esiste. Gli inters zionalisti finiscono per concentrare tutte le loro energie nella costruzione di questo prototipo utopico della società futura entro i confini del vecchio, invece di costruire l’organizzazione che può effettivamente porre fine a questa società e al suo comportamento discriminatorio. Questa concezione idealista è una completa negazione della concezione materialista e dialettica della società. La concezione idealista trova la sua strada anche nei tipi di “riforme” che alcune parti di questo movimento propongono: “linguaggio di genere neutro”, “educazione sessuale neutra ai bambini”, ecc. In tal modo gli “intersezionalisti” immaginano che in qualche modo la radice dell’oppressione si trova nelle idee sbagliate che possono semplicemente essere “eliminate con l’educazione”, una concezione completamente riformista e utopica.

“Diverse scuole di femminismo”?
Negli ultimi anni abbiamo assistito a movimenti di massa contro l’oppressione e la discriminazione in diversi paesi. Dal movimento iniziale di Black Lives Matter contro le uccisioni di giovani neri da parte della polizia, al referendum sul matrimonio omosessuale in Irlanda, al movimento in difesa del diritto d’aborto in Polonia e al movimento contro la violenza sulle donne in Argentina, in Messico e altri paesi. Questi movimenti riflettono un sentimento progressista al quale dobbiamo collegarci e contengono un elemento di messa in discussione del sistema nel suo complesso.

In Spagna lo sciopero dell’8 marzo e il movimento contro la banda di stupratori de “La Manada” (branco), che ha coinvolto centinaia di migliaia e persino milioni di persone, hanno avuto luogo sotto le insegne del femminismo. Agli occhi delle masse la parola ha acquisito il significato di “lotta per l’uguaglianza delle donne”.

Tuttavia, le dirigenti delle organizzazioni che hanno convocato lo sciopero femminista dell’8 marzo sono femministe nel senso che aderiscono alla teoria femminista. Sostengono che la lotta per la liberazione delle donne deve essere “trasversale” (cioè trasversale alle posizioni di classe e politiche), che gli uomini possono essere, nel caso migliore, “alleati” e non dovrebbero aver partecipato allo sciopero, ma il loro ruolo avrebbe dovuto essere quello di sostituire al lavoro le donne che scioperavano, e promuovono inoltre l’idea che lo sfruttamento delle donne sotto il capitalismo avvenga nella riproduzione del lavoro e che quindi dovremmo lottare per “un salario per il lavoro domestico”. Poiché il movimento è diventato un movimento di massa, la maggior parte dei partecipanti non è a conoscenza dell’esistenza di molte di queste idee.

In queste condizioni alcuni compagni hanno sollevato l’idea che dovremmo adottare la parola “femminista” e descriverci come tali. Non pensiamo che questo sia corretto né necessario. Naturalmente sarebbe un grave errore politico iniziare i nostri argomenti per iscritto e nel nostro intervento con una polemica sul significato della parola “femminismo”. Quello che dobbiamo fare, come in ogni intervento in un movimento di massa, è usare i suoi aspetti più progressivi e rivoluzionari e proporre in modo positivo il nostro programma e la nostra strategia. Dobbiamo discutere, in modo amichevole, contro le idee sbagliate e controproducenti proposte dalle dirigenti del movimento, mentre ci colleghiamo allo spirito rivoluzionario che ispira la sua base. Questo è ciò che abbiamo fatto finora, in luoghi come il Messico, in Italia (dove c’è stato un movimento di massa intorno all’8 marzo del 2017) e in Spagna. Il fatto che non ci definiamo “femministi” non è stato un ostacolo per il nostro intervento.

Molti ragazzi e ragazze si definiscono femministi senza esserlo in realtà da un punto di vista marxista. Stanno cominciando ad acquisire una consapevolezza della disuguaglianza nella società e ciò che intendono quando si definiscono femministi è che sono contro l’oppressione delle donne e vogliono una società equa. Questo può essere un punto di partenza per conquistarli alle idee del marxismo rivoluzionario.

Le femministe spesso danno la colpa al “patriarcato” per la maggior parte dei problemi della società. È vero che la schiavitù delle donne è la più antica forma di schiavitù, sorta con il dominio di classe e che esiste da migliaia di anni. Solo una riedificazione fondamentale della società può porre fine a questa schiavitù abominevole una volta per tutte. Ma un cambiamento così decisivo può essere causato solo dall’azione rivoluzionaria della classe operaia unita. Ciò presuppone l’unità nell’azione degli uomini e delle donne della classe operaia che lottano per la loro emancipazione come classe. Le femministe tendono a vedere il patriarcato come una struttura separata da quella della società di classe, che porta all’inevitabile conclusione che la lotta per l’emancipazione delle donne è separata da quella di emancipare la classe operaia. Questa è un’idea reazionaria e divisiva, che è anche presente, sebbene in una forma diluita, tra molte fra coloro che si definiscono marxiste femministe e socialiste femministe.

La piena emancipazione della donna può essere raggiunta solo attraverso una rivoluzione sociale, che abolirà lo sfruttamento su cui si basa l’oppressione delle donne. Significa che ignoriamo la lotta, ad esempio, per il miglioramento della condizione delle donne sotto il capitalismo? Ovviamente no! Lottiamo anche contro la più piccola manifestazione di discriminazione e di oppressione delle donne. Questa è la condizione preliminare per raggiungere l’unità militante di tutti i lavoratori.

Talvolta si sostiene che esistono diverse scuole di pensiero femministe, ed è indubbiamente vero. É anche vero che esistono molti diversi tipi di anarchismo, e alcuni sono più vicini al marxismo di altri. Ma ciò non toglie il fatto che esista una chiara linea di demarcazione tra l’autentico marxismo e l’anarchismo.

Sebbene ci siano diversi tipi di anarchismo, hanno tutti lo stesso tipo di preconcetti, in un modo o nell’altro. Il modo per conquistare quegli anarchici che sono più vicini al comunismo non è fingere che queste differenze non esistano, o dire agli anarchici: “Vedi! In realtà stiamo tutti lottando per la stessa cosa!” Al contrario, il modo di risolvere la confusione in un anarchico onesto è di spiegare la differenza tra le idee confuse e non scientifiche dell’anarchismo e le idee chiare e scientifiche del marxismo rivoluzionario.

All’epoca della rivoluzione russa alcuni si descrivevano come “anarchici comunisti”. Come risultato dell’esperienza della Rivoluzione, i migliori elementi proletari tra gli anarchici si avvicinarono al bolscevismo e combatterono fianco a fianco con i bolscevichi nella rivoluzione e nella guerra civile. Molti di loro aderirono al Partito Comunista. La tendenza dell’“anarco-comunismo” rappresentava una sorta di via di mezzo o di transizione nel movimento verso il comunismo.

Allo stesso modo, può darsi che alcuni tipi di femminismo siano più progressisti di altri. I marxisti devono combattere con ogni mezzo a loro disposizione per la completa emancipazione della donna. Ci si potrebbe chiedere: cos’è il femminismo? Questa è una domanda alla quale è impossibile rispondere in modo definito. È un termine usato sia dai conservatori sia dai liberali, dai progressisti e dagli attivisti di sinistra. È utilizzato per difendere l’invasione dell’Afghanistan, per proteggere i diritti delle donne, e allo stesso tempo è usato anche da coloro che vogliono lottare per l’uguaglianza e la liberazione del genere umano.  Infatti anche in Spagna, il partito di destra al governo ha sfoggiato i fiocchi color viola delle femministe l’8 marzo per dimostrare che “anche loro erano femministi”! Il dizionario di Oxford lo definisce come: “La difesa dei diritti delle donne sulla base dell’uguaglianza dei sessi”. Questa definizione mostra il problema centrale del termine: che non dice assolutamente nulla da un punto di vista di classe.

Il femminismo potrebbe essere meglio definito per quello che non è: non dà alcuna risposta su come sia sorta l’oppressione e quindi su come possa essere combattuta e rimossa. Tutti i diversi tipi di femminismo hanno la loro risposta, se ne hanno una. Il femminismo implica che in qualche modo è possibile rimuovere l’oppressione delle donne prima di rimuovere la causa alla radice di questa oppressione: il capitalismo e la società di classe in generale. Invece di chiarirle, rende indistinguibili le linee di classe. Tutti i diversi tipi di femminismo guardano solo i sintomi e non le cause alla radice. Come marxisti dobbiamo definire le cose per quello che sono. Abbiamo bisogno di una linea di demarcazione chiara rispetto al femminismo. Questo non perché non lottiamo per “i diritti delle donne sulla base dell’uguaglianza dei sessi”, cosa che naturalmente facciamo, ma perché anche il “tipo migliore” di femminismo crea solo confusione e un falso senso di unità oltre alle linee di demarcazione di classe.

Sebbene non possiamo dichiararci femministi, non dobbiamo dare l’impressione di essere in alcun modo indifferenti al profondo senso di indignazione provato dalla massa delle donne della classe operaia che soffrono sia per la loro condizione di lavoratrici che per quella di donne sotto il capitalismo. Né dovremmo dare credito alla falsa idea che i marxisti subordinino la lotta per la liberazione delle donne a un futuro socialista lontano. Sotto la bandiera del femminismo, nonostante tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti, una nuova generazione di donne si sta mobilitando nella lotta contro lo stato attuale delle cose. Partendo da questa situazione concreta e riconoscendo il suo potenziale rivoluzionario, dobbiamo trovare il modo di collegare l’oppressione delle donne di antica data con le condizioni concrete dell’era della decadenza capitalista.

In maniera simile quando lavoriamo come rivoluzionari nei sindacati partecipiamo alle lotte quotidiane dei colleghi di lavoro, mentre rivendichiamo anche un sindacalismo combattivo e politiche socialiste. Allo stesso modo dobbiamo partecipare a ogni movimento di massa delle donne, sforzandoci di conferire ad esso il carattere più militante e collegando le rivendicazioni immediate alla necessità di un cambiamento fondamentale nella società. È nostro dovere creare un ponte tra le aspirazioni democratiche delle donne e la loro lotta per l’uguaglianza con l’idea di una lotta comune di tutti i lavoratori contro un sistema oppressivo, sottolineando la necessità dell’unità per rovesciare definitivamente il capitalismo, che cerca sempre dividere la classe oppressa per perpetuare il suo dominio.

Dicendo di essere una “marxista femminista ” si finisce per implicare che il marxismo non include la lotta per l’uguaglianza. È vero che lo stalinismo non lo fa. Ma proprio come combattiamo una battaglia contro lo stalinismo per recuperare l’eredità marxista, dobbiamo farlo anche in questo campo. Noi sosteniamo che lo stalinismo non è il marxismo, e il regime burocratico stalinista non era socialismo, e allo stesso modo dobbiamo sostenere che la visione stalinista sulla questione femminile, sull’omosessualità, ecc. non ha nulla in comune con il marxismo.

Per definizione, la categoria “donne” include donne di tutte le classi – classi che hanno interessi inconciliabili. Se si confondono queste distinzioni e contraddizioni di classe decisive, il femminismo non può riconciliarsi con il marxismo, che si basa su un’analisi di classe. Se vogliamo conquistare le femministe che si stanno avvicinando al marxismo, questo può essere fatto solo restando assolutamente fermi sui nostri principi. Dobbiamo sottolineare ripetutamente che la piena emancipazione delle donne può essere raggiunta solo attraverso l’unità di classe e la rivoluzione socialista. C’è chi si definisce femminista perché difende i diritti delle donne. I marxisti difendono anche i diritti delle donne, anche se non siamo femministi. In ogni caso, dobbiamo spiegare in modo amichevole che non ci opponiamo alla loro lotta, al contrario, siamo a favore dei diritti delle donne, ma pensiamo che possano essere conquistati attraverso la lotta contro il capitalismo, non attraverso la divisione. Allo stesso tempo, dobbiamo essere in prima linea in ogni lotta contro la discriminazione e la disuguaglianza, lottando anche per le più piccole rivendicazioni che tendono a far avanzare la causa dell’uguaglianza e si oppongono a qualsiasi forma di oppressione o discriminazione, come:
a. Occupazione per tutti. A uguale lavoro uguale salario.

b. Stop all’austerità (che colpisce in modo sproporzionato le donne, tagliando i loro salari e costringendole a fare una quota maggiore di lavoro domestico, occupandosi del lavoro di cura dei giovani e degli anziani per compensare la mancanza di servizi sociali).

c. Diritto all’aborto.

d. Assistenza sanitaria gratuita e di qualità per tutti, includendo l’accesso illimitato a centri di pianificazione familiare, aborto e violenza domestica gratuiti.

e. Congedo parentale interamente retribuito.

f. Programma massiccio di edilizia sociale.

g. Un’ampia rete di asili nido gratuiti e di alta qualità, che coprano l’orario di lavoro effettivo.

h. Assistenza agli anziani gratuita e di alta qualità, sia in strutture residenziali che non residenziali.

i. La fornitura di servizi di ristorazione e lavanderia gratuiti.

j. Mense gratuite di alta qualità al lavoro e nelle scuole.

k. Opposizione e lotta contro la violenza contro le donne.

Tuttavia, la condizione preliminare per una lotta efficace sul posto di lavoro è l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici come lavoratori. La linea fondamentale di demarcazione è che il marxismo spiega la società in termini di classe, non in termini di genere. La divisione fondamentale nella società è quella tra lavoratori e capitalisti, sfruttati e sfruttatori. Che ci siano altri tipi di oppressione è sicuramente vero. Ma in ultima analisi, nessuno di questi ultimi può essere risolto sulla base del capitalismo.

Come su ogni altra questione (salari, pensioni, alloggio, salute, condizioni di lavoro), la lotta quotidiana per i miglioramenti sotto il capitalismo è l’unico modo per mobilitare e organizzare la classe lavoratrice in preparazione al rovesciamento del capitalismo, in cui le donne lavoratrici svolgeranno un ruolo assolutamente vitale.

Naturalmente siamo lieti del fatto che ci siano femministe che hanno iniziato a comprendere i limiti del femminismo. Ma questo sviluppo positivo può avere un significato solo come una fase di transizione che porti alla fine all’adozione di un punto di vista di classe coerentemente rivoluzionario. La completa emancipazione della donna sarà raggiunta attraverso il trionfo della rivoluzione socialista, o non sarà raggiunta affatto.

“Radicalismo terminologico”

Al posto di una vera lotta per l’uguaglianza ci vengono offerte quote artificiali. Al posto della lotta per l’emancipazione attraverso una ricostruzione rivoluzionaria della società, ci viene offerto il “politicamente corretto”. Questo si riduce a sofismi meschini e interminabili su parole e semantica: l’impossibilità di usare questa o quella parola, la necessità di adottare un “linguaggio basato sul genere” e così via.

Nel vero spirito della “narrativa” postmodernista che sostituisce la Parola per il Fatto, un tempo infinito viene sprecato, in alcuni paesi dove le persone che si descrivono come di “Sinistra” e persino “marxiste”, compiono acrobazie verbali per distorcere il linguaggio, cancellando il genere maschile e femminile e arrivando a mutazioni come “compañer@s” in spagnolo, “compagn*” in italiano, e così via. Questa maniera di giocare con le parole non fa assolutamente nulla per far progredire la lotta per l’emancipazione delle donne, dei neri o di chiunque altro. È un cambiamento simbolico del tipo più crudele e ridicolo.

Ne L’Ideologia tedesca Marx ed Engels hanno già affrontato l’idea secondo la quale è cambiando la coscienza delle persone che si possono cambiare le condizioni materiali e che per fare una rivoluzione bisogna prima “educare” le persone:

“Tanto per la produzione in massa di questa coscienza comunista quanto per il successo della causa stessa è necessaria una trasformazione in massa degli uomini, che può avvenire soltanto in un movimento pratico, in una rivoluzione; questa rivoluzione quindi non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la società”.

L’ossessione postmodernista per il linguaggio capovolge l’intera questione. Cambiare il linguaggio non cambierà di una virgola la realtà dell’oppressione. Pensare che ciò possa succedere rivela un approccio completamente idealistico. Il linguaggio cambia e si evolve, riflettendo i cambiamenti nel mondo reale, mentre il contrario è palesemente falso.

Le controversie sulla terminologia sono una tendenza tipica dei seminari universitari in cui le persone hanno tutto il tempo del mondo da dedicare a discussioni infinite su niente in particolare, come un cane che si morde la coda. Il poeta tedesco Goethe scrisse: “All’inizio era l’Atto”. Ciò che è necessario per realizzare l’emancipazione delle donne è l’azione per combattere l’oppressione e la discriminazione. Ma la condizione preliminare per una azione di massa efficace è precisamente l’unità militante delle donne e degli uomini della classe operaia contro i padroni il cui dominio si basa sulla schiavitù comune di tutti i lavoratori.

Sembra che il piccolo borghese “radicale” debba sempre avere qualcosa su cui montare una discussione, come la cosiddetta teoria Queer. Non è questa la sede per analizzare questa teoria in dettaglio. Può essere fatto in documenti e articoli separati. Basti dire che questo è un concetto reazionario radicato nell’idealismo filosofico nella sua forma più cruda. Semina divisioni che minano la lotta contro l’oppressione e inevitabilmente fa il gioco della reazione, indipendentemente dalle intenzioni di coloro che sposano queste idee.

Il marxismo si basa sul materialismo filosofico – l’unico metodo veramente scientifico per analizzare la natura, la società e il comportamento umano. Che piaccia o no, il sesso nel mondo animale (compreso l’animale umano) è un normale metodo di riproduzione. La riproduzione asessuata esiste nel mondo animale, ad esempio nei lombrichi e alcuni pesci. Ma scompare con lo sviluppo dell’evoluzione ed è totalmente assente tra i mammiferi.
Il sesso non è qualcosa che le persone hanno consapevolmente determinato o inventato. È stato un prodotto dell’evoluzione. L’idea che il sesso può essere determinato artificialmente dalla volontà umana è sia arbitrario che falso dal punto di vista filosofico e scientifico.

La divisione sessuale fondamentale è tra maschio e femmina. Questa è determinata naturalmente dal processo riproduttivo. Ciò a sua volta porta in sé il germe della divisione del lavoro, che a un certo punto diventa la base della divisione di classe nella società. La sottomissione delle donne agli uomini, espressa in relazioni familiari patriarcali, coincide con l’inizio della società di classe, e potrà solo essere sradicata alla fine dopo l’abolizione della società di classe stessa.
I marxisti lottano per la vera emancipazione delle donne e di tutti gli altri settori oppressi della società. Ma l’emancipazione non può essere raggiunta semplicemente immaginando che non esista una cosa come il genere. Una persona si può immaginare di essere qualunque cosa più gli aggrada, ma alla fine, è costretta ad accettare la realtà materiale rispetto alle elucubrazioni mentali dell’idealismo filosofico.

Tra le innumerevoli varianti strane e meravigliose della teoria queer (non dovremmo davvero nobilitarla al livello di teoria) sembra che vi sia un filo comune: in primo luogo, essa presenta il  genere (e anche il sesso) come un costrutto puramente sociale, negando tutti gli aspetti biologici e  materiali. Il passo successivo è quello di creare nella fantasia una varietà quasi infinita di generi, da cui ognuno è libero di scegliere il proprio.

Non neghiamo il fatto che, oltre a maschio e femmina ci sono altre forme intermedie, che sono note da molto tempo. Nell’America precolombiana, queste persone erano considerate come un gruppo sociale speciale e trattate con rispetto.

La scienza moderna permette alle persone di cambiare il loro sesso e ciò dovrebbe essere a disposizione di chiunque lo richieda. Va da sé che siamo totalmente contrari a qualsiasi forma di discriminazione e di intolleranza verso le persone transgender. Né abbiamo alcuna obiezione a che chiunque si indentifichi come più gli aggradi. Tuttavia, se ciò viene presentato come un mezzo per cambiare la società, si finisce con l’idea (molto conveniente per la classe dominante) che l’emancipazione è puramente una questione di scelta personale rispetto a uno stile di vita.

Vediamo gli effetti negativi di questo genere di cose nelle scissioni violente e nelle faide dure tra alcune femministe radicali e alcuni attivisti per i diritti dei trans. Tali sviluppi non si può certo dire che vadano al servizio della lotta contro l’oppressione, in ogni senso, forma o contenuto. Sono profondamente reazionari e devono essere combattuti.

L’“identità” nel movimento operaio
I marxisti lottano per l’emancipazione della donna e difenderanno ogni misura progressista, non importa quanto parziale, che tenda a migliorare lo status delle donne anche all’interno dei limiti dell’attuale sistema capitalista. Ma condurremo questa lotta con i nostri metodi, vale a dire con i metodi della lotta di classe proletaria.

Sottolineiamo che in ultima analisi l’emancipazione reale e piena della donna può essere raggiunta solo sulla base di una trasformazione da cima a fondo della società, vale a dire, attraverso una rivoluzione socialista. Ma la condizione preliminare per questo è che la classe lavoratrice deve essere unita e consapevole dei suoi compiti rivoluzionari.

I marxisti sono contrari e lottano contro ogni tipo di oppressione o discriminazione. Ma nell’opposizione e nella lotta contro l’oppressione e la discriminazione, non dobbiamo mai dimenticare che il nostro obiettivo principale è lottare per il socialismo, e ciò significa soprattutto difendere l’unità della classe operaia. Difendiamo l’unità totale della classe operaia, al di là delle distinzioni di genere, etnia, lingua o religione. Qualunque cosa serva a preservare l’unità degli operai e ad elevare la loro coscienza di classe è progressiva. Qualunque cosa tenda a dividere i lavoratori, per qualsiasi ragione, è reazionaria e deve essere combattuta. Questo è un punto su cui dobbiamo insistere. L’oppressione delle donne – e la particolare oppressione delle donne della classe lavoratrice – così come altri flagelli del capitalismo, come la distruzione dell’ambiente o l’oppressione nazionale, sono parte integrante del capitalismo. Non si può avere il capitalismo senza la schiavitù domestica o il “doppio fardello” affrontato dalle donne della classe lavoratrice; Non si può avere il capitalismo senza la devastazione del pianeta a causa della sete di profitto delle grandi multinazionali; e non si può avere il capitalismo senza la schiavitù delle piccole nazioni da parte delle potenze imperialiste che saccheggiano le loro risorse e si assicurano l’egemonia su altre potenze. Quindi, l’unico vero modo per porre fine a tutti questi flagelli è attraverso la trasformazione socialista della società, guidata dalla classe operaia.

La burocrazia del movimento sindacale ha imparato a contrapporre gruppi diversi di lavoratori l’uno all’altro, promettendo differenze retributive tra i diversi settori della classe operaia. I dirigenti sindacali, in cerca di una vita facile e di un compromesso con i padroni, svendono determinati gruppi di lavoratori in cambio di concessioni per gli altri. In un numero di paesi sempre maggiore, la “discriminazione positiva” viene sistematicamente utilizzata dalla burocrazia per occupare posizioni di primo piano nel movimento operaio con elementi di tipo carrierista che usano il loro genere o etnia per promuoversi, aiutati e favoriti dalla burocrazia di destra, isolando i candidati di sinistra.

I burocrati sono ben lieti di istituire “posti riservati” per donne, neri, ecc., per le proprie ragioni. La burocrazia sindacale in particolare utilizza questo dispositivo per diluire la composizione degli organismi eletti. Si appoggiano a gruppi di burocrati carrieristi che rappresentano presunte “categorie speciali”, che quindi compiono la propria scalata grazie a tale patrocinio. E questi ultimi sono felici di appoggiare la direzione finché godranno di un’autonomia per rilanciare i loro “problemi”. Piuttosto che dare “rappresentazione” a queste “categorie speciali”, ciò che si ottiene è una leadership ancora meno rappresentativa, non eletta sulla base delle effettive posizioni politiche, ma semplicemente per soddisfare le quote, e così via.

L’insistenza sul genere o sull’etnia come questione principale tende a dividere le persone, non sulla base della classe ma di altre considerazioni. Le conseguenze di ciò sono estremamente negative per la classe lavoratrice. Non è un caso che i dirigenti sindacali di destra, i riformisti e in particolare i riformisti di sinistra, usino il “politicamente corretto” e “le politiche identitarie” per distogliere l’attenzione dalla lotta di classe e dai problemi reali della classe lavoratrice. Si concentrano su questioni terminologiche piuttosto che combattere l’oppressione per mezzo della lotta di classe militante.

Queste idee perniciose sono armi nelle mani dei settori più reazionari della burocrazia sindacale, il cui ruolo principale è quello di controllare la classe operaia e limitare la portata e l’efficacia della lotta di classe. All’armamentario tradizionale dei metodi polizieschi della burocrazia, alla minaccia di misure disciplinari, all’isolamento di delegati sindacali combattivi, alle espulsioni, ecc., si aggiunge ora un nuovo metodo: intimidazione e cacce alle streghe da parte dei fanatici delle “politiche identitarie”.

In un congresso sindacale in Gran Bretagna, i fautori delle politiche “identitarie” hanno proposto una risoluzione che affermava che il sindacato doveva accettare automaticamente come vera qualsiasi accusa di molestia fatta da una donna contro un uomo, senza ulteriori prove oltre alla parola della donna interessata. Un delegato di sesso maschile ha contestato questo in questo modo: “Sono un delegato. Immaginate di avere un capo del personale donna che vuole liberarsi di me. Sarebbe un compito molto facile: mi accuserebbe di molestie, sarei licenziato immediatamente e il sindacato non potrebbe difendermi”. In quell’occasione, la mozione fu sconfitta. Ma il pericolo di tali politiche è evidente.

La ragione per cui non vengono messe seriamente in discussione non è perché prevalgano nella discussione, ma perché la gente ha paura di essere vittima di bullismo da parte dei fautori delle “politiche identitarie”. Chiunque osi opporsi ai loro intrighi viene immediatamente etichettato come un razzista, un misogino o qualsiasi altro epiteto colorato che venga loro in mente. Ciò ha portato a una condotta da hooligan e a campagne maligne di calunnie dirette contro sindacalisti di sinistra che sono stati oggetto di una caccia alle streghe tramite accuse inventate. Le proteste vengono immediatamente soffocate dalle urla e dalle strilla dei fautori delle politiche “identitarie” che non esitano a riversare gli insulti e le ingiurie più scandalosi contro gli avversari.

Il principio delle quote è in realtà il tipo più sfacciato di manovra. Molti riformisti di destra sono stati eletti con la motivazione che lui o lei rappresentavano questo o quel gruppo minoritario. Ma tutti tacciono su questo per paura di essere messi alla berlina, con la scusa di una presunta lotta alla discriminazione.

In Gran Bretagna, Tony Blair non vedeva l’ora di utilizzare delle liste di sole donne per scegliere parlamentari in carriera e schiacciare la sinistra. Ironia della sorte, è stata la “sinistra” modaiola che all’inizio ha propagandato queste idee come parte del proprio programma di discriminazione positiva. Ha quindi fatto direttamente il gioco della destra del partito. La destra del partito laburista ha usato la questione nazionale per minare Jeremy Corbyn, proponendo due posti in più nell’esecutivo del partito, uno dal Galles e un altro dalla Scozia, sostenendo che le “nazioni” dovevano essere rappresentate. Per una strana coincidenza, entrambi i partiti laburisti in Scozia e in Galles erano controllati dalla destra.

I riformisti di sinistra, sempre pronti a farsi vedere e a presentarsi come i più femministi, sono coloro che insistono con più forza su questo. Insistono sulle quote e su condizioni speciali per donne e altri. Podemos, Momentum e altri si spingono molto in là su queste questioni rispetto al movimento operaio tradizionale, riflettendo l’influenza piccolo borghese su queste organizzazioni. Una delle conseguenze reazionarie delle quote è che approfondiscono la divisione e la competizione all’interno della classe operaia. Nell’attuale periodo di crisi acuta del capitalismo, con i tagli e l’austerità attuati da tutti i governi, tutta una serie di idee reazionarie possono captare l’interesse di alcuni settori arretrati della classe operaia, che possono trarre la conclusione reazionaria che i nostri problemi non derivano dal capitalismo in quanto tale, ma dalla presenza di minoranze nazionali e di immigrati, dalle donne che rivendicano i propri diritti, ecc. Questa è la base della propaganda dei movimenti di destra più reazionari e fascisti: non abbiamo abbastanza lavoro o asili nido o abbiamo un accesso limitato alle università o alle prestazioni sociali, ecc., a causa delle quote concesse alle minoranze nazionali, al genere, ecc. Tutto ciò aiuta a diffondere il veleno del razzismo e della divisione all’interno della classe operaia. Inoltre, coloro che sono eletti sulla base di una quota saranno sempre considerati una seconda scelta e ciò che dicono può essere facilmente liquidato dicendo che non hanno un appoggio reale ma sono eletti solo perché sono donne/neri/gay o qualunque altra quota con la quale sono stati scelti.

In Brasile, la situazione è ancora peggiore. Quasi tutta la sinistra ha capitolato davanti all’orrenda proposta di dividere l’intera popolazione su linee “etniche” per poi introdurre quote nelle università, ecc. – una cosa contro cui i nostri compagni brasiliani hanno preso una posizione implacabile. I nostri compagni hanno sostenuto che ciò per cui dovremmo lottare è l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’alloggio, ecc. per tutti – un obiettivo raggiungibile data la ricchezza che esiste nella società – piuttosto che considerare queste risorse come scarse e successivamente lottare per la loro allocazione proporzionale.

Siamo implacabilmente contrari alla cosiddetta discriminazione positiva, alle quote, alla rappresentanza esclusiva e a tutto il resto. Il modo per garantire la massima partecipazione delle donne e delle minoranze nel movimento operaio è dimostrare nell’azione, non a parole, che stiamo combattendo contro ogni tipo di oppressione e discriminazione, per posti di lavoro per tutti, per pari salario a pari lavoro, ecc. Solo sulla base di un programma di lotta riusciremo a coinvolgere gli strati più oppressi della società. Ma ciò significa che la direzione deve essere nelle mani dei migliori militanti, siano essi uomini o donne, neri o bianchi, etero o gay.

Questo vuoto simbolismo è stato introdotto nel movimento sindacale in primo luogo attraverso i sindacati del settore impiegatizio, basato sulle professioni della classe media. Erano i più vicini agli intellettuali e agli studenti della classe media. A seguito della deindustrializzazione e delle fusioni fra diversi sindacati, questi settori hanno messo da parte gli operai. I tipi più borghesi che sapevano parlare meglio (o che almeno urlavano più forte) sono stati capaci di infettare il movimento con le loro idee “alla moda”, che sono state introdotte come regole condivise.

Ciò ha colpito i sindacati di molti paesi in un modo o nell’altro. Ci sono dunque posti riservati a donne, LGBT, persone di colore, disabili e altri. Hanno le loro conferenze e comitati separati ecc., Ognuno con le proprie piccole burocrazie. Insistono che solo loro possono avere potere decisionale su questi temi. E fintanto che non mettono in discussione il resto della burocrazia sindacale, hanno il permesso di governare i loro feudi. I riformisti e settari di sinistra accettano questo stato di cose, perché le loro idee e le loro politiche sono anch’esse di carattere piccolo borghese.

Reazione contro il femminismo liberale

Le donne della classe media chiedono a gran voce nuovi sbocchi per le loro carriere: diventare banchieri, amministratori delegati, vescovi o persino presidente degli Stati Uniti. Questa è una nuova variante del vecchio inno dei riformisti: “Sono favorevole a migliorare le condizioni della classe operaia – uno per uno, cominciando da me stesso”.

La ragione precisa per la quale l’ingresso delle donne nei consigli di amministrazione delle banche aiuterebbe la causa delle donne lavoratrici non è spiegata. I datori di lavoro donna sono più gentili con i loro dipendenti rispetto ai loro colleghi maschi? La storia non è molto incoraggiante in tal senso. E in che modo i successi di Margaret Thatcher, Angela Merkel o Theresa May hanno aiutato la causa delle loro “sorelle” in catena di montaggio è un mistero che resta da risolvere.

A poco a poco un numero sempre maggiore di donne politicamente coscienti è arrivato a comprendere gli aspetti negativi del femminismo. Vedono che invece di combattere il capitalismo come un sistema sfruttatore e oppressivo, il “Lean in feminism” (femminismo assertivo) incoraggia le donne a pensare al movimento solo nella misura in cui porta a conquiste individuali per un certo settore di donne.

Nel suo libro Why I Am Not a Feminist (Perchè non sono una femminista), Jessa Crispin ha descritto il femminismo come un marchio self-service reso popolare da amministratori delegati e dalle aziende di prodotti di bellezza, una “lotta per permettere alle donne di partecipare allo stesso modo all’oppressione dei poveri e degli esclusi”. Il concetto non è reso male, anche se si può notare che, nonostante il titolo del libro, Jessa Crispin descrive ancora se stessa come… una femminista.

Il New York Times commenta: “Why I Am Not a Feminist giunge in un momento in cui una parte delle donne progressiste in America potrebbe essere pronta per un grande cambiamento – inclini, improvvisamente, verso un sistema di convinzioni che non santifica ‘i segni del successo nel capitalismo patriarcale… denaro e potere’, come dice Crispin. C’è, sembra, un interesse crescente per un femminismo più preoccupato della vita delle donne con un basso reddito che del numero di donne amministratrici delegate“.

“La visione opposta – che il femminismo non è solo ampiamente compatibile con il capitalismo ma si serve in realtà di quest’ultimo – ha certamente goduto del suo momento di ribalta. Questo è il messaggio che è stato fatto passare dalla stragrande maggioranza di sedicenti modelli femministi negli ultimi dieci anni: che il femminismo è la definizione di quando una donna come individuo ottiene abbastanza denaro per fare ciò che vuole”. Crispin è spietata nel dissezionare questa variante di femminismo. Significa semplicemente comprare la propria via d’uscita dall’oppressione e quindi perpetuarla, sostiene; abbraccia il modello patriarcale della felicità, che dipende dal ‘disporre di qualcun altro soggetto alla tua volontà’. Le donne, sfruttate da secoli, sono inconsciamente ben liete di sfruttare gli altri, crede Crispin. ‘Una volta che siamo parte del sistema e ne beneficiamo allo stesso livello degli uomini, non ci preoccuperemo, come gruppo, di chi è a sua volta discriminato”.

La crisi del femminismo si riflette in una rapida svolta a sinistra della politica negli Stati Uniti in direzione del socialismo e dell’anticapitalismo, in particolare dopo l’elezione di Donald Trump. La natura reazionaria delle politiche identitarie è stata chiaramente svelata nelle elezioni americane del 2016, quando Hillary Clinton, il rappresentante più consumato di Wall Street e della classe dei miliardari, ha chiesto alle donne di votare per lei “perché sono una donna!”

L’ex segretario di Stato Madeleine Albright, una reazionaria incallita e guerrafondaia, che ha parlato prima di Hillary Clinton in un comizio nel New Hampshire, ha detto alla platea presente e agli elettori più in generale: “C’è un posto speciale all’inferno per le donne che non si aiutano l’un l’altra!” Nel caso specifico, milioni di donne americane hanno respinto questo appello alla “politica di genere”, hanno voltato le spalle a Clinton e Albright e sostenuto Sanders. Questo è stato un vero calcio nei denti per i sostenitori della “politiche identitarie”.

Questo ha dimostrato che le donne degli Stati Uniti quando votano per un candidato alle elezioni presidenziali considerano le politiche e le idee di un candidato molto più importanti del loro genere. In questo hanno completamente ragione, anche se è stato un peccato che l’unica alternativa che avevano a disposizione sia stata l’ultrareazionario Donald Trump che si è presentato demagogicamente come il candidato “anti-establishment”. Se Bernie Sanders si fosse candidato, molti avrebbero votato per lui. Ma questa è un’altra questione.

Il patrimonio che difendiamo

È curioso notare che i marxisti sono accusati di trascurare o ignorare i problemi delle donne. Ma i marxisti hanno inserito il suffragio universale nel loro programma fin dall’inizio. Ciò ben prima delle suffragette. Eleanor Marx ha lottato all’interno del movimento sindacale britannico per la parità di retribuzione per le donne. Già nel 1848, Marx ed Engels sollevarono la rivendicazione dell’abolizione della famiglia borghese, pur riconoscendo che questa non poteva essere raggiunta da un giorno all’altro.

Non appena il partito bolscevico prese il potere in Russia nel 1917 portò avanti il programma più radicale per l’emancipazione delle donne nella storia, così come la depenalizzazione dell’omosessualità, molto più avanzato di qualsiasi altro visto nel mondo capitalista in quel periodo. I bolscevichi dimostrarono in pratica che il rovesciamento del capitalismo era in grado di garantire a donne e omosessuali molto più di qualsiasi cavillo astratto sull’oppressione in generale.

Come sottolineò Trotskij:

“La rivoluzione tentò eroicamente di distruggere il vecchio focolare domestico, istituzione arcaica, soffocante e dominata dalla routine, nella quale la donna delle classi lavoratrici è condannata ai lavori forzati dall’infanzia alla morte. Alla famiglia, considerata come una piccola azienda chiusa, doveva sostituirsi, nelle intenzioni dei rivoluzionari, un sistema completo di servizi sociali: maternità, asili nido, scuole materne, mense, lavanderie, ambulatori, ospedali, sanatori, organizzazioni sportive, cinema, teatri, ecc. L’assorbimento completo delle funzioni economiche della famiglia da parte della società socialista, destinata a legare tutta una generazione nella solidarietà e nell’assistenza reciproca, doveva emancipare la donna, e di conseguenza la coppia, da questo giogo secolare.”

“(…) Non si era riusciti a prendere d’assalto la vecchia famiglia. Non per mancanza di buona volontà e neppure perché la famiglia avesse profonde radici nelle coscienze; al contrario, le operaie e, in seguito, le contadine più avanzate, dopo un breve periodo di diffidenza verso lo Stato, i suoi asili, le sue scuole materne e le sue svariate istituzioni, mostrarono di apprezzare gli immensi vantaggi dell’educazione collettiva e della socializzazione dell’economia famigliare. Purtroppo la società era troppo povera e troppo poco civilizzata. Le risorse reali dello Stato non corrispondevano ai piani e alle intenzioni del Partito comunista. La famiglia non può essere abolita; bisogna sostituirla. L’emancipazione vera e propria della donna é impossibile sul piano della “miseria socializzata”. L’esperienza rivelò ben presto questa dura verità formulata da Marx ottant’anni prima” (La rivoluzione tradita, capitolo 7).

L’importanza della teoria

Quale teoria difende la TMI? Innanzi tutto, ci basiamo sulle idee di Marx, Engels, Lenin e Trotskij, che hanno resistito alla prova del tempo e rimangono del tutto pertinenti e valide nel mondo del XXI secolo. Difendiamo le idee della Prima Internazionale, i documenti dei primi quattro congressi dell’Internazionale Comunista (prima dell’inizio della degenerazione staliniana) e il Programma di Transizione di Trotskij. Queste idee sono state sviluppate e arricchite dagli scritti di Ted Grant nei decenni successivi alla morte di Trotskij, e costituiscono anch’esse una parte fondamentale del nostro patrimonio ideologico.

Inevitabilmente, alcuni compagni che hanno aderito all’organizzazione nell’ultimo periodo non hanno ancora acquisito una conoscenza approfondita delle idee marxiste. Ciò richiederà ovviamente tempo e non rappresenta di per sé un serio pericolo. Tuttavia, sarebbe fatale se facessimo anche la minima concessione a deviazioni scorrette, piccoli borghesi e estranee al vero marxismo nelle nostre file. Se degli studenti desiderano entrare a far parte della nostra organizzazione, diremo loro: siete i benvenuti a far parte della nostra organizzazione, ma solo se sarete disposti ad adottare l’approccio e la prospettiva della classe operaia e dedicarvi allo studio del marxismo. Quindi per favore, lasciate i vostri pregiudizi all’entrata.

Marx scrisse in una lettera a Engels (17-18 settembre 1879): “Quando gente simile, proveniente da altre classi, si unisce al movimento proletario, la prima cosa da esigere è che non porti con sè resti dei pregiudizi borghesi, piccolo-borghesi, ecc., ma che faccia proprio in modo sincero il modo di vedere proletario”.

Il movimento trotskista ha avuto molta esperienza di questo genere di cose nel passato. È sufficiente indicare l’esempio del SWP americano, che è completamente degenerato perché ignorò i consigli eccellenti di Trotskij negli anni ‘30. Si sono fatti sommergere nell’ambiente studentesco, hanno abbandonato il punto di vista della classe, e hanno adottato tutte le idee alla moda della piccola borghesia, il femminismo, il nazionalismo nero, ecc., finendo nella condizione deplorevole in cui si trovano ora.

Dobbiamo educare l’intera organizzazione su queste questioni per assicurarci che nessuno sviluppo di questo tipo avvenga all’interno della TMI. Non possiamo tollerare nemmeno la minima concessione, anche la più piccola traccia di questo nelle nostre fila. Consentire a queste idee piccolo-borghesi l’accesso alla nostra organizzazione porterebbe alla sua distruzione finale come autentica forza marxista rivoluzionaria capace di conquistare la classe operaia alla causa della rivoluzione socialista.

Lenin, come Engels, Marx e Trotskij, non ha mai usato giri di parole quando attaccava idee aliene, in particolare quelle della piccola borghesia radicale. Dovremmo ripubblicare ciò che Lenin, Rosa Luxemburg e Clara Zetkin hanno scritto sulla questione del femminismo. Sono molto chiari a riguardo. Dobbiamo dichiarare apertamente la nostra opposizione all’intersezionalità e a tutte le altre varianti delle “politiche identitarie”, che rappresentano chiaramente una tendenza controrivoluzionaria. Su questa questione non c’è spazio per l’ambiguità: dovremmo esprimerci nel modo più chiaro e netto.

Vogliamo reclutare degli studenti, ma devono essere quel tipo di studente pronto a rompere radicalmente con le idee piccolo-borghesi e a porsi saldamente dal punto di vista della classe operaia. I compagni studenti devono orientarsi verso la classe operaia, le fabbriche e i quartieri operai, verso i sindacati nel movimento operaio. Ogni compagno studente dovrebbe porsi l’obiettivo di conquistare almeno un giovane lavoratore all’organizzazione. Nel novembre del 1932, Trotskij scrisse:

“Lo studente rivoluzionario può fornire un contributo solo se, in primo luogo, passa attraverso un processo rigoroso e coerente di auto-formazione rivoluzionaria, e, in secondo luogo, se entra nel movimento operaio rivoluzionario mentre è ancora uno studente. Allo stesso tempo, vorrei chiarire che quando parlo di auto-formazione teorica, intendo lo studio del marxismo non falsificato”. (Trotskij, Sugli studenti e gli intellettuali, novembre 1932)

Il modo di proletarizzare i nostri compagni studenti è prima di tutto quello di fornire loro una formazione solida nella teoria marxista. Molti studenti hanno molte idee confuse che hanno assorbito nel marcio ambiente accademico. Il nostro compito è correggere queste idee sbagliate il prima possibile. Questo non sarà fatto tramite un approccio troppo morbido. L’esperienza mostra che gli studenti seri, lungi dall’offendersi se si parla loro chiaramente, ci rispetteranno per questo. Coloro che non sopportano chi parla chiaro non sono offesi dal nostro “tono”, ma semplicemente trovano impossibile abbandonare le loro idee e pregiudizi piccolo-borghesi. Non abbiamo francamente bisogno di questo tipo di persone.

Siamo riusciti a mantenere un’organizzazione solida e ideologicamente omogenea. Questo è il risultato di decenni di formazione ideologica marxista rigorosa dei nostri quadri fondamentali.

Tuttavia, piccoli errori nel metodo, slogan e formulazioni errati possono trasformarsi in problemi più seri. Come diceva Lenin, “un singolo graffio può causare la cancrena”. Dobbiamo usare le polemiche per elevare il livello politico e la comprensione al fine di costruire l’Internazionale su basi solide.

Decenni di crescita economica nei paesi capitalisti avanzati hanno provocato una degenerazione senza precedenti delle organizzazioni di massa della classe operaia. Questo ha isolato la corrente rivoluzionaria, che dappertutto è stata ridotta a una piccola minoranza. Per necessità abbiamo imparato a nuotare controcorrente.

Tuttavia, questo chiarimento delle nostre vere idee, metodi e tradizioni non è stato raggiunto facilmente o senza lottare. Si è manifestato in una serie di scissioni. Lungi dall’indebolire la TMI, questo processo di selezione ci ha enormemente rafforzato. La condizione preliminare per il successo futuro era di rompere radicalmente con le tendenze opportuniste e revisioniste. Come spiegò Lenin, “prima di poterci unire e per poterci unire, dobbiamo prima di tutto tracciare linee di demarcazione precise e definite”.

Come TMI, siamo gli unici a sinistra ad avere un atteggiamento serio nei confronti della teoria marxista. La formazione teorica dei quadri è uno dei nostri compiti più fondamentali e urgenti. Questa è la base su cui costruiremo una forte tendenza marxista radicata nella classe operaia.

Italia, 27 luglio 2018

Condividi sui social