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L’Ottobre fu un colpo di Stato?

di Alan Woods (tratto da Storia del bolscevismo, vol. 3)

 

I critici borghesi del bolscevismo descrivono frequentemente la rivoluzione d’ottobre come un colpo di Stato. Questo argomento è falso da cima a fondo. La rivoluzione ebbe luogo lungo nove mesi, durante i quali il Partito bolscevico, usando i metodi più democratici, conquistò la maggioranza decisiva degli operai e dei contadini poveri. Il fatto che riuscirono così facilmente a superare la resistenza delle forze di Kerenskij si può spiegare solo con questo fatto. Inoltre, come vedremo, in nessun modo i bolscevichi avrebbero potuto mantenersi al potere senza il sostegno della maggioranza schiacciante della società. A ogni tappa fu l’intervento attivo delle masse a svolgere la parte decisiva. Fu questo che pose la sua impronta su tutto il processo. La classe dominante e i suoi rappresentanti politici e militari potevano solo digrignare i denti, ma erano impotenti a impedire che il potere scivolasse loro dalle mani. Questi certamente erano partecipi di cospirazioni continue contro la rivoluzione, compresa la sollevazione armata del generale Kornilov, che si proponeva di rovesciare Kerenskij e di istituire una dittatura militare, ma tutto questo crollò di fronte al movimento delle masse.

l fatto che le masse sostenessero i bolscevichi era riconosciuto all’epoca da tutti, compresi i nemici più decisi della rivoluzione. Naturalmente lo attribuivano a ogni sorta di influenza malvagia, alla “demagogia”, all’immaturità degli operai e dei contadini, alla loro supposta ignoranza, e tutti gli altri argomenti che sono nell’essenza diretti contro la democrazia stessa. Come avvenne che le masse divennero ignoranti e immature soltanto quando smisero di sostenere il governo provvisorio, deve essere uno dei più grandi misteri da quando San Paolo fu folgorato sulla via di Damasco. Ma se lasciamo da parte le motivazioni dettate da un evidente risentimento, dalla malignità e dalla rabbia impotente, vediamo che la seguente citazione da un giornale di destra costituisce una preziosa ammissione che i bolscevichi godevano del sostegno delle masse. Il 28 ottobre, la Russkaja Volja scrisse quanto segue: “Che probabilità di successo hanno i bolscevichi? È una domanda alla quale è difficile rispondere in quanto il loro principale sostegno è… l’ignoranza delle masse popolari. Essi ci speculano sopra, ci lavorano con una demagogia inarrestabile.1

È impossibile comprendere che cosa accadde nel 1917 se non si vede il ruolo fondamentale delle masse. Lo stesso è vero per la rivoluzione francese del 1789-94, un fatto che gli storici non riescono ad afferrare. Ma qui per la prima volta nella storia, se escludiamo l’episodio breve ma glorioso della Comune di Parigi, la classe operaia riusciva effettivamente a prendere il potere e perlomeno a cominciare la trasformazione socialista della società. È precisamente per questo che i nemici del socialismo sono costretti a mentire sulla rivoluzione d’ottobre e a calunniarla. Non possono perdonare a Lenin e ai bolscevichi di essere riusciti a guidare la prima rivoluzione socialista vittoriosa, a dimostrare che era una cosa possibile indicando pertanto la via alle generazioni future. È un precedente pericoloso! È quindi necessario “dimostrare” (con l’aiuto della solita squadra di accademici “obiettivi”) che si trattò di un pessima faccenda, da non ripetere.

La pretesa che la rivoluzione d’ottobre sia stata solo un colpo di Stato viene spesso giustificata segnalando i numeri relativamente ridotti effettivamente coinvolti nell’insurrezione stessa. Questo argomento apparentemente profondo non resiste alla minima analisi. In primo luogo, confonde l’insurrezione armata con la rivoluzione, vale a dire confonde la parte con il tutto. In realtà, l’insurrezione è solo una parte della rivoluzione, sebbene molto importante. Trotskij la paragona alla cresta di un’onda. In realtà i combattimenti che si svolsero a Pietrogrado furono molto ridotti. Si può dire che non vi fu spargimento di sangue. Il motivo fu che i nove decimi del lavoro erano già stati compiuti in anticipo, conquistando la maggioranza decisiva degli operai e dei soldati. Era ancora necessario usare la forza armata per sconfiggere la resistenza del vecchio ordine; nessuna classe dominante ha mai ceduto il potere senza una lotta. Ma la resistenza fu minima e il governo crollò come un castello di carte perché nessuno era disposto a difenderlo.

A Mosca, a causa principalmente degli errori dei bolscevichi locali che non agirono con sufficiente energia, gli junker controrivoluzionari inizialmente passarono all’offensiva perpetrando un massacro. Nonostante ciò, incredibilmente, vennero liberati sulla parola che non avrebbero partecipato ad altri atti violenti contro il potere sovietico. Questo genere di cose era tipico dei primi giorni della rivoluzione, caratterizzati da una certa ingenuità delle masse che dovevano ancora comprendere di quale terribile violenza fossero capaci i difensori del vecchio ordine. Lungi dall’essere un regno di terrore sanguinario, la rivoluzione fu un affare straordinariamente magnanimo, fino a quando la controrivoluzione non mostrò la sua vera natura. Il generale bianco P. Krasnov fu il primo a guidare una sollevazione contro i bolscevichi alla testa dei cosacchi. Fu sconfitto dalle Guardie rosse e consegnato dai suoi stessi cosacchi, ma ancora una volta rilasciato sulla parola. Al riguardo, Victor Serge scrive correttamente:

La rivoluzione fece l’errore di mostrare magnanimità verso il capo dell’attacco cosacco. Avrebbero dovuto fucilarlo lì per lì. Dopo pochi giorni riebbe la libertà, dopo aver dato la sua parola d’onore di non prendere mai più le armi contro la rivoluzione. Ma quale valore possono avere promesse d’onore nei confronti dei nemici della patria e della proprietà? Egli partì per il Don dove avrebbe messo la regione a ferro e fuoco.2

Il fatto che a combattere effettivamente furono numeri ridotti significa che il rovesciamento di ottobre fu un colpo di Stato? Ci sono molte somiglianze tra la guerra di classe e la guerra fra le nazioni. Anche in quest’ultima, solo una proporzione molto piccola della popolazione è nelle forze armate, e solo una piccola minoranza dell’esercito è al fronte. Di questo, anche in una battaglia importante, normalmente solo una minoranza dei soldati si trova coinvolta nei combattimenti in un dato momento. I soldati veterani sanno che tantissimo tempo passa nell’inattività, persino durante una battaglia. Molto spesso le riserve non prendono neppure parte all’azione. Ma senza riserve nessun generale responsabile ordinerebbe un’avanzata. Inoltre non è possibile condurre con successo la guerra senza il sostegno convinto della popolazione, anche se non partecipa direttamente ai combattimenti. Questa lezione è rimasta scolpita in faccia al Pentagono nelle ultime fasi della guerra del Vietnam.

Il risveglio delle masse, la loro partecipazione attiva, la loro iniziativa e forza creatrice, sono il cuore di ogni grande rivoluzione. Questo si dimostrò in modo davvero spettacolare nei nove mesi che separarono la rivoluzione di febbraio da quella di ottobre. Più e più volte, in febbraio, in maggio, in giugno, in luglio e settembre, le masse si mossero per trasformare la società. Se non riuscirono immediatamente non fu perché non ci avessero provato, ma perché ogni volta vennero ricacciate indietro dai loro dirigenti, che rifiutarono ostinatamente di prendere il potere quando questo veniva servito loro su un piatto d’argento. Quante volte da allora abbiamo rivisto la stessa scena? In Germania nel 1918, 1920 e 1923; in Gran Bretagna nel 1926 e nel 1945; in Italia nel 1919-20, nel 1943 e nel 1969 e lungo gli anni ’70; in Pakistan nel 1968-69; in Cile nel 1970-73, e in tanti altri paesi in tutto il mondo. In ciascun caso, dopo che la direzione ebbe sprecato le possibilità di cambiare la società, persino con mezzi pacifici, e preparato la vittoria della reazione, gli stessi cinici tirano fuori gli stessi vecchi argomenti logori: la situazione obbiettiva non era matura, il rapporto di forze sfavorevole, le masse non erano pronte, lo Stato era troppo forte, e così via. La colpa della sconfitta viene sempre scaricata sui soldati che hanno combattuto, mai sui generali che hanno rifiutato di guidarli. E se invece di Lenin e Trotskij, la direzione del Partito bolscevico fosse stata nelle mani di Stalin, Zinovev e Kamenev, quegli stessi signori ora scriverebbero, sostenuti da una impressionante batteria di fatti, di come la rivoluzione russa fosse fin dal principio destinata alla sconfitta a causa della situazione oggettiva disperata, dei rapporti di forza fra le classi sfavorevoli e della “immaturità” delle masse.

Nei fatti, le masse diedero mostra della più grande maturità e iniziativa, come accade in ogni rivoluzione. Il risveglio delle masse, il loro alto livello di coscienza, il ritrovato orgoglio di sé come esseri umani pensanti, si manifestarono in mille modi. Essi si mostrano al meglio non nelle aride statistiche, ma precisamente negli aneddoti che a quelle statistiche danno vita, come quello citato dal più sensibile osservatore della rivoluzione russa, John Reed:

La grande Russia partoriva, nel dolore, un mondo nuovo. I domestici, che venivano trattati come degli animali, e che si pagavano di rado, si emancipavano. Poiché un paio di scarpe costava allora più di 100 rubli, mentre il salario era circa di 35 rubli al mese, essi rifiutavano di consumare le loro scarpe a fare la coda. In quella nuova Russia, tutti gli uomini, tutte le donne votavano. La classe operaia aveva i suoi giornali che dicevano delle cose straordinarie e impressionanti, e poi vi erano i Soviet, vi erano i sindacati. Gli stessi vetturini avevano il loro sindacato ed erano rappresentati al Soviet di Pietrogrado. I camerieri erano organizzati e rifiutavano le mance. Sui muri dei ristoranti si leggevano delle iscrizioni come queste: ‘Le mance non sono accettate’ oppure ‘Se un uomo è obbligato a guadagnarsi la vita servendo gli altri a tavola, non è una ragione per insultarlo offrendogli una mancia’.3

L’argomento che i bolscevichi potessero prendere il potere senza le masse (colpo di Stato) viene solitamente legato all’idea che il potere venne preso non dalla classe operaia, ma da un partito. Ancora una volta, questo argomento è del tutto sbagliato. Senza organizzazione – i sindacati e il partito – la classe operaia è solo materia prima per lo sfruttamento. Questo venne già spiegato da Marx molto tempo fa. È vero che il proletariato possiede una forza enorme: non gira una ruota, non si accende una lampadina senza il suo permesso. Ma senza organizzazione, questa forza rimane solo potenziale. Allo stesso modo il vapore è una forza colossale, ma senza un cilindro a pistone si disperde innocuo nell’aria. Affinché la forza della classe operaia smetta di essere un mero potenziale e diventi una realtà, deve essere organizzata e concentrata in un solo punto. Questo si può fare attraverso un partito politico con una direzione coraggiosa e lungimirante e un programma corretto. Il Partito bolscevico, sotto la direzione di Lenin e Trotskij, era tale partito. Basandosi sullo splendido movimento delle masse, gli diede forma, scopo e voce. È questo il suo peccato capitale dal punto di vista della classe dominante e dei suoi portavoci nel movimento operaio. È ciò che sta dietro il loro odio e il loro disprezzo verso il bolscevismo, l’atteggiamento risentito e corrosivo verso di esso, che ancora a distanza di tre generazioni li condiziona completamente.

Ben lungi dal muoversi alle spalle delle masse, i bolscevichi furono il partito che diede una espressione cosciente agli sforzi della classe operaia di cambiare la società. A rigore dei fatti, lungo il 1917 il partito semmai rimase spesso indietro rispetto allo stato d’animo rivoluzionario delle masse, un fatto che venne chiaramente colto da Lenin e che risulta chiaro da innumerevoli fonti, come il seguente estratto dalle memorie di un attivista bolscevico di primo piano, il marinaio Raskolnikov, che ricorda un’assemblea di massa dei soldati ai quali si rivolse poco prima dell’insurrezione:

Fui stupito dallo stato d’animo di impazienza rivoluzionaria che trovai in questa assemblea. Sentivo che ognuno di queste migliaia di soldati e operai era pronto in qualsiasi momento a scendere in strada armi alla mano. I loro sentimenti vivaci, l’odio ribollente contro il governo provvisorio, non disponevano per nulla verso la passività. Solo a Kronstadt, alla vigilia dei fatti di luglio, avevo osservato un simile fermento di passione rivoluzionaria, che anelava all’azione. Questo rafforzò ancora di più la mia convinzione profonda che la causa della rivoluzione proletaria era sulla giusta strada.4

È necessario aggiungere che a ogni tappa i bolscevichi avevano sempre davanti a loro la prospettiva della rivoluzione internazionale. Non credettero mai di poter mantenersi al potere nella sola Russia. Questo spirito ardente di internazionalismo corre come un filo rosso lungo tutti gli scritti e i discorsi di Lenin. Ancora il 24 ottobre Lenin scrisse ai dirigenti del partito un appello appassionato ad agire:

Con tutte le mie forze, insisto affinché i compagni si rendano conto che tutto è ora appeso a un filo; che siamo di fronte a problemi che non verranno risolti da conferenze e congressi (nemmeno congressi dei soviet), ma esclusivamente dai popoli, dalle masse, dalla lotta del popolo armato.5

Il trionfo del bolscevismo

La presa effettiva del potere si svolse così tranquillamente che molti non si accorsero che fosse avvenuta. Per questa ragione i nemici della rivoluzione d’ottobre la presentano come un colpo di Stato. Di fatto ci sono due ragioni per questa semplicità, una tecnica, l’altra politica. I preparativi tecnici per l’offensiva finale furono svolti meticolosamente dal Comitato militare rivoluzionario sotto la direzione di Trotskij. La regola fondamentale, come sempre in guerra, era di concentrare nel punto e nel momento decisivo una forza inappellabilmente superiore, per poi colpire duramente. Ma questo non esaurisce la questione della tattica nell’insurrezione. L’elemento sorpresa, le manovre per ingannare l’avversario sulle reali intenzioni dei rivoluzionari, ebbe una sua parte, come in qualsiasi altro genere di operazioni militari. Ogni passo veniva presentato come una mossa difensiva, ma nella pratica il carattere dell’insurrezione era necessariamente offensivo, conquistando rapidamente una posizione dopo l’altra e cogliendo il nemico di sorpresa.

Ma la vera ragione per la quale l’insurrezione si svolse così rapidamente e quasi senza vittime non fu tecnica né militare, ma politica. Nove decimi del lavoro dell’insurrezione erano già stati compiuti in anticipo, conquistando una chiara maggioranza nei soviet degli operai e dei soldati. Al momento della verità il governo provvisorio, come in febbraio il regime zarista, non aveva nessuno che lo difendesse. La vera situazione al momento dell’insurrezione è mostrata dalle dichiarazioni di uno degli attori principali: Kerenskij. In un estratto intriso di inconsapevole ironia, scrive :

La notte del 24-25 ottobre fu un momento di attesa piena di tensione. Aspettavamo che arrivassero le truppe dal fronte. Erano state convocate da me con largo anticipo e dovevano arrivare a Pietrogrado la mattina del 25 ottobre, ma invece delle truppe, tutto ciò che arrivò furono dei telegrammi e messaggi telefonici che dicevano che le ferrovie venivano sabotate. La mattina (del 25 ottobre) le truppe non erano ancora arrivate. La centrale telefonica, le Poste e la maggior parte degli uffici governativi erano stati occupati da distaccamenti delle Guardie rosse. L’edificio che ospitava il Consiglio della Repubblica, che solo il giorno prima era stato scena di una infinita e stupida discussione, era stato occupato da sentinelle rosse.6

Lo stesso Kerenskij, che si era vantato con l’ambasciatore britannico di stare solo aspettando che i bolscevichi facessero una mossa per schiacciarli, si trovava ora senza soldati e fu obbligato a fuggire da Pietrogrado in una macchina gentilmente messa a disposizione dall’ambasciata americana.

Non è questo il luogo per ripetere la storia dell’insurrezione, che è sufficientemente nota dagli scritti di John Reed e Lev Trotskij. Ciò che è stupefacente della rivoluzione d’ottobre è la misura in cui si svolse apertamente, sotto gli occhi dell’opinione pubblica. Chi non fosse già consapevole del fatto che i bolscevichi intendevano prendere il potere, ne sarebbe stato rapidamente avvisato dalle dichiarazioni pubbliche di Kamenev e Zinovev. Il giornale francese l’Entente uscito a Pietrogrado il 15 novembre, una settimana dopo la rivoluzione, commentò:

Il governo di Kerenskij discute ed esita. Il governo di Lenin e di Trotskij attacca e agisce. Quest’ultimo è chiamato governo di cospiratori, ma si tratta di un errore. Governo di usurpatori, sì, come tutti i governi rivoluzionari che trionfano sui loro avversari. Governo di cospiratori, no! No! I bolscevichi non hanno cospirato. Al contrario, apertamente, audacemente, senza eufemismi, senza nascondere le loro intenzioni, hanno moltiplicato le agitazioni, intensificato la propaganda nelle fabbriche, nelle caserme, al fronte, nelle campagne, dovunque, fissando persino in anticipo la data in cui avrebbero preso le armi, la data della loro conquista del potere… Loro cospiratori? Mai…7

Verso la sera del 24 ottobre, gruppi di Guardie rosse cominciarono a occupare le tipografie della stampa borghese, dove stamparono grandi quantità di proclami rivoluzionari, nonché giornali bolscevichi quali il Rabochij Put’ e Soldat. I soldati ai quali veniva ordinato di attaccare le tipografie rifiutarono di obbedire agli ordini. Questo era il quadro generale a Pietrogrado, la resistenza era praticamente inesistente. Mentre gli insonnoliti delegati al congresso guardavano dai portoni – alcuni con allarme, altri con trepidazione –, distaccamenti di soldati e marinai partivano dal palazzo dello Smolnij verso i punti chiave della città. All’una di notte avevano occupato l’agenzia dei telegrafi. Mezz’ora più tardi le Poste. Alle cinque di mattina seguì la centrale telefonica. Per le dieci della mattina venne steso un cordone attorno al Palazzo d’Inverno, dove ci si attendeva una resistenza. Di fatto esso cadde con un gemito, più che un boato.

L’insurrezione di ottobre non fece che legittimare una realtà già evidente. Ognuno sapeva che i bolscevichi e i loro alleati avrebbero avuto una maggioranza decisiva nel congresso dei soviet. Venne pertanto presa la decisione che l’insurrezione coincidesse con l’apertura del congresso. L’aspetto formale qui doveva chiaramente passare in secondo piano rispetto alle esigenze di un’operazione militare. L’idea che la questione dell’insurrezione armata dovesse essere decisa da un dibattito pubblico nel congresso è ridicola quanto lo sarebbe la richiesta che in tempo di guerra i piani di una battaglia venissero dibattuti in parlamento. Chi facesse una richiesta del genere verrebbe indubbiamente marchiato come traditore e probabilmente rinchiuso in un manicomio criminale. Eppure queste considerazioni non impediscono ai critici dell’ottobre di lamentarsi perché Lenin e Trotskij non attesero l’approvazione formale del congresso dei soviet prima di lanciare l’offensiva. Sono argomenti che non hanno una briciola di validità. L’opinione della schiacciante maggioranza degli operai e dei soldati era già ben conosciuta: i soviet prendano il potere. La questione era già stata risolta in precedenza, e il congresso non fece che ratificarla. Una volta risolta questa domanda centrale, la questione di quando e come si dovesse intraprendere la sollevazione – una decisione puramente tecnica e militare – doveva essere presa dagli organismi appropriati, in questo caso il Comitato militare rivoluzionario, secondo le regole non della democrazia formale, ma della guerra.

Alle 14,35 Trotskij aprì una sessione di emergenza del Soviet di Pietrogrado. Salendo alla tribuna, gridò le parole che tutti attendevano: “In nome del Comitato militare rivoluzionario dichiaro che il governo provvisorio non esiste più! Viva il Comitato militare rivoluzionario!”. Una dopo l’altra elencò le conquiste dell’insurrezione, fermandosi solo per spiegare la situazione del Palazzo d’Inverno:

Il Palazzo d’Inverno non è stato ancora preso, ma il suo destino si deciderà nei prossimi momenti (…) Nella storia del movimento rivoluzionario non conosco alcun altro esempio nel quale siano state coinvolte masse così ampie e che si sia sviluppato così pacificamente. Il potere del governo provvisorio capeggiato da Kerenskij era morto e attendeva il colpo di scopa della storia che doveva spazzarlo via (…) La popolazione ha dormito pacificamente e non sapeva che in questo momento un potere veniva sostituito da un altro.8

Fu a quel punto che Lenin entrò nella sala, ancora travestito da operaio. Trotskij si interruppe nel mezzo del suo discorso e si rivolse all’uomo con il quale era ora completamente unito come compagno di lotta. Tutte le differenze del passato erano dimenticate nel calore della lotta. “Viva il compagno Lenin, di nuovo con noi”, furono le parole di Trotskij nel lasciare il podio a Lenin, che si rivolgeva ai delegati per la prima volta. Nel suo storico discorso al congresso dei soviet del 25 ottobre 1917, egli disse:

Compagni, la rivoluzione operaia e contadina, della cui necessità i bolscevichi hanno sempre parlato, è stata compiuta. Qual è il significato di questa rivoluzione degli operai e dei contadini? Innanzitutto, che avremo un governo dei soviet, il nostro organo di potere, nel quale la borghesia non avrà alcuna partecipazione. Le masse oppresse creeranno esse stesse un potere. Il vecchio apparato statale sarà distrutto fino alle fondamenta e verrà costruito un nuovo apparato amministrativo nella forma delle organizzazioni sovietiche. D’ora in avanti inizia una nuova fase nella storia della Russia, e questa, la terza rivoluzione russa, dovrà infine condurre alla vittoria del socialismo.

Uno dei nostri compiti urgenti è di porre immediatamente fine alla guerra. È chiaro a tutti che per finire questa guerra, che è strettamente legata all’attuale sistema capitalista, bisogna combattere il capitale stesso.

In questo saremo aiutati dai movimenti della classe operaia mondiale, che già cominciano a svilupparsi in Italia, in Gran Bretagna e in Germania. La proposta che rivolgiamo alla democrazia internazionale per una pace giusta e immediata risveglierà ovunque una risposta ardente fra le masse proletarie internazionali. Tutti i trattati segreti devono essere immediatamente pubblicati per rafforzare la fiducia del proletariato. All’interno della Russia, un’ampia parte dei contadini hanno detto che ne hanno abbastanza di giocare con i capitalisti e che ora marceranno con gli operai. Un solo decreto che ponga fine alla proprietà fondiaria ci darà la fiducia dei contadini. I contadini capiranno che la loro salvezza si può trovare solo in un’alleanza con gli operai. Istituiremo un vero controllo operaio sulla produzione. Abbiamo ora imparato a compiere uno sforzo concentrato. La rivoluzione appena compiuta ne è la prova. Abbiamo la forza dell’organizzazione di massa, che supererà tutto e condurrà il proletariato alla rivoluzione mondiale. Ora dobbiamo costruire uno Stato proletario socialista in Russia. Viva la rivoluzione socialista mondiale! (applausi tempestosi).9

La lotta al Congresso

L’insurrezione aveva trionfato a tutti gli effetti. L’unico obiettivo non ancora raggiunto era la presa del Palazzo d’Inverno, che rimaneva nelle mani delle forze leali al governo. Lenin, che aveva sperato che la sollevazione sarebbe stata conclusa prima dell’apertura del congresso dei soviet, faceva mostra della sua impazienza per il ritardo, causato dall’inesperienza degli insorti. I preparativi politici dell’insurrezione erano stati portati avanti con professionalità assai maggiore di quelli tecnici, che furono tutt’altro che perfetti. Ci furono molti difetti di organizzazione: truppe che arrivavano in ritardo perché una locomotiva aveva rotto una tubazione, le granate per i cannoni d’assalto erano del calibro sbagliato, non si trovava una lanterna rossa per segnalare l’inizio dell’assalto, e così via. Ma alla fine nulla di tutto questo fu decisivo. Sono quegli aneddoti che ricadono nella categoria storica degli incidenti di percorso. Ad essere decisiva fu la conquista delle masse, che lasciò il governo provvisorio isolato e privo di difesa nel momento della verità. Così, anche se inizialmente c’erano tremila difensori all’interno del Palazzo d’Inverno, nel corso della notte si liquefecero. Gli ufficiali all’interno si rendevano conto della situazione reale. Venne convocato un consiglio di guerra nel quale l’ammiraglio Verderevskij fece l’osservazione più pertinente: “Non so perché questa seduta sia stata convocata”, disse. “Non abbiamo una forza militare tangibile e di conseguenza siamo incapaci di compiere qualsiasi azione.” La presa del Palazzo d’Inverno fu una vicenda incruenta, più simile a un’operazione di polizia. Quando dall’incrociatore Aurora vennero sparati i colpi d’avvertimento, la guarnigione semplicemente si dissolse nella notte. Il ministro socialrivoluzionario di destra dell’agricoltura, Semën Maslov, telefonò alla Duma in preda alla disperazione: “La democrazia ci ha mandato nel governo provvisorio; noi non volevamo le nomine, ma ci siamo andati. Eppure ora, quando la tragedia ha colpito, mentre ci si spara contro, nessuno ci sostiene.10 Quando l’assalto venne infine lanciato, non ci fu resistenza. Attorno alle due del mattino, mentre, stanchi e demoralizzati, i membri del governo provvisorio attendevano attorno al tavolo, la porta si spalancò e, nelle parole di uno dei presenti, “un piccolo uomo volò nella stanza, come una scheggia sbatacchiata da un’onda, sotto la pressione della folla che si riversava all’interno e si diffondeva in tutte le direzioni, come l’acqua che riempie tutti gli angoli della stanza”. Il piccolo uomo era Antonov-Ovseenko, del Comitato militare rivoluzionario. “Il governo provvisorio è qui, cosa volete?”, chiese il ministro Konovalov. “Siete tutti in arresto”, fu la risposta perentoria.

L’inizio del congresso dei soviet era stato previsto per le due del pomeriggio, ma venne rinviato e infine le porte si aprirono alle 10,40 di sera, mentre l’assedio del Palazzo d’Inverno era ancora in corso. I dibattiti erano occasionalmente interrotti dal suono delle armi da fuoco. Dentro il congresso si recitava una scena drammatica.

La seduta era stata decisiva – scrisse John Reed – A nome del Comitato militare rivoluzionario, Trotskij aveva dichiarato che il governo provvisorio non esisteva più. ‘La caratteristica dei governi borghesi’, aveva detto, ‘è di ingannare il popolo. Noi, i soviet dei deputati operai, soldati e contadini, cominciamo a tentare un’esperienza unica nella storia. Noi stiamo creando un governo il cui solo scopo sarà quello di soddisfare i bisogni dei soldati, degli operai e dei contadini’.

I numeri nel congresso davano ai bolscevichi e ai loro alleati socialrivoluzionari di sinistra una chiara maggioranza. Su un totale di 670 delegati, c’erano 300 bolscevichi, 193 socialrivoluzionari – dei quali più della metà appartenevano alla sinistra – e 82 menscevichi, dei quali 14 internazionalisti. Come abbiamo visto, i bolscevichi avevano una dominio schiacciante nei centri industriali chiave del nord e dell’ovest e il loro appoggio continuava a crescere. Il congresso si aprì con l’elezione del presidium. I bolscevichi presentarono una lista comune con i socialrivoluzionari di sinistra e i menscevichi internazionalisti. Il risultato della votazione fu: 14 bolscevichi, 7 socialrivoluzionari e 4 menscevichi. Questi ultimi, tuttavia, rifiutarono di prendere i posti a loro allocati. La schiacciante maggioranza del congresso votò per la formazione di un governo sovietico.

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L’indignazione dei menscevichi e dei socialrivoluzionari non aveva limiti. Quando Trotskij annunciò che l’insurrezione aveva trionfato, che truppe leali al governo provvisorio avanzavano contro Pietrogrado e che si doveva inviare incontro una delegazione per dire loro la verità, ci furono grida come “Voi state anticipando la volontà del congresso dei soviet!”. Ma il tempo per le amenità formali era ampiamente scaduto. Trotskij rispose freddamente: “La volontà del congresso panrusso dei soviet è stata anticipata dall’insurrezione degli operai e dei soldati di Pietrogrado.

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I menscevichi e i socialrivoluzionari non erano soli nella loro opposizione all’insurrezione. Persino in questa ora tarda, i conciliatori bolscevichi restavano contrari alla presa del potere. John Reed racconta di un incontro fugace con Rjazanov, vicepresidente dei sindacati, “scuro, che si mordeva la barba grigia. ‘È una pazzia! Una pazzia!’ gridava. ‘La classe operaia europea non si muoverà! Tutta la Russia…’ agitò distrattamente la mano e corse via”. Martov, ormai molto ammalato, mantenne le sue esitazioni fino alla fine. Le speranze di Lenin che egli trovasse infine la sua strada verso il campo rivoluzionario risultarono futili. Martov insistette sulla formazione di un governo di coalizione con i dirigenti socialisti di destra “per evitare la guerra civile”. Questa proposta avrebbe in realtà riportato l’orologio indietro. Era un esito inconcepibile. Lenin e Trotskij erano contrari, ma i conciliatori erano a favore. A nome della delegazione bolscevica, Lunacharskij annunciò che non aveva nulla in contrario alla proposta, che venne effettivamente approvata. Ma i menscevichi rivelarono immediatamente la completa vacuità della proposta denunciando il rovesciamento del governo provvisorio e abbandonando il congresso. Quando uscirono, fra i fischi e gli scherni dei delegati, la voce di Trotskij tuonò dietro di loro: “Tutti questi opportunisti che si dicono socialisti, menscevichi, socialrivoluzionari, bundisti spaventati, che se ne vadano! Sono solo altrettanti rifiuti che la storia getterà nell’immondezzaio!11

La vittoria dell’insurrezione non fu il capitolo finale della rivoluzione bolscevica. Le forze della reazione si raccolsero e tentarono un contrattacco, che venne sconfitto. Venne poi scatenata una guerra civile sanguinosa contro i bolscevichi, che durò altri quattro anni. In questo conflitto il potere sovietico dovette affrontare la potenza dell’imperialismo mondiale, rappresentata da ventuno eserciti stranieri di intervento. A un determinato momento, il territorio in mano ai bolscevichi era limitato alla regione attorno a Mosca e Pietrogrado, all’incirca equivalente all’antica Moscovia. Eppure uno dopo l’altro i nemici della rivoluzione vennero respinti. Dai resti del vecchio esercito zarista in pezzi, Trotskij formò una nuova forza proletaria, l’Armata rossa, che stupì il mondo con le sue vittorie. L’eroismo, l’organizzazione e la disciplina dell’Armata rossa furono la chiave della vittoria, ma non avrebbero mai vinto senza l’appello internazionalista della rivoluzione bolscevica. Attraverso l’Internazionale comunista, Lenin e Trotskij pubblicarono un appello ai lavoratori del mondo che venne raccolto con entusiasmo. I portuali britannici rifiutarono di caricare le armi destinate alla Polonia controrivoluzionaria. Ci furono ammutinamenti in ciascuno degli eserciti spediti contro i bolscevichi. Contro tutte le attese, il potere sovietico sopravvisse per mostrare al mondo per la prima volta che è possibile gestire la società senza capitalisti, banchieri e latifondisti. È vero che, in condizioni di una terribile arretratezza economica e culturale, la rivoluzione russa soffrì un processo di degenerazione burocratica, ma non prima di avere offerto una dimostrazione spettacolare dell’enorme potenziale di una economia nazionalizzata e pianificata.

L’ascesa storica dell’umanità, considerata nel suo insieme, può essere sintetizzata come un susseguirsi di vittorie della coscienza su forze cieche: nella natura, nella società, nell’uomo stesso. Il pensiero critico e creatore ha potuto sinora riportare i suoi maggiori successi nella lotta con la natura. Le scienze fisico-chimiche sono già arrivate a un punto tale che l’uomo si accinge di tutta evidenza a diventare padrone della materia. Ma i rapporti sociali continuano a formarsi alla maniera delle isole coralline. Il parlamentarismo ha illuminato solo la superficie della società, e per di più con una luce artificiale. In confronto alla monarchia e ad altri retaggi del cannibalismo e dello stato selvaggio delle caverne, la democrazia costituisce naturalmente una grande conquista, ma intacca il gioco cieco delle forze nei rapporti sociali. La rivoluzione d’ottobre ha alzato la mano per prima contro questa sfera più profonda dell’inconscio. Il sistema sovietico vuole stabilire una finalità e un piano nelle basi stesse della società, dove fino a quel momento avevano prevalso solo effetti accumulate.12

Lasceremo l’ultima parola a una grande rivoluzionaria che troppo spesso è stata falsamente dipinta come una avversaria implacabile di Lenin e del bolscevismo. Dalla sua prigione in Germania, Rosa Luxemburg salutò la rivoluzione d’ottobre con queste parole:

Il partito di Lenin è stato l’unico che abbia compreso il comandamento e il dovere di un partito autenticamente rivoluzionario e che attraverso la parola d’ordine: ‘tutto il potere al proletariato e ai contadini’, abbia assicurato l’avanzamento della rivoluzione. Solo un partito che sappia dirigere, vale a dire spingere avanti, è in grado di procurarsi seguaci nella tempesta. La risolutezza con la quale Lenin e i compagni hanno dato al momento decisivo questa soluzione ai contadini, li ha trasformati in una notte da minoranza perseguitata, denigrata, ‘illegale’, i cui capi dovevano nascondersi come Marat nelle cantine, in padroni assoluti della situazione. I bolscevichi si sono subito proposti come scopo di questa presa del potere il programma rivoluzionario più completo e più ampio possibile: non consolidamento della democrazia borghese, ma dittatura del proletariato allo scopo di realizzare il socialismo. Si sono con ciò conquistato il merito storicamente imperituro di proclamare per la prima volta, quale programma immediato della politica pratica, i fini ultimi del socialismo. Di cosa possa offrire un partito in fatto di coraggio, lungimiranza rivoluzionaria e coerenza nelle ore storiche, Lenin, Trotskij e gli altri compagni hanno dato mostra in buona misura. Tutto l’onore rivoluzionario e la capacità che sono mancati alla socialdemocrazia rivoluzionaria in occidente è stato rappresentato dai bolscevichi. L’insurrezione d’ottobre non ha rappresentato soltanto la salvezza per la rivoluzione russa, ma ha salvato anche l’onore del socialismo internazionale.

Il giudizio conclusivo di Rosa Luxemburg sul Partito bolscevico può costituire l’ultima parola della storia del più grande partito rivoluzionario nella storia: “Ciò che conta è distinguere nella politica dei bolscevichi l’essenziale dall’inessenziale, il nocciolo dal fortuito. In quest’ultimo periodo, in cui tutto il mondo è alla vigilia di lotte mortali decisive, il problema più importante del socialismo è stato ed è la scottante questione del giorno: non questo o quel dettaglio, ma la capacità d’azione del proletariato, l’energia delle masse, in generale la volontà di potenza del socialismo. Da questo punto di vista i Lenin e i Trotskij coi loro amici sono stati i primi a dare l’esempio al proletariato mondiale, e sono tuttora gli unici che con Hutton possono esclamare: io l’ho osato! Questo è l’elemento essenziale e duraturo della politica bolscevica. In questo senso appartiene loro il servizio storico immortale di avere marciato alla testa del proletariato internazionale con la conquista del potere politico e di avere posto praticamente il problema della realizzazione del socialismo, compiendo un potente passo avanti verso la resa dei conti tra capitale e lavoro in tutto il mondo. In Russia il problema poteva solo essere posto. Non poteva essere risolto in Russia. E in questo senso il futuro appartiene ovunque al ‘bolscevismo’.13

 

Note

1. J. Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo. Edizioni Bur Rizzoli, 1983.

2. V. Serge, L’anno I della Rivoluzione russa, Einaudi, 1991.

3. J. Reed, ibidem.

4. F. Raskolnikov, Kronstadt and Petrograd in 1917, Londra, 1982. Traduzione nostra.

5. Lenin, Lettera ai membri del CC in Opere complete, Editori riuniti, 1966.

6. A. Kerenskij, The Kerensky memoirs. Russia and History’s turning point, Londra, 1966. Traduzione nostra.

7. J. Reed, ibidem.

8. A. Rabinovitch, The bolsheviks come to power. New York-London, 1979. Traduzione nostra.

9.Lenin, Riunione dei Soviet dei deputati operai e contadini di Pietrogrado, 25 ottobre (7 novembre) 1917 in Opere complete. Editori riuniti, 1966.

10.Rabinovitch, ibidem.

11.John Reed, ibidem.

12.L. Trotskij, Storia della rivoluzione russa, Sugarco Edizioni, 1987.

13.R. Luxemburg, La rivoluzione russa, Edizioni Massari, 2004.

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