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L’ascesa dello stalinismo

di Ted Grant

 

La teoria marxista dello Stato

“Adesso passiamo all’edificazione dell’ordine socialista”

Lenin, 8 novembre 1917

 

Per capire l’evoluzione dell’Urss e gli eventi attuali, è necessario prima di tutto capire la teoria del socialismo di Karl Marx e come il governo bolscevico tentò di realizzarla. A differenza dell’impostazione dei socialisti utopisti come Robert Owen, Saint-Simon e Fourier, il marxismo si basa su una visione scientifica del socialismo. Il marxismo afferma che la chiave per l’evoluzione di ogni società è lo sviluppo delle forze produttive: la forza lavoro, l’industria, l’agricoltura, la tecnica e la scienza. Ogni nuovo sistema sociale – schiavismo, feudalesimo e capitalismo – è servito per spingere avanti la società umana attraverso lo sviluppo delle forze produttive.

Dal periodo di comunismo primitivo, la prima fase di sviluppo dell’umanità, nella quale le classi, la proprietà privata e lo Stato non esistevano, si passò ad una società di classe non appena fu possibile produrre un’eccedenza oltre ai bisogni di sopravvivenza quotidiana; a questo punto si prepararono le basi economiche per la divisione in classi.

Nel contesto storico più generale, l’emergere della società di classe fu un fenomeno rivoluzionario, in quanto liberava un settore privilegiato della popolazione, la classe dominante, dal fardello del lavoro. Questa nuova situazione permetteva a questi privilegiati di avere il tempo necessario per sviluppare l’arte, la scienza e la cultura. La società di classe, nonostante lo spietato sfruttamento e l’ineguaglianza, è stata la via che l’umanità ha dovuto percorrere per creare i requisiti materiali per una futura società senza classi.

In un certo senso, la società socialista è un ritorno al comunismo primitivo, ma ad un livello produttivo enormemente più alto. Prima che si possa contemplare una società senza classi, si dovrebbero eliminare tutte le caratteristiche della società di classe, specialmente l’ineguaglianza e la povertà. Sarebbe illogico parlare di abolizione delle classi in un contesto nel quale prevalgono ineguaglianza, povertà e lotta per la sopravvivenza. Il socialismo può affermarsi solo ad un certo stadio dell’evoluzione della società umana, ad un certo sviluppo delle forze produttive. Nessun ordine sociale si estingue fintanto che è in grado di sviluppare le forze produttive; non sorgono mai sistemi di produzione superiori prima che le condizioni materiali della loro esistenza siano maturate nel grembo della stessa vecchia società.1

A differenza dei socialisti utopisti dei primi anni dell’Ottocento, che consideravano il socialismo come una questione morale, qualcosa che gente illuminata avrebbe potuto introdurre in qualsiasi momento della storia, Marx ed Engels lo vedevano legato allo sviluppo della società. La prima condizione per una società senza classi è uno sviluppo delle forze produttive tale da rendere possibile una sovrabbondanza di beni. Secondo il marxismo, la missione storica del capitalismo, la fase più avanzata della società di classe, è fornire a tutto il mondo le basi materiali per il socialismo e l’abolizione delle classi. Il socialismo non era soltanto una bell’idea, ma lo stadio successivo della società umana.

La missione storica del capitalismo era quella di superare il particolarismo feudale, sviluppare una moderna economia industriale e creare un mercato mondiale con una nuova divisione del lavoro nel mondo. Così facendo avrebbe creato il proprio becchino, il proletariato moderno. Questo scenario fu delineato da Marx ed Engels centocinquanta anni fa nelle pagine de Il Manifesto del Partito Comunista. Oggi lo sviluppo del capitalismo conferma quella prospettiva; la popolazione contadina è stata in gran parte eliminata, mentre la classe dei lavoratori salariati è diventata la maggioranza della popolazione nei paesi avanzati ed anche in quelli ex coloniali. Allo stesso modo il capitalismo ha creato un mercato mondiale al quale sono indissolubilmente legati tutti i paesi. In realtà le basi materiali su cui poteva svilupparsi la società socialista, esistevano su scala mondiale già dagli anni della Prima guerra mondiale. Se quelle industrie enormi che si sono evolute in aziende multinazionali fossero di proprietà pubblica e avessero una produzione pianificata democraticamente, potrebbero creare una sovrabbondanza di beni a livello mondiale.

Oggi, la concentrazione del capitale si riflette nel fatto che cinquecento multinazionali dominano il novanta per cento del mercato mondiale. Al momento, un’azienda come la Hoechst avrebbe una capacità sufficiente per soddisfare la domanda mondiale di prodotti chimici. Lo stesso si può dire di molte branche dell’industria. Tuttavia il capitalismo, come sistema progressivo, ha raggiunto il suo limite. La proprietà privata e lo Stato nazionale sono una camicia di forza che ostacola lo sviluppo ulteriore delle forze produttive e della società. Le due guerre mondiali che portarono l’umanità sull’orlo dell’estinzione, la disoccupazione di massa e le crisi periodiche da sovrapproduzione sono testimonianza di questo stallo. Come sistema economico, il capitalismo, aveva in passato rivoluzionato le forze produttive; ora rappresenta un freno potente ad un progresso ulteriore. Con la sua avidità di profitto il capitalismo minaccia di saccheggiare le risorse naturali ed infine di distruggere il pianeta. Solo la pianificazione internazionale delle forze produttive può far uscire la società da questo vicolo cieco. Marx credeva che il compito della rivoluzione socialista sarebbe inizialmente ricaduto sulle spalle dei lavoratori dei paesi economicamente e culturalmente più avanzati dell’Europa occidentale. Diceva Trotskij:

“Marx si aspettava, d’altronde, che i francesi cominciassero la rivoluzione socialista, che i tedeschi la continuassero e che gli inglesi la portassero a termine. Quanto ai russi, sarebbero stati la retroguardia”.2

Non è possibile che la società passi direttamente dal capitalismo ad una società senza classi. L’eredità materiale e culturale della società capitalista è fin troppo insufficiente per questo; c’è troppa povertà e ineguaglianza che non si possono superare nell’immediato. Dopo la rivoluzione socialista occorre un periodo di transizione che prepari il terreno necessario per una sovrabbondanza di beni e una società senza classi. Marx chiamava questo primo stadio della nuova società “fase inferiore del comunismo” in contrapposizione con la “fase superiore”, nella quale sarebbero spariti gli ultimi residui delle disuguaglianze materiali. In questo senso i termini “socialismo” e “comunismo” corrispondono alle fasi “inferiore” e “superiore” della nuova società. Descrivendo il primo stadio del comunismo Marx scrive:

“Qui parliamo di una società comunista, non sviluppatasi da fondamenta proprie, ma proprio di quella che emerge dalla società capitalista; essa quindi in ogni aspetto – economico, morale ed intellettuale – porta l’impronta della vecchia società dal cui grembo è emersa.”3

Tuttavia per Marx – e questo è un punto cruciale – anche questo primo stadio del comunismo fin dal suo inizio sarebbe partito da un livello più alto, in termini di sviluppo economico, del capitalismo più avanzato e sviluppato. E perché questo era così importante? Perché, senza un imponente sviluppo delle forze produttive, la povertà sarebbe prevalsa e con essa la lotta per la sopravvivenza. Come spiegava Marx, un tale stato di cose avrebbe comportato il pericolo di una degenerazione:

“Questo sviluppo delle forze produttive è una premessa materiale assolutamente necessaria [del comunismo], poiché senza di essa la penuria è generalizzata, e con essa ricomincia la lotta per le necessità e questo significa l’inevitabile risorgere di tutto il vecchio ciarpame”.4

Il socialismo sarà un sistema internazionale perché lo è già il capitalismo. Nessun paese da solo dispone delle basi materiali per una nuova società senza classi, né potrebbe garantire l’eliminazione completa della povertà e della carestia ereditate dal capitalismo. Neanche gli Stati Uniti, dopo una rivoluzione, pur essendo già ora un colosso economico, potrebbero subito compiere il passaggio ad una società socialista. Non si potrebbe dare ad ognuno quanto gli serve. Sarebbe necessario un regime di transizione, uno Stato democratico dei lavoratori, il cui obiettivo principale sarebbe quello di accelerare lo sviluppo delle forze produttive ed eliminare le vestigia della società di classe. Marx definiva lo Stato operaio “la dittatura del proletariato”. Questo termine di Marx ed Engels, di cui si è tanto abusato, significava semplicemente un governo democratico della maggioranza che avrebbe preso le misure necessarie per sopraffare la resistenza di una minoranza di sfruttatori. Era basato su una analogia storica con la dittatura dell’antica Roma, quando, per un breve periodo (in tempo di guerra), la Repubblica concedeva poteri straordinari al governo. Dopo l’esperienza di Hitler e Stalin, la parola “dittatura” è stata screditata ed è stata identificata nell’immaginario collettivo con il totalitarismo, cosa che ha ben poco a che fare con le idee di Marx ed Engels. Ai tempi di Marx era libera da questo genere di connotati ed era sinonimo di governo della classe operaia. Infatti, dal punto di vista marxista, la dittatura del proletariato è sinonimo di democrazia operaia.

“Tra le società capitalista e comunista – afferma Marx – si trova il periodo di trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. In corrispondenza di questo c’è anche un periodo di transizione politica, nel quale lo Stato non può essere altro che una dittatura rivoluzionaria del proletariato”.

Come spiegano tutti i grandi teorici marxisti, il compito della rivoluzione socialista è portare al potere la classe operaia abbattendo la vecchia macchina statale capitalista. Quest’ultima era l’organo repressivo costruito per tenere sottomessa la classe operaia. Marx spiegò che questo Stato capitalista, insieme alla sua burocrazia, non potrà fare gli interessi del nuovo potere; è necessario abolirlo. Tuttavia il nuovo Stato, creato dalla classe operaia, sarebbe stato diverso da tutti i precedenti Stati della storia.

 Il semi-Stato

Lo Stato, come organo di potere di classe, sorse con l’emergere della società divisa in classi. Questo fu spiegato chiaramente da Engels nel suo libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. In tempi normali, lo Stato serve gli interessi della classe che domina la società; serve per mantenere la maggioranza sottomessa ad una minoranza. Invece, un nuovo Stato operaio, al contrario degli Stati precedenti, non tenta di sottomettere una maggioranza della popolazione, ma solo di controllare uno sparuto manipolo di ex capitalisti ed ex proprietari terrieri. A questo scopo una potente macchina burocratica statale è totalmente superflua. Al contrario, lo Stato operaio serve gli interessi della maggioranza della popolazione ed è in realtà un semi-Stato.

“Man mano che vengono eliminate le classi e la disuguaglianza, il semi-Stato inizia a dissolversi nella società. Lo speciale apparato, la macchina speciale di repressione, lo “Stato”, è ancora necessario, ma è già uno Stato transitorio, non più lo Stato propriamente detto (…). Ed essa è compatibile con una democrazia che abbraccia una maggioranza della popolazione così grande che comincia a scomparire il bisogno di una macchina speciale di repressione”.5

Lo Stato è un rimasuglio della società di classe e si “estinguerà” mano a mano che nascerà la società senza classi. Quindi l’interesse del proletariato è cancellare questi resti del capitalismo il più velocemente possibile. Questo accadrà non appena le forze produttive raggiungeranno un livello in cui sarà possibile eliminare la povertà e soddisfare i bisogni di ognuno.

Nell’Anti-Dühring Engels scrisse:

“Quando, insieme al dominio di classe e alla lotta per la sopravvivenza individuale, risultato dell’attuale anarchia nella produzione, spariranno quei conflitti e gli eccessi derivanti da quella lotta, da quel momento in poi non resterà nulla da reprimere e non sarà neppure necessario un particolare strumento di repressione, ovvero dello Stato”.

Affinché lo Stato scompaia, devono sparire “il dominio di classe e la lotta per la sopravvivenza”. La società avrà raggiunto quel livello in cui potrà garantire il principio marxista: da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo le sue necessità.

Lo Stato operaio fin dalla sua nascita comincerà a dissolversi, sebbene lo Stato, il denaro e la famiglia borghese non possano essere eliminati da un giorno all’altro. Solo quando le condizioni materiali saranno sviluppate a sufficienza queste cose si potranno relegare al “Museo dell’Antiquariato”, come diceva Engels. Nei primi tempi, lo Stato operaio non potrà consentire ad ognuno di lavorare “secondo le proprie capacità”, quanto desidera, né potrà remunerare ognuno “a seconda dei propri bisogni”, a prescindere dal lavoro che svolge.Per cominciare, lo Stato operaio farà da leva per stimolare la crescita della produzione e ciò sarà possibile solo applicando i metodi del lavoro salariato sviluppati dal capitalismo. Siccome i bisogni non si potranno soddisfare subito e la disponibilità dei beni sarà per un certo periodo limitata, l’individuo riceverà una parte della produzione, determinata in base al salario percepito. In altre parole lo Stato operaio sarà inizialmente costretto a mantenere le disuguaglianze del lavoro salariato, cioè le norme borghesi di distribuzione. In primo luogo saranno necessari stanziamenti per gli investimenti e i servizi sociali; il rimanente verrà suddiviso dalla società sotto forma di salario. Su questo punto Marx corresse l’errore di Lassalle, secondo il quale la nuova società avrebbe garantito fin dall’inizio “un uguale diritto di tutti ad un uguale prodotto di lavoro”. Marx disse che l’“uguale diritto” è in realtà una violazione dell’uguaglianza ed un’ingiustizia derivata dalla penuria della società di classe:

“Per quanto riguarda la distribuzione di questi ultimi [beni di consumo] tra i singoli produttori, prevale lo stesso principio dello scambio di equivalenti: una data quantità di lavoro, in una certa forma, viene scambiata con una uguale quantità di lavoro in un’altra forma. Per cui, uguale diritto qui è ancora, di principio, diritto borghese”.6

La prima fase della nuova società non potrà garantire una completa eguaglianza; le differenze dei guadagni continueranno ad esistere, anche se il divario tra la retribuzione più alta e la più bassa sarà drasticamente ridotto.

“Un uomo è superiore ad un altro fisicamente o mentalmente – dice Marx – e quindi svolge più lavoro nello stesso tempo, oppure è capace di lavorare più a lungo, e il lavoro, per fungere da misura, deve essere definito per la sua durata o intensità, altrimenti cessa di essere un metro di misura. Questo uguale diritto è un ineguale diritto per un ineguale lavoro. Esso non riconosce differenze di classe, poiché ognuno è solo un lavoratore come gli altri, ma riconosce tacitamente il diverso apporto individuale, e quindi la diversa capacità produttiva, come privilegio naturale. Si tratta quindi di un diritto di disuguaglianza nel suo contenuto, come ogni diritto. Il diritto per sua natura può consistere solo nell’applicazione di una norma uguale.7

In altri termini lo sforzo dei lavoratori viene remunerato dai salari che prendono, il che non tiene in considerazione le loro necessità diverse. Come prosegue Marx, spiegando le differenze tra un lavoratore e l’altro:

“Un lavoratore è sposato, l’altro no, uno ha più figli dell’altro e così via. Così per una pari attività di lavoro e quindi una parte uguale nel fondo sociale dei consumi, uno, di fatto, riceverà più dell’altro, uno sarà più ricco dell’altro e così via. Per evitare tutti questi difetti, il diritto invece di essere uguale deve essere diseguale. Ma tali difetti sono inevitabili nella prima fase della società comunista così com’è quando è appena nata, dopo doglie prolungate, dalla società capitalista. La legge non può mai essere al di sopra della struttura economica della società e dello sviluppo culturale da essa condizionato”.8

In altri termini, la prima fase del comunismo (il socialismo) non può ancora fornire una giustizia e un’eguaglianza complete; esisteranno ancora per un certo tempo le differenze – differenze ingiuste – di ricchezza e reddito, anche se ci sarà una forte crescita del livello di vita. La società in quel momento non potrà permettere ad ognuno di lavorare “secondo le proprie capacità”, né potrà retribuire ognuno “secondo le proprie necessità”, a prescindere dal lavoro che fa. Lo Stato operaio sovrintenderà il rapporto tra questi due elementi antagonisti, assicurando infine il dominio delle tendenze socialiste e l’eliminazione dello Stato.

Così questo nuovo Stato assume una carattere dualistico: è socialista in quanto difende i rapporti di proprietà statalizzati ed è borghese in quanto la distribuzione dei beni e dei servizi viene espletata con i metodi capitalisti del lavoro salariato. Tuttavia, usando le norme borghesi di distribuzione, le forze produttive saranno spinte avanti e, in ultima analisi, promuoveranno gli obiettivi socialisti.

Ciononostante, commenta Lenin, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo sarà impossibile poiché i mezzi di produzione rimarranno di proprietà della società. Questo fatto da solo non può cancellare i difetti nella distribuzione e le ineguaglianze della legge borghese. L’eliminazione del capitalismo non costituisce in sè la base materiale per la creazione di una società senza classi; è il mezzo per raggiungerla. Lo Stato stesso, sebbene un semi-Stato, deve ancora fare i conti con quella legge borghese che determina una certa disuguaglianza nella società. Con l’ulteriore sviluppo delle forze produttive e il raggiungimento del comunismo, lo Stato e le altre vestigia del capitalismo spariranno. “Finché esiste lo Stato non vi è libertà”, spiega Lenin; “quando si avrà la libertà non vi sarà più Stato”.9

Sempre Marx spiega come la legge borghese scompare nella fase superiore del comunismo:

“Dopo che sarà scomparsa la sottomissione schiavizzante dell’individuo alla divisione del lavoro, e quindi anche l’antitesi tra lavoro intellettuale e lavoro manuale; dopo che il lavoro sarà diventato non solo un mezzo per vivere, ma la prima esigenza vitale; quando le forze produttive saranno incrementate anche grazie allo sviluppo globale dell’individuo e tutte le fonti di ricchezza cooperativa scorreranno abbondantemente, solo allora l’orizzonte limitato del diritto borghese potrà essere interamente superato e la società potrà scrivere sul suo stendardo: da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo le sue necessità!”10

Lenin, che commentò queste affermazioni nella sua opera Stato e Rivoluzione, parlando del periodo di transizione, aggiunse:

“Certo, il diritto borghese, per quel che concerne la distribuzione dei beni di consumo, suppone pure necessariamente uno Stato borghese, poiché il diritto è nulla senza un apparato capace di costringere all’osservanza delle sue norme. Ne consegue che in regime comunista sussistono, per un certo tempo, non solo il diritto borghese ma anche lo Stato borghese, pur senza borghesia!”11

Questa affermazione può sembrare incredibile; senz’altro fa inorridire coloro che considerano lo Stato operaio in modo idealistico. Potendosi basare solo sull’esperienza limitata della Comune di Parigi, Marx poté prevedere la forma del futuro Stato operaio solo negli aspetti più generali. Lenin sviluppò il pensiero di Marx, ma non trattò molto dettagliatamente i processi che si sarebbero verificati se lo Stato operaio russo fosse rimasto isolato in condizioni di estrema arretratezza. In molte occasioni egli sottolineò che, senza l’aiuto dei lavoratori dei paesi capitalisti avanzati, la rivoluzione non sarebbe sopravvissuta. Tuttavia era convinto che la vittoria della rivoluzione socialista mondiale avrebbe ridotto al minimo la durata di questa prima fase. Restò a Trotskij il compito di analizzare più nel dettaglio questo fenomeno, sulla base della crescente burocratizzazione del regime sovietico e dell’emergere dello stalinismo.

Ciò che è chiaro è che quanto più sarà povera la società che emergerà da una rivoluzione, tanto più saranno rozze, burocratiche e primitive le forme dello Stato di transizione e tanto maggiore sarà il pericolo che il potere sfugga di mano alla classe operaia. Questo ebbe una grande importanza per lo Stato che sorse dalla rivoluzione russa, che era isolato in un paese arretrato e minacciato da un crollo economico. Per usare le parole di Trotskij:

“Per difendere «il diritto borghese», lo Stato operaio si vede costretto a formare un organo di tipo «borghese», in breve a ritornare al gendarme, pur dandogli una nuova divisa”.12

Lenin era consapevole di questi pericoli. Egli spiegò che lo Stato è un relitto della società di classe e che può degenerare in certe condizioni, e che quindi deve essere mantenuto costantemente sotto il controllo e la vigilanza democratica dalla classe operaia. Perciò Lenin considerava fondamentale la riduzione della giornata lavorativa per dare il tempo alle masse di partecipare alla conduzione dell’industria e dello Stato. Non per motivi sentimentali, ma per impedire al nuovo Stato sovietico di consolidarsi, separarsi dalla classe operaia, in altri termini, per impedirne la degenerazione.

 La vecchia macchina statale

Lenin, seguendo l’esempio di Marx ed Engels, affrontava spesso i problemi della tattica e della strategia rivoluzionaria, così come quelli della costruzione del socialismo in un paese arretrato. Le sue Opere Complete in 53 volumi (nell’edizione russa) testimoniano la profondità del suo contributo al marxismo durante tutta la sua vita. Egli pose sempre le questioni onestamente e rifiutò di abbindolare i lavoratori russi con illusioni “ufficiali” e affermazioni compiacenti. Egli soprattutto basò la sua prospettiva sul successo della rivoluzione internazionale. Spiegò che la sconfitta del capitalismo e il consolidamento della democrazia operaia in un paese avanzato erano obiettivi già abbastanza difficili da raggiungere, ma per la Russia arretrata erano impossibili senza un aiuto immediato dall’Occidente. In tutti gli scritti di Lenin, soprattutto dopo il 1917, si riscontra una fiducia fervida nella capacità dei lavoratori di cambiare la società ed una onestà coraggiosa nell’affrontare le difficoltà. Disse sempre la verità, per quanto fosse amara, convinto che la classe operaia avrebbe compreso e accettato la necessità dei grandissimi sacrifici, a patto che i motivi venissero spiegati apertamente. Le argomentazioni di Lenin non avevano lo scopo di assopire i lavoratori sovietici con l’oppio delle “glorie del socialismo”, ma di temprarli per le lotte future, per la guerra contro l’arretratezza e la burocrazia in Russia e contro il capitalismo e per la rivoluzione socialista su scala mondiale.

Con un approccio scrupoloso, Lenin ritornò spesso a discutere delle carenze croniche dello Stato sovietico e della terribile situazione a cui andavano incontro i lavoratori russi. L’arretratezza della Russia, con il suo alto tasso di analfabetismo e una classe operaia numericamente indebolita, costrinsero il governo sovietico a servirsi di centinaia di migliaia di burocrati ex zaristi, che sabotavano gli sforzi del nuovo regime in mille modi diversi. Non era una questione secondaria, ma una minaccia di degenerazione della rivoluzione.

Marx ed Engels erano consapevoli del pericolo della burocrazia in uno Stato operaio e proposero alcune misure per combatterlo. Basandosi sull’esperienza della Comune di Parigi, Engels aveva scritto:

“Per non perdere la supremazia appena acquisita, la classe operaia deve proteggersi dai suoi stessi deputati e funzionari, dichiarandoli tutti revocabili, senza eccezioni, in ogni momento.”

Per assicurarsi che lo Stato non venga trasformato

“da servo della società a padrone della società – una trasformazione inevitabile in tutti gli Stati precedenti – la Comune usò due mezzi infallibili. In primo luogo coprì con l’elezione a suffragio universale tutti i posti amministrativi, giudiziari e dell’istruzione, col diritto di revoca in qualsiasi momento da parte degli elettori. In secondo luogo tutti i funzionari, di ogni livello, avevano lo stesso salario degli altri lavoratori; il salario più alto pagato dalla Comune fu di seimila franchi. In questo modo fu creata un’efficace barriera al carrierismo, a parte i mandati vincolanti dei delegati agli organismi rappresentativi che vennero aggiunti in seguito.”13

Facendo sua l’analisi di Marx ed Engels, Lenin nel 1917 propose quattro punti chiave per combattere la burocrazia nello Stato operaio:

1) Elezioni libere e democratiche di tutte le cariche dello Stato sovietico;

2) Diritto di revoca di tutti i funzionari pubblici;

3) Nessun funzionario deve ricevere un salario più alto di un operaio specializzato;

4) Gradualmente si deve arrivare ad una situazione in cui tutti partecipano alla gestione della società, o per usare le parole di Lenin: “Ogni cuoco deve poter fare il primo ministro”.

“Riduciamo i funzionari dello Stato – scrisse Lenin – alla funzione di semplici esecutori dei nostri incarichi, alla funzione di «sorveglianti e contabili», modestamente retribuiti, responsabili e revocabili (conservando naturalmente i tecnici di ogni specie e di ogni grado): è questo il nostro compito proletario; è da questo che si può e si deve cominciare facendo la rivoluzione proletaria”.14

Secondo Lenin, il salario più elevato e quello minimo non dovevano essere in un rapporto superiore di 4 a 1; egli lo descriveva onestamente come un “differenziale capitalista”, che però era reso necessario dalla mancanza di personale specializzato necessario per gestire l’industria e lo Stato in un paese dove il livello culturale delle masse era estremamente basso. Come dice lo storico dissidente sovietico Roy Medvedev:

“La prima scala dei salari sovietica stabiliva un rapporto di 1 a 2 tra i guadagni più bassi e più alti. All’inizio del 1919, lo scarto tra i due estremi fu ristretto ulteriormente e divenne 1 a 1,75. Questo durò fino all’inizio della NEP nell’autunno del 1921; con l’approvazione del Comitato esecutivo centrale e del Comitato centrale del partito, il Consiglio dei commissari del popolo votò una risoluzione che affermava: «Nello stabilire i livelli di salario per i lavoratori con diverse qualifiche – impiegati, tecnici specializzati e personale amministrativo dirigente – ogni idea di uguaglianza deve essere abbandonata». La nuova scala salariale prevedeva ampie differenze a seconda delle qualifiche e divideva il personale in quattro gruppi: apprendisti, operai con vari gradi di specializzazione, contabili e altri impiegati, e personale amministrativo e tecnico. Il rapporto tra il livello più basso e più alto (diciassettesima categoria) fu stabilito in 1 a 8 La questione della paga per i dipendenti degli organismi amministrativi statali fu trattata in modo diverso. Nei primi mesi dopo l’Ottobre, il salario minimo di sussistenza, basato sul cambio e sul livello dei prezzi, fu calcolato a otto rubli al giorno; questo fu confermato da un decreto del 16 gennaio 1918”.15

Nello stesso periodo Lenin abbozzò una proposta di legge “Sui salari del personale direttivo e dei funzionari pubblici”, che fu approvata, con pochi emendamenti, dal consiglio dei commissari del popolo. Il testo era il seguente:

“Dal momento che si considera necessario adottare le misure più energiche per abbassare i salari dei funzionari in tutte le imprese ed istituzioni statali, comunali e private, senza eccezioni, il Consiglio dei commissari del popolo decreta che:

1. Ci sia un limite massimo al salario dei commissari del popolo di 500 rubli al mese, con un’aggiunta di 100 rubli per ogni figlio; la dimensione dell’alloggio è limitata ad una stanza per ogni elemento della famiglia.

2. Tutti i Soviet locali dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini predispongano e applichino misure rivoluzionarie per la tassazione speciale del personale dirigente.

3. Il Ministero delle finanze e tutti i singoli commissari facciano un rapido studio dei conti dei ministeri e riducano tutti i salari e le pensioni eccessivamente alti.”

Durante i primi mesi del potere sovietico il salario dei commissari del popolo (compreso quello di Lenin stesso) era di sole due volte superiore a quello minimo di sussistenza per un comune cittadino. Negli anni successivi, i prezzi e il valore del rublo spesso cambiarono rapidamente e i salari cambiarono di conseguenza. A volte le cifre erano sbalorditive: centinaia di migliaia e milioni di rubli. Ma, anche in queste condizioni, Lenin si assicurò che il rapporto tra i salari più bassi e quelli più alti nell’organizzazione dello Stato non superasse il limite stabilito; finché egli fu in vita il rapporto, a quanto pare, non fu mai maggiore di 1 a 5. Certamente in condizioni di arretratezza si dovettero fare molte eccezioni che costituivano un passo indietro rispetto ai principi della Comune di Parigi. Per convincere “gli specialisti borghesi” (spetsij) a lavorare per lo Stato sovietico, fu necessario pagarli con salari molto alti. Essi infatti potevano guadagnare il 50% in più di ciò che ricevevano i membri del governo. Queste misure erano necessarie fino a quando la classe operaia non avesse sviluppato le capacità necessarie a sostituirli. Inoltre venivano pagati compensi speciali per certe categorie di operai e di impiegati e così via. Parlando al VII congresso provinciale del partito moscovita il 29 ottobre del 1921, Lenin lo spiegò onestamente:

“Anche in quel momento abbiamo dovuto tornare indietro su alcuni punti. Per esempio nel marzo e aprile del 1918, si è posta la questione di remunerare gli specialisti con stipendi conformi, non a logiche socialiste, ma a quelle borghesi, cioè con salari che corrispondevano non alla difficoltà o durezza del lavoro svolto, ma alle consuetudini borghesi e alle condizioni della società borghese. Questi stipendi eccezionalmente alti, alla maniera borghese, per gli specialisti non rientravano originariamente nei piani del governo sovietico, ed erano anche in contrasto con una serie di decreti emanati alla fine del 1917. Ma all’inizio del 1918 il nostro partito ha dato indicazioni dirette affinché si tornasse indietro su questo punto e si raggiungesse un «compromesso» (uso il termine allora corrente)”.16

Tuttavia questi compromessi non valevano per i comunisti. Era loro severamente vietato ricevere più del salario di un operaio specializzato. Ogni guadagno percepito oltre quella cifra doveva essere versato al partito. Il presidente del Consiglio dei deputati del popolo riceveva 500 rubli, come un operaio specializzato. Quando nel maggio 1918 V.D. Bonch-Bruevich, responsabile di personale del Consiglio dei deputati del popolo, diede a Lenin una cifra superiore, fu severamente rimproverato dallo stesso Lenin che definì l’aumento “illegale”. Nell’aprile del 1918, Lenin descrisse l’introduzione di incentivi e differenziali materiali come:

“(…) un passo indietro del nostro potere statale socialista sovietico, che fin dal principio ha proclamato e perseguito la politica della riduzione degli stipendi alti al livello del salario dell’operaio medio”.17

Come ha scritto Roy Medvedev:

“Ai comunisti, anche a quelli che occupavano i posti più elevati, Lenin chiese moderazione. Si interessò dei loro problemi di salute, della loro alimentazione e degli alloggi, ma ribadì che i loro salari, compreso il suo, dovevano essere mantenuti entro certi limiti. Non erano concessi lussi (…). In generale Lenin si oppose sia al livellamento dei salari, sia ai salari eccessivamente alti, soprattutto per i militanti del partito. Il risultato di questa politica fu il cosiddetto massimo di partito, un tetto massimo per tutti i comunisti. Lenin considerava ogni eccessiva disuguaglianza nello stipendio o nelle condizioni di vita «una fonte di corruzione all’interno del partito e un fattore che riduce l’autorità dei comunisti»”.18

Ci sono molti esempi che mostrano le condizioni di vita dei dirigenti dello Stato operaio. Scrivendo sul periodo della guerra civile, Victor Serge ricorda come viveva il vice capo della Ceka:

“Per tutto questo periodo, Bakaev della Ceka andava in giro con stivali bucati. Nonostante le mie razioni speciali da funzionario del governo, sarei morto di fame senza le sordide manipolazioni del mercato nero, dove mettevamo in commercio piccoli oggetti che avevamo portato dalla Francia. Il figlio maggiore del mio amico Jonov, cognato di Zinoviev, membro dell’esecutivo del soviet e fondatore e direttore della Biblioteca statale, morì di fame proprio davanti ai nostri occhi. Tutto questo mentre noi eravamo responsabili di considerevoli scorte e anche ricchezze, ma per conto dello Stato e sotto rigoroso controllo. I nostri salari erano limitati al «massimo comunista», pari al salario medio di un operaio specializzato”.19

Lo scrittore inglese Arthur Ransome, che conosceva bene la Russia e fece molte visite in quel periodo, racconta un episodio straordinario del quale fu testimone nel 1921 quando partecipò a una delegazione ufficiale con Radek e Larin alla città di Jaroslavl. Sotto Stalin il carcere di Jaroslavl sarebbe diventato un posto infame, ma allora i bolscevichi prendevano sul serio la riforma delle carceri e cercavano di migliorare le condizioni dei detenuti. In condizioni di terribile carestia, il cibo alla prigione di Jaroslavl era addirittura migliore di quello a disposizione della direzione locale del soviet!

“Si dà il caso,” spiegava Rostopcin, “che l’ufficiale responsabile degli approvvigionamenti di cibo della prigione sia un tipo molto attivo, che ha militato nel vecchio esercito con un incarico simile. I pasti serviti ai detenuti sono molto migliori di quelli della sede centrale del soviet, tanto che i membri del comitato esecutivo si fanno una passeggiata fino al carcere per cenare. Ci invitarono a fare altrettanto. Larin non se la sentiva di camminare e rimase nella Casa del soviet a mangiare un pasto inferiore, mentre io e Radek, con Rostopchin e altri tre membri del comitato locale, andammo al carcere”.20

Secondo Karl Idman, un membro del governo finlandese che incontrò Lenin nel dicembre del 1917:

“Lenin ci ricevette cordialmente, scusandosi per averci fatto attendere. La stanza in cui ci trovammo era divisa in due da una parete di cartone (…). Non era affatto diversa da qualsiasi altra dello Smolnij. Era semplice come tutto il resto, le pareti erano dipinte di bianco, c’era un tavolo di legno e qualche sedia”.

Ciò viene confermato da Victor Serge:

“Al Cremlino [Lenin] occupava ancora un piccolo appartamento costruito per la servitù. Durante l’inverno scorso, come tutti gli altri, non aveva avuto il riscaldamento. Quando andava dal barbiere aspettava il suo turno, ritenendo indegno che qualcuno gli lasciasse il posto”.21

Lo stesso valeva per Trotskij, che era di fatto il vice di Lenin:

“Durante i primi giorni della rivolta bolscevica andavo ogni mattina allo Smolnij per avere le ultime notizie. Trotskij e la sua graziosa moglie, che raramente parlava in altra lingua che non fosse francese, vivevano in una sola stanza all’ultimo piano. La stanza era suddivisa come una mansarda da pittore povero. Da una parte c’erano due brande e una cassettiera piccola ed economica; dall’altra una scrivania con due o tre sedie di legno. Non c’erano quadri e nessuna comodità. Trotskij occupò questo ufficio per tutto il tempo che fu Ministro degli affari esteri e molti dignitari dovettero incontrarlo lì. Fuori dalla porta due guardie rosse sorvegliavano costantemente. Sembravano minacciosi, ma in realtà erano amichevoli. Era sempre possibile farsi ricevere da Trotskij”.22

Questa non era un’eccezione. I leader bolscevichi erano sempre accessibili e vicini alle masse. Camminavano per la strada senza scorta. Proprio per questo un socialrivoluzionario di sinistra poté sparare a Lenin, ferendolo gravemente. Durante il periodo di Stalin e dei suoi successori, i burocrati godevano di condizioni lussuose e di privilegi, sfrecciavano con grandi limousine, erano accompagnati da eserciti di guardie del corpo; tutto ciò mostra quale distanza separava il regime democratico di Lenin da ciò che lo sostituì. Ed è necessario sottolineare comunque che Lenin considerava le differenze relativamente piccole di quel periodo come differenziali capitalisti inaccettabili, che si sarebbero gradualmente ridotti nella misura in cui la società fosse progredita verso il socialismo.

 Le radici della burocrazia

Nel febbraio del 1917, il partito bolscevico non aveva più di 8mila militanti in tutta la Russia. All’apice della guerra civile, quando l’appartenenza al partito implicava un rischio personale, vennero spalancate le porte agli operai e la militanza arrivò a 200mila unità. Ma quando la guerra civile si avvicinò alla fine, le iscrizioni al partito addirittura triplicarono per l’afflusso dei carrieristi e di elementi di classi e partiti ostili. Occorreva ripulire il partito da questi elementi. La “purga” iniziata da Lenin nel 1921 non aveva niente in comune con i mostruosi processi truccati di Stalin; non ci furono né polizia, né processi, né campi di prigionia, solo l’allontanamento di carrieristi piccolo borghesi e menscevichi per preservare le idee e le tradizioni dell’Ottobre dagli effetti nefasti della reazione piccolo borghese. All’inizio del 1922, circa 200mila membri (un terzo degli iscritti) erano già stati espulsi.

Alla fine del 1920 il numero dei funzionari statali era lievitato da poco più di 100mila all’inquietante cifra di 5 milioni e 880mila, che era cinque volte il numero degli operai nell’industria. La scarsità di militari qualificati era tale che l’Armata rossa arruolò vecchi ufficiali zaristi per combattere i Bianchi. Nell’agosto del 1920 gli ufficiali zaristi chiamati alle armi come specialisti militari erano arrivati a 48.409. Questi non avevano una lealtà radicata verso lo Stato sovietico. Per convincerli a prestare i loro servizi ed evitare che si schierassero nella fazione opposta, il governo bolscevico fu costretto a concedere loro privilegi considerevoli. Per controllare la lealtà di questi ufficiali e disporre di uno strumento essenziale di controllo operaio su di loro, furono istituiti dei commissari politici.

L’intenzione di Lenin era di coinvolgere gradualmente l’intera classe operaia nella gestione dello Stato:

“Il nostro fine è di portare tutti i poveri al lavoro pratico dell’amministrazione (…), per garantire che ogni lavoratore, finito il suo «compito» di otto ore di lavoro produttivo, possa compiere i suoi doveri pubblici senza paga”.23 

Ma nelle condizioni generali di arretratezza, questo si dimostrò impossibile. Il giovane Stato sovietico fu costretto a servirsi dei resti della vecchia macchina statale. Nel marzo 1918 Lenin disse al congresso del partito che “i mattoni con i quali verrà costruito il socialismo non sono ancora stati creati”.24

Come abbiamo visto, l’analfabetismo generalizzato costrinse i bolscevichi a fare affidamento sulla vecchia burocrazia zarista (“coperta da uno strato sottile di vernice sovietica”): amministratori, funzionari governativi, ufficiali militari e direttori di fabbrica. Almeno finché non fosse arrivato l’aiuto dell’Occidente, questo era inevitabile; avrebbe avuto gravi conseguenze più tardi, ma a quel tempo non c’era alternativa. Quando Lenin, durante la guerra civile, chiese a Trotskij se fosse il caso di sostituire i vecchi ufficiali zaristi, controllati dai commissari politici, con ufficiali comunisti, Trotskij rispose:

«Ma sa quanti ne abbiamo ora nell’esercito?»

«Non lo so.»

«Dica una cifra approssimativa!»

«Non lo so.»

«Non meno di trentamila.»

«Che cosa?»

«Non meno di trentamila. Per ogni traditore ci sono cento buoni ufficiali; per ogni disertore ci sono due o tre caduti. Con chi potremmo sostituirli tutti?»

Qualche giorno dopo Lenin pronunciava un discorso sui compiti dell’edificazione socialista, dicendo tra l’altro:

“Quando di recente il compagno Trotskij mi ha fatto sapere che il numero degli ufficiali nel nostro esercito ammonta ad alcune decine di migliaia, ho capito quale sia il segreto di come utilizzare il nemico (…) e la necessità di costruire il comunismo con i mattoni che il capitalismo aveva destinato alla lotta contro di noi”.25

In relazione allo Stato stesso, Lenin disse al Quarto congresso del Comintern nel 1922:

“Abbiamo ereditato la vecchia macchina dello Stato e questa è stata la nostra sfortuna. Abbiamo un esercito enorme di dipendenti pubblici, ma ci mancano le forze istruite ad esercitare un reale controllo su di esso (…). Al vertice ne abbiamo, non so quanti, ma almeno qualche migliaia (…). Più in basso ci sono centinaia di migliaia di vecchi funzionari provenienti dallo zar e dalla società borghese”.26

Come sempre Lenin spiegava l’amara verità sull’apparato dello Stato sovietico. Non ebbe mai una visione idealizzata di questo organo deplorevole. Egli capiva molto bene che il burocratismo non era soltanto una questione di comportamento burocratico, troppe scartoffie ecc.; un tale approccio non ha niente in comune con il metodo marxista. Il marxismo considera la burocrazia come un fenomeno sociale che sorge da determinate condizioni materiali. Nel caso della Russia, essa nacque dall’isolamento della rivoluzione in un paese contadino arretrato e analfabeta.

Lenin spiegò la burocrazia come un parassita, un tumore capitalista nell’organismo dello Stato operaio. La Rivoluzione d’Ottobre aveva rovesciato il vecchio ordine e depurato lo Stato zarista, ma in condizioni di generale arretratezza economica e culturale gli elementi del vecchio regime si insinuavano ovunque in posizioni di privilegio e di potere, mano a mano che l’ondata rivoluzionaria indietreggiava con la sconfitta della rivoluzione internazionale. C’era il pericolo reale che la rivoluzione subisse una degenerazione burocratica. Lenin ne denunciò la crescente minaccia e chiese una lotta a tutto campo contro di essa:

“Abbiamo cacciato i vecchi burocrati, ma essi sono tornati (…). Si sono messi un nastro rosso all’occhiello e si insinuano in comodi posticini. Che fare in proposito? Dobbiamo combattere questa marmaglia sempre di più e se la feccia è tornata indietro strisciando dobbiamo eliminarla ancora, darle la caccia, tenerla sotto la sorveglianza di lavoratori e contadini comunisti che siano conosciuti da più di un mese o da più di un anno”.27

Engels spiegò che in ogni società in cui l’arte, la scienza e il governo siano il feudo riservato di una minoranza privilegiata, tale minoranza userà ed abuserà sempre della sua posizione per i propri interessi. E questo stato di cose è inevitabile fin tanto che la stragrande maggioranza della popolazione è costretta a faticare per lunghe ore nell’industria e nell’agricoltura per soddisfare i bisogni fondamentali. Dopo la rivoluzione, date le condizioni disastrose dell’industria, la giornata lavorativa non fu accorciata, ma allungata. Gli operai faticavano per dieci, dodici ore e più al giorno e ricevevano razioni di sopravvivenza; molti lavoravano nei fine settimana volontariamente senza essere pagati. Ma, come spiegò Trotskij, le masse possono sacrificare il loro “oggi” per il “domani” solo entro un certo limite.

Gli strascichi della guerra, della rivoluzione, di quattro anni di sanguinosa guerra civile e di carestia in cui morirono milioni di persone indebolirono numericamente la classe operaia e anche il suo morale. Da una parte abbiamo la disintegrazione della classe, la perdita, durante la guerra civile, di molti degli elementi più avanzati, l’afflusso di elementi meno politicizzati dalle campagne, la demoralizzazione e la stanchezza delle masse; dall’altra parte abbiamo le forze della reazione: quegli elementi borghesi e piccolo borghesi, che erano stati temporaneamente demoralizzati e costretti a fuggire all’estero o alla clandestinità dal successo della rivoluzione in Russia, cominciarono a tornare alla ribalta, sfruttando la situazione per inserirsi negli organismi dirigenti dell’industria, dello Stato e perfino del partito.

Victor Serge ricorda le sue impressioni sull’apparato sovietico già nei primi anni:

“Di questo apparato, che mi sembrava funzionare a vuoto, sprecando i tre quarti del tempo per progetti irrealizzabili, mi feci all’istante la peggior impressione possibile. Nel bel mezzo della miseria generale, stava già alimentando una moltitudine di burocrati che erano responsabili più del chiasso che di un onesto lavoro. Negli uffici dei commissari s’incontravano signori eleganti, dattilografe impeccabilmente incipriate, eleganti divise appesantite dalle decorazioni; ed ognuno, in questo bel mondo, in così grande contrasto con la popolazione affamata nelle strade, continuava a mandarti avanti e indietro da un ufficio all’altro per le ragioni più futili e senza il minimo risultato”.28

La lotta di Lenin contro Stalin

Fin dal 1919 il governo bolscevico aveva organizzato il Commissariato del popolo per l’ispezione operaia e contadina (detto Rabkrin dall’acronimo del suo nome in russo). Il suo obiettivo era quello di eliminare i carrieristi e i burocrati dallo Stato e dall’apparato di partito. Stalin, dato il suo passato di buon organizzatore, fu messo a capo della Rabkrin. Tuttavia nel giro di poco tempo la sua visione ristretta e puramente organizzativa e le sue ambizioni personali lo portarono a diventare il principale portavoce della burocrazia nella direzione del partito. La sua posizione gli permetteva di selezionare il personale per i posti chiave nello Stato e nel partito; radunò di soppiatto un gruppo di alleati e tirapiedi, nullità politiche che gli erano grate per il loro avanzamento. La Rabkrin nelle mani di Stalin divenne uno strumento per rafforzare la sua posizione e per eliminare i suoi rivali politici.

Già nel 1920 Trotskij criticò il lavoro della Rabkrin, che da strumento per combattere la burocrazia stava diventando esso stesso un focolaio della burocrazia. Inizialmente Lenin difese la Rabkrin contro queste critiche, ma più tardi si avvicinò all’opinione di Trotskij:

“Questa idea fu suggerita dal compagno Trotskij, sembra, un bel po’ di tempo fa. Allora io ero contrario (…), ma dopo aver osservato la questione in modo più approfondito trovo che sia in sostanza un’idea sensata”.

All’inizio la malattia di Lenin gli impedì di comprendere ciò che accadeva nello Stato e nel partito. Ma nel 1922 la situazione gli si fece chiara: “La burocrazia ci sta strangolando”. Egli vide che il problema nasceva dall’arretratezza economica e culturale del paese.

Allora, come si doveva combattere questo stato di cose? Egli sottolineò l’importanza dell’organizzazione dei lavoratori nel tenere a bada la minaccia burocratica:

“Il nostro programma di partito, un documento che l’autore dell’ABC del comunismo [Nikolai Bucharin] conosce molto bene, dimostra che il nostro è uno Stato operaio con una distorsione burocratica (…). Ora abbiamo uno Stato nel quale il compito del proletariato organizzato è proteggere se stesso, mentre da parte nostra dobbiamo usare queste organizzazioni operaie per proteggere gli operai dal loro Stato e portarli a proteggere il nostro Stato”.29

Lenin sostenne, in modo dialettico, che i sindacati nello Stato operaio devono essere indipendenti, in modo che la classe operaia possa difendersi dallo Stato e a sua volta difendere lo Stato operaio stesso. La crescente minaccia burocratica occupò l’attenzione di Lenin lungo tutto l’anno. Al XI congresso del partito, nel marzo-aprile del 1922, l’ultimo congresso al quale fu in grado di partecipare, la burocratizzazione fu la sua principale preoccupazione. Si occupò in primo luogo dei rapporti di produzione nell’Urss considerandoli una forma di “capitalismo di Stato”; era su questi rapporti che si basava la NEP. Il mercato era autorizzato, mentre i settori chiave dell’economia rimanevano nelle mani dello Stato. Lenin disse che normalmente il concetto di capitalismo di Stato era riferito ad un settore nazionalizzato minoritario in uno Stato capitalista. Ma ora lo usò in modo diverso per descrivere la NEP:

“È per questo che molti vengono fuorviati dal termine capitalismo di Stato. Per evitare questo dobbiamo ricordare la cosa fondamentale, cioè che il capitalismo di Stato nella forma che abbiamo qui non viene trattato in nessuna teoria, o libro, per la semplice ragione che tutti i concetti correnti associati a questo termine sono riferiti al potere borghese nella società capitalista. La nostra è una società che ha lasciato i binari del capitalismo, ma non ne ha ancora trovati di nuovi. Lo Stato in questa società non è governato dalla borghesia, ma dal proletariato. Ci rifiutiamo di capire che quando parliamo di «Stato» intendiamo noi stessi, il proletariato, l’avanguardia della classe operaia. Il capitalismo di Stato è un capitalismo che saremo in grado di contenere, con dei limiti che potremo prefissare noi. Questo capitalismo è connesso con lo Stato e lo Stato sono i lavoratori, la parte combattiva dei lavoratori, l’avanguardia. Lo Stato siamo noi”.

Egli spiega poi che questo capitalismo che esiste a ridosso dello Stato operaio è necessario “per soddisfare i bisogni dei contadini (…); senza, l’esistenza è impossibile”. Lenin segue poi trattando il punto centrale del problema:

“Dunque, è passato un anno, lo Stato è nelle nostre mani; ma in quest’anno ha applicato la NEP nel modo che volevamo? No. Ma ci rifiutiamo di ammettere che non ha funzionato nel modo che volevamo. Come ha funzionato? La macchina si è rifiutata di obbedire alla mano che la guidava. Era come un’automobile che non prendeva la direzione voluta dall’autista, ma quella voluta da qualcun altro, come se fosse stata guidata da una mano misteriosa, sfrenata, Dio sa di chi, forse di un profittatore, o di un capitalista privato, o di entrambi. Sia come sia, la macchina non sta andando proprio nella direzione che l’uomo al volante pensava e spesso va in una direzione completamente diversa.30

Allora, cosa manca? (…) se consideriamo Mosca con i suoi 4.700 comunisti in posizioni direttive e l’enorme macchina burocratica, questa massa gigantesca, dobbiamo chiederci: chi dirige chi? Dubito fortemente che si possa dire onestamente che i comunisti dirigano la macchina burocratica. A dire il vero, non la dirigono, ma ne vengono diretti”.31

Lungi dall’essere il semi-Stato concepito da Lenin nel suo libro Stato e Rivoluzione, l’apparato statale era deformato burocraticamente e profondamente influenzato dall’ideologia ostile del vecchio regime. Lenin spiegò in un linguaggio chiaro le possibilità di degenerazione della rivoluzione per effetto delle pressioni di classi ostili. Egli paragonò il rapporto fra i lavoratori sovietici e la burocrazia e gli elementi pro capitalisti, a quello tra una nazione conquistatrice e quella occupata. La storia ha dimostrato più volte che il fatto che una nazione sconfigga un’altra con le armi non è, di per sé, una garanzia sufficiente di vittoria. Dato il basso livello culturale della debole classe operaia sovietica, circondata da una miriade di piccoli proprietari terrieri, le pressioni erano enormi. Esse si riflettevano non solo nello Stato, ma inevitabilmente nel partito stesso, che divenne il centro della lotta di interessi di classe contrapposti.

“A volte una nazione ne conquista un’altra; la nazione che conquista è la dominatrice e la nazione che è stata sconfitta è quella dominata. Questo è semplice e chiaro per tutti. Ma cosa accade alle culture di queste nazioni? Qui le cose non sono così semplici; se la nazione dominante è più acculturata di quella sconfitta, la prima impone la sua cultura sulla seconda; ma nel caso opposto, la nazione sconfitta impone la sua cultura su quella conquistatrice. Non è forse successo qualcosa del genere nella capitale della Rsfsr (Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa)? I 4.700 comunisti (quasi una divisione di un esercito e tutti fra i migliori) hanno subìto l’influenza di una cultura estranea?” – Lenin chiede precisamente: – “Si renderanno conto i dirigenti comunisti del Rsfsr e del partito comunista russo che essi non possono governare, che essi credono solamente di dirigere, ma sono in realtà diretti?”

Già a quel tempo i settori più perspicaci della borghesia in esilio, il gruppo di Ustrjalov Smena Vekh, riponevano apertamente le loro speranze sulle tendenze burocratico-borghesi che si manifestavano nella società sovietica, come un passo nella direzione della restaurazione capitalista. Lo stesso gruppo avrebbe più tardi applaudito e incoraggiato gli stalinisti nella loro lotta contro il trotskismo. Il gruppo Smena Vekh, al quale Lenin riconobbe un acuto punto di vista di classe, vide giustamente la lotta di Stalin contro Trotskij, non in termini di scontro tra personalità, ma come una questione di classe, come un passo indietro dalla tradizione rivoluzionaria dell’Ottobre. Parlando delle opinioni dello Smena Vekh, Lenin disse:

“Dobbiamo riconoscere francamente che le cose dette da Ustrjalov sono possibili; la storia conosce ogni genere di trasformazioni. Basarsi sulla fermezza delle convinzioni, sulla lealtà e altre belle qualità morali è tutt’altro che un approccio politico serio. Alcune persone possono essere dotate di splendide qualità morali, ma le questioni storiche vengono decise dalle grandi masse che, se non apprezzano tali persone, possono a volte trattarle poco gentilmente”.32

Dopo l’XI congresso del partito nel 1922, la salute di Lenin peggiorò e nel maggio di quell’anno egli ebbe il primo colpo apoplettico. Si riprese, fu di nuovo in piedi a luglio e ricominciò a lavorare ufficialmente in ottobre. Al suo ritorno egli rimase profondamente colpito dal crescente cancro burocratico che erodeva lo Stato e il partito. “La nostra burocratizzazione è una cosa mostruosa”, osservò Lenin a Trotskij. “Sono rimasto atterrito quando sono tornato a lavorare”. Fu in questo periodo che offrì a Trotskij di formare un’alleanza contro la burocrazia in generale e contro l’Ufficio organizzativo in particolare. Inoltre Lenin concentrò la sua attenzione sul problema della direzione del partito. I contrasti con Stalin sul problema georgiano e su altre questioni rivelarono progressivamente il ruolo di quest’ultimo. Lenin cominciò a lavorare al suo Testamento.

Il 30 dicembre del 1922 egli dettò questa nota:

“Si dice che era necessario un apparato statale unito. Da dove viene questa certezza? Non viene forse dallo stesso apparato russo che, come ho indicato in una delle precedenti sezioni del mio diario, abbiamo ereditato dallo zarismo dandogli una leggera verniciata sovietica?

Non c’è dubbio che il provvedimento si sarebbe dovuto rinviare fino a quando avessimo potuto dire che riconoscevamo l’apparato come nostro. Ma ora, in tutta onestà, dobbiamo ammettere il contrario: l’apparato che diciamo nostro ci è di fatto alquanto estraneo; è un guazzabuglio borghese e zarista e in mancanza dell’aiuto di altri paesi non c’è stata possibilità di disfarsene nei cinque anni passati, poiché siamo stati «occupati» per la maggior parte del tempo con problemi militari e con la lotta contro la carestia”.33

Lenin si rese pienamente conto della reazione burocratica nel partito solo verso la fine del 1922, quando scoprì la verità sulle manovre di Stalin nei confronti dei dirigenti bolscevichi georgiani. Il ruolo centrale di Stalin in tutto questo intreccio burocratico divenne chiaro. Senza che Lenin o il Politburo (il massimo organismo del Partito) ne fossero a conoscenza, Stalin con i suoi scagnozzi Dzerzinskij e Orgionikidze aveva realizzato un colpo di Stato nel partito georgiano. I quadri migliori del bolscevismo georgiano erano stati epurati e ai dirigenti venne negato l’accesso a Lenin, che veniva imbottito di falsità da Stalin. Quando alla fine Lenin scoprì ciò che stava accadendo, si arrabbiò enormemente. Dal suo letto, verso la fine del 1922, dettò una serie di note al suo stenografo su “la tristemente nota questione dell’autonomia, che, a quanto pare, viene chiamata ufficialmente questione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche”. Le note di Lenin sono una schiacciante condanna dell’arroganza burocratica e sciovinista di Stalin e della cricca che lo circondava. Ma Lenin non trattò questo episodio come un fenomeno accidentale, come un “deprecabile errore”, ma come espressione del marcio nazionalismo reazionario della burocrazia sovietica. Lenin tuonò:

“Non c’è dubbio che la percentuale infinitesimale di lavoratori sovietici e sovietizzati affogherà in quella marea di gentaglia sciovinista grande-russa come una mosca nel latte”.34

Dopo il problema georgiano, Lenin spostò tutto il peso della sua autorità sulla lotta per rimuovere Stalin dall’incarico di segretario generale del partito che occupava da poco tempo in seguito alla morte di Sverdlov. Tuttavia, ora più che mai, Lenin temeva che una spaccatura palese nella direzione, in quelle condizioni, portasse alla divisione del partito sulla base di interessi di classe contrapposti. Tentò quindi di tenere la lotta all’interno della direzione e le sue note ed altro materiale non furono resi pubblici. Scrisse segretamente ai bolscevichi georgiani (mandandone copia anche a Trotskij e a Kamenev) prendendo le difese della loro causa contro Stalin “con tutto il mio cuore”. Non potendo occuparsi personalmente della questione, scrisse a Trotskij chiedendogli di impegnarsi nella difesa dei georgiani nel Comitato centrale. Negli ultimi mesi della sua vita politica, indebolito dalla malattia, Lenin si rivolse spesso a Trotskij chiedendo il suo appoggio nella lotta contro la burocrazia e contro Stalin. Sulla questione del monopolio del commercio estero, sulla questione della Georgia e infine nella lotta per espellere Stalin dalla direzione, Lenin formò un’alleanza con Trotskij, l’unico uomo della direzione di cui poteva fidarsi.

La lotta di Lenin contro Stalin era legata direttamente alla sua lotta decisa contro la burocrazia all’interno dello stesso partito bolscevico. In Meglio meno, ma meglio, scritto poco prima del suo Testamento, Lenin commentò: “Sia detto fra parentesi, la burocrazia esiste da noi, non solo negli organismi sovietici, ma anche in quelli di partito”. Nello stesso scritto lanciò un duro attacco contro la Rabkrin, cioè contro Stalin:

“Diciamolo pure: il Commissariato del popolo per l’Ispezione operaia e contadina non gode ora di nessun prestigio. Tutti sanno che non esistono organismi peggio organizzati dell’Ispezione operaia e contadina e che, nelle condizioni attuali, è inutile pretendere qualcosa da questo Commissariato del popolo”.35

Lenin cominciò a scrivere il suo Testamento il 25 dicembre del 1922; in esso valutava criticamente le qualità della direzione bolscevica. Conteneva le sue raccomandazioni finali:

“Essendo diventato il compagno Stalin segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un potere enorme e non sono sicuro che egli sappia sempre come usarlo con sufficiente cautela.” – Poi tratta le qualità di Trotskij – “D’altra parte il compagno Trotskij, come ha dimostrato la sua lotta contro il Comitato centrale in relazione alla questione del Commissariato popolare delle comunicazioni, si è distinto non solo per la sua eccezionale capacità – di certo è personalmente l’uomo più capace del comitato centrale – ma anche per la sua fin troppo grande sicurezza e per una predisposizione ad essere troppo attratto dal lato puramente amministrativo delle questioni.” – In relazione agli altri – “Vi ricorderò soltanto che l’episodio dell’Ottobre di Zinoviev e Kamenev non fu certo accidentale, ma che non va usato contro di loro personalmente, così come il passato non bolscevico di Trotskij.”

Tuttavia nuove allarmanti manifestazioni dell’abuso del potere da parte di Stalin spinsero Lenin a dettare un poscritto dieci giorni dopo, datato 14 gennaio 1923, interamente dedicato a Stalin. Questa volta fu diretto e brutale:

“Stalin è troppo rozzo e questo difetto, pur essendo abbastanza tollerabile fra noi e nei rapporti fra noi comunisti, diventa intollerabile in un Segretario generale. Per questo spingo affinché i compagni pensino ad un modo per rimuovere Stalin da quell’incarico e mettano un altro uomo al suo posto che sia diverso da Stalin in tutti gli aspetti, che abbia una sola qualità, e cioè quella di essere più tollerante, più leale, più educato, più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso.”36

Due mesi più tardi Lenin interruppe le sue relazioni politiche e personali con Stalin, dopo che questi ebbe aggredito verbalmente sua moglie, la Krupskaja. Due giorni prima del suo ultimo colpo apoplettico, egli scrisse a Stalin, con una copia per Zinoviev e Kamenev:

“Non ho intenzione di dimenticare così facilmente ciò che si è fatto contro di me e va da sé che ciò che si è fatto contro mia moglie lo considero come se fosse stato fatto contro di me”.37

Il 6 marzo la Krupskaja disse a Kamenev che Lenin aveva deciso di “schiacciare politicamente Stalin”.38 Lenin disse alla Krupskaja che il Testamento si doveva tenere segreto sino alla sua morte e successivamente doveva essere reso pubblico all’interno del partito. Ma Lenin fu gravemente incapacitato da un terzo attacco il 9 marzo del 1923. Nove mesi dopo, il 21 gennaio 1924, Lenin morì. Per Stalin fu provvidenziale. Fu deciso di tenere il Testamento di Lenin sotto chiave. Inutile dire che le notizie documentate dell’ultima lotta di Lenin contro Stalin e la burocrazia vennero seppellite per decenni e denunciate come falsificazioni dai capi dei partiti comunisti in tutto il mondo. Gli ultimi scritti di Lenin vennero nascosti alla base del partito. Il suo Testamento, che chiedeva la rimozione di Stalin dall’incarico di segretario generale, nonostante le proteste della Krupskaja, non fu letto pubblicamente al congresso. Rimase nascosto fino al 1956, quando Kruscev e compagnia lo tirarono fuori insieme a qualche altro testo, come strumento della loro campagna per scaricare la colpa di tutto ciò che era accaduto nei trent’anni precedenti sulle spalle di Stalin. Con la morte di Lenin, la lotta contro la crescente reazione burocratica spettava a Trotskij e all’Opposizione di sinistra.

La reazione burocratica

Ogni sconfitta della classe operaia a livello internazionale e il conseguente clima di disperazione e delusione tra il proletariato russo diede alla reazione burocratica in Unione Sovietica una forma sempre più minacciosa. La burocrazia veniva alimentata da questo clima di stanchezza e di crescente scetticismo, in particolare tra le vecchie generazioni. Questa casta di funzionari cominciò a mostrare i muscoli e a sentirsi più cosciente della propria indipendenza, della propria importanza e del proprio potere.

La partecipazione sempre minore della popolazione alla vita politica rafforzò questo processo. La burocrazia presto rivelò le proprie idee; puntava alla stabilità e all’abbandono della rivoluzione internazionale.

“Dovunque le masse furono progressivamente eliminate dalla partecipazione effettiva al potere” – osserva Trotskij – “La reazione in seno al proletariato alimentava la speranza e la fiducia in se stessa della piccola borghesia urbana e rurale, che resuscitata a nuova vita dalla NEP, osava sempre di più. La giovane burocrazia, formata all’inizio per servire il proletariato, si sentiva arbitra tra le classi, diveniva ogni mese più indipendente. La situazione internazionale agiva potentemente nello stesso senso. La burocrazia sovietica guadagnava in fiducia in se stessa via via che la classe operaia internazionale subiva sconfitte più pesanti. Tra questi due fatti, la relazione non è solo cronologica, è causale e in due sensi: la direzione burocratica del movimento contribuiva alle sconfitte, le sconfitte rafforzavano la burocrazia”.39

La sconfitta della Rivoluzione tedesca del 1923, seguita dalle disfatte in Bulgaria ed Estonia, fu un duro colpo per il morale del proletariato russo. Condannava lo Stato sovietico ad un periodo di ulteriore isolamento economico e politico. All’interno del partito comunista l’iniziativa e l’indipendenza dei quadri venivano sistematicamente represse dal “dirigismo” burocratico a tutti i livelli. Una gerarchia di funzionari nominati sostituì i rappresentanti eletti. Trotskij, che era stato sollecitato da Lenin ad intraprendere la lotta contro la burocratizzazione, raccogliendo questa sfida, fondò l’Opposizione di sinistra. Le rivendicazioni dell’Opposizione si concentrarono sul ripristino della democrazia operaia all’interno del partito e sul coordinamento dell’industria e dell’agricoltura attraverso un piano nazionale. Queste idee incontrarono immediatamente una feroce opposizione da parte della frazione di maggioranza di Zinoviev, Kamenev e Stalin. La difesa del bolscevismo da parte di Trotskij fu accolta con insulti e sarcasmo dall’apparato dirigente.

All’inizio del 1924, la morte di Lenin assestò un colpo ulteriore al morale dei lavoratori russi. Alcuni storici hanno detto che se Lenin fosse vissuto più a lungo ci sarebbe stato uno sviluppo completamente diverso in Russia. Ma anche se Lenin fosse vissuto ciò non avrebbe cambiato nulla di fondamentale. Il prestigio personale di Lenin, di per sé, non sarebbe stato sufficiente ad impedire la controrivoluzione politica. Già nel 1926 la Krupskaja, vedova di Lenin, in un incontro con l’Opposizione di sinistra, affermò: “Se Ilic [Lenin] fosse vivo, probabilmente sarebbe già in carcere”.

A quel tempo fu forse un’esagerazione. Se Lenin fosse vissuto per altri anni, il processo di degenerazione si sarebbe forse ritardato, modificando il corso degli eventi, ma finché la rivoluzione fosse rimasta isolata in condizioni di paurosa arretratezza, il processo fondamentale non sarebbe cambiato. Senza dubbio Lenin avrebbe combattuto senza sosta contro la burocrazia, ma questo, in sé e per sé, non sarebbe stato sufficiente per sconfiggere la reazione. Solo con il successo della rivoluzione in altri paesi, cosa che avrebbe rotto l’isolamento e riacceso la spinta rivoluzionaria del popolo russo, la burocrazia sarebbe stata bloccata. Comunque Lenin non scampò al terzo attacco che lo lasciò totalmente inerte nei nove mesi che precedettero la morte.

Ma questo significa che coloro che combatterono lo stalinismo erano condannati alla sconfitta? Porre la questione in questi termini sarebbe astratto, schematico e fatalistico. L’emergere dello stalinismo fu il risultato di una battaglia di forze vive, il cui esito non si poteva determinare in anticipo. Trotskij e l’Opposizione di sinistra capivano di sicuro che dalla parte della burocrazia stalinista operavano forze obiettivamente potenti. Tuttavia non c’era nulla di fatalistico nel loro approccio; tutto dipendeva dalla situazione internazionale. Come spiegò Trotskij:

“Lo sviluppo della lotta ha dimostrato senza dubbio che i bolscevichi leninisti non avrebbero potuto riportare una completa vittoria in Urss, vale a dire conquistare il potere e cauterizzare l’ulcera della burocratizzazione, senza l’aiuto dalla rivoluzione mondiale.”40

Ecco perché l’Opposizione si batté per una corretta politica marxista in Inghilterra, in Cina e altrove.

La grave malattia e la morte di Lenin consegnò il potere reale nelle mani della “troika” di Stalin, Zinoviev e Kamenev. Per la verità la leva centrale del potere era già sotto il controllo di Stalin, considerando il suo completo controllo organizzativo dell’apparato come segretario generale del partito. I tre cospirarono per impedire che Trotskij succedesse a Lenin. Aprirono il partito, dopo la morte di Lenin, ad un’ondata di iscritti rozzi e inesperti, la cosiddetta “leva Lenin” che sommerse il nucleo rivoluzionario del partito con un mare di elementi politicamente arretrati, che furono formati dagli uomini dell’apparato, selezionati dalla macchina di Stalin. La debolezza e l’isolamento della vecchia guardia del partito fu la condizione necessaria per la vittoria dell’apparato. Basta dire che il 70-80% dei membri furono reclutati dopo il 1923. Il numero dei tesserati del partito iscritti prima della rivoluzione era inferiore all’uno per cento.

Contemporaneamente si aprì una campagna di calunnie e falsità contro Trotskij, che subì un’accelerata con la pubblicazione del suo opuscolo Lezioni dell’Ottobre che trattava le cause della sconfitta della rivoluzione tedesca, sottolineando le enormi responsabilità della dirigenza. In questo testo Trotskij fece un paragone con ciò che era accaduto nell’ottobre del 1917 in Russia e con le incertezze della destra di Zinoviev e Kamenev che si erano dichiarati contro l’insurrezione (anche se Trotskij non fece il loro nome). Queste importanti lezioni vennero sepolte durante la campagna contro il trotskismo. Tutte le vecchie calunnie sul passato non bolscevico di Trotskij (che Lenin nel Testamento aveva considerato senza importanza), sulla “rivoluzione permanente”, su Brest-Litovsk ecc. furono tirate fuori dalla frazione dominante per screditare Trotskij ed estrometterlo dalla direzione. Contro Trotskij e a sostegno delle idee della “vecchia guardia leninista” di Stalin, Zinoviev e Kamenev vennero stampate numerosissime pubblicazioni: Trotskismo o leninismo (Stalin), Leninismo o trotskismo (Kamenev) e Bolscevismo o trotskismo (Zinoviev). Di conseguenza nel gennaio del 1925 Trotskij venne rimosso dall’incarico di Commissario del popolo della guerra (equivalente del ministro della difesa – NdT). La campagna contro il trotskismo venne allora estesa ai partiti comunisti in tutto il mondo in cui venivano imposte delle votazioni a sostegno della direzione del partito sovietico.

Il materialismo dialettico non ha niente in comune con l’approccio di tipo meccanicistico che vede la storia come un semplice processo lineare. Una tale visione è più in linea con filosofie religiose come il calvinismo con la sua teoria fatalista della predestinazione. I casi fortuiti giocano un ruolo nella storia come nella natura, ma, come spiegava con grande perspicacia Hegel, la necessità si esprime spesso attraverso il caso. Gli sforzi di Trotskij, da soli, erano insufficienti per cambiare il corso del partito. Schierata contro di lui c’era la vecchia guardia di Zinoviev, Kamenev, Bucharin e Stalin. Il marxismo non nega il ruolo dell’individuo o del caso nella storia; al contrario, gli individui possono giocare un ruolo importantissimo, nel bene o nel male. Kamenev e in particolare Zinoviev giocarono un ruolo importante nella svolta reazionaria dopo la morte di Lenin. In questo caso i motivi personali giocarono un ruolo. Avendo lavorato a stretto contatto con Lenin per molti anni, Zinoviev pensava di essere in diritto di ereditarne lo scettro. Era ambizioso e geloso di Trotskij; di conseguenza organizzò una direzione parallela, anche prima che Lenin morisse, composta da tutti i membri del Politburo tranne Trotskij. Usando metodi totalmente estranei al bolscevismo egli ricorse a manovre e intrighi per screditare Trotskij e creare un distacco tra lui e il leninismo.

Inventando dopo la morte di Lenin il mito del trotskismo, Zinoviev e Kamenev giocarono un ruolo nefasto che rafforzò la delusione e il disorientamento dei lavoratori. Nessuno dei due mostrò la minima comprensione del reale processo in atto. Credevano di usare Stalin come uno strumento, quando in realtà erano loro ad essere usati. In questo modo, senza saperlo, Kamenev e Zinoviev posero le basi per la vittoria di Stalin sul partito bolscevico e su loro stessi. Si sentivano superiori a Stalin, e, sul piano morale e intellettuale, avevano ragione. Tuttavia, la forza di Stalin non stava nel suo intelletto, ma nel fatto che rappresentava le pressioni e gli interessi di milioni di funzionari assetati di potere.

In questa battaglia Zinoviev e Kamenev erano limitati da quello che prima era stata la loro forza, ovvero la loro fiducia nella rivoluzione e la lealtà alla causa della classe operaia. Stalin quando ruppe con loro non aveva nessuna di queste qualità. Egli era motivato solo dalla propria ambizione, ma al contrario di Kamenev e Zinoviev, non era appesantito dal fardello dei principi politici. Egli si servì avidamente della burocrazia, prima nel partito, l’apparato, che egli dominava, e in seguito divenne esempio per i milioni di ex funzionari zaristi che continuavano a operare dietro la facciata protettiva dello Stato sovietico.

Questo processo alla fine si concluse con lo sterminio dei vecchi bolscevichi che non riuscivano a digerire la politica di Stalin di distruzione della rivoluzione e del partito di Lenin. Stalin quindi fu il carnefice del partito bolscevico. Occorre capire che se Stalin non fosse esistito o se si fosse rifiutato di agire nell’interesse della burocrazia, sarebbe semplicemente stato sostituito da un altro. Quasi sicuramente avremmo visto la vittoria della corrente di Bucharin. Questo avrebbe comportato la vittoria della restaurazione capitalista già in quel periodo. Stalin, preso dal panico, fu costretto in seguito ad adottare in forma caricaturale molte delle posizioni dell’Opposizione di sinistra. Senza di queste, la pressione dei kulaki nelle campagne e degli uomini della NEP nelle città avrebbe senz’altro portato ad un rovesciamento del regime.

La nuova politica fu accolta con entusiasmo dalla classe operaia che però rimase in gran parte passiva. La politica della “dekulakizzazione” fu portata avanti in modo rozzo e brutale dalla burocrazia che contemporaneamente si coprì le spalle sferrando colpi all’Opposizione di sinistra.

Al tempo della loro alleanza con Stalin, Kamenev e Zinoviev non erano consapevoli dei processi in atto nello Stato sovietico, dei quali erano oggettivamente complici. Non capivano in che direzione li avrebbero portati i loro attacchi contro Trotskij e il trotskismo; se è per questo, neppure Stalin lo capiva a quel tempo. Ma nel tentativo di creare un distacco tra il trotskismo e il leninismo essi misero in moto tutta la macchina di falsificazione storica e vessazione burocratica che caratterizzò il primo decisivo passo verso il mostruoso Stato burocratico e poliziesco di Stalin. Quindi erano agenti di un processo fuori dal loro controllo e che andava oltre la loro comprensione.

Stalin era totalmente cieco sul processo in atto. Persino Trotskij commentò al tempo dei processi che portarono all’epurazione:

“Se Stalin avesse potuto prevedere dove l’avrebbe portato la battaglia contro il trotskismo, si sarebbe senz’altro fermato, nonostante la prospettiva di sconfiggere gli oppositori. Ma non previde niente”.41

Stalin, con la sua mentalità ristretta, da amministratore e da “uomo pratico”, rispecchiava le pressioni della burocrazia russa in espansione, quello strato di funzionari nello Stato, nell’industria e, in misura crescente, anche nel partito che erano ansiosi di porre fine al periodo di tumulto e tensione per intraprendere il lavoro di organizzazione della società, con loro stessi, naturalmente, sistemati comodamente al vertice del potere.

Questo strato era indifferente all’idea della rivoluzione socialista mondiale, anzi essa lo irritava. Questi elementi non avevano fiducia nella classe operaia russa, per non parlare dei lavoratori tedeschi e inglesi. Stalin in privato condivideva la loro visione, ma non avrebbe mai osato ammetterlo in pubblico mentre Lenin era ancora in vita. La teoria antimarxista del “socialismo in un solo paese”, dapprima esposta da Stalin nell’autunno del 1924, andava contro tutto ciò che i bolscevichi e l’internazionale comunista avevano auspicato. Come era possibile costruire un socialismo nazionale in un unico paese e per di più in un paese estremamente arretrato come la Russia? Un’idea simile non aveva mai sfiorato le menti dei bolscevichi, Stalin incluso, fino al 1924. Nell’aprile del 1924 in un discorso agli studenti dell’università di Sverdlov, in seguito pubblicato sotto il titolo di Fondamenti del leninismo, Stalin affermò:

“Il rovesciamento del potere della borghesia e l’istituzione di un governo proletario in un unico paese non garantisce ancora la vittoria completa del socialismo. L’obiettivo principale del socialismo, l’organizzazione socialista della produzione, è ancora davanti a noi. Può essere raggiunto questo obiettivo, si può ottenere la vittoria del socialismo in un solo paese, senza lo sforzo congiunto del proletariato di vari paesi avanzati? No, è impossibile (…). Per la vittoria finale del socialismo, per l’organizzazione socialista della produzione, gli sforzi di un solo paese, soprattutto di un paese agricolo come la Russia, sono insufficienti”.42

Qui senza dubbio la posizione generale del partito bolscevico è espressa correttamente. Tuttavia nella seconda edizione, pubblicata pochi mesi dopo, queste righe vennero tolte e sostituite con un discorso opposto:

“Ma il rovesciamento del potere della borghesia e l’istituzione del potere del proletariato in un unico paese non significa ancora che la vittoria completa del socialismo sia assicurata. Dopo aver consolidato il suo potere e aver guidato sulla sua scia i contadini, il proletariato del paese vittorioso può e deve costruire una società socialista.”43

L’Opposizione unificata

Zinoviev e Kamenev, già preoccupati del crescente potere, della crudeltà e della slealtà di Stalin, furono profondamente turbati dalla piega che stavano prendendo gli avvenimenti. Nel giro di un anno avevano rotto con Stalin ed erano passati all’Opposizione di sinistra. Questo riallineamento ai vertici del partito dipendeva dalle pressioni insistenti dei lavoratori di Leningrado che erano allarmati dalla politica di arricchire i kulaki e gli uomini della NEP. Zinoviev e Kamenev ammisero in seguito che il mito del trotskismo era stato inventato deliberatamente per screditare Trotskij. In una maniera tipicamente bonapartista, ora Stalin si appoggiò all’ala destra di Bucharin e Tomskij per attaccare l’Opposizione di sinistra.

Quest’ultima condusse un’eroica battaglia per mantenere le idee originarie della rivoluzione contro la crescente reazione burocratica all’interno del partito. Non solo combatterono per il ripristino della democrazia del partito, ma invocarono un piano economico che potesse mettere a frutto il potenziale produttivo dell’economia sovietica. L’Opposizione aveva capito da tempo che l’industria non poteva continuare sulla base delle infrastrutture ereditate dal passato, ma necessitava di un’“accumulazione socialista” per espandersi attraverso una pianificazione nazionale. Un tale piano avrebbe consentito di aumentare il ritmo della produzione molto più velocemente che nell’Occidente capitalista. Invece la direzione stalinista scelse di muoversi con grande cautela, bollando come “super-industrializzatori” i leader dell’Opposizione.

La tardiva risposta di Stalin alle proposte dell’Opposizione fu una bozza pessimistica di un piano quinquennale pubblicata nel 1927. Si prevedeva una crescita della produzione industriale ad un tasso in calo dal 9% al 4%! Sotto l’aspra critica dell’Opposizione il piano fu infine rivisto fino al 9% annuale, ma era ancora molto al di sotto delle proiezioni dei tassi di crescita tra il 15 e 18% dell’Opposizione. Stalin continuava ad attaccare Trotskij e l’Opposizione come “super-industrializzatori”. Intorno all’aprile 1927 egli sostenne nel Comitato centrale che costruire la centrale idroelettrica Dnieperstroj sarebbe stato come proporre ad un contadino di comprare un grammofono anziché una mucca!

La politica del gruppo dirigente, di sostenere i kulaki e di contare sul mercato, stava portando ad una crescente differenziazione fra città e campagna. Il potere e l’influenza crescenti degli uomini della NEP e dei kulaki raggiungevano dimensioni pericolose. La marea crescente del capitalismo era visibile ovunque. Queste pressioni delle classi ostili avevano già provocato una lotta all’interno della direzione del partito comunista. Quelli della destra – Bucharin, Rykov, Tomskij – volevano fare concessioni ancora maggiori ai kulaki. Stalin si bilanciava tra le diverse correnti nel Politburo, preferendo appoggiarsi ora sulla destra, ora sulla sinistra. In questa lotta contro l’Opposizione di sinistra egli si schierò con la destra di Bucharin. Nel 1925 Stalin cominciò persino a preparare la privatizzazione della terra. Bucharin, che nell’aprile del 1925 aveva esortato i contadini ad “arricchirsi”, prospettava che questi kulaki arricchendosi avrebbero fornito le basi al socialismo. Egli parlò di “raggiungere il socialismo a cavallo di un ronzino di campagna”. Questa politica, che avrebbe portato alla restaurazione del capitalismo in Russia, fu aspramente contrastata da Trotskij e dall’Opposizione di sinistra che invocarono una politica di collettivizzazione volontaria dell’agricoltura e di pianificazione industriale.

Nonostante le speranze della direzione, i kulaki non andarono verso il socialismo, ma verso la controrivoluzione capitalista. Nella primavera del 1926 oltre il 60% del grano in vendita era nelle mani del 6% dei kulaki. E all’inizio del 1928, con l’accaparramento del grano da parte dei kulaki, la minaccia della carestia nelle città divenne sempre più una realtà. Secondo Alec Nove:

“(…) la carenza degli approvvigionamenti di grano si vedeva dal fatto che nel gennaio del 1928 lo Stato era riuscito ad acquisire solo 300 milioni di pud contro i 428 milioni nello stesso periodo dell’anno precedente”.44

Tutto il regime fu scosso fino alle sue fondamenta dalla crisi imminente. I kulaki avevano acquisito un potere enorme ed erano ora decisi ad usarlo per abbattere il regime.

Il 7 novembre 1927, nel decimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, l’Opposizione unificata (nota: l’Opposizione unificata venne formata nel 1926 tra l’Opposizione di sinistra di Trotskij e i sostenitori di Kamenev e Zinovev) intervenne nei cortei e nelle manifestazioni con striscioni che proclamavano: “Sciopero contro i kulak, gli uomini della NEP e i burocrati!”, “Attuare il Testamento di Lenin!” e “Abbasso l’opportunismo!”. Trotskij e gli altri leader dell’Opposizione ebbero un’accoglienza entusiasta dai lavoratori di Leningrado, che espressero la loro scontentezza per la direzione burocratica. I lavoratori e i giovani simpatizzavano con l’Opposizione, ma erano stanchi e scoraggiati. Trotskij avvertì Zinoviev, che si era entusiasmato troppo facilmente, che tale ambiente non significava che il popolo era pronto all’azione. Al contrario la manifestazione convinse il gruppo dirigente della necessità di adottare misure immediate contro l’Opposizione. Una settimana più tardi, dopo una feroce campagna denigratoria, Trotskij, Zinoviev, Kamenev, Rakovskij, Smilga e Evdokimov furono espulsi dal comitato centrale. In dicembre tutta l’Opposizione di sinistra fu espulsa dal partito comunista. Di conseguenza coloro ai quali mancavano un’analisi degli avvenimenti e la conseguente fermezza politica capitolarono. Gli zinovievisti abbandonarono l’Opposizione. Demoralizzati e disorientati, Zinoviev, e Kamenev si arresero a Stalin. I trotskisti invece si rifiutarono di cedere.

Decine di migliaia di militanti dell’Opposizione di sinistra vennero licenziati, le loro famiglie perseguitate, mandati in esilio. Ora la campagna di repressione contro l’Opposizione cominciava sul serio. Dopo la sua rottura con Stalin, Kamenev, che conosceva Stalin molto bene, aveva avvertito Trotskij:

“Pensi che ora Stalin sia impegnato ad elaborare la miglior risposta alle nostre critiche? Ti sbagli. Lui sta pensando al modo migliore per distruggerti (…). Prima moralmente, e poi, se possibile, anche fisicamente. Coprendoti di calunnie, organizzando una provocazione, addossandoti la colpa di una cospirazione militare, inscenando un attentato terroristico. Credimi, non è una congettura. Nel nostro triumvirato abbiamo avuto molte occasioni per essere sinceri l’uno con l’altro, sebbene anche a quel tempo le nostre relazioni personali più di una volta fossero vicino alla rottura. Stalin conduce una battaglia su un piano totalmente diverso dal tuo”.45

Al quindicesimo congresso Stalin dichiarò “liquidata” l’Opposizione. Trotskij e la sua famiglia furono esiliati ad Alma-Ata, poi deportati in Turchia. Fu un punto di svolta nel consolidamento del potere della burocrazia stalinista.

Perché Trotskij non prese il potere?

Diversi studiosi hanno sollevato la questione: “Perché Trotskij non usò la sua posizione, soprattutto la sua autorità nell’Armata rossa, per assicurarsi il potere in quel momento?” In un recente libro, Le idee di Lev Trotskij, pubblicato da H. Ticktin e M. Cox, troviamo la seguente affermazione:

“Trotskij è stato attaccato con l’accusa di non essere un politico. Come abbiamo detto in precedenza, c’è un elemento di verità nell’accusa (…). La seconda accusa contro Trotskij è che egli fraintese la natura del nuovo regime sotto Stalin. Questa, e quella di non essere un politico, sono legate dal fatto che sarebbe stato un suo dovere sottrarre a Stalin il potere, se avesse compreso la natura della controrivoluzione che stava per avvenire. Non riuscì a capire la vera natura della bestia negli anni cruciali in cui avrebbe potuto impedirne l’ascesa.”46

Tutto un processo storico viene qui ridotto ad una guerra fra individui e le loro qualità personali. Queste affermazioni semplicemente riecheggiano quelle degli storici E.H. Carr, Richard B. Day, Moshe Lewin e Isaac Deutscher, che vedono la lotta prevalentemente in termini di lotta fra personaggi. Carr sostiene che Trotskij

“non riuscì fino alla fine a capire che l’esito della lotta era determinato non dalla disponibilità di argomentazioni, ma dal controllo e dalla manipolazione delle leve del potere. (…) Non aveva il fegato per una battaglia le cui caratteristiche lo disorientavano e sfuggivano alla sua comprensione. Quando veniva attaccato egli si ritirava dall’arena perché sentiva istintivamente che la ritirata gli offriva la migliore possibilità di sopravvivenza.”47

Moshe Lewin fa una critica simile:

“[Trotskij] inoltre aveva la debolezza di un uomo che era troppo orgoglioso e, in un certo senso, troppo idealista per immischiarsi nelle macchinazioni politiche all’interno del piccolo gruppo dei dirigenti. La sua posizione di esterno, a causa del suo passato e del suo stile, gli impedì di agire quando venne il momento – e per lui arrivò una sola volta – con la decisione necessaria”.48

Il fatto è che non si trattava di una questione di potere personale, di Trotskij contro Stalin, ma di una lotta di forze vive. Coloro che sostengono che a Trotskij sarebbe bastato usare l’Armata rossa per prendere il potere mostrano un completa mancanza di comprensione della natura del potere stesso. Il potere non è il prodotto della volontà di singoli “grandi uomini”, come immaginavano Nietzsche e altri, anticipando l’ideologia del fascismo. È il riflesso del rapporto delle forze tra le classi nella società. Usare l’esercito come forza politica porta inevitabilmente dritti al bonapartismo. Questo è l’ABC per un marxista. Il bonapartismo può esistere solo a certe condizioni. Normalmente il bonapartismo emerge quando le classi che si contendono il dominio della società sono a un punto di stallo. Questo crea le condizioni in cui l’apparato statale si separa sovrastando la società e acquistando un certo grado di indipendenza. Trotskij, proprio come Lenin prima di lui, pose sempre le sue speranze nella classe operaia. I lavoratori simpatizzavano con le idee dell’Opposizione, ma erano troppo stanchi e delusi per passare all’azione; rimasero passivi. Il veterano comunista jugoslavo e militante dell’Opposizione Ante Ciliga, che era in Russia a metà degli anni ’20, commentò l’umore dei lavoratori in quel periodo:

“L’impressione che questi incontri e conversazioni private lasciarono su di me fu favorevole, tutto sommato; ma rimasi colpito dall’atteggiamento passivo di molti lavoratori. Si capiva che essi non avevano né interesse né entusiasmo, al contrario un distacco nei modi e un’esagerata reticenza. Era deprimente. Sembrava che i lavoratori dicessero col loro silenzio: ‘è tutto molto bello, ma che comporta per noi?’ Bisognava pungolarli per cavarne una parola.”49

Come spiegò Trotskij in uno dei suoi ultimi scritti:

“Dalla parte dell’Opposizione c’erano i giovani e una parte considerevole della base; ma dalla parte di Stalin e del comitato centrale c’erano prima di tutto i politici attentamente addestrati e disciplinati più vicini alla macchina politica del segretario generale. La mia malattia e la conseguente assenza nella lotta ammetto che sia un fattore di una certa importanza; tuttavia la sua importanza non deve essere esagerata. In fin dei conti fu solo un episodio. Il fatto più importante è che i lavoratori erano stanchi. Coloro che appoggiavano l’Opposizione non erano spronati dalla speranza di grandi e seri cambiamenti. Dall’altro lato la burocrazia combatteva con straordinaria ferocia”.

L’appoggio passivo e il sentimento di solidarietà non bastavano per impedire l’avanzata della burocrazia. Certo la vittoria della rivoluzione, per esempio, in Cina, avrebbe trasformato completamente la situazione, rianimando lo spirito dei lavoratori russi e fermando immediatamrnte la controrivoluzione. Purtroppo invece di vittorie arrivavano solo notizie di sconfitte, come conseguenza immediata della politica della direzione Stalin–Bucharin.Ticktin e Cox affermano:

“Dobbiamo sospettare che Trotskij all’inizio non fosse disposto a comandare. Più tardi, certo, egli rifiutò di prendere il potere. Egli era il capo dell’Armata rossa e nel 1924 Antonov-Ovseenko, capo commissario politico dell’Armata rossa, propose effettivamente a Trotskij di prendere il potere”.50

Questo è tipico di un approccio superficiale alla storia che la riduce ad una lotta fra singoli personaggi. In generale se si pone la domanda giusta si ha una buona possibilità di ottenere la risposta giusta. Se invece si pone una domanda sbagliata si otterrà certamente una risposta sbagliata. Ticktin e Cox non sanno nemmeno quale domanda porre in primo luogo e quindi finiscono nei pasticci. I militanti dell’Opposizione di sinistra non erano bonapartisti, ma marxisti rivoluzionari. Come tali, non potevano cercare una soluzione del problema presso i militari. Si basavano sulla classe operaia, non per ragioni sentimentali o arbitrarie, ma perché solo la classe operaia può realizzare la trasformazione socialista della società. Basarsi su una qualunque altra classe o gruppo sociale può realizzare un cambiamento nella società, ma mai nella direzione di un Stato operaio sano.

Persone come Ticktin e Cox pensano di essere superiori a Trotskij, che, sottintendono, era o troppo stupido o troppo vile per prendere il potere, mentre Stalin, si presume, era più intelligente e coraggioso. Mentre questi “saggi” professori scrivono con leggerezza sulla “questione del potere”, mostrano di non avere la più pallida idea di cosa sia il potere. Trotskij spiegò che “il potere non è un premio in palio che vince il più «abile». È un rapporto tra gli individui, in ultima analisi tra le classi”.51

In mancanza della partecipazione attiva dei lavoratori, c’erano effettivamente le condizioni per il bonapartismo in Russia. Ma non si può ricorrere all’uso dei militari in politica per poi metterli via così come si rinfodera una spada dopo l’uso. Utilizzare l’Armata rossa per prendere il potere avrebbe comportato, in quelle condizioni, non l’allontanamento della controrivoluzione politica, ma al contrario, una grande accelerazione di essa. L’unica differenza è che invece di una burocrazia civile, sarebbe andata al potere la casta militare. Il fatto che Trotskij ne fosse a capo non avrebbe significato niente. O egli si sarebbe piegato ai dettami della casta militare (cosa naturalmente da escludere), oppure sarebbe stato rimosso e sostituito da qualcuno che lo avrebbe fatto. Il movimento verso la restaurazione non aveva ancora acquisito un carattere definitivo. La burocrazia stava ancora saggiando il terreno e la politica prudente di Stalin rifletteva questo fatto. Un golpe militare avrebbe portato rapidamente al consolidamento di un bonapartismo proletario. Le facce sarebbero state diverse, ma l’essenza la stessa. L’intero processo di degenerazione sarebbe stato enormemente più rapido. Ecco tutto.

Il ruolo dell’individuo

Senza dubbio gli individui, con tutti i loro punti forti e deboli, giocano un ruolo importante, ma possiamo capire questo ruolo solo nel contesto della lotta fra le forze sociali. Il ruolo dell’individuo nella storia non è più decisivo delle condizioni oggettive in cui vive, nonostante le capacità personali, l’intelligenza e il carattere degli individui sicuramente influiscano nel processo storico, e nei punti critici, possano essere decisivi. Senza Lenin e Trotskij la Rivoluzione d’Ottobre non avrebbe mai avuto luogo. Questo è un fatto concreto. Non c’è dubbio che la politica di Zinoviev, Kamenev e Stalin avrebbe portato alla sconfitta e al trionfo della reazione nel 1917. Dopodiché si sarebbe scritto un gran numero di tesi di dottorato per “dimostrare”, senza ombra di dubbio, che la rivoluzione socialista in Russia era completamente utopica.

Il materialismo storico non nega affatto il ruolo dell’individuo nella storia. Spiega solamente che gli individui non sono agenti assolutamente liberi, come pensano gli idealisti, ma devono agire sulla base di determinate condizioni sociali ed economiche che non vengono scelte da loro, ma devono procedere secondo leggi create indipendentemente dal volere degli uomini e delle donne. Nella misura in cui capiamo queste leggi, siamo in grado di arrivare ad un’analisi scientifica della reale portata e significato delle azioni dei singoli attori sul palcoscenico della storia. Gli stessi Lenin e Trotskij che portarono i lavoratori russi alla vittoria nel 1917 erano rimasti isolati e impotenti negli anni precedenti. Nonostante tutte le loro capacità personali e le loro, conoscenze teoriche essi non erano separati dalle condizioni generali della società. Così come Lenin e Trotskij avevano lasciato la loro impronta sulla Rivoluzione d’Ottobre e sul regime che ne scaturì, la controrivoluzione burocratica si legò indissolubilmente al nome di Stalin tanto da diventarne sinonimo. Certamente la controrivoluzione politica nell’Urss non dipendeva da un unico uomo; sarebbe un’interpretazione meccanicistica della storia. Con o senza Stalin, se la rivoluzione rimaneva isolata in un paese arretrato, la reazione era inevitabile, prima o poi, in un modo o nell’altro. Questo però non esaurisce il problema. In politica, come in guerra, la questione del “prima o poi” e del “in un modo o nell’altro” non è affatto secondaria e può essere determinante.

Nel primo periodo Stalin non aveva idea di dove stesse andando. Non voleva la sconfitta dei lavoratori cinesi nel 1927, o dei tedeschi nel 1923 o 1933. Tuttavia in entrambi i casi fu la sua politica a provocare la sconfitta. A sua volta, ciò provocò un ulteriore isolamento della rivoluzione in Russia, fornendo la vera base materiale per la vittoria della controrivoluzione burocratica, che Stalin all’inizio né avvertiva, né voleva. Inoltre, la forma mostruosa che assunse la controrivoluzione fu certamente influenzata dal carattere e dalla psicologia personale di Stalin. Molto tempo fa Helvetius affermò: “Ogni periodo ha il suo grande uomo e, se manca, se lo inventa”. L’apparato stava scoprendo che Stalin era carne della sua carne. Col suo modo di essere e con la sua mentalità Stalin incarnava le idee e le aspirazioni dei più influenti funzionari e amministratori negli uffici governativi, nei sindacati e persino nel Partito comunista.Questi elementi erano stati favoriti dalla rivoluzione. Ora godevano di certi privilegi che, sia pur molto modesti a confronto con lo stile di vita raggiunto successivamente dalla casta dirigente, nelle condizioni di spaventosa miseria dei primi anni ’20, erano abbastanza importanti da separarli dalla massa. Questi funzionari (molti dei quali reclutati fra i nemici del bolscevismo: menscevichi, elementi senza partito e non pochi funzionari zaristi) automaticamente gravitavano attorno a quelle figure del partito che erano più vicine al loro modo di vedere le cose. Fra i bolscevichi vi erano molti che, anche se sinceramente legati alla causa del socialismo, erano solo superficialmente influenzati dalle idee e dai princìpi del marxismo. Erano i tristemente noti “uomini di comitato”, gli organizzatori, gli “uomini pratici” del partito con il loro tradizionale disprezzo per la teoria e l’insofferenza per le ampie generalizzazioni, inclini a soluzioni amministrative.

Dopo la rivoluzione, c’era urgente bisogno di abili amministratori per la conduzione dello Stato. A molte persone vennero affidate posizioni di responsabilità senza che avessero la preparazione necessaria. Molti dei migliori elementi morirono nella guerra civile e furono sostituiti da persone meno capaci. Questi, una volta nelle posizioni di responsabilità, si trovarono a stretto contatto con i vecchi funzionari zaristi che la sapevano lunga. Spesso era difficile capire chi dirigeva chi, come lamentava aspramente Lenin. La smobilitazione dell’Armata rossa dopo la guerra civile accrebbe il problema. Anche l’Armata rossa era stata profondamente democratizzata, ma approfittando del basso livello culturale della massa di soldati contadini, molti degli ufficiali e sottufficiali si erano abituati a farli rigar dritto senza discussione. Nelle condizioni generalizzate di crollo industriale e di parziale atomizzazione del proletariato, la classe operaia non era più in grado di esercitare lo stesso livello di controllo. Progressivamente, l’apparato statale le sfuggiva di mano.

“Sarebbe ingenuo credere che Stalin, sconosciuto alle masse, uscisse improvvisamente dalle quinte armato di un piano strategico compiuto” – scrisse Trotskij – “No. La burocrazia l’aveva scoperto prima che egli avesse intravisto la sua strada. Egli offriva tutte le garanzie desiderabili: il prestigio di un vecchio bolscevico, un carattere fermo, una visione ristretta e un legame indissolubile con gli apparati, sola fonte della sua influenza personale. Stalin fu, all’inizio, sorpreso del suo successo. Era l’approvazione unanime di un nuovo strato dirigente che cercava di liberarsi dei vecchi princìpi come del controllo delle masse e che aveva bisogno di un arbitro sicuro nelle sue questioni interne. Figura di secondo piano agli occhi delle masse e nel corso della rivoluzione, Stalin si rivelò il capo incontestato della burocrazia termidoriana, il primo dei termidoriani”.52

Qui il fattore decisivo era lo spostamento del rapporto di forza fra le classi. La classe operaia era esausta e stremata dagli anni di guerra, di rivoluzione e di guerra civile. Il ritardo della rivoluzione internazionale aveva un effetto demoralizzante sui lavoratori russi. Dall’altra parte il ceto in ascesa dei burocrati si sentiva sempre più padrone della situazione. La teoria del socialismo in un paese solo non era che l’espressione ideologica di una reazione piccolo borghese contro l’Ottobre che nasceva dal desiderio indefinito di questi elementi di porre fine allo scompiglio e alle pressioni della rivoluzione, di un ordine che permettesse loro di occuparsi del compito di amministrare la società… dall’alto. Quando qualche lavoratore protestava per il comportamento arrogante dei funzionari, gli si rispondeva con tono ironico: “Quale anno credi che sia? Il 1919?”

Anche se Lenin fosse vissuto più a lungo, ciò non avrebbe cambiato niente di fondamentale; occorreva una svolta favorevole della situazione oggettiva perché mutasse il rapporto delle forze nel partito. È del tutto erroneo, superficiale e, anzi, stupido credere che una trasformazione storica così profonda si possa spiegare con la presunta furbizia o meno di un gruppo di cospiratori.

È solo una variante della teoria cospirativa della storia, che non ha niente da condividere col marxismo, il quale invece spiega la storia in termini della lotta fra le classi. Come spiegò lo stesso Trotskij:

“(…) numerosi critici, pubblicisti, corrispondenti, storici, biografi e sociologi dilettanti vari, di tanto in tanto, hanno fatto prediche all’Opposizione sui suoi errori, dicendo che la strategia dell’Opposizione di Sinistra non era coerente con il punto di vista della lotta per il potere. Però il modo stesso di porre la domanda era scorretto; l’Opposizione di Sinistra non poteva raggiungere il potere e non sperava nemmeno di farlo, e nemmeno i suoi leader più riflessivi.

Una lotta per il potere da parte dell’Opposizione di Sinistra, da parte di un’organizzazione rivoluzionaria e marxista, era concepibile solo nell’ambito di un’ascesa rivoluzionaria. In tali condizioni la strategia si basa sull’aggressione, sull’appello diretto alle masse, sull’attacco frontale al governo. Non pochi membri dell’Opposizione avevano avuto un ruolo tutt’altro che secondario nella lotta e avevano una conoscenza diretta su come condurla. Ma nei primi anni ’20 e anche successivamente non ci fu nessun’ondata rivoluzionaria in Russia, anzi. In tali circostanze era improponibile lanciare una lotta per il potere”.53

Note
1.  Marx, prefazione di A contribution to the Critique of Political Economy in MESW, Vol. 1, pag. 504,

2. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 47

3. Marx, Critique of the Gotha Programme in MESW, Vol.3, pag. 17

4. Marx, The German ideology in MESW, Vol. 1, pag. 37

5. Lenin, Stato e rivoluzione, pag. 165

6. Marx, Critique of the Gotha Programme in MESW, Vol. 3, pag. 18

7. Ibid., Vol. 3, pag. 18

8. Ibid., Vol. 3, pagg. 18-19

9. Lenin, Stato e rivoluzione, pag. 171

10. Marx, Critique of the Gotha Programme in MESW, Vol. 3, pag. 19

11. Lenin, Stato e rivoluzione, pag. 175

12. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 54

13. Marx, The civil war in France in MESW, Vol. 2, pag. 187-8

14. Lenin, Stato e rivoluzione, pag. 113

15. Medvedev, On socialist democracy, pag. 221

16. Lenin, Collected Works, Vol. 33, pag. 88

17. Lenin, Collected Works, Vol. 27, pag. 249

18. R. Medvedev, Let history judge, pag. 841

19. V. Serge, Memiors of a revolutionary 1901-1941, pag. 79

20. Arthur Ronsome, The crisis in Russia, pag. 56

21. V. Serge, Memiors of a revolutionary 1901-1941, pag. 101

22. Louise Bryant, Six red months in Russia, pag. 103.

23. Lenin, Collected Works, Vol. 27, pag. 273

24. Ibid., pag. 148

25. Trotskij, La mia vita, pag. 413

26. Lenin, Collected Works, Vol. 33, pag. 430

27. Lenin, Collected Works, Vol. 29, pagg. 32-3

28. V. Serge, Memiors of a revolutionary 1901-1941, pag. 74

29. Lenin, Collected Works, Vol. 32, pag. 24-5

30. Lenin, Collected Works, Vol. 33, pag. 179

31. Lenin, Collected Works, Vol. 33, pag. 288

32. Lenin, Collected Works, Vol. 33, pag. 287

33. Lenin, Collected Works, Vol. 36, pag. 605-6

34. Lenin, Collected Works, Vol. 36, pag. 606

35. Lenin, Opere scelte, pagg. 731 e 728

36. Lenin, Collected Works, Vol. 36, pag. 594-6

37. Citato da Liebman, op. cit., pag. 423

38. Ibid., pag. 424

39. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pagg. 87-88

40. L. Trotskij, Writings, 1935-36, pag. 178

41. L. Trotskij, Writings, 1936-37 pag. 70

42. Stalin, Lenin and Leninism, pag. 40

43. Stalin, Collected Works, Vol. 6, pag. 110, enfasi mia

44. Alec Nove, An economic history of the USSR, pag. 149

45. L. Trotskij, Writings, 1936-37 pag. 43

46. H. Ticktin e M. Cox, The ideas of Leon Trotsky, pagg. 13-16

47. E.H. Carr, Socialism in one country, Vol. 2, pag. 43

48. M. Lewin, Lenin’s last struggle, pag. 140

49. A. Ciliga, The Russian enigma, pag. 21

50. Ticktin e Cox, op. cit., pag. 13

51. L. Trotskij, Writings, 1935-36, pag. 177

52. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 90

53. L. Trotskij, Stalin, pag. 403

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