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L’arte ribelle di Banksy

di Daniele Chiavelli

 

Banksy, il sovversivo

Un gigantesco orsacchiotto intento a lanciare una molotov verso un gruppetto di poliziotti antisommossa è il soggetto di uno dei più famosi murales presenti nella città di Bristol (figura 1); un sondaggio promosso dalla Bbc nel 2007 attribuì a quell’opera l’etichetta di “Alternative Landmark of Bristol”.1

Figura 1

L’imponente disegno, datato 1999, si trova in un quartiere della città caratterizzato in passato da stabili abbandonati: edifici che venivano utilizzati per feste musicali e rave, eventi “non autorizzati” in cui non potevano mancare le irruzioni della polizia e i conseguenti scontri. Da uno di questi nacque lo spunto2 per la realizzazione dell’opera. Il titolo The mildmild west, che richiama il selvaggio west e il titolo di un celebre film uscito quell’anno, sottolinea l’ipocrisia di chi vuole descrivere una civiltà occidentale mite e pacificata, dimenticandosi o nascondendo repressione e contrasti sociali che in realtà la attraversano.

L’autore dell’opera è Banksy, artista originario di Bristol ma dall’identità sconosciuta. Nel corso degli anni ’90 realizza le proprie opere sui muri della città natale, ma a partire dai primi anni duemila i suoi lavori iniziano ad apparire a Londra e in altre metropoli, assumendo le forme più svariate: murales, installazioni, sculture, quadri, documentari e altro ancora. Per Banksy ogni forma d’arte risulta degna d’essere utilizzata per veicolare un chiaro contenuto sociale; quella privilegiata rimane comunque l’opera su muro: il graffito,3 forma espressiva dalle radici antichissime, consente di portare il messaggio dell’artista nella quotidianità delle persone. L’opera Whitewashing Lascaux (figura 2), realizzata da Banksy nel 2008 in occasione del festival londinese della Street Art, punta il dito contro i canoni dell’arte dominante, contro le politiche di rimozione dell’arte murale e della storia dei popoli a cui essa è intrecciata: un addetto alla cancellazione dei graffiti rimuove con una soluzione solvente le pitture rupestri delle Grotte di Lascaux.4I graffiti sono una delle forme d’arte più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo né ostentazione, si espone sui migliori muri che una città abbia da offrire e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto. […] Chi davvero sfregia i nostri quartieri sono le aziende che scribacchiano slogan in formato gigante sulle facciate degli edifici e sulle fiancate degli autobus, cercando di farci sentire inadeguati se non compriamo la loro roba”, dichiara nel suo libro Wall and Piece.5

Figura 2

Pur rivendicando la propria provenienza dal mondo culturale dei graffiti,6 Banksy, con il suo percorso e la propria produzione artistica, stravolge completamente il concetto di arte murale. Nel corso degli ultimi decenni del Novecento, già altri esponenti della Street Art7 cercarono di andare oltre quel graffitismo autoreferenziale anni ’70, focalizzato sulla forma delle lettere delle parole e caratterizzato dal culto del proprio pseudonimo o da messaggi indecifrabili per gli esterni a quel mondo.8 Il piano su cui Banksy si pone, però, è completamente diverso. Per lui, contenuto e senso di un’opera sono strettamente legati al contesto in cui viene inserita e partendo da questo presupposto crea le condizioni perché il messaggio arrivi in modo immediato a chiunque la noti, anche solo di sfuggita. Realizza, quindi, lavori armonizzati con l’ambiente architettonico e sociale in cui vengono collocati e spesso risulta possibile coglierne il significato solamente utilizzando il contesto politico come fondamentale fattore di decodifica.

Tutto questo, unito all’utilizzo di simboli e icone della società, di figure decontestualizzate con comportamenti ironicamente beffardi o paradossali, di fotografie rappresentative e di classici dell’arte, di format analoghi a quelli dei manifesti pubblicitari, ha dato vita ad un innovativo schema espressivo nell’ambito della Street Art, caratterizzato da una poetica irriverente e con forti connotazioni anti-sistema.

Tra il 2002 e il 2003, quando il governo degli Stati Uniti annuncia l’intenzione di aggredire militarmente l’Iraq, prende vita un movimento mondiale contro quella che ben presto diventerà la seconda guerra del Golfo.9 La Gran Bretagna, a fianco degli Stati Uniti, si mostra fin dall’inizio in prima linea nell’invasione; Londra è così attraversata da gigantesche manifestazioni contro la guerra e, ad opera di Banksy, sui muri della capitale britannica, così come nei cartelli portati in piazza dai manifestanti,10 compaiono (figura 3) elicotteri militari con fiocco regalo e sotto l’augurio “Have a nice day” (o la semplice scritta “wrong war” – guerra sbagliata): il “modello democratico occidentale” portato in dono all’Iraq e all’Afghanistan è fatto di aggressione militare e massacri, proprio come avvenne per il Vietnam.

Figura 3

Di qualche anno dopo è Applause (figura 4), un’opera su tela realizzata partendo dalla foto comparsa sui media e scattata durante uno dei tanti eventi in cui, alla presenza dell’allora presidente Bush, venne reso omaggio ai bombardieri americani. Banksy utilizza l’immagine della foto come sfondo e inserisce in primo piano due addetti aventi il compito di far applaudire il pubblico: l’ufficialità del loro ruolo risulta marcata dalla giacchettina gialla che indossano, unico elemento colorato nel disegno totalmente in bianco e nero. La costruzione del consenso attorno alle azioni militari (e all’imperialismo in generale) è il messaggio che immediatamente giunge a chi osserva il disegno.

Figura 4

Nel 2005, a Londra come in altre città nel mondo, continuano le mobilitazioni contro la guerra: la risposta del governo britannico è una maggiore repressione. Il parlamento vota una legge che limita la possibilità di manifestare ed esprimere il dissenso; l’area attorno al Palazzo di Westminster, sede del parlamento, è tra quelle interdette ad azioni di protesta. Nei pressi del Palazzo compare così un’opera in cui si intrecciano necessità d’espressione del dissenso e una sorta di universalità nell’opposizione alla guerra, si tratta di uno dei lavori destinati a diventare tra i più famosi dell’artista: l’immagine di due soldati che con fare guardingo, muniti di secchio e pennello, dipingono sul muro un grande simbolo della pace (figura 5).

Figura 5

Il 2005 è anche l’anno in cui uno specifico e ben conosciuto muro, costruito appositamente come strumento di oppressione, inizia ad esser preso di mira da Banksy: il muro della segregazione eretto dallo Stato d’Israele nei territori palestinesi. “La Palestina è diventata il più grande carcere a cielo aperto del mondo”,11 sottolinea l’artista, e i suoi lavori sulle lastre di cemento che formano l’estesa barriera giocano proprio sul superamento di quella costruzione opprimente. Una lunga scala per superarla in verticale, un tratteggio con una forbice per ritagliarla come fosse carta, squarci che ne frantumano la continuità (figura 6) sono alcuni esempi dei murales che realizza.

Figura 6

Nel corso degli anni gli interventi di Banksy nell’area si ripetono e puntano a tenere i riflettori accesi sull’oppressione dello Stato israeliano: il dipinto realizzato in prossimità di un check-point a Betlemme, in cui una bambina perquisisce un soldato dopo avergli presumibilmente rotto il fucile (figura 7), colpisce per il ribaltamento dei ruoli. L’obiettivo è smascherare una assurda normalità quotidiana, diretta conseguenza dell’occupazione, fatta di sistematici controlli e perquisizioni della popolazione palestinese.

Un’altra bambina, passata alla storia grazie ad una celebre foto, è invece la protagonista dell’opera conosciuta come Napalm (figura 8):

Figura 8

una condanna senza appello al capitalismo.12 Da una delle foto emblema della guerra in Vietnam, scattata nel 1972, Banksy estrapola la bambina che corre, nuda e disperata, ustionata dai bombardamenti al napalm; la giovane vietnamita viene reinserita in un contesto completamente diverso: cammina accompagnata da due icone evergreen del modello economico e culturale occidentale. Da una parte Topolino, simbolo dell’industria dell’intrattenimento di massa per bambini, dall’altra il clown McDonald, emblema del consumismo giovanile nonché dello sfruttamento lavorativo: le due sorridenti figure sembrano quasi scortare la disperata fanciulla verso il pubblico a cui si stanno rivolgendo. Sottolineando il menzognero e ipocrita ruolo dei due mascherati personaggi, impegnati nel loro squallido compito, l’opera punta a mettere a nudo le caratteristiche, consolidate nel corso di decenni, della società occidentale. Il contrasto tra la guerra e la spensierata e divertente spinta al consumo è in realtà solo apparente: si ha a che fare con due facce di un solo sistema, il capitalismo.

La catena di ristorazione McDonald ritorna nei lavori di Banksy e anche altre multinazionali, come la concorrente Burger King o il gruppo Tesco, leader della grande distribuzione alimentare europea, trovano posto come esponenti di punta di un ingiusto sistema economico irrimediabilmente marcio; “Finché il capitalismo resterà in piedi non potremo far nulla per cambiare il mondo. Nel frattempo dovremo tutti andare a fare dello shopping per consolarci”.13

Sarebbe sbagliato attribuire a Banksy un pensiero politico organico, come il marxismo o l’anarchismo; ma sarebbe altrettanto sbagliato liquidare il suo come un generico ribellismo all’acqua di rose. Banksy in realtà mette nel mirino alcuni degli aspetti più deleteri del sistema capitalista – le guerre, il consumismo, la repressione, la logica del profitto, il conformismo culturale… – ed è particolarmente efficace nel mettere a nudo l’ipocrisia della propaganda ufficiale e delle strategie di comunicazione delle grandi imprese capitaliste.

Le giovanissime generazioni, prime vittime di questo sistema, sono le figure che Banksy rappresenta al centro dell’oppressione, rendendola in questo modo ancora più evidente. Nell’opera Burger king kid (figura 9) un bambino africano rannicchiato senza cibo, ricoperto solamente da un grosso panno e circondato da mosche, viene sbeffeggiato dallo stesso sistema che lo obbliga alla povertà: sulla testa porta una sgargiante corona dorata, oggetto promozionale della catena di fast food.

Figura 9

Nel dipinto su muro comparso a Londra nel 2008, dal titolo Very little helps – “Ogni piccola cosa aiuta”, slogan del gruppo Tesco – alcuni bambini mostrano la propria devozione alla bandiera costruita con il sacchetto del supermercato, unico elemento colorato sul quale viene convogliata l’attenzione in un disegno, per il resto, completamente in bianco nero (figura 10);

Figura 10

nella performance realizzata davanti a diversi ristoranti McDonald di New York nell’ottobre 2013, un ragazzo dal vivo lustra le scarpe alla statua del famoso clown (figura 11).

Figura 11

 

Sottomissione agli interessi del capitale e sfruttamento minorile risultano ancora protagonisti nel murales Slave labour (figura 12).

Figura 12

Il disegno, abbinato ad una lunga sequenza di vere mini bandiere, viene realizzato sul muro di un discount di Londra nel maggio 2012; è l’anno delle Olimpiadi di Londra, ma soprattutto sono le settimane in cui le celebrazioni per i 60 anni di regno di Elisabetta II inondano i media di retorica patriottica e magnificazione della casa reale britannica. Banksy spazza via l’ipocrisia: patriottismo e sfruttamento vengono accoppiati ed implicitamente il pensiero va alle istituzioni principali garanti di questa unione, governo e casa regnante in primis.

Il mondo Disney viene invece ripreso da Banksy per alcune audaci operazioni. Quando nell’estate 2006 emerge in maniera chiara il disumano trattamento dei detenuti nel campo di prigionia di Guantanamo, l’artista realizza un manichino gonfiabile sullo stile di un prigioniero del campo, con tuta arancione, cappuccio nero e mani legate, lo comprime in uno zaino ed entra come visitatore nel parco di divertimenti Disneyland vicino a Los Angeles.14 Giunto nei pressi delle montagne russe, gonfia il manichino e lo posiziona nella scenografia dell’attrazione: la condanna alle politiche del governo statunitense trova così collocazione nel regno della spensieratezza per famiglie. La critica al consumismo e all’intrattenimento Disney si traduce, nel 2015, in Dismaland: un lugubre parco di non divertimenti creato da Banksy assieme ad altre decine di artisti nei pressi di Bristol. Si tratta di un imponente complesso di installazioni in cui cupe attrazioni e strutture fatiscenti si alternano a realizzazioni di vario tipo (ad esempio una carrozza rovesciata con una principessa morente); l’accento è posto, tra le altre cose, sui disastri ambientali e sulla condizione dei migranti. Amaramente degno di nota è il minuscolo laghetto ricreato in cui accanto a omini morti galleggianti, piccoli battelli carichi di migranti devono sfuggire alla motovedetta (figura 13).

Figura 13

Concluse le cinque settimane di apertura al pubblico, parte delle strutture utilizzate per Dismaland vengono portate nel campo profughi di Calais, cittadina francese sul mare del Nord, e qui riadattate in dimore per le famiglie di migranti. Nel gennaio 2016 la polizia attua un tentativo di sgombero, qualche giorno dopo sul muro di fronte all’ambasciata francese di Londra compare un nuovo dipinto di Banksy, protagonista è ancora una bambina (figura 14).

Figura 14

La giovane Cosette, personaggio de I Miserabili di Victor Hugo (la cui immagine è presa proprio dalle illustrazioni tradizionali del romanzo), viene rappresentata immersa nel gas lacrimogeno proveniente da una bomboletta sparata dalla polizia; a fianco del disegno un codice Qr rimanda ad un video: è il filmato testimonianza dell’azione repressiva messa in campo dal governo francese.15

Una delle caratteristiche di Banksy è la versatilità nell’uso del supporto per evidenziare le contraddizioni esistenti tra narrazione fatta da istituzioni, ceto politico, multinazionali, pubblicità da un lato e realtà dall’altro. Tra le sue opere più geniali c’è sicuramente la striscia animata realizzata per la sigla di un episodio del cartone animato I Simpson.16 Banksy sfrutta l’inizio della puntata per ricordare agli spettatori come non ci sia settore economico esente da sfruttamento, ed anche la casa di produzione della serie animata, la multinazionale 20th Century Fox, compie la propria parte. Dopo il classico avvio dell’episodio, la musica si fa drammatica e lo spettatore viene catapultato in un cupo lager dove bambini e adulti infortunati, aiutati
da animali incatenati, lavorano in uno stato di semi schiavitù per realizzare i disegni, fabbricare pupazzi, magliette e altro materiale di merchandising dei Simpson (figura 15).

Figura 15

La striscia si chiude con l’inquadratura che si allarga: la fabbrica lager è all’interno del logo dell’azienda e il tutto è circondato da filo spinato e torrette di guardia. Come visto in precedenza, anche in questo caso Banksy critica apertamente lo sfruttamento capitalista e qui, sarcasticamente, il “racconto” dell’intensivo sfruttamento nelle fabbriche asiatiche della multinazionale diventa parte integrante della “narrazione” che la stessa multinazionale produce.

Banksy e il sistema dell’arte

È un giorno di ottobre del 2003, in uno dei principali musei di Londra un visitatore, cercando di non farsi notare, estrae dalla borsa che ha con sé un proprio quadro e velocemente lo fissa alla parete (figura 16), a fianco incolla anche la relativa didascalia.17

Figura 16

Il protagonista dell’azione è Banksy; la galleria d’arte oggetto dell’incursione è la Tate Britain, “la casa dell’arte britannica dal 1500 a oggi” come viene riportato sul sito del museo; il quadro affisso ritrae un paesaggio di campagna (dipinto ad olio) con in primo piano del nastro segnaletico della polizia (riprodotto tramite stencil) teso ad impedirne l’accesso. Un complice filma l’incursione, il video viene fatto circolare in rete e immediatamente la notizia trova spazio sui media: più che il soggetto dell’opera è l’azione che risulta aver colpito nel segno. Di fronte all’affissione “abusiva” di un quadro all’interno di un museo, del tutto naturale è chiedersi come avvenga la selezione delle opere esposte, da parte di chi e sulla base di quali criteri. La risposta che fornisce Banksy non lascia dubbi: “L’Arte che ammiriamo è il prodotto di una casta. Un manipolo di pochi che creano, promuovono, acquistano, espongono e decretano il successo dell’Arte. Quelli che hanno voce in capitolo saranno non più di qualche centinaio. Quando si visita una galleria d’arte si è solo dei turisti che osservano la vetrinetta dei trofei di qualche milionario”.18 Viene così tratteggiato, con estrema lucidità, il sistema dell’arte contemporanea, basato sulla mercificazione di opere elevate a status symbol e sulla loro promozione attraverso logiche di marketing. Il fumoso utilizzo, a cui solitamente si ricorre, di termini come “provocazione”, “innovazione”, “concettualità” risulta finalizzato a creare o consolidare una sorta di brand19: analogamente a quanto avviene per la marca nei prodotti di consumo (Coca Cola, McDonald, Nike, Apple sono solo alcuni degli infiniti esempi), essenziale è il suo uso come motore per generare profitti e il suo essere associato a un presunto status. In questo contesto, i musei20 giocano un ruolo fondamentale nel processo di valorizzazione e legittimazione della produzione artistica:21spesso le persone chiedono se i graffiti siano arte, ebbene adesso devono esserlo – sono esposti alla Tate”, è il commento sarcastico di Banksy.22

Nei mesi successivi effettua “blitz” analoghi in altri musei tra cui il Louvre, il Metropolitan di New York, il British Museum: in tutti i casi l’opera abusiva da affiggere viene ideata per la specifica sala a cui è destinata. Così, la paradossale rappresentazione di un nobile generale in uniforme con bomboletta spray in mano, che ha appena imbrattato il muro con messaggi pacifisti, finisce accanto agli austeri ritratti di aristocratici del Settecento al Brooklyn Museum di New York (figura 17).

Figura 17

La riproduzione di un disegno rupestre, eseguita col pennarello su un frammento di roccia ed avente in primo piano un omino primitivo stilizzato che spinge un carrello della spesa,23 trova spazio in una delle sale adibite all’arte antica del British Museum (figura 18).

Figura 18

Mentre il quadro esposto alla Tate viene “scoperto” dopo un paio d’ore, negli ultimi due casi citati (e in altri) le opere verranno individuate solo dopo diversi giorni; in generale, però, tutte le incursioni si rivelano estremamente fruttuose in termini di popolarità e contribuiscono a rendere Banksy un artista di fama internazionale.

Il suo tentativo iniziale di portare la “Street Art nei musei”, anche instaurando un rapporto conflittuale con i luoghi dell’arte ufficiale, viene però via via trasformato, da chi tiene le redini del sistema, in ingenti opportunità di guadagno. Così, nel corso degli anni, diverse sue opere vengono rivendute a prezzi record tramite le case d’asta che dominano il mercato, in particolare da Sotheby’s, multinazionale della compravendita di opere d’arte.24 Dalle poche informazioni che si riescono a reperire sui venditori, non si tratta di vendite organizzate dall’artista, ma da privati che sono entrati in possesso dei suoi lavori, in alcuni casi dopo averli rimossi dai muri. I canali che Banksy normalmente utilizza per la vendita al pubblico sono altri: esposizioni e negozi temporanei (per lo più on line), o un apposito portale che controlla direttamente.25

È nel 2007 che i prezzi delle sue opere salgono vertiginosamente; Bombing Middle England (figura 19), lavoro realizzato qualche anno prima sull’avallo della piccola e media borghesia inglese alla guerra in Iraq, viene venduto da una casa d’asta per oltre 100mila sterline.

Figura 19

Nel periodo immediatamente successivo altre opere raggiungono quotazioni ancora più alte fino ad arrivare al quadro Devolved Parliament (figura 20), venduto ad ottobre 2019 da Sotheby’s per quasi 10 milioni di sterline. Nell’opera, una marea di scimpanzé occupa il posto dei deputati nella sede del parlamento inglese, “Ridete ora, ma un giorno non comanderà più nessuno”, è la profezia26 che Banksy abbina al quadro.

Figura 20

Nel tentativo di prendere le distanze da queste dinamiche speculative sui suoi lavori, nel 2007 mette in vendita, tramite il portale che controlla, centinaia di copie di Morons (figura 21), opera in cui un banditore d’asta è impegnato a vendere un quadro contenente solamente la scritta: “Non posso credere che voi idioti stiate comprando questa merda”. Ma è un tentativo inutile, non riuscirà a “liberarsi dallo status di artista trofeo ambito da collezionisti e case d’asta”.27

Figura 21

Nel 2018, persino la parziale distruzione (mediante meccanismo telecomandato) della tela Girl with balloon (figura 22) dopo essere appena stata venduta durante un’asta da Sotheby’s per oltre un milione di sterline, diventa una vera e propria “performance” che la casa d’asta sfrutta commercialmente per farsi pubblicità.

Figura 22

L’opera semidistrutta diventa iconica e nei giorni successivi viene esposta al pubblico; Sotheby’s e il milionario collezionista acquirente volgono a proprio vantaggio quello che per Banksy doveva rappresentare un atto eversivo.

Il percorso artistico di Banksy dimostra che non è possibile scardinare i meccanismi del sistema dell’arte nel contesto del capitalismo, perché ogni “gesto ribelle viene immediatamente trasformato in una preziosa fonte di nuovi profitti per il sistema che si dichiara di avversare”.28 Per liberare effettivamente l’arte dalla logica del profitto, non basta che un singolo artista metta alla berlina il sistema capitalista, è necessaria una lotta rivoluzionaria che punti ad abbatterlo concretamente.

 

Note

1. Nell’ambito della Street Art, Bristol viene annoverato tra i centri più importanti del graffitismo europeo. Nel sondaggio citato, l’opera si impose come simbolo alternativo della città anche su torri e altre peculiari costruzioni cittadine (www.bbc.co.uk/bristol/content/articles/2007/05/29/alternativelandmark_winners_feature.shtml).

2. Si veda www.academia.edu/36107732/Self-made_Banksy.

3. La principale tecnica utilizzata da Banksy per realizzare i suoi murales è quella dello stencil: consiste nell’utilizzare sagome preritagliate sulle quali è sufficiente spargere del colore per lasciare impressa l’immagine sulla superficie sottostante. Questa tecnica unisce alla rapidità esecutiva una notevole precisione nella riproduzione dei dettagli. Inoltre, l’immagine può essere riprodotta in modo identico tutte le volte che si vuole, consentendo di serializzare l’opera.

4. Situate nel sud della Francia, si tratta di grotte le cui decorazioni, risalenti a 15mila anni fa, sono reputate tra le più importanti pitture rupestri rinvenute in Europa.

5. Banksy, Wall and Piece, L’ippocampo, Milano 2011, p. 8.

6. Maddalena Ricolfi, Banksy. L’arte come rivoluzione, Luni editrice, Milano 2018, pp. 55-77.

7. www.academia.edu/36107732/Self-made_Banksy.

8. Si veda Ricolfi, Banksy. L’arte come rivoluzione, cit., pp. 37-66.

9. Si veda www.marxismo.net/iraq2003/volantone_contro_la_guerra.pdf.

10. Banksy, Wall and Piece, cit., pp. 40, 226-229.

11. Banksy, Wall and Piece, cit., p. 136.

12. L’opera, del 2004, è riportata in Banksy, Wall and Piece, cit., p. 191, abbinata allo slogan pubblicitario della Coca Cola “Can’t beat the feeling” – “Sensazione impareggiabile”– utilizzato dalla multinazionale tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.

13. Banksy, Wall and Piece, cit., p. 104.

14. L’operazione è descritta nel film di Banksy, Exit Through the Gift Shop, 2010.

15. www.youtube.com/watch?v=OQCP_inka-Q&feature=youtu.be

16. Si tratta del terzo episodio della 22esima serie, il cui titolo originale è Money Bart, www.youtube.com/watch?v=sSU1IJk70i4.

17. La didascalia incollata a fianco riporta: “Deturpare una scena tanto idillica riflette forse il modo in cui il nostro paese è stato vandalizzato dalla sua stessa ossessione per il crimine e la pedofilia, visto che abbiamo la sensazione, ogni volta che visitiamo qualche luogo bello ma isolato, di poter essere molestati o di poter ritrovare qua e là pezzi di corpi smembrati.” Si veda Banksy, Wall and Piece, cit., pp. 168-171.

18. Banksy, Wall and Piece, cit., p. 170.

19. In D. Thompson, Lo squalo da 12 milioni di dollari, Mondadori, Milano 2009, viene descritto il ruolo centrale giocato dal brand nel sistema dell’arte contemporanea: “I collezionisti sono clienti dei galleristi di brand, comprano alle case d’aste di brand, visitano le fiere d’arte di brand e cercano artisti di brand. […] Nell’arte contemporanea non sei nessuno se non sei ancora stato brandizzato, viceversa “il mercato tende ad accogliere come legittima qualsiasi cosa un artista brandizzato produca”.

20. In F. Poli, Il sistema dell’arte contemporanea, Laterza, Roma 2015, pp. 106-116, si legge: “Una volta, anche solo qualche decennio fa, le mostre nei musei erano un punto di arrivo per la carriera di un artista, oggi sono un indispensabile punto di partenza per poter decollare ai livelli alti del mercato internazionale. […] Il ruolo dei direttori dei musei nel sistema dell’arte è così forte perché incide allo stesso tempo sul piano culturale e su quello del mercato. […] Insieme ai principali mercanti e collezionisti, i direttori più importanti sono i gatekeepers che controllano il numero degli artisti che possono accedere nel circuito d’élite, una quantità sempre molto ristretta funzionale a ben studiate strategie di mercato.

21. In Thompson, Lo squalo da 12 milioni di dollari, cit., p. 18 si legge: “Quando il Museum of Modern Art espone il lavoro di un artista, trasmette un brand condiviso, aggiungendo all’opera un prestigio che il mondo dell’arte chiama ‘provenienza’. Il brand del MoMA offre rassicurazione a chi acquista: un’opera d’arte che è stata mostrata al MoMA o che è stata parte della sua collezione, avrà un prezzo maggiore grazie alla sua provenienza.

22. Intervista a The Guardian riportata in www.theguardian.com/uk/2003/oct/18/arts.artsnews1

23. Oltre al frammento di roccia viene affissa anche la didascalia: “Questo esemplare straordinariamente conservato di arte primitiva risale all’era Post Catatonica e si ritiene che raffiguri l’uomo primitivo mentre si avventura verso i territori di caccia fuori città. […] Sfortunatamente, la quasi totalità delle opere di questo tipo è andata perduta. La maggior parte di esse viene distrutta da zelanti funzionari municipali i quali non riconoscono il suo merito artistico e il valore storico di imbrattare i muri.” Da Banksy, Wall and piece, cit., p. 185.

24. In Thompson, Lo squalo da 12 milioni di dollari, cit., viene descritto dettagliatamente come operano le case d’aste. Christie’s e Sotheby’s costituiscono il duopolio che domina il mercato, annualmente vendono opere d’arte e lotti per decine di miliardi di dollari, le commissioni garantiscono fatturati di svariati miliardi per ognuna delle due; “Vendere un prezioso quadro di Degas e un boccale di birra ghiacciata sono sfide di marketing molto più simili tra loro di quanto potrebbe mai sembrare”, è la citazione riportata di un ex azionista di maggioranza di Sotheby’s.

25. Si tratta del portale pestcontroloffice.com, che ha anche il compito di autenticare tutti i lavori non di strada dell’artista

26. Dal profilo Instagram di Banksy.

27. Ricolfi, Banksy. L’arte come rivoluzione, cit., p. 111.

28. Ricolfi, Banksy. L’arte come rivoluzione, cit., p. 133.

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