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La rivoluzione iraniana

di Ted Grant

Parte prima

La scorsa settimana, in una delle manifestazioni più grandi della storia dell’umanità, più di 3 milioni di iraniani sono scesi nelle strade di Teheran per salutare il ritorno dell’Ayatollah Khomeini. La settimana precedente aveva visto barricate e scontri tra i lavoratori e l’esercito. In alcune scene che ricordano la rivoluzione russa del febbraio 1917, i soldati che avrebbero dovuto sostenere il vecchio regime hanno solidarizzato con la folla gridando “Siamo dalla parte del popolo!”
L’Iran è un paese nel vortice della rivoluzione. Le forze che stanno combattendo sono, da una parte, quelle della monarchia autoritaria, sostenuta dalle classi dei capitalisti e dei latifondisti, appoggiate da esercito e polizia. A fronteggiarli ci sono la classe lavoratrice e la classe media che guardano al clero musulmano, in particolare all’Ayatollah (“Uomo Santo”) Khomeini, in esilio a Parigi. L’ analisi che segue si sforza di descrivere la vera situazione esistente in Iran e le principali strade che la rivoluzione può intraprendere. La rivoluzione ha avuto effettivamente inizio un anno fa con le manifestazioni contro lo Scià e la sua odiata polizia segreta, la SAVAK.
Un sistema totalitario può mantenersi per mezzo del terrore e di una rete di informatori soltanto mentre le masse rimangono inerti. Ma una volta che le masse entrano in azione contro il regime, è l’inizio della fine. Diventa chiaro che la mostruosa polizia segreta è impotente di fronte al movimento delle masse.
La pressione dal basso genera una divisione al vertice nella classe dominante i cui esponenti, temendo di essere rovesciati, tentano di introdurre riforme dall’alto per evitare una rivoluzione dal basso. Da questo nasce il “pentimento” sul letto di morte dello Scià e il suo tardivo annuncio di riforme, in particolare la creazione di un “parlamento” che fosse comunque ancora subordinato alla monarchia. Queste “riforme” hanno tuttavia aperto la strada al rovesciamento del regime dello Scià e all’entrata sul palcoscenico della storia della classe operaia insieme ai vari settori della classe media.
Il monarca Pahlavi è stata costretto a fuggire ingloriosamente in volo dall’Iran, nonostante la resistenza da parte dell’ imperialismo, in particolare di quello statunitense. Owen e Callaghan hanno vergognosamente denigrato il movimento operaio sostenendo pubblicamente lo Scià, ma i loro tentativi frenetici di sostenere la barcollante monarchia iraniana sono falliti.
Il petrolio naturalmente è stato l’elemento chiave per determinare le politiche degli imperialisti statunitensi e britannici, che in Iran hanno enormi investimenti. L’Iran è il secondo maggiore esportatore di petrolio al mondo,  preceduto solo dall’Arabia Saudita. Questo petrolio è di vitale importanza per gli stati capitalisti occidentali ed è uno dei fattori che determina l’atteggiamento di Stati Uniti e Gran Bretagna rispetto all’Iran.
L’Iran è anche il quarto più grande produttore di petrolio al mondo. Nel 1976 l’ Iran ha prodotto 295 milioni di tonnellate di petrolio (10% della produzione mondiale), l’ Unione Sovietica 515 milioni (17,6%), gli Stati Uniti 414 milioni (13,8%) e l’ Arabia Saudita circa 422 milioni.

La transizione

Il dominio dello Scià a partire dal 1953 ha fatto diventare l’Iran un paese in transizione, un paese semi-coloniale per metà industrializzato e per  metà coloniale. Pur rimanendo sotto il dominio dell’imperialismo anglo-americano, ha cercato di percorrere una strada imperialista in proprio. Per esempio nel Golfo Persico, a seguito del ritiro dell’imperialismo inglese in quell’area del mondo, l’Iran si è impossessato di due isole ed ha tentato di svolgere il ruolo di poliziotto nei confronti degli Stati del Golfo.
Lo Scià ha tenuto in vita il proprio regime perfezionando uno strumento di terrore e repressione come la Savak, la polizia segreta, che con le sue torture diaboliche, gli omicidi, le fucilazioni e gli orrori che ha imposto al popolo iraniano può essere paragonata alla Gestapo.
Allo stesso tempo nel tentativo di fare dell’Iran una delle grandi potenze a livello mondiale, lo Scià ha intrapreso la via dell’industrializzazione ad una velocità vertiginosa. Questo è accaduto soprattutto dopo il 1973, quando il prezzo del petrolio è quadruplicato fornendo allo Scià una quantità enorme di capitali da investire.
Lo Scià cercava di giocare il ruolo di monarca assoluto all’antica e nel contempo tentava di modernizzare l’economia del paese. Per guadagnarsi una base ha introdotto delle “riforme agrarie”, che hanno arricchito soprattutto l’aristocrazia, i proprietari terrieri parassitari che dominavano l’Iran. Questi hanno ricevuto come compensazione enormi ricchezze, che avrebbero potuto reinvestire nell’industria. L’idea era quella di trasformare l’aristocrazia in una classe capitalista, una classe dominante sul modello occidentale.
Il vero scopo dietro la riforma agraria era quello di mandare via i braccianti dalle campagne per fornire lavoratori all’ industria. Come l’Economist ha commentato “Al posto dei villaggi agricoli a base familiare [lo Scià] permise al suo precedente primo ministro Hovieda di dividere i campi agricoli, minando l’intero spirito della riforma agraria.”
La massiccia industrializzazione iniziata sotto lo Scià ha spiazzato del tutto coloro che pretendono di dirigere il proletariato iraniano o per lo meno aspirano a tanto. Questo è vero soprattutto per il partito comunista (il Tudeh). Durante tutto il regno dello Scià il Tudeh si è comportato come se fosse morto, non ha avanzato nessuna politica indipendente e questo può essere spiegato con le esigenze della politica estera della burocrazia sovietica, che dominava in larga parte il partito e non voleva nessun conflitto con l’imperialismo statunitense in Iran per la sua grande importanza come produttore di petrolio. Già da molto tempo la burocrazia dell’Unione Sovietica ha rinunciato a concepire qualsiasi sviluppo rivoluzionario che potrebbe minacciare direttamente gli interessi vitali dell’imperialismo – specialmente di quello americano, la maggiore potenza mondiale – a causa dell’inevitabile peggioramento delle relazioni fra Usa e Urss che si verificherebbe in tali circostanze.
La “stampa reazionaria”
La “stampa reazionaria” in Gran Bretagna ha sbagliato nell’affermare che questi eventi erano dovuti all’intervento sovversivo della burocrazia russa, dell’Unione Sovietica e del Partito Comunista.
Al contrario l’apparato sovietico ha tentato di aiutare lo Scià, con il quale si era imbarcata in un commercio lucrativo, basato sull’esportazione di enormi quantità di gas naturale dall’Iran all’ Unione Sovietica. In generale i burocrati russi hanno cercato di mantenere relazioni amichevoli con lo Scià e hanno visto negativamente gli sviluppi rivoluzionari in un paese vicino, soprattutto un paese con una numerosa classe lavoratrice che nel corso degli avvenimenti ha dimostrato il suo carattere rivoluzionario.
I rapporti di forza modificatisi su scala mondiale sono risultati nell’accumulazione di un immenso potere da parte della burocrazia sovietica, mentre l’imperialismo americano si è indebolito.  Benché impreparata ad agire, la burocrazia sovietica ha avvertito che qualsiasi intervento diretto da parte dell’imperialismo americano negli affari iraniani avrebbe provocato una risposta immediata da parte dell’Unione Sovietica, che avrebbe mandato truppe in Iran.
Questa minaccia non è rimasta inascoltata dai diplomatici americani. I fanatici del Pentagono hanno suggerito di inviare nel Golfo Persico portaerei e navi cariche di marines allo scopo di intervenire contro la rivoluzione iraniana. Il Dipartimento di Stato però si è opposto, paventando le possibili ripercussioni nel mondo coloniale oltre che ovviamente in Iran e Unione Sovietica.
Ciò dimostra il potere in declino dell’imperialismo americano che in passato non ha esitato ad intervenire in Vietnam, in Libano o nella Repubblica Dominicana. Adesso a causa di fattori interni e internazionali gli imperialisti americani non possono intervenire direttamente nelle vicende dell’Iran.
In questo quadro la preoccupazione principale del Partito comunista è stata quella di accodarsi alla reazione religiosa e agli Ayatollah nel rivendicare l’istituzione di un qualche tipo di “Repubblica Democratica Musulmana”.
Ma non è stato soltanto il Partito Comunista Iraniano ad avere una reazione debole durante i recenti avvenimenti. Anche le sette dell’estrema sinistra hanno giocato, come al solito, un ruolo negativo. Alcune di queste hanno dato simpatia e sostegno agli studenti “rivoluzionari” in Iran.

Gli studenti

Tuttavia gli studenti rivoluzionari in Iran non sono stati orientati né verso la classe lavoratrice né alla formulazione di un programma d’azione per la classe operaia, ma al contrario sono stati indirizzati dai settari verso i metodi inefficaci del terrorismo individuale. Come sempre accade con questi gruppi settari, la classe lavoratrice veniva ritenuta impotente, ignorante, analfabeta e del tutto incapace di cambiare i rapporti di forza esistenti in Iran. Queste convinzioni erano rafforzate dal fatto che la classe lavoratrice fosse completamente disorganizzata prima degli attuali sviluppi.
L’argomento delle sette e di chi sosteneva il terrorismo individuale era che lo Scià stesse realizzando l’industrializzazione e quindi si trovasse in una posizione di forza. Lo Scià aveva aumentato il tenore di vita della classe lavoratrice e aveva fatto grandi concessioni sia agli operai che ai contadini, il che a sua volta aveva portato alla stabilizzazione del regime. Le sette hanno sostenuto che lo Scià avrebbe potuto rimanere al suo posto per decenni grazie alla “Rivoluzione Bianca” e allo sviluppo dell’industria. Tra l’altro questa idea era condivisa anche dagli imperialisti. Per esempio la CIA ha pubblicato un rapporto nel settembre 1978 dove si affermava che lo Scià godeva di un regime stabile e sarebbe rimasto al potere per almeno 10-15 anni!
La vera tragedia per l’Iran è che non esisteva né tra le fila della classe lavoratrice né tra gli studenti un gruppo marxista che fosse in grado di preparare a questi grandi avvenimenti, come Lenin e i bolscevichi avevano fatto in Russia.
Le sette di corte vedute riuscivano a vedere solo oscurità e rovina nel grande sviluppo dell’ industria. Il Militant dall’altro lato dichiarava che lo sviluppo dell’industria avrebbe rafforzato enormemente anche la classe lavoratrice, una sviluppo che in tempi recenti si è visto in Gran Bretagna, in Spagna, negli Stati Uniti, in Giappone e nella Germania Occidentale. Gli scioperi di massa sono un segnale eloquente del risveglio e della forza dei lavoratori.
Le torture indescrivibili, la mancanza di libertà e di diritti, le umiliazioni sofferte dalle masse e in particolare dalla classe lavoratrice iraniana hanno provocato un movimento implacabile delle masse. All’apparenza lo Scià volava alto e questa era l’unica cosa che sfortunatamente gli estremisti in Iran riuscivano a vedere.
Dopotutto questo accadeva sei o otto mesi fa, quando lo Scià dava consigli ai governanti in Gran Bretagna su come trattare gli scioperi e parlava dell’ “instabilità permanente delle istituzioni democratiche in Gran Bretagna”! La vecchia talpa della rivoluzione, comunque, stava scavando sotto la superficie dell’apparente calma totalitaria che esisteva in Iran. La CIA e l’imperialismo sono stati colti alla sprovvista, così come le organizzazioni della classe operaia.
Ciò nonostante negli ultimi anni ci sono stati numerosi segnali della crisi del regime. A causa del divieto di qualunque organizzazione si opponesse al “partito” dello Scià, l’opposizione tendeva riunirsi nelle moschee. Questo era vero soprattutto per i contadini, la classe media e perfino per i commercianti che si opponevano al regime dello Scià.
A causa degli errori del Partito Comunista e dei settari, perfino nei tentativi di organizzare l’opposizione all’ interno della classe lavoratrice lo scontento è emerso dentro le moschee. Si pronunciavano sermoni radicaleggianti, che, sebbene vaghi e nebulosi, le masse interpretavano a modo loro.
Lo Scià ha espropriato la gerarchia religiosa dei suoi possedimenti terrieri. Questo non è andato a vantaggio dei contadini ma solo dell’aristocrazia. Questo vuol dire che gli Ayatollah, o uomini santi, i principali rappresentanti del clero musulmano in Iran, sono stati spinti verso l’opposizione al regime.
Le masse hanno interpretato i sermoni dei mullah come se realmente proponessero una lotta contro il regime totalitario e autoritario dello Scià. I mullah hanno avanzato la richiesta di reintrodurre la costituzione del 1906. Bisogna ricordare che in Iran circa due terzi della popolazione è ancora analfabeta. Questo è un lascito della corruzione del vecchio regime dei latifondisti e degli aristocratici.

Le manifestazioni

Tra l’ottobre del 1977 e il febbraio del 1978 ci sono state manifestazioni illegali molto partecipate che rivendicavano diritti democratici. Successivamente verso la fine del 1978 ci sono stati grandi movimenti studenteschi, dei commercianti e ora anche della classe operaia. Usando i giorni delle feste religiose come pretesto, hanno cominciato ad avere luogo manifestazioni con migliaia di partecipanti. La repressione da parte delle forze dello Scià, l’esercito e la polizia, non hanno fatto altro che esasperare la popolazione ed hanno prodotto movimenti ancora più partecipati a Teheran e nelle altre città iraniane.
Mentre la lotta avanzava, è stato il movimento della classe lavoratrice, come in Russia, a fungere da ariete per risvegliare la popolazione. Nella prima rivoluzione russa del 1905, la rivoluzione ebbe inizio con la manifestazione capeggiata da un prete, padre Gapon, che chiedeva concessioni e domandava allo Zar, il “Piccolo padre”, di sistemare le cose. Questo provocò gli spari dell’esercito sulla folla; ci furono centinaia di morti e migliaia di feriti e così cominciò la Rivoluzione Russa del 1905.  Allo steso modo è iniziata la rivoluzione in Iran.
Comunque ci sono differenze importanti fra la Russia del 1905 e l’attuale movimento in Iran. La rivoluzione iraniana è iniziata con un livello di coscienza delle masse molto più alto. Il popolo non ha fatto delle richieste al “loro Padre”, lo Scià, ma al contrario ha domandato la fine della monarchia. Gli slogan erano “Abbasso lo Scià” e “Morte allo Scià”.
La classe lavoratrice iraniana rappresenta una parte della popolazione molto più grande di quella che rappresentava la classe lavoratrice russa prima della rivoluzione del 1917. Ci sono due milioni di lavoratori iraniani solamente nel settore manifatturiero, altri 750.000 nei trasporti, e così in altri settori. In aggiunta a questo ci sono ampie fasce della classe media vicine alla classe lavoratrice tra i commercianti, gli impiegati pubblici, e anche nelle piccole imprese come i ristoranti.
La maggior parte dell’industria manifatturiera in Iran è di piccole dimensioni, ma ciononostante ci sono grandi monopoli che già dominano la scena. Alcuni danno lavoro a centinaia, migliaia e perfino decine di migliaia di lavoratori. In Russia la classe lavoratrice contava 4 milioni di persone, su una popolazione di oltre 150 milioni. In Iran la classe lavoratrice conta fra i 3 e i 4 milioni di componenti su una popolazione di circa 35 milioni.
In altre parole il rapporto di forze nella classe lavoratrice, per lo meno in termini numerici, è addirittura più favorevole in Iran che nella Russia del 1905 o del 1917.

I lavoratori

D’altra parte però in Russia c’erano il Partito bolscevico e i suoi quadri, ed una certa coscienza socialista, almeno nei settori più avanzati della classe lavoratrice.
Il ruolo della classe lavoratrice nella produzione comporta inevitabilmente lo sviluppo di una coscienza collettiva, sia nel processo lavorativo che nella fase della lotta di classe contro i suoi oppressori. Questo è il motivo per cui solo la classe lavoratrice può cambiare la società.
Soprattutto il movimento dei lavoratori del settore petrolifero, la cosiddetta aristocrazia operaia, ha giocato un ruolo decisivo nel minare le basi del regime. Negli ultimi due mesi ci sono stati periodicamente scioperi nei giacimenti petroliferi. Nonostante la repressione dell’esercito, l’arresto e la fucilazione di molti dei loro dirigenti, i lavoratori del settore petrolifero non si sono tirati indietro e si sono rifiutati di produrre petrolio per l’odiato regime fino a quando lo Scià non se n’è andato. Più e più volte le masse, compresa la classe media, hanno manifestato per le strade.

La Savak

I lavoratori della pubblica amministrazione e delle banche, come in Portogallo, hanno giocato un ruolo chiave nel mettere la monarchia assoluta in ginocchio. Il loro sciopero ha paralizzato le finanze del Paese.  Particolarmente efficace è stato lo sciopero della Banca centrale. Ciò è avvenuto dopo l’incendio di 400 sportelli bancari da parte delle masse inferocite.
Gli impiegati di banca, quando sono scesi in sciopero, hanno reso noto che negli ultimi tre mesi un miliardo di sterline era stato fatto sparire all’estero da parte di 178 esponenti della cricca al potere, compresi i parenti dello Scià. Poi lo Scià, in preparazione dell’esilio e dopo aver spedito all’estero la sua famiglia, ha trasferito un miliardo di sterline nelle banche americane. Questo si aggiunge al miliardo o più di sterline che si trova nelle banche a Bonn, in Svizzera e in altre parti del mondo. Il Tesoro iraniano è stato saccheggiato dall’autocrazia.
La rivoluzione ha coinvolto ampi strati della popolazione con l’eccezione di un pugno di capitalisti, dei latifondisti, dei sostenitori della monarchia e del grosso del corpo ufficiali dell’esercito. I commercianti e i piccoli negozianti sono stati rovinati dallo sviluppo del moderno capitalismo in Iran. Questo ha fomentato il loro odio nei confronti del monarca assoluto che vedevano come causa delle loro disgrazie. A migliaia sono stati uccisi come risultato della repressione da parte delle forze dello Stato, della polizia, della Savak e dell’esercito. In ogni città iraniana dove si sono svolte manifestazioni, la polizia ha sparato sui manifestanti, e ci sono stati tentativi di organizzare le forze reazionarie contro la classe lavoratrice e il popolo.
In molte delle città più piccole ci sono stati attacchi fascisti,  da parte dell’ esercito e della polizia insieme a delinquenti della peggior risma, come le Centurie Nere in Russia prima della rivoluzione. Sono stati usati per compiere agguati e stupri, per terrorizzare gli abitanti dei villaggi e la classe lavoratrice nelle piccole città dell’Iran. È certo che se avessero funzionato, simili metodi sarebbero stati usati anche nelle grandi città.
Lo Scià, con l’obiettivo di lasciare un ricordo ed una reputazione  favorevole, ha devoluto la somma miserabile (per lui) di 25 milioni di sterline ad una fondazione per opere di beneficenza. Ma naturalmente, abituato agli splendori del regime in Iran, partendo per quello che non è nient’altro che un esilio, non voleva di certo condurre una vita da povero e si è portato via un po’ di spiccioli – un miliardo di sterline.

A milioni in piazza

Tutte le moderne rivoluzioni hanno visto milioni di persone scendere nelle strade. Questo è il caso del Portogallo dove ci sono state manifestazioni di oltre un milione di persone dopo la caduta del regime di Caetano. In Iran milioni di persone hanno manifestato. Secondo i resoconti falsati della stampa capitalista, tra uno e due milioni di persone hanno manifestato a Teheran per chiedere l’abbattimento del regime dello Scià.  In centinaia di migliaia hanno manifestato nelle città iraniane di una certa dimensione. Decine di migliaia nelle città più piccole. Questo è un movimento dei poveri, degli espropriati, degli sfruttati, compresi gli operai, la classe media, i colletti bianchi, i commercianti e perfino una parte dei capitalisti, che per i propri interessi particolari spera di poter cavalcare la mobilitazione dei lavoratori e della classe media.

 

Parte seconda

La settimana scorsa il governo Bakhtiar è caduto. Nelle due maggiori città del paese, Teheran e Isfahan, il potere è nelle strade. Le forze armate si sono dovute ritirare nelle caserme: il rischio di disintegrarsi sotto l’impatto della rivoluzione era molto forte. L’articolo che segue, scritto prima della caduta di Bakthiar, ne prevedeva la fine e analizzava quale corso avrebbe potuto prendere la rivoluzione che si stava sviluppando in Iran.
La fuga dello Scià segna la fine della prima fase della rivoluzione. La possibilità da parte dello Scià di tornare presto nonostante le manovre di Bakthiar è un sogno reazionario. La monarchia iraniana è stata finalmente rovesciata a causa dei suoi eccessi, della corruzione, della crudeltà, delle torture perpetrate negli ultimi 25 anni. Non potrà più essere imposta al popolo iraniano, almeno finché esso avrà un minimo di diritti.
La caratteristica decisiva della rivoluzione iraniana, come in tutte le rivoluzioni, è stato il ruolo giocato dall’esercito. È chiaro che lo Scià ha virtualmente abdicato il potere perché gli sarebbe stato impossibile mantenere ancora il controllo dell’esercito, che è andato in frantumi. Possiamo vedere ancora una volta la totale falsità delle posizioni riformiste secondo le quali la rivoluzione sarebbe impossibile nelle condizioni moderne a causa del ruolo giocato dall’esercito.
L’esercito moderno è più suscettibile nei confronti dei movimenti delle masse e della classe lavoratrice rispetto a qualunque altro tipo di esercito nella storia. Non si tratta più di della “povera sanguinante fanteria” di un tempo, poco addestrata e ignorante. Al contrario l’esercito oggi deve essere altamente specializzato e meccanizzato. I soldati eseguono mansioni simili a quelle di altri lavoratori e pensano come lavoratori.
Ciò rende l’esercito molto recettivo nei confronti dei movimenti dei lavoratori. L’esercito è composto dai figli, dai fratelli e dai parenti dei lavoratori, dei contadini e della classe media. Vediamo in ogni rivoluzione della storia, particolarmente nella rivoluzione russa del 1917 e in quella tedesca del 1918, come il grosso delle forze armate si sia schierato dalla parte del popolo quando ha visto che poteva esistere la possibilità di una completa rottura con il vecchio regime.
In Iran ci sono stati incidenti come quello in cui un soldato ha sparato a due dei suoi ufficiali, quando gli hanno ordinato di aprire il fuoco contro i manifestanti, e poi si è suicidato. D’altra parte c’era il movimento delle masse ma nessun chiaro appello all’esercito a passare dalla parte del popolo. Di conseguenza i soldati si sentivano ancora sotto la mano pesante della disciplina militare e sotto la minaccia della legge marziale per eventuali ammutinamenti. Ci sono stati diversi casi in cui i soldati si sono uniti ai manifestanti o hanno permesso loro di salire sui carri armati. Altri casi mostrano l’altra faccia della medaglia. Alcuni ufficiali hanno sparato a cinque cadetti che stavano tentando di lasciare la caserma per unirsi ai manifestanti.
In molti casi nelle principali città dell’Iran ci sono stati simili episodi di rifiuto da parte delle truppe di aprire il fuoco, di loro fraternizzazione e di ribellioni da parte dei soldati contro gli ufficiali. Anche molti dei giovani ufficiali simpatizzano con il movimento delle masse.
La ragione per la quale l’esercito non è passato dalla parte della classe lavoratrice, dalla parte del popolo come in Russia nel 1917 e in Germania nel 1918, è che non c’era una organizzazione capace di fornire una direzione.
Se ai lavoratori e ai soldati fosse stata offerta un’alternativa socialista, l’intera situazione in Iran sarebbe senza dubbio stata diversa. Si sarebbero potuti distribuire milioni di volantini tra i soldati. Persino con un’organizzazione di poche centinaia o di un migliaio di membri, milioni di volantini avrebbero potuto essere distribuiti ai lavoratori e ai soldati. Si sarebbe potuto così spiegare loro i compiti che l’Iran si trova di fronte nella fase attuale e, in queste circostanze, quasi inevitabilmente l’esercito sarebbe passato dalla parte del popolo.
La rivoluzione, come in Spagna tra il 1931 e il 1937, avrà molti alti e bassi. Le masse possono essere ricacciate indietro dopo un periodo di lotta. La reazione potrebbe riuscire ad affermarsi. Ma nel futuro immediato non sarà possibile per l’esercito stabilire una dittatura militare come sarebbe piaciuto all’imperialismo occidentale. Qualsiasi tentativo di dittatura militare troverebbe come risposta un movimento ancora più rabbioso da parte delle masse e provocherebbe una spaccatura nelle forze armate.
La maturità della situazione in Iran per la rivoluzione socialista è indicata dal fatto che i liberali – il cosiddetto Fronte Nazionale dell’Iran – hanno di fatto adottato un programma “socialista” o semi-socialista. E’ come se i Cadetti (i liberali in Russia prima del 1911) si fossero uniti in un unico partito con i Socialrivoluzionari (il partito favorevole a una riforma agraria radicale) e avessero dichiarato di essere un partito socialista.
Ma come i liberali in Russia, i dirigenti del Fronte Nazionale come Sanjabi, che provengono dagli strati più alti della classe media (o persino dalla classe capitalista), manifestano un’enorme paura delle masse. Bakthiar, che formalmente è stato espulso dal Fronte Nazionale, ha tuttavia formato un governo con l’aiuto e l’appoggio dello Scià e dell’esercito.
Sia Sanjabi che Bakthiar vorrebbero mantenere la monarchia. Vedono la forza dello Scià ridotta in misura sufficiente affinché una monarchia costituzionale possa fungere da baluardo contro la rivoluzione e contro la classe lavoratrice. Hanno giocato il classico ruolo dei liberali in una rivoluzione. I loro principali sforzi sono finalizzati a cercare di fare rifluire la rivoluzione e ottenere un cambiamento di regime senza alterare le strutture di base dell’attuale società.
Vediamo manifestarsi in Iran quella che Trotsky definiva la legge dello sviluppo diseguale e combinato. Tutti gli elementi per una rivoluzione socialista sono presenti. I liberali non potranno mai soddisfare le aspirazioni e i bisogni dei lavoratori e neanche dei contadini. In ultima analisi sono dei rappresentanti della classe capitalista e del capitale finanziario.
In un’intervista, Sanjabi, leader del Fronte Nazionale, ha dichiarato:
“Noi del Fronte Nazionale vogliamo mantenere l’esercito, vogliamo un esercito forte e non vogliamo fare nulla che mini il morale dell’esercito… Non abbiamo mai fatto appelli alla diserzione o cercato di seminare l’indisciplina. Ma inevitabilmente ciò sta succedendo e se continuasse potrebbe essere pericoloso”.
L’imperialismo e naturalmente lo stesso Scià sono stati contrari al tentativo di instaurare una dittatura militare perché nelle condizioni attuali sarebbe completamente incapace di consolidarsi di fronte alla resistenza delle masse.
Il governo Bakthiar può, per sua stessa natura, essere solo una soluzione provvisoria e un regime di transizione. Persino gli imperialisti capiscono che il regime di Bakthiar non potrà mantenersi a lungo e di conseguenza stanno facendo aperture all’Ayatollah Khomeini.
Khomeini ha dichiarato di non avere intenzione di stabilire una dittatura militare reazionaria o una dittatura semi-feudale. E’ proprio la parte del loro programma in cui i Mullah si sono dichiarati a favore della libertà e della democrazia che è stata un potente elemento d’attrazione per le masse della classe media e certamente anche per settori di lavoratori. Ma il programma utopistico di Khomeini non può in nessun modo risolvere i problemi che il popolo iraniano si trova ad affrontare attualmente.
Khomeni ha detto chiaramente che non accetterà nulla di meno dell’abolizione della monarchia. Il Consiglio di Reggenza instaurato dal governo Bakthiar non riuscirà a mantenere il controllo o a mantenere in caldo il trono per lo Scià. Persino l’abdicazione dello Scià non sarà più sufficiente. Adesso la posta in gioco è l’abolizione della monarchia.
Nella situazione presente in Iran un’organizzazione anche solo di un migliaio di marxisti, un migliaio di rivoluzionari, potrebbe fare la differenza. È possibile che una tale organizzazione possa formarsi dalle forze che si stanno aggregando attorno al Fronte Nazionale.
Lo stesso Fronte Nazionale, una volta che comincerà a conquistare una base di massa, inevitabilmente si dividerà al suo interno. Il cosiddetto Partito Comunista (il Tudeh) va a rimorchio degli Ayatollah, soprattutto dell’Ayatollah Khomeini. Non ha una prospettiva, un programma, nessuna politica se non quella di appoggiare la rivoluzione borghese in questa fase particolare.
In assenza di un’organizzazione alternativa è possibile, se non addirittura probabile, che ci sarà un repentina crescita del Tudeh. Una tale crescita nelle condizioni attuali comporterebbe una scissione all’interno del partito comunista. Si svilupperanno contraddizioni tra i militanti e i dirigenti man mano che la base lavoratrice entrerà in conflitto con la direzione piccolo-borghese, che intende appoggiare il messianismo teocratico dell’Ayatollah senza alcuna critica e senza alcuna differenza di politica o prospettiva.
L’inconsistenza dei liberali e dei mullah si manifesterà velocemente durante il corso della rivoluzione stessa. Una rivoluzione, per sua stessa natura, non si risolve in un solo atto. La rivoluzione iraniana si svilupperà nel corso di anni. Le masse impareranno nella scuola della dura esperienza. L’esercito si radicalizzerà man mano che i soldati capiranno che è stato il movimento delle masse a costringere lo Scià ad abdicare. L’esercito sarà influenzato dall’umore delle masse e non sarà possibile per i vecchi generali dello Scià restaurare la disciplina, nonostante tutti gli sforzi di Khomeini o dei liberali.
È probabile che Khomeini prenderà il potere. Tutte le suppliche di Bakthiar affinché lo Stato non permetta ai mullah di giocare un ruolo diretto e dirigente nella politica saranno vane. Ma una volta al potere, si manifesterà l’inconsistenza delle idee reazionarie e medievali, come quella di abolire i tassi di interesse senza intaccare la base economica della società, porterà al caos. Mantenere intatto il capitalismo commerciale e industriale e nel frattempo abolire gli interessi e l’usura è completamente utopistico. Anche durante il Medioevo, quando la dottrina sia della chiesa cristiana che di quella musulmana erano contro l’usura, questa in realtà continuava ad esistere sotto molteplici forme. Questa strada, rimanendo all’interno del capitalismo, avrebbe conseguenze disastrose per l’economia dell’Iran e ben presto dovrebbe essere abbandonata.
Il sostegno nei confronti di Khomeini svanirà non appena formerà il governo. Il fallimento del suo programma di instaurare una repubblica teocratica musulmana per cercare di risolvere i problemi del popolo iraniano sarà presto evidente.
Le masse popolari aspirano non solo ad avere diritti democratici ma anche migliori condizioni di vita. I sindacati iraniani avranno una crescita esplosiva. Già crescono come funghi man mano che i lavoratori cominciano a sentire il bisogno elementare di organizzarsi e raggiungeranno grandi risultati nel prossimo periodo. Proprio come in Portogallo, dove l’82% della forza lavoro è ora organizzata in sindacati, allo stesso modo simili risultati saranno raggiunti in Iran nei prossimi mesi e anni. Probabilmente la maggioranza se non addirittura la stragrande maggioranza della classe lavoratrice iraniana sarà organizzata nei sindacati.
Una democrazia su basi capitaliste, nelle moderne condizioni di crisi del capitalismo su scala mondiale, non può stabilirsi in modo duraturo in Iran. I lavoratori hanno già tratto delle lezioni e continueranno ad imparare anche di più nel corso della lotta che si sta sviluppando. In caso di una sconfitta delle masse e di una dittatura militare bonapartista su basi capitaliste, questa non potrebbe essere stabile come è stato per i regimi capitalisti militar-polizieschi in America latina e per la dittatura in Pakistan. Persino nella peggiore delle ipotesi, la reazione aprirebbe la strada per un nuovo movimento da parte delle masse in un futuro non troppo distante. Si ripeterebbe un 1905 russo.
Ma un tale sviluppo non è l’unico possibile. Se le forze del marxismo riescono a guadagnare sostegno in Iran, allora lo sbocco potrebbe essere una brillante vittoria sul modello della rivoluzione russa del 1917.
Uno sviluppo della rivoluzione su basi sane rappresenterebbe un assoluto disastro per la burocrazia di Mosca. Nella parte asiatica della Russia e nel Caucaso ci sono larghi settori della popolazione che sono formalmente di religione musulmana. In aggiunta, se uno stato operaio sano nascesse in Iran ai confini dell’Unione Sovietica, ciò avrebbe un effetto immediato sui lavoratori dei principali centri dell’Unione Sovietica – Mosca, Leningrado, Charkov, Odessa, Novosibirsk, ecc.
Ma questo potrebbe succedere solo con lo sviluppo di una tendenza marxista che abbia assimilato le lezioni degli ultimi cinquant’anni, soprattutto le lezioni dell’ascesa dello stalinismo in Russia. La burocrazia di Mosca non desiderava e non voleva gli sviluppi che ci sono stati in Iran. Tuttavia, se in Iran si potesse sviluppare un regime bonapartista proletario, uno stato-partito unico  totalitario e deformato come in Cina o in Russia, la burocrazia stalinista lo accetterebbe volentieri un simile dono, nonostante le complicazioni che ciò comporterebbe nei rapporti con gli Usa.
Anche questa è una possibilità dato che l’Iran è solo una paese semi-industriale e rimane ancora un paese semi-coloniale. In mancanza di una tradizione marxista rivoluzionaria di massa, un tale sviluppo potrebbe trovare seguito tra gli ufficiali inferiori dell’esercito e in un settore dell’élite che si basasse sull’appoggio dei lavoratori e dei contadini.
Mosca non voleva la rivoluzione iraniana ma non disdegnerebbe di raccoglierne i frutti che rafforzerebbero enormemente il suo potere nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e nel Golfo Persico. Dovrebbe spiegare ai suoi rivali imperialisti dell’Europa, del Giappone e degli Usa che ciò rappresenterebbe un male minore rispetto allo sviluppo di una democrazia proletaria in Iran.
Un partito socialista marxista dovrebbe cominciare rivendicando la libertà di organizzarsi, la libertà di parola, libere elezioni, libertà di stampa e tutti i diritti democratici che sono stati conquistati dai lavoratori occidentali attraverso le lotte di generazioni.
Dovrebbe rivendicare la giornata lavorativa di 8 ore, 5 giorni alla settimana e una scala mobile dei salari legata all’inflazione. Ciò andrebbe legato alla rivendicazione di un’assemblea costituente rivoluzionaria ponendo allo stesso tempo le rivendicazioni di un programma rivoluzionario come l’espropriazione della cricca corrotta che ha controllato l’Iran per così tanto tempo.
L’espropriazione delle ricchezze dello Scià e dei latifondisti parassitari proprietari terrieri che hanno speculato con i soldi ricevuti dallo Stato dopo aver maltrattato e sfruttato per  generazioni la popolazione agricola; la nazionalizzazione dell’industria senza indennizzo, o con indennizzo solo per chi ne ha effettivamente bisogno; un governo dei lavoratori; il controllo operaio sulla produzione e la gestione operaia dell’industria e dello Stato.
Per ottenere queste rivendicazioni sarebbe necessario formare comitati d’azione da parte della classe lavoratrice cercando di estenderli anche alle forze armate, ai piccoli negozianti e ai piccoli commercianti, legando tra loro questi settori così come è stato fatto nei Soviet in Germania e in Russia nelle rivoluzioni del 1917 e 1918. Sfortunatamente al momento in Iran non ci sono organizzazioni che portano avanti le posizioni del marxismo.
Il movimento operaio britannico dovrebbe mettere tra le sue principali rivendicazioni democratiche: nessuna interferenza con la politica iraniana, lasciare che sia il popolo iraniano a decidere! I lavoratori più avanzati d’altra parte dovrebbero sostenere lo sviluppo in Iran di un partito socialista marxista che possa portare la rivoluzione alla vittoria.

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