Divorzio e aborto – Diritti delle donne sotto attacco: NO al Ddl Pillon!
9 Novembre 2018Marxismo versus politiche identitarie
9 Novembre 2018di Rob Sewell
“Siamo tutti estremamente contenti che tu, il compagno Mehring e gli altri ‘compagni spartachisti’ in Germania siate con noi, ‘con la testa e con il cuore’. Questo ci rende fiduciosi sul fatto che i migliori elementi della classe operaia dell’Europa occidentale – nonostante tutte le difficoltà – verranno comunque in nostro aiuto.”
Lenin a Clara Zetkin, 26 luglio 1918
Il vento scuote per prima la cima degli alberi. La rivoluzione di novembre del 1918 non rappresentò un’eccezione e, come tutte le rivoluzioni, cominciò dall’alto. L’ancien régime si dibatteva tra gli sconvolgimenti della guerra mondiale, l’imminente rivoluzione e la rigidità del potere autocratico. Il crollo incombente era stato preannunciato dal disfacimento del precedente clima di “unità nazionale”, che dall’agosto del 1914, man mano che la guerra era proseguita, si era sciolto come neve al sole. La pressione delle masse, per quanto violentemente legata e imbavagliata dalla censura militare, alla fine stava spuntando in superfice, come la “vecchia talpa della rivoluzione” di cui parlava Marx. L’intero edificio della monarchia Hohenzollern, le cui fondamenta un tempo erano state così solide, stava cominciando a sgretolarsi.
La coscienza delle persone, che normalmente è molto conservatrice, era stata sottoposta alla prova degli eventi e si era rapidamente trasformata. Tutte le contraddizioni represse della società tedesca avevano raggiunto il livello critico, determinando un rapido mutamento del contesto. Un movimento improvviso poteva provocare una precipitazione dell’intera situazione.
Sebbene il vecchio ordine, sotto il peso delle sue contraddizioni, fosse prossimo al collasso, l’élite dominante rimaneva disperatamente aggrappata al potere. Tutto andava avanti solo per inerzia. La situazione non poteva essere salvata con cambiamenti cosmetici, frasi ad effetto o “riforme”. I tentativi del regime di districarsi dalla crisi non facevano altro che peggiorare le cose.
Sul piano militare, la Germania era andata incontro ad alcuni importanti successi all’inizio del 1918. Il 3 marzo gli Imperi Centrali imposero un trattato umiliante alla Russia a Brest-Litovsk, strappandole ampie fette di territorio, tra cui la Polonia, gli Stati Baltici e l’Ucraina. Gli attacchi tedeschi alla fine di marzo portarono alle conquiste più significative sul fronte occidentale fin dal 1914. L’ “Offensiva Ludendorff”, che prendeva il nome dal celebre generale Erich Ludendorff, si sviluppò in una serie di attacchi lungo tutto il fronte. Arrivò così vicina a spezzare le linee alleate che Ludendorff tentò una seconda offensiva. Nonostante il vantaggio rappresentato dalle truppe trasferite dal fronte russo, non ci fu però lo sfondamento sperato. I tedeschi non furono in grado di spostare rinforzi e rifornimenti in maniera sufficientemente rapida da alimentare la loro avanzata, che ben presto si arenò. “Ludendorff è un uomo di determinazione assoluta”, constatò il principe ereditario Ruprecht, “ma la determinazione da sola non basta, se non è abbinata ad una lucida intelligenza”.[1] Sottoposta ad una controffensiva, che si avvaleva di uno/due milioni di truppe fresche americane e dell’impiego di nuove tecniche nel campo dell’artiglieria, la Germania si ritrovò più vicina alla resa che alla vittoria.
Ovviamente una simile prospettiva era del tutto inammissibile per l’Alto Comando tedesco, che rifiutava di accettare la realtà della sconfitta e invece pretendeva 200mila uomini in più al mese solo per “compensare” le perdite patite. Tra il 21 marzo e il 4 aprile 1918 le forze germaniche subirono più di 240mila perdite. Era un inutile spreco di vite, ma per i generali c’era solo bisogno di uno sforzo maggiore. Esigevano una “disciplina interna più severa” finché la vittoria non fosse stata assicurata. La guerra era diventata un gigantesco tritacarne di uomini e mezzi. La situazione peggiorò costantemente fino all’autunno. La sconfitta nella seconda battaglia della Marna sul fronte occidentale rivelò che la vittoria militare non era più possibile. Il 4 settembre, al termine dell’offensiva alleata, i tedeschi avevano sostenuto 100mila perdite, contro le poco più di 42mila degli Alleati.
L’alleanza degli Imperi Centrali iniziò ad andare in pezzi. La Turchia siglò un armistizio alla fine di ottobre e l’Impero austro-ungarico fece lo stesso. La Germania rimase sempre più isolata a fronteggiare il rinnovarsi dell’offensiva alleata.
Davanti a una situazione che si deteriorava sempre più, i capi militari si rassegnarono con riluttanza alla necessità di chiedere un accordo di pace, ma volevano ancora dire la loro sui termini di tale accordo. Sebbene accettassero l’idea di un armistizio, i generali avevano bisogno di tempo per predisporre una conclusione “onorevole” della guerra e chiedevano quindi un attimo di respiro prima di aprire i negoziati con gli Alleati. Questa prospettiva si dimostrò però troppo ottimistica, venendo rapidamente superata dagli avvenimenti e cioè dalla possente rivoluzione tedesca. Non per la prima volta nella storia, la guerra si era trasformata nella madre della rivoluzione. Il regime degli Hohenzollern era giunto al capolinea.
Nella caduta finale dell’autocrazia tedesca ci furono una serie di paralleli con il collasso del regime zarista nel febbraio del 1917. Come in tutti i regimi oramai spacciati, furono introdotte misure disperate dall’alto per cercare di salvare una situazione insalvabile. La strategia della cricca al potere fu chiaramente espressa dalle parole del segretario di Stato Hintze: “occorre prevenire una scossa dal basso con la rivoluzione dall’alto”.[2] Hintze sentiva in che direzione soffiava il vento e le sue parole rivelano un notevole fiuto.
“Quando la casa sta bruciando, può essere che tu debba spegnere il fuoco con acqua di fogna, anche se dopo puzza un po’” dichiarò Robert Bosch, un amico fidato del ministro Haussman, il segretario di Stato.[3] In questa metafora la “puzza di fogna” è la democrazia, mentre i servizi dei socialdemocratici vengono usati per “spegnere il fuoco”.
Il principe Max von Baden
Ludendorff, il capo dell’esercito, realizzò che oramai i giochi erano chiusi. Gli fu chiesto infatti di gettarsi sulla sua spada e, dopo averlo messo da parte, il 3 ottobre 1918 fu rapidamente stabilito un governo “parlamentare” con il principe Max von Baden, cugino del Kaiser, nel ruolo di cancelliere. Questa non era nient’altro che una manovra improvvisata, un cambiamento cosmetico per guadagnare tempo. “Sembrava che una rivoluzione fosse alle porte: la scelta era tra fronteggiarla con una dittatura oppure con un certo grado di concessioni… Il governo parlamentare appariva come la miglior difesa”, spiegò il generale von Hindenburg, dopo aver soppesato attentamente la prima opzione.[4] In quelle circostanze la dittatura avrebbe semplicemente gettato benzina sul fuoco. Sembrava che non ci fosse alcuna alternativa alla “rivoluzione” dall’alto.
Il nuovo governo imperiale comprendeva al suo interno, anche per placare le masse, i socialdemocratici Philipp Scheidemann e Gustav Bauer, che apprezzarono molto il loro nuovo ruolo di rispettabili uomini di Stato in tempo di guerra. Questi socialdemocratici erano pronti ancora una volta a fare il loro “dovere” per il re e la patria, fintanto che gli fosse stato garantito un posto alla tavola della classe dominante. Con l’Impero tedesco alla vigilia del crollo, il sostegno dei socialdemocratici rappresentava una stampella a sinistra fondamentale per facilitare una “transizione stabile”. In realtà il nuovo governo “liberale” del principe von Baden differiva ben poco dal precedente. Le facce erano cambiate, ma il contenuto era sempre lo stesso.
Il nuovo cancelliere si affrettò ad inviare un’urgente richiesta al presidente degli Usa Wilson, con l’intento di assicurarsi una “rapida ed onorevole pace di giustizia e riconciliazione”.[5] La speranza era che questa strada fosse effettivamente percorribile, dal momento che erano stati accettati i Quattordici Punti del programma di pace di Wilson come base per i negoziati. La risposta di Wilson alcune settimane più tardi – con data 23 ottobre – fu tuttavia una vera e propria doccia fredda, in quanto sosteneva che non fosse possibile per gli Alleati “trattare con i padroni militari e gli autocrati monarchici della Germania”. La guerra proseguì. Quando gli fu mostrata la nota di Wilson, il Kaiser Guglielmo esclamò adirato: “Leggete! Mira a rovesciare la mia casata e al completo rovesciamento della monarchia!”.[6]
Ciò nonostante, la classe dominante sapeva bene che certi sacrifici erano necessari per salvare se stessa e quel che restava del vecchio regime. Il dilemma fu chiaramente descritto da Konrad Haenisch, un socialdemocratico, in una lettera ad un amico:
“Si tratta della lotta contro la rivoluzione bolscevica che sale sempre più minacciosa, e che significherebbe il caos. La questione imperiale è strettamente legata a quella del pericolo bolscevico. Bisogna sacrificare l’imperatore per salvare il paese.”[7]
La scelta era tra perdere il monarca o perdere tutto. Il vecchio regime doveva agire rapidamente per salvarsi. Il 23 ottobre, lo stesso giorno in cui era arrivata la risposta di Wilson, il governo annunciò un’amnistia per i prigionieri politici. Tra questi c’era Karl Liebknecht,[8] che al suo rilascio fu accolto da 20mila operai berlinesi. Si rivolse alla folla inneggiando alla rivoluzione russa e facendo appello ad una rivoluzione proletaria in Germania. Lenin gli mandò un messaggio di congratulazioni, che gli venne letto dall’ambasciatore sovietico a Berlino, Adolf Joffe.
Una settimana prima una manifestazione convocata dai dirigenti dell’Uspd [9] radunò più di 5mila lavoratori, che fronteggiarono gli attacchi della polizia e marciarono verso il Reichstag gridando “Abbasso la guerra! Abbasso il governo! Lunga vita a Liebknecht!”.
I bolscevichi avevano inviato clandestinamente Nikolaj Bucharin in Germania per discutere e stabilire legami con gli spartachisti [10] e i dirigenti dell’Uspd. Bucharin incontrò anche il revisionista Eduard Bernstein.[11] Gli disse “Siete alla vigilia della rivoluzione”, ma Bernstein, il “realista”, scosse la testa e ridicolizzò quell’affermazione.[12]
Il governo sperava che le concessioni sarebbero state sufficienti a stabilizzare la situazione, ma si era sbagliato di grosso. I socialdemocratici avevano convinto il governo a rilasciare Liebknecht, perché secondo loro era più pericoloso tenerlo in prigione come un martire piuttosto che lasciarlo libero. Ma garantire la libertà ad una figura così leggendaria era una mossa rischiosa. Scheidemann, che aveva sostenuto il suo rilascio, rimase poi esterrefatto nel vedere Liebknecht portato in trionfo sulle spalle da soldati “patriottici” che erano stati decorati con la Croce di Ferro. Queste manifestazioni esteriori non erano altro che l’espressione della rivoluzione che stava per scuotere la Germania fin dalle sue fondamenta. Com’era prevedibile, Karl Liebknecht fu immediatamente cooptato nel comitato d’azione dei Delegati sindacali rivoluzionari, i Revolutionaere Obleute, un’organizzazione che collaborava con gli spartachisti. L’amnistia del governo non si applicò invece a Rosa Luxemburg, che continuò ad essere trattenuta in custodia “cautelare” e non fu liberata finché la rivoluzione stessa non spalancò la porta della sua cella il 9 novembre.
Alcune settimane prima, mentre il regime traballava passando da una crisi all’altra, vennero compiuti alcuni passi per unificare i diversi piccoli gruppi rivoluzionari. L’iniziativa fu presa dagli spartachisti, che organizzarono una conferenza nazionale clandestina, cui parteciparono anche i rappresentanti della Sinistra di Brema.[13] La conferenza stabilì che l’imminente “collasso dell’imperialismo tedesco” aveva creato una “situazione rivoluzionaria”. Venne presentato un programma che includeva l’esproprio del capitale bancario, delle miniere, delle fabbriche e delle “proprietà terriere medio-grandi”. La conferenza portò ad un maggior coordinamento e concordò di promuovere una campagna per stabilire consigli operai “dove ancora non esistevano”. Fu deciso anche di combattere per l’instaurazione di una Repubblica socialista tedesca “che stesse al fianco della Repubblica sovietica russa, per condurre la lotta della classe operaia mondiale contro la borghesia mondiale, per la dittatura del proletariato contro la Società delle Nazioni capitalista”.[14]
La notizia della conferenza raggiunse Lenin a Mosca, che scrisse personalmente una lettera di saluto ai partecipanti: “Oggi abbiamo appreso che il gruppo Spartaco, assieme alla Sinistra di Brema, ha compiuto i passi più energici per stabilire consigli degli operai e dei soldati in tutta la Germania. Colgo l’occasione per inviare i migliori auguri ai rivoluzionari internazionalisti tedeschi. Il lavoro del Gruppo Spartaco, che ha condotto sistematicamente una propaganda rivoluzionaria nelle condizioni più difficili, ha davvero salvato l’onore del socialismo e del proletariato tedeschi.”
Lenin proseguiva: “Ora siamo arrivati al momento decisivo: il rapido maturare della rivoluzione tedesca richiede che il gruppo Spartaco giochi il ruolo più importante e noi tutti speriamo che tra non molto la Repubblica socialista e proletaria tedesca infliggerà un colpo mortale all’imperialismo mondiale.”[15]
Si parla di insurrezione
Il clima stava rapidamente cambiando, specialmente dopo il rilascio di centinaia di prigionieri politici. La debolezza del regime era così manifesta che a sinistra si parlava apertamente di insurrezione. Mentre i socialdemocratici volevano una “riforma” dello Stato e l’instaurazione di una democrazia borghese, gli spartachisti, i Revolutionaere Obleute e gli indipendenti di sinistra erano determinati ad andare più avanti. Volevano una vera e propria rivoluzione socialista, l’abbattimento dello Stato e la creazione di una Repubblica sovietica tedesca come primo passo verso la rivoluzione mondiale. Il 2 novembre ad una riunione congiunta a Berlino dei dirigenti dell’Uspd e dei Delegati sindacali rivoluzionari, si presentò un ufficiale del secondo battaglione della Guardia, che pose se stesso e la sua unità a disposizione per un’insurrezione. Fu accolto entusiasticamente dall’assemblea, che non doveva far altro che stabilire una data. Hugo Haase, il leader dei socialisti indipendenti che normalmente era incline a tergiversare, ora era euforico al pensiero della rivoluzione e propose l’11 novembre. Altri pensavano che la data giusta per la presa del potere fosse il 4 novembre. Liebknecht era tuttavia contrario a una sollevazione prematura senza adeguata preparazione. Alla fine si decise di convocare uno sciopero generale e valutare come il movimento si sarebbe sviluppato successivamente. Alla fina la rivoluzione scoppiò il 3 novembre, prima di quanto fosse stato “pianificato”, con l’ammutinamento dei marinai nel porto di Kiel.
Nel periodo immediatamente antecedente alla rivoluzione, il regime era diviso al suo interno e in fase di disgregazione, per cui ogni proposta di cambiamento dall’alto aveva solo l’effetto di affrettarne la caduta. I ministri stavano guardando nell’abisso e non erano in grado di ragionare razionalmente. Pensavano solo a salvare se stessi, ma non riuscivano a fare altro che spalancare le porte alla rivoluzione. Il famoso storico francese del XVIII secolo, Alexis de Tocqueville, spiegò: “L’esperienza insegna che, in linea generale, per un cattivo governo il momento più pericoloso è proprio quello in cui comincia a riformarsi”. I problemi cominciarono ad emergere sul piano militare quando l’esercito iniziò a crollare; la demoralizzazione si diffondeva e le diserzioni diventarono più frequenti. Durante l’Offensiva Ludendorff la Germania aveva già sofferto più di 300mila perdite, circa un quinto delle truppe disponibili. La perdita di vite umane continuava ad aumentare quotidianamente. In autunno la sconfitta degli Imperi Centrali sembrava sempre più probabile. Tuttavia i capi dell’Intesa avevano paura, non tanto per l’esito della guerra, quanto per lo scoppio di una rivoluzione bolscevica. Il 18 ottobre il ministro francese degli Esteri, Stephen Pichon, disse a Lord Derby, l’ambasciatore inglese, di essere preoccupato per il fatto che la Germania fosse sull’orlo della rivoluzione. “Quello che [più] lo preoccupa è che il bolscevismo è molto contagioso”.
Anche Lenin era molto fiducioso che una rivoluzione mondiale fosse imminente e scrisse:
“In questi ultimi giorni la storia mondiale ha dato un impeto tremendo alla rivoluzione proletaria mondiale… La crisi in Germania è appena iniziata. Si concluderà inevitabilmente con il passaggio del potere nelle mani del proletariato tedesco. Il proletariato russo sta seguendo gli avvenimenti con profonda attenzione ed entusiasmo. Ora anche i più ciechi tra i lavoratori nei diversi paesi vedranno che i bolscevichi hanno fatto bene a basare tutta la loro tattica sul sostegno alla rivoluzione proletaria mondiale”.[16]
Queste parole profetiche furono scritte il 3 ottobre 1918, esattamente un mese prima dell’ammutinamento di Kiel e dell’inizio della rivoluzione in Germania. I generali Ludendorff e Hindenburg dello stato maggiore generale, gli effettivi dittatori della Germania durante la guerra, si adoperarono per scrollarsi di dosso ogni responsabilità per la prossima sconfitta tedesca. Il 28 ottobre 1918 l’Alto Comando tedesco, senza informare il cancelliere, prese una decisione avventata emanando gli ordini per una battaglia navale decisiva nel Mar del Nord che, se fosse stata vittoriosa, avrebbe reciso i collegamenti tra la Gran Bretagna e il continente, ribaltando i rapporti di forza. L’idea era che un’impresa così audace, qualunque fosse stato l’esito, avrebbe salvato l’“onore” della Germania.
“Meglio una morte onorevole che una pace vergognosa”, dicevano gli ufficiali di Marina. Questo spregiudicato gioco d’azzardo avrebbe però messo in pericolo le vite di decine di migliaia di marinai. Gli spiriti erano già surriscaldati tra gli equipaggi che servivano sulle corazzate, gli incrociatori e le cacciatorpediniere ancorati nei porti sul mar Baltico. Le notizie sulla rivoluzione russa avevano già prodotto i loro effetti tra i marinai. Gli ordini di lanciare l’offensiva nel Mar del Nord, quando arrivarono, provocarono proteste e un vero e proprio ammutinamento. Gli uomini sulle corazzate Thuringen e Helgoland rifiutarono di salpare le ancore per quella che definivano una “crociera suicida”, una missione senza capo né coda. L’ammutinamento si diffuse rapidamente con i marinai che disarmavano i loro ufficiali e prendevano il controllo delle navi. Il Comando della Marina ordinò immediatamente di riprendere la navi ammutinate con contingenti di fanti di marina. Alla fine l’ammutinamento fu domato e 600 membri degli equipaggi furono catturati per essere portati davanti ad una corte marziale. Ma piuttosto che porre fine ai disordini, questo servì solo ad innescare una reazione a catena. Immediatamente a Kiel e Wilhelmshaven i marinai rifiutarono di rifornire o mettere in mare le navi, il che a sua volta mise in moto una rivolta più grande che si intensificò velocemente fino a diventare un ammutinamento su vasta scala, che coinvolgeva l’intera flotta per un totale di 100mila uomini. L’intera situazione si trasformò nel giro di breve tempo da una rivolta in una rivoluzione.
L’ammutinamento si estende
L’insurrezione rivoluzionaria si diffuse anche tra i lavoratori a terra, che istituirono consigli operai, assaltarono le prigioni e liberarono i detenuti, molti dei quali erano prigionieri politici. Amburgo, Lubecca, Brema e Cuxhaven furono tutte direttamente coinvolte. Apparirono ovunque manifesti che sostenevano l’insurrezione e avanzavano rivendicazioni politiche: non solo la pace ma, secondo un rapporto di polizia, anche “la distruzione del militarismo, la fine delle ingiustizie sociali e il rovesciamento della classe dominante”.[17]
Jan Valtin,[18] un membro dell’organizzazione giovanile della Lega di Spartaco, riferisce quello che accadde nella sua autobiografia “Fuori dalla notte”:
“Quella notte vidi i marinai ammutinati girare per Brema in lunghe colonne di camion sequestrati, sui quali erano state installate bandiere rosse e mitragliatrici. A migliaia sfilavano nelle strade. Spesso i camion si fermavano e i marinai cantavano e ruggivano di lasciare libero il passaggio. I lavoratori acclamavano soprattutto un giovane uomo tarchiato, che indossava una sudicia uniforme blu. L’uomo rispondeva ai saluti sventolando una carabina sopra la sua testa. Era il fochista che aveva issato la prima bandiera rossa in tutta la flotta. Il suo nome era Ernst Wollweber…Gironzolai verso l’Am Brill, una piazza nella parte occidentale della città, ma da lì in poi dovetti spingere la mia bicicletta attraverso la calca. La popolazione era nelle strade. Da tutte le parti masse di varia umanità, un mare di corpi che ondeggiavano e spingevano, di facce alterate si stava muovendo verso il centro della città. Molti dei lavoratori erano armati con fucili, baionette, mazze. Allora e anche in seguito mi accorsi che la vista dei lavoratori armati faceva ribollire il sangue nelle vene di coloro che simpatizzavano con i dimostranti. Un gruppo crescente di detenuti, liberati dalla prigione di Oslebshausen da una camionetta di marinai, cantavano con voce rauca. Molti di loro indossavano i pastrani grigi dei soldati sopra la loro divisa da carcerati. Ma il vero simbolo di questa rivoluzione, che in realtà non era altro che una rivolta, non erano i lavoratori armati o i detenuti che cantavano, ma gli ammutinati della flotta con i berretti al contrario che tenevano i fucili sulle spalle rovesciati, con il calcio in alto e le canne rivolte verso il basso.Ai piedi della statua di Orlando si era accovacciata un’anziana donna impaurita. Gemeva disperata “Ach du liebe Gott [per l’amor di Dio] che cos’è tutto questo? In che razza di mondo viviamo?”. Un giovane lavoratore grande e grosso, che ogni tanto lanciava grida di trionfo e avevo seguito dall’Am Brill, abbracciò la vecchia e rise sonoramente. ‘È la rivoluzione!’, tuonò, ‘La rivoluzione, signora’.”[19]
La data della rivoluzione tedesca viene normalmente fissata al 9 novembre 1918, ma in realtà il vero inizio della rivoluzione fu il 3 novembre con l’ammutinamento di Kiel, dove era concentrato il grosso della flotta. I marinai di Wilhelmshaven e Amburgo ne seguirono l’esempio. Fu allora che la diga crollò e le masse iniziarono a irrompere sulla scena.
Un marinaio di sinistra, Ernst Schneider, descrisse la situazione a Wilhelmshaven nel modo seguente: “Al ritorno alle loro navi e ai loro alloggiamenti, i compagni udirono il passo pesante di truppe in marcia. Vennero sparati alcuni colpi e si levò il grido ‘Abbasso la guerra’… Continuando verso la corazzata Baden, videro che anche le unità più piccole erano state conquistate dai marinai rivoluzionari. A bordo del Baden venne eletto un nuovo comandante, un membro del comitato.”[20]
Quando la corazzata Konig innalzò provocatoriamente la bandiera imperiale, gli ammutinati aprirono il fuoco finché non fu rimpiazzata con la bandiera rossa. Ora la bandiera rossa della ribellione sventolava sull’intera flotta. A terra i marinai cominciarono a dare la caccia ai loro ufficiali, molti dei quali furono catturati, spogliati delle loro mostrine e gettati in prigione; altri invece si diedero alla fuga.
20mila marinai e lavoratori si riversarono nelle strade, assaltarono gli arsenali, si impossessarono delle armi e liberarono i prigionieri. Di loro iniziativa i marinai stabilirono un Consiglio degli operai e dei marinai, che prese il controllo della città. I discorsi degli agitatori rivoluzionari venivano accolti con boati di approvazione in assemblee affollate. Lo stato d’animo rivoluzionario era altamente contagioso. Durante la notte gli operai e i marinai sfilarono per le strade strette, portando fiaccole e cantando l’Internazionale, senza incontrare alcuna resistenza. Il giorno dopo, in questa fortezza navale, il potere era saldamente nelle mani dei lavoratori. Niente poteva accadere o essere spostato senza il loro permesso.
Lo storico Richard Watt scrive:
“Nel centro della città, a dirigere il traffico c’era un grosso marinaio che portava alla cintola una fascia rossa, in cui aveva infilato otto dirk [pugnali] di ufficiali e due pistole. Aveva un fucile e sul petto indossava una ‘Pour le merite’, la massima decorazione militare tedesca, che aveva strappato a un famoso comandante di sottomarino.”[21]
La rivoluzione si estende
Il Volkische Zeitung, un giornale dello Schleswig-Holstein, scrisse:
“La rivoluzione è in marcia. Quello che è accaduto a Kiel, accadrà anche in altri posti nel giro di pochi giorni, dando slancio a un movimento che attraverserà tutta la Germania.”
Il 4 novembre le fiamme della rivoluzione continuarono a diffondersi, caratterizzate dalle bandiere rosse che sventolavano sugli edifici pubblici imperiali. Il 6 novembre i consigli di marinai, soldati e operai avevano ormai preso il potere ad Amburgo, Brema e Lubecca. Il 7-8 novembre seguirono Dresda, Lipsia, Chemnitz, Magdeburgo, Brunswick, Francoforte, Colonia, Stoccarda, Norimberga e Monaco. A Brunswick il presidente del Consiglio degli operai e dei soldati, August Merges, un membro della Lega di Spartaco, assunse il titolo di Presidente della Repubblica socialista di Brunswick. Il suo governo era composto da otto “commissari del popolo”. Ad ogni modo non fu fino al 9 novembre, la data ufficiale della rivoluzione, che i consigli degli operai e dei soldati vennero istituiti anche nella capitale, Berlino, stabilendo la loro sede niente meno che nel quartier generale dell’esercito! Per la loro sicurezza personale gli ufficiali iniziarono a circolare in abiti civili, mentre i borghesi rimanevano chiusi in casa.
Paul Froelich, uno spartachista, alla testa di un gruppo di marinai armati, occupò gli uffici e la tipografia del quotidiano Hamburger Echo e pubblicò il primo giornale del Consiglio degli operai e dei soldati di Amburgo, intitolato Die Rote Fahne (Bandiera Rossa). Riassunse così il sentimento generale:
“È il principio della rivoluzione tedesca, della rivoluzione mondiale! Salutiamo la più potente azione della rivoluzione mondiale! Viva il socialismo! Viva la repubblica tedesca dei lavoratori! Viva il bolscevismo mondiale!”[22]
La rivoluzione tedesca fu incoraggiata anche dalla notizia dello scoppio della rivoluzione in Austria, dove era stato rovesciato il vecchio regime e si era formato un governo provvisorio sotto la guida del socialdemocratico Karl Renner, con Victor Adler come Ministro degli esteri e Otto Bauer come suo vice. I soldati avevano stabilito un Consiglio dei soldati e da ogni guarnigione vennero eletti delegati ad un Esecutivo nazionale, che fece appello per l’instaurazione di una Repubblica socialista austriaca. Braunthal, che a quel tempo faceva parte del Ministero della guerra austriaco, scrisse:
“La stessa inclinazione che si era fatta strada tra i soldati, stava prendendo piede anche tra gli operai. Anche loro erano fortemente tentati dal bolscevismo e avrebbero preferito un’Austria sovietica.”[23]
Alla fine però gli “austro-marxisti” non si sarebbero comportati meglio dei socialdemocratici tedeschi o dei menscevichi in Russia.
Il giornalista britannico Morgan Philips Price, che lavorava per il Guardian di Manchester, si recò a Berlino per scrivere una testimonianza diretta della rivoluzione. Il suo resoconto rende l’idea di quale fosse lo stato d’animo in quel periodo, specialmente tra i soldati semplici:
“A Eyktunen passai la dogana tedesca, che era gestita solo da soldati semplici. Durante il tragitto attraverso la Prussia orientale, i soldati a bordo del treno cacciarono gli ufficiali fuori dagli scompartimenti e li lasciarono in piedi nei corridoi. I treni erano pieni di truppe che tornavano a casa e l’atmosfera divenne più rivoluzionaria avvicinandosi a Berlino, che raggiunsi dopo un viaggio di sei giorni.”[24]
“Gli eventi a Kiel, Lubecca, Altona, Amburgo e Hannover si sono svolti tutto sommato senza spargimenti di sangue”, scrisse il conte Harry Kessler, il cui titolo nobiliare oramai contava ben poco. “È questo il modo in cui cominciano tutte le rivoluzioni… La sete di sangue cresce gradualmente assieme alle tensioni coinvolte nell’instaurazione del nuovo ordine… L’aspetto della rivoluzione sta diventando chiaro: progressiva estensione, a macchia d’olio, dai marinai ammutinati sulla costa verso l’interno. Berlino è sempre più isolata e presto sarà solo un’isola…”. Di fatto lo spargimento di sangue non venne iniziato dalla rivoluzione, che non incontrò resistenza, come riferisce lo stesso conte. Solo quindici persone persero la vita a Berlino il 9 novembre. Lo spargimento di sangue ebbe inizio con la brutalità della controrivoluzione che più tardi avrebbe attraversato la Germania, condotta dagli infami Freikorps.[25] Non ci volle molto tempo perché la “macchia d’olio” arrivasse a Berlino, dopo essersi diffusa in tutta la Germania.Il 4 novembre Gustav Noske, un deputato della Spd, era arrivato al porto di Kiel. Vi era stato mandato dal governo, sempre più preoccupato e ansioso di esercitare una qualche forma di influenza per riportare la calma in città. Tuttavia non appena fu riconosciuto dalla folla, si diffuse inaspettatamente un certo scompiglio e Noske venne sollevato sulle spalle da soldati e operai euforici. Nella vana speranza di mantenere un certo controllo sugli avvenimenti, Noske dovette assecondare i desideri degli insorti e persino accettare la posizione di governatore rivoluzionario di Kiel. Il 5 novembre riportò telefonicamente la notizia a Berlino: “Sono stato obbligato ad accettare il posto di governatore e ho ottenuto un certo successo”.[26] Per non rovinare questo “successo”, pregò Berlino di non mandare truppe. Più tardi Noske ammise: “Ho dovuto lavorare sodo a Kiel per impedire la formazione di distaccamenti di truppe rosse”.[27] Per il momento tutto quello che Noske poteva fare era blandire i rivoluzionari. Successivamente avrebbe mandato i Freikorps a ristabilire l’ordine nella maniera più violenta.
Il gabinetto “liberale” di von Baden tenne una sessione d’emergenza il 7 novembre, con i ministri dell’Spd sempre più sconvolti dalla diffusione dell’anarchia. “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per tenere a bada le masse”, dichiarò Scheidemann.[28] Ma bisognava fare molto di più per domare la rivoluzione e questi dirigenti si sarebbero dimostrati pronti e determinati a farlo.
I consigli degli operai e dei soldati
Con il crollo del vecchio apparato statale, il potere era caduto nelle mani dei lavoratori, dei marinai e dei soldati in armi. Come in Russia nel 1905 e nel 1917, le masse stabilirono consigli operai o soviet, l’embrione del potere operaio. Non erano stati convocati da nessun partito e da nessun gruppo, ma erano semplicemente una creazione spontanea delle masse che si erano poste sul piede della rivoluzione. Gli “Arbeiter und Soldaten Raete” (i consigli degli operai e dei soldati) erano genuine organizzazioni di base, stabilite in tutti i luoghi in cui i lavoratori e i soldati erano presenti e organizzati. In una manifestazione di democrazia operaia, nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro i rappresentanti venivano eletti sulla base delle unità di produzione.
La scrittrice Evelyn Anderson spiegò:
“Durante i primi giorni della rivoluzione di novembre, i consigli degli operai e dei soldati vennero eletti in tutte le officine, le miniere, i porti e le caserme. Il popolo era in movimento. Dappertutto c’erano assembramenti di massa che nominavano portavoce ed eleggevano delegati, che dovevano parlare e agire in loro nome come rappresentanti diretti. Questo accadeva in tutto il paese.”[29]
Queste erano le fondamenta della democrazia operaia. Diversamente dalla democrazia borghese, in cui – parafrasando Marx – puoi scegliere ogni cinque anni quali esponenti della classe dominante non ti rappresenteranno in parlamento, i delegati di questi consigli dovevano rendere conto del loro operato ed erano immediatamente revocabili. I delegati erano sotto il controllo di assemblee di massa in cui ciascuno poteva esprimere la sua opinione. Nessuno era eletto a vita o si trovava in una posizione di privilegio e, poiché non c’erano privilegi, non c’era carrierismo. Dipendendo dalla volontà democratica, i rappresentanti potevano essere immediatamente rimpiazzati con altri che fossero più in sintonia con il sentire della maggioranza. Questa era a tutti gli effetti una genuina democrazia proletaria in azione.
Come spiegò Lenin:
“Naturalmente i soviet – organi di lotta delle masse oppresse – riflettevano ed esprimevano lo stato d’animo e i cambiamenti d’idee di queste masse in modo infinitamente più rapido, completo e fedele che non qualsiasi altro organismo (è questa del resto una delle ragioni per cui la democrazia sovietica è il tipo più elevato di democrazia).”[30]
Evelyn Anderson spiegò lo stesso concetto: “Un aspetto importante del sistema dei Raete (consigli operai) è il controllo diretto e permanente dell’elettore sul rappresentante. Il rappresentante può essere privato da un momento all’altro del suo mandato se e quando non lo esercita in accordo con la volontà dei suoi elettori. Il sistema dei Raete è quindi una forma ancor più diretta ed estrema di democrazia rispetto ad un sistema parlamentare. È esattamente il contrario della dittatura.”[31]
I consigli o soviet rappresentavano il sistema più flessibile e democratico mai concepito. Erano eletti non sulla base di circoscrizioni geografiche, ma nelle fabbriche, negli uffici, nelle fattore e negli altri luoghi di lavoro. Fu un primo esempio di quella che Rosa Luxemburg chiamò spontaneità delle masse e auto-organizzazione dei lavoratori. Era un prodotto delle masse in azione. Ernst Dauming scrisse:
“La bufera del novembre 1918 vide sorgere i consigli degli operai e dei soldati in tutta la Germania, spontaneamente e senza alcuna preparazione. La rivoluzione creò le sue stesse forme di espressione con forza elementare.”[32]
Se democrazia significa il dominio della maggioranza, allora i soviet si adattavano perfettamente alla definizione. La volontà di milioni di persone, espressa attraverso decine di migliaia di assemblee di lavoratori, era di gran lunga più democratica di qualsiasi parlamento borghese. Secondo Broué:
“I poteri che essi si attribuiscono riguardano tutti i campi, giudiziario, legislativo ed esecutivo, e riflettono le caratteristiche del potere sovietico…”.[33]
Gli avvenimenti si stavano sviluppando molto velocemente e la situazione di “dualismo di potere” caratterizzava ogni cosa. La rivoluzione aveva fatto nascere in tutto il paese i consigli degli operai e dei soldati, che emanavano ordini, direttive e istruzioni. Non una ruota girava, non un fischietto suonava senza il loro permesso. La rivoluzione era come uno sciopero, ma su scala più ampia. Come i lavoratori in sciopero eleggono un comitato di lotta, così le masse rivoluzionarie eleggevano i loro consigli operai. Nel giro di breve tempo le loro responsabilità e le loro funzioni si estesero fino ad abbracciare tutti i compiti del vecchio Stato. In alcune zone istituirono forze armate proprie – la guardia rossa o la polizia rossa – come per esempio a Francoforte sul Meno, Amburgo, Dusseldorf e Halle.
A Berlino vennero stabiliti nuovi comitati rivoluzionari e un Comitato esecutivo nazionale dei consigli degli operai e dei soldati, che agiva come centro nazionale per tutti i consigli locali. In assenza di qualsiasi parlamento eletto o assemblea nazionale, questo organismo era il più rappresentativo a livello nazionale.
“La odio come il peccato”
Il capo del governo, il principe Max von Baden, in cerca di un punto d’appoggio si rivolse al socialdemocratico Ebert e gli chiese: “Se dovessi riuscire a persuadere il Kaiser [ad abdicare], voi sareste al mio fianco nella battaglia contro la rivoluzione sociale?”, Ebert rispose: “Se il Kaiser non abdica, la rivoluzione sociale è inevitabile, ma io non la voglio, davvero la odio come il peccato.”[34]
Mentre l’ancien régime crollava tutto attorno a lui, il Kaiser era inizialmente determinato a restare aggrappato alla sua corona, ma aveva perso il contatto con la realtà. Soldati armati si riversavano per le strade di Berlino, ma ancora il Kaiser tentennava, rifiutandosi di abdicare.
“Il Kaiser deve abdicare, altrimenti avremo una rivoluzione”, di questo avevano paura i socialdemocratici.[35] Max von Baden doveva agire in fretta, perché i socialdemocratici erano stati costretti dalla pressione crescente a dimettersi dal governo. Il tempo per le chiacchiere era finito.
Le manifestazioni di massa armate a Berlino terrorizzarono von Baden al punto di fargli rassegnare le dimissioni da cancelliere con effetto immediato e passare le redini del governo nelle mani dell’ala destra dei socialdemocratici. Ma prima di andarsene fornì una riflessione molto acuta sulle opzioni a disposizione della classe dominante:
“La rivoluzione è a un passo dalla vittoria. Non possiamo schiacciarla ma forse possiamo ancora soffocarla lentamente… se dalle strade viene elevato al potere Ebert come leader del popolo, allora avremo una repubblica; se invece sarà Liebknecht, avremo il bolscevismo. Se invece è il Kaiser che, abdicando, nomina Ebert come cancelliere del Reich, allora c’è ancora una piccola speranza per la monarchia. Forse sarà possibile deviare le energie rivoluzionare verso i canali legali di una campagna elettorale.”[36]
Ebert, a nome dei socialdemocratici, rispose all’offerta del principe von Baden: “Al fine di preservare la pace e l’ordine… riteniamo indispensabile che l’ufficio di cancelliere imperiale e il comando del distretto di Brandenburgo[37] siano tenuti da membri del nostro partito.”[38] Von Baden si dichiarò subito d’accordo, convinto che questa fosse la miglior soluzione possibile.
Ebert diventa cancelliere
Da parte sua Ebert era pronto a diventare cancelliere “nell’ambito della costituzione imperiale”, ma aveva bisogno di consultarsi con gli altri dirigenti del partito, che in linea di massima sarebbero anche stati d’accordo, ma si trovavano in una posizione insostenibile. Come spiegò il direttore del Vorwarts, “Noi vogliamo salvare la monarchia, ma se qualcuno grida ‘Lunga vita alla Repubblica!’, non possiamo far altro che gridarlo anche noi”. [39]
Senza ulteriori indugi, il principe Max von Baden anticipò la decisione dell’imperatore annunciando l’abdicazione in suo nome. Guglielmo II non ne era stato informato e rimase sconcertato nell’apprendere da altri la notizia della sua caduta. Il 9 novembre la monarchia era finita e il giorno dopo il Kaiser, fatti i bagagli, attraversò il confine olandese. Non riconobbe formalmente la sua abdicazione fino a quasi tre settimane dopo, forse nella speranza che si fosse trattato di un terribile malinteso.
Il vuoto di potere doveva essere urgentemente colmato con qualche “riformista” fidato. Fu così che i dirigenti socialdemocratici, ben disposti a servire allo scopo, furono portati al potere. Il primo atto del leader dell’Spd in qualità di cancelliere fu quello di chiedere al principe von Baden di assumere la reggenza, nella speranza di preservare una monarchia costituzionale. Il principe però non aveva intenzione di bere questo amaro calice e così declinò cortesemente. Si congedò con queste ultime parole: “Herr Ebert, lascio l’Impero tedesco nelle sue mani”.[40]
Naturalmente Ebert, da buon socialdemocratico, non aveva mai nascosto il suo incrollabile sostegno non alla rivoluzione, ma alla monarchia Hohenzollern. Aveva sperato che all’abdicazione del Kaiser potesse seguire una qualche forma di reggenza, ma la rivoluzione rese irrealizzabile questa idea. Questo episodio svela chiaramente tutta la psicologia di Ebert e degli altri dirigenti socialdemocratici. Il loro intento era quello di stabilire una democrazia borghese, con o senza la monarchia, in cui loro avrebbero potuto giocare il ruolo dei leali democratici.
Ebert iniziò a mettere insieme un nuovo governo. Era abbastanza furbo da realizzare di aver bisogno di una “copertura a sinistra” per riuscirvi. Così nel suo proclama annunciò: “Il Kaiser ha abdicato e il suo primogenito ha rinunciato al trono. Il partito socialdemocratico ha assunto la responsabilità del governo”, ma aggiunse anche che invitava “il partito socialdemocratico indipendente a partecipare al governo su basi completamente paritarie”.[41]
La speranza era che la formazione di un governo interamente socialista sarebbe stata sufficiente ad arginare l’ondata della rivoluzione. Ebert, come cancelliere, avrebbe tenuto a bada l’ala sinistra. Per prima cosa rivolse un appello direttamente alle masse rivoluzionarie, non per spronarle, ma per calmarle:
“Concittadini!
Vi invito ad aiutarci nel nostro difficile compito, perché tutti voi sapete fino a che punto è in pericolo l’approvvigionamento di cibo per la popolazione.
Il primo dovere di ognuno è rimanere nei campi e nei villaggi, senza porre ostacoli alla produzione di generi alimentari e al loro trasporto nelle città.
La mancanza di cibo significa miseria per tutti. I più poveri soffrirebbero terribilmente e gli operai soffrirebbero privazioni inaudite.
Concittadini!
Vi prego di lasciare le strade. Per la legge e l’ordine in città!”[42]
Le masse tuttavia non rimasero lontane dalle strade. Al contrario le fabbriche erano piene di volantini a favore dell’insurrezione, furono tenute numerose assemblee e i lavoratori iniziarono a marciare verso il centro di Berlino. Gruppi di socialisti occuparono gli uffici delle Poste, il palazzo del telegrafo, l’agenzia Wolff,[43] il quartier generale e il palazzo imperiale. Per descrivere la situazione, Pierre Broué cita un passo di E.O. Volkmann:
“Il giorno che Marx e i suoi amici hanno ardentemente desiderato per tutta la vita è infine arrivato. Nella capitale dell’impero la rivoluzione è in cammino. Il passo fermo, ritmato, dei battaglioni degli operai fa risuonare le strade: essi arrivano da Spandau, dai quartieri proletari, dal nord e dall’est e avanzano verso il centro, segno della potenza imperiale. Vengono prima le truppe d’assalto di Barth, revolver e granate in pugno, precedute da donne e bambini. Seguono poi le masse a decine di migliaia: radicali, indipendenti, socialisti della maggioranza, alla rinfusa.”[44]
Viva la Repubblica!
Mentre le masse si radunavano, Scheidemann, l’altro leader dei socialisti di maggioranza nonché vice-cancelliere del principe von Baden, stava pranzando al ristorante del Reichstag quando udì le grida fragorose dell’enorme folla che aveva circondato l’edificio. Poiché Liebknecht e gli spartachisti si trovavano al Palazzo imperiale, pronti a proclamare la repubblica operaia, Scheidemann decise di intervenire. In seguito scrisse: “Vidi la follia russa davanti a me, la sostituzione del terrore zarista con quello bolscevico. No! Non in Germania”. Per conquistare il sostegno delle schiere di lavoratori sottostanti, dalla balconata annunciò che Ebert aveva accettato di diventare cancelliere di un governo socialista.
“Questi nemici del popolo sono finiti per sempre. Il Kaiser ha abdicato e i suoi amici sono spariti. Il popolo li ha battuti in tutti i campi. Il principe Max von Baden ha ceduto l’ufficio di cancelliere del Reich al deputato Ebert. Il nostro amico formerà un nuovo governo che comprenderà tutti i partiti socialisti. Questo nuovo governo lavorerà incessantemente per preservare la pace e procurare lavoro e pane. Lavoratori e soldati, siate consapevoli dell’importanza storica di questo giorno: si sono verificati avvenimenti straordinari. Compiti grandiosi e incommensurabili ci attendono. Tutto per il popolo, tutto dal popolo. Niente può accadere a disonore del movimento operaio. Siate uniti, fiduciosi e coscienziosi. Il vecchio e il marcio, la monarchia, sono crollati. Possa vivere il nuovo. Lunga vita alla Repubblica tedesca!”[45]
Dopo l’intervento di Scheidemann, Karl Liebknecht salì a sua volta sul balcone del Reichstag e fece un proclama a nome della Lega di Spartaco, che si concluse con l’appello a una Repubblica socialista tedesca:
“Il dominio del capitalismo, che ha trasformato l’Europa in un cimitero, è ormai abbattuto. Ricordiamo i nostri fratelli russi. Partendo essi ci avevano detto: ‘Se tra un mese non avrete fatto come noi, noi romperemo con voi’. Sono bastati quattro giorni. Il fatto che il passato sia morto non deve farci credere che il nostro compito sia finito. Bisogna raccogliere tutte le nostre forze per costruire il governo degli operai e dei soldati e costruire un nuovo Stato proletario, uno Stato di pace, di gioia e di libertà per i nostri fratelli tedeschi e i nostri fratelli nel mondo intero. Noi tendiamo loro la mano e li invitiamo a completare la rivoluzione mondiale. Quelli che vogliono vedere realizzata la libera repubblica socialista tedesca e la rivoluzione tedesca alzino la mano!”[46]
Tra le masse radunate si levò una selva di mani a favore della rivoluzione. Poco dopo una bandiera rossa fu simbolicamente issata sull’asta del Palazzo imperiale.
Non appena Ebert scoprì che Scheidemann aveva proclamato la repubblica, andò su tutte le furie. Secondo le memorie di Scheidemann:
“Quando sentì quello che avevo fatto, Ebert arrivò rosso in faccia e adirato. Batté il suo pugno sul tavolo e mi gridò: ‘È vero?’. Quando risposi che non solo era vero ma era anche la cosa più ovvia da fare, mi fece un tale scenata che rimasi senza parole. ‘Non avete il diritto di proclamare la Repubblica! Quello che diventerà la Germania, se sarà una repubblica o qualcos’altro, dovrà essere deciso solo da un’assemblea nazionale’”.[47]
L’ondata rivoluzionaria stava trascinando via tutto davanti a sé e il proletariato era in movimento, anche senza un’assemblea nazionale. A Berlino il quartier generale della polizia si arrese ai sostenitori di Emil Eichorn dell’Uspd, che venne insediato come nuovo capo della polizia. Le celle vennero aperte e centinaia di prigionieri vennero liberati, compreso Leo Jogiches, l’organizzatore spartachista. Anche Rosa Luxemburg fu liberata dal carcere di Breslau. Quello stesso giorno il palazzo del Reichstag si arrese senza che venisse sparato un solo colpo. Se le masse lo avessero voluto, in quel momento avrebbero potuto prendere il potere pacificamente, ma erano prive di una direzione rivoluzionaria.
Il fervore rivoluzionario che si era impossessato delle masse non accennava a diminuire nonostante gli appelli dei dirigenti socialdemocratici, anzi cresceva. La moglie del principe von Blucher, terrorizzata dallo spettacolo, descrisse la scena nel suo diario:
“Attraverso una massa compatta di folla, si aprivano la strada grandi autocarri stracarichi di soldati e marinai, che sventolavano bandiere rosse e lanciavano grida feroci. Stavano evidentemente cercando di incitare gli operai alla violenza. Questi veicoli affollati di giovanotti in uniforme o in abiti civili, con fucili carichi e bandiere rosse, mi sembravano caratteristici. Questi giovani si allontanavano in continuazione per costringere ufficiali e soldati a staccarsi le loro decorazioni [imperiali] e, se quelli si rifiutavano, lo facevano direttamente loro… Circa duecento di questi grandi autocarri devono essere passati sotto le nostre finestre nel giro di due ore.”[48]
La rivoluzione aveva conquistato le strade e gli operai e i soldati avevano la sensazione di tenere il potere nelle loro mani. Il vecchio Stato, gravemente indebolito, era disperatamente sospeso a mezzaria. Tuttavia le masse, come quelle russe dopo il febbraio 1917, non erano del tutto consapevoli del loro potere. Avevano stabilito soviet o consigli in tutte le fabbriche, le caserme e i luoghi di lavoro. Se fossero state interamente consapevoli del loro potere, avrebbero facilmente spazzato via il vecchio ordine e instaurato uno Stato operaio nel centro dell’Europa. L’istinto diceva loro che questa era la strada che avrebbero dovuto intraprendere.
I partiti tradizionali
Nella gran maggioranza dei casi però, i lavoratori rivoluzionari guardavano ancora ai dirigenti dei loro partiti tradizionali, la Spd e l’Uspd, in cerca di un orientamento. Le malefatte e i tradimenti del passato vennero dimenticati o per lo meno momentaneamente messi da parte. C’era un potente sentimento istintivo tra i lavoratori a favore dell’unità. Pur dando un sostegno entusiasta agli slogan degli spartachisti, le grandi masse risvegliate dalla rivoluzione non facevano distinzioni tra i diversi gruppi socialisti. Tendevano ad aderire ai loro vecchi partiti, che gli erano stati utili in passato.
“Al di là della semplice lealtà, centinaia di migliaia di lavoratori rimasero legati ai loro vecchi partiti che avevano contribuito a costruire, non importa quanto violentemente fossero in disaccordo con la loro politica… la lealtà alla propria organizzazione era diventata una questione istintiva per l’operaio”.[49]
Ancora una volta come nella rivoluzione di febbraio in Russia, i rivoluzionari erano una piccola minoranza. All’inizio erano i menscevichi e i socialisti rivoluzionari a dominare i soviet in Russia, mentre i bolscevichi erano relativamente isolati. Lenin adottò la politica di “spiegare pazientemente”, mentre i lavoratori apprendevano dagli eventi e dall’esperienza. In Germania erano i socialisti della maggioranza e gli indipendenti di sinistra ad avere il controllo dei consigli, in tutto e per tutto soviet eccetto che per il nome, mentre gli spartachisti rappresentavano una minoranza risicata. Di fatto all’inizio della rivoluzione gli spartachisti avevano solo una cinquantina di attivisti a Berlino. Prima che i rapporti di forza potessero cambiare, ci sarebbero voluti grandi avvenimenti e l’esperienza diretta dell’operato dei dirigenti riformisti. Nel breve termine, nonostante il ruolo dei dirigenti dell’Spd – che in realtà si opponevano alla rivoluzione, le masse sarebbero rimaste fedeli alle loro organizzazioni tradizionali. In questo contesto l’Uspd, che pure aveva un seguito significativo, giocò un ruolo importante, ma tutto sommato secondario.
Richard Mueller, il leader dei delegati sindacali di Berlino, osservò:
“Venivano eletti come membri dei consigli operai socialdemocratici che il giorno prima erano stati cacciati dalle fabbriche a calci per non essersi uniti allo sciopero generale.”[50]
Il 10 novembre una riunione dei consigli degli operai e dei soldati di Berlino, che vedeva la presenza di 3mila delegati, si autoproclamò rappresentante del popolo rivoluzionario. Inoltre, in assenza di un governo eletto, prese la decisione di designare un Consiglio dei commissari del popolo sotto il controllo del Comitato esecutivo dei consigli. Era questo un chiaro riferimento all’esperienza della rivoluzione russa.
C’era tuttavia un problema, dal momento che Ebert era già stato posto a capo del governo imperiale dal principe von Baden il giorno prima. Per di più i socialisti di maggioranza si opponevano violentemente a qualsiasi ipotesi per cui dovessero rendere conto del loro operato al Comitato esecutivo nazionale dei consigli, che consideravano “incostituzionale”. Poiché non esisteva nessuna costituzione in quel momento, i ministri, in qualità di membri del governo, si consideravano un potere autosufficiente. Tutto questo non significava niente per le masse.
I dirigenti della Spd e dell’Uspd raggiunsero comunque un accordo per formare un gabinetto di sei membri, che adottò il nome di “Consiglio dei rappresentanti del popolo” (Rat der Volksbeauftragten), decisione poi ratificata dall’Esecutivo dei consigli di Berlino. Il primo governo socialista tedesco era formato da Ebert come cancelliere, responsabile per le forze armate e per gli interni; Haase come Ministro agli affari esteri e alle colonie; Scheidemann al tesoro; Dittman alla smobilitazione e alla sanità; Landsberg al Ministero per la stampa e l’informazione; Barth infine alle politiche sociali.
“Il loro governo”
Il governo di Ebert era visto dalla maggioranza dei lavoratori come il governo della rivoluzione. Per i consigli operai era il “loro” governo socialista, in quanto lo avevano eletto.
Gli operai nelle fabbriche, che avevano sviluppato una coscienza collettiva, erano politicamente più avanzati delle masse di soldati che stavano tornando dalle trincee. Gli operai erano più organizzati e più rivoluzionari nel loro stato d’animo e nelle loro aspirazioni. Tendevano a guardare verso i socialisti indipendenti, ma erano aperti all’agitazione degli spartachisti. D’altro canto i soldati, che stavano per essere smobilitati, erano più influenzati dai dirigenti dell’Spd e si ritrovarono ad avere un peso dominante nei consigli al di fuori di Berlino.
La sede del Comitato esecutivo dei consigli, installata nell’edificio del Landtag prussiano, il parlamento statale, era a tutti gli effetti il cuore della rivoluzione e ogni giorno era sottoposta a forti pressioni da parte delle masse. Il Consiglio dei commissari del popolo invece si trovava in un altro palazzo, circondato da ex ministri e consiglieri borghesi congeniali ad Ebert che rappresentavano il cuore della controrivoluzione. Piuttosto che ripulire le stalle di Augia del vecchio regime, epurare dall’amministrazione civile gli elementi monarchici e sostituirli con socialisti e democratici fidati, il governo scelse di appoggiarsi sullo screditato apparato statale, sul personale lasciato dal principe Max von Baden. Questi “assistenti tecnici” comprendevano uomini come il generale von Scheuch al Ministero della guerra e il dottor Solf al Ministero degli esteri, che esercitavano grande influenza nei corridoi del potere. I ministri ben presto presero ad appoggiarsi in misura crescente su queste figure, veri e propri pilastri del vecchio establishment.
Tuttavia, a causa dell’impatto della rivoluzione, il governo provava a bilanciarsi tra forze contrastanti. Si appoggiava sull’apparato della vecchia classe dominante, ma allo stesso tempo doveva anche tenere conto del potere dei consigli operai. Questo sviluppo peculiare era un prodotto diretto della situazione di “dualismo di poteri” esistente nel paese. La rivoluzione aveva teoricamente fatto nascere un governo, ma quello stesso governo era costretto a guardare in due direzioni, sia verso i lavoratori sia verso la borghesia e l’esercito. In pratica il nuovo governo socialdemocratico era la continuazione del governo di von Baden e del vecchio regime, ma era costretto ad ammantarsi di retorica rivoluzionaria, assumere il nome di Consiglio dei commissari del popolo e cercare di imbrigliare i socialisti indipendenti nelle responsabilità di governo.
In risposta all’offerta di Ebert, il Comitato esecutivo dell’Uspd tenne una riunione d’emergenza per discutere la proposta di entrare nel nuovo governo. I dirigenti dell’Uspd erano sottoposti a forte pressione per partecipare al governo, tra l’altro anche dai consigli degli operai e dei soldati dominati dall’Spd. All’inizio decisero di fissare una serie di condizioni, in primo luogo che la Germania dovesse essere una Repubblica socialista, ma questi paletti vennero rapidamente messi da parte. Alla fine i socialisti indipendenti accettarono di entrare nel governo “per salvaguardare le conquiste della rivoluzione socialista”. Anche a Liebknecht era stato offerto un posto nel nuovo gabinetto, in quota all’Uspd, ma nonostante tutte le pressioni e i forti sentimenti tra i lavoratori a favore dell’unità, rifiutò la proposta.
Commissari del popolo
Alla fine il governo fu composto esclusivamente da membri dei due partiti socialisti: tre socialisti della maggioranza (Spd), Friedrich Ebert, Philipp Scheidemann e Otto Landsberg; e tre socialisti indipendenti (Uspd), Hugo Haase, Wilhelm Dittmann ed Emil Barth. Per inciso Barth fu l’unico dirigente dei delegati sindacali che si riuscì a convincere ad entrare nel governo.
Una volta formato, il “Consiglio dei rappresentanti del popolo” (Rat de Volksbeauftragten), sotto la pressione del movimento di massa, non attese la convocazione di un’Assemblea nazionale per emettere una serie di decreti. Il 12 novembre il nuovo governo indirizzò un proclama al popolo tedesco: “Il governo che è nato dalla rivoluzione, la direzione politica del quale è interamene socialista, si è fissato il compito di attuare il programma socialista.” Vennero adottati nove provvedimenti con effetto legale immediato, tra cui il diritto di assemblea, la libertà di espressione, l’abolizione della censura, l’amnistia per i reati politici, misure per proteggere i lavoratori e altre riforme. Soprattutto venne stabilito che “il 1° gennaio 1919 sarebbe entrata in vigore la giornata lavorativa di otto ore”.[51]
Come risultato della pressione della rivoluzione, i padroni tedeschi non avevano altra scelta che quella di fare concessioni, nonostante la loro precedente opposizione. Giunsero quindi ad un accordo con i sindacati il 15 novembre, che comprendeva il riconoscimento dei sindacati, l’istituzione di comitati di fabbrica nelle imprese con più di cinquanta dipendenti, l’introduzione di contratti collettivi, così come la giornata di otto ore a parità di salario. Per il momento gli imprenditori furono costretti a digerire queste concessioni, ma erano pronti a rimangiarsele non appena si fosse presentata l’occasione. Lo stesso giorno in cui vennero garantite queste concessioni, il governo mandò un telegramma all’Alto Comando tedesco, che conteneva il seguente passaggio:
“L’autorità degli ufficiali in materia di disciplina resta in vigore. Perché il ritorno dell’esercito nella madrepatria tedesca avvenga con successo, l’obbedienza incondizionata durante il servizio è di importanza decisiva. L’ordine militare e la disciplina nell’esercito devono quindi essere mantenuti in ogni circostanza… Il dovere supremo degli ufficiali è lavorare per impedire disordini e ammutinamenti.”[52]
Questo messaggio chiarì all’Alto Comando che godeva del pieno supporto del nuovo governo contro ogni segno di “disordine”. Era chiaro che il vero potere si trovava nell’esercito.
Mentre il governo di “unità socialista” di Ebert parlava in termini radicali, perfino promettendo la socializzazione di alcune industrie, il suo obiettivo non era quello di rovesciare il feudalesimo e il capitalismo tedeschi, ma di introdurre alcune misure per stabilizzare la situazione. L’inclusione dei socialisti indipendenti consentiva ai socialdemocratici di destra di appoggiarsi sulle masse e forniva a Ebert una copertura di “sinistra” per le sue azioni. I ministri “indipendenti” godevano di ben poca indipendenza e operavano in gran parte all’ombra dei ministri dell’ala destra. Come sottolineò Ebert, “La democrazia è l’unica roccia sulla quale la classe operaia può costruire l’edificio del futuro della Germania”.[53] Questa roccia lasciava però intatto il potere della classe dominante.
La Spd strombazzava rumorosamente i suoi risultati nella stampa e nei manifesti di propaganda:
“Di già, in così pochi giorni! Una repubblica popolare. Suffragio universale, suffragio alle donne. Il diritto di voto a partire dai vent’anni. Tutte le dinastie e le corti sono scomparse. Un governo nazionale socialista. Consigli degli operai e dei soldati ovunque. La privilegiata Camera nobiliare eliminata. Il parlamento diviso in tre classi dissolto. Libertà di assemblea. Libertà di associazione. Libertà di stampa. Libertà religiosa. Il militarismo distrutto. Dimissioni dei personaggi del passato. La paga dei soldati aumentata. La giornata di otto ore. La legge sulla servitù abolita. I lavoratori e gli imprenditori hanno uguali diritti.Così tanto è già stato conquistato. Ancor di più deve ancora essere ottenuto. Serrate le fila. Non lasciatevi dividere.Unità!”[54]
Nessuno poteva negare che queste fossero importanti conquiste della rivoluzione, ma il militarismo non era stato sradicato e il potere del vecchio regime esisteva ancora. Queste riforme erano l’inevitabile sotto-prodotto della rivoluzione. I capitalisti vi erano stati costretti di fronte all’alternativa tra garantire concessioni importanti o affrontare il probabile abbattimento del capitalismo stesso. Nonostante queste riforme, Liebknecht e la Luxemburg continuarono a rivendicare che la rivoluzione fosse completata e che fosse instaurata una Repubblica operaia tedesca, ma erano in minoranza.
Una nuova generazione
Nel periodo precedente alla rivoluzione, gente come Friedrich Ebert, Gustav Noske e Philipp Scheidemann aveva scalato gradualmente i vertici del Partito socialdemocratico, come la schiuma sale in superficie in una pozza stagnante. Veri e propri opportunisti, si erano adattati bene alle nuove condizioni. Ebert era stato scelto come segretario generale del partito nel 1906 e, alla morte di August Bebel nel 1913, era subentrato nella carica di presidente del partito. Era un promettente funzionario di partito, che nutriva grandi ambizioni sia per il partito che per se stesso. Individui di questo tipo appartenevano alla scuola revisionista, tanto a parole quanto nei fatti.
Per questa nuova generazione di socialdemocratici di destra, la democrazia borghese era l’unica strada verso il potere. Nel corso degli anni la loro mentalità e il loro istinto erano diventati sempre più conservatori. In sostanza erano diventati niente di più che liberaldemocratici, che ancora si definivano “socialisti” in nome dei vecchi tempi. Vedevano il loro ruolo nel novembre del 1918 come quello di chi doveva porre un freno alla rivoluzione, in cui non vedevano altro che gesti estremi ed “eccessi”. Era necessario ristabilire “la legge e l’ordine” il più rapidamente possibile. Infatti il primo proclama di Ebert come cancelliere al popolo tedesco andava esattamente in quella direzione – calma, legge e ordine.
Una volta fu chiesto a un amico stretto di Ebert: “Ebert e Scheideamnn non provarono un piacere segreto quel giorno [9 novembre] allo scoppio della rivoluzione?” La risposta fu: “Oh no, nient’affatto. Furono presi da una paura mortale.”[55] Ecco una descrizione accurata di questi “leader”.
La loro azione di governo fu guidata proprio da questa “paura mortale”. Un’indicazione di quanto avanti fossero pronti a spingersi si ebbe quando Ebert rifiutò un’offerta per una fornitura di grano dall’Unione Sovietica, preferendone invece una da parte degli Stati Uniti. Mentre l’offerta sovietica non era vincolata ad alcuna condizione, quella americana aveva un secondo fine: le spedizioni di cibo sarebbero state garantite “a condizione che in Germania l’ordine pubblico fosse effettivamente ristabilito e mantenuto”. In altre parole, se la rivoluzione fosse continuata, la fornitura di grano sarebbe stata interrotta. Il giornale francese Le Temps rivelò però che “non è stato il presidente Wilson a pretendere questa condizione, che in realtà gli è stata suggerita dallo stesso cancelliere del Reich tedesco”.[56]
I socialdemocratici di destra agivano sempre più come portavoce “della legge e dell’ordine” e dietro di loro c’erano i capitalisti e i capi militari. Erano volonterosi collaboratori del settore più reazionario della società, più precisamente dell’Alto Comando dell’esercito imperiale. Ovviamente questa collaborazione proditoria veniva portata avanti in segreto, alle spalle della base del partito, che era molto più a sinistra dei suoi cosiddetti dirigenti. Mentre la sinistra dava apertamente il benvenuto ai consigli dei lavoratori, la destra li detestava. Ebert, Scheidemann e gli altri erano determinati a spazzarli via.
L’ala destra era persino pronta ad utilizzare le forze del vecchio regime per realizzare questo obiettivo, senza tenere conto degli inevitabili spargimenti di sangue. Ebert tuttavia capiva molto bene che il governo non poteva utilizzare subito queste forze. Bisognava aspettare il momento opportuno, per paura di provocare le masse. Quindi invece di inviare a Kiel i Freikorps per schiacciare i marinai e gli operai, venne mandato il socialdemocratico Gustav Noske a tamponare la situazione fin a che il movimento non si fosse esaurito. A Berlino l’infelice Scheidemann dovette fare buon viso a cattivo gioco davanti all’umiliazione di essere portato in parata dai soldati rivoluzionari. Non potevano far altro che accettare questo tipo di cose fino a che non fosse tornata la “normalità” e la rivoluzione non fosse stata ridimensionata. “Abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per tenere a bada le masse”, dichiarò Scheidemann.[57]
Ebert e i generali
La maggior parte dei militanti di base socialdemocratici non aveva alcuna fiducia nello Stato maggiore generale ed era favorevole a un qualche tipo di esercito popolare. Era soprattutto il caso dei consigli dei soldati. Questa era naturalmente una bestemmia per i generali. Di conseguenza il nuovo governo non osò smobilitare l’esercito imperiale e organizzare nuove forze armate repubblicane, per paura di attirarsi l’ostilità dello stato maggiore.
Quanto Ebert, in qualità di cancelliere, si incontrò con il generale Groener chiedendo rassicurazioni sulla lealtà delle forze armate, quello gli spiegò che la lealtà aveva un prezzo:
“Il corpo degli ufficiali può cooperare solo con un governo che si impegni nella lotta contro il bolscevismo. Il corpo ufficiali si aspetta che il governo imperiale combatta contro il bolscevismo e si mette [quindi] a disposizione del governo per questo scopo.”
Ebert si dichiarò d’accordo, limitandosi a dire: “porti i ringraziamenti del governo al feldmaresciallo Hindenburg”.[58] Era stato siglato un accordo, ma era chiaro che il vero potere era nelle mani dei generali.
Alcuni anni dopo Groener riportò con una certa perspicacia quello che era accaduto:
“Noi ci siamo alleati contro il bolscevismo… Non esisteva altro partito che esercitasse sufficiente influenza sulle masse per ristabilire, con l’aiuto dell’esercito, il potere governativo.”[59] Dietro Ebert c’era il vecchio ordine travestito in maniera “democratica” e dietro di esso i Freikorps, la feccia reazionaria della società. Il guanto di velluto della “democrazia” per il momento copriva ancora il pugno di ferro di una minacciosa dittatura.
Che tipo di democrazia?
Mentre l’obiettivo fondamentale di Ebert, Scheidemann e degli altri dirigenti socialdemocratici era la convocazione di un’Assemblea nazionale e l’instaurazione di una democrazia borghese, la Lega di Spartaco si batteva per trasferire tutto il potere a un congresso nazionale dei consigli degli operai e dei soldati e creare una genuina repubblica operaia socialista. Per i dirigenti riformisti questo era proprio quel bolscevismo che volevano estirpare ad ogni costo; lavoravano quindi alacremente per deviare il movimento verso innocui canali costituzionali.
Non appena la minaccia immediata della rivoluzione iniziò a scemare, la borghesia tedesca e i suoi rappresentanti politici, che fino al giorno prima avevano fermamente sostenuto l’autocrazia, ora cominciarono a presentarsi come ardenti “democratici”. Avevano cambiato i loro colori monarchici con quelli repubblicani, qualsiasi cosa pur di salvare il sistema. “Io non sono un socialista, ma un democratico. Lo sono sempre stato”, dichiarò il principe Leopoldo. “Solo la bandiera nero, rosso, oro[60] può salvarci” disse Herr Wulle, che più tardi sarebbe diventato un leader fascista. “Mi sottometto all’autorità del governo, che sosterrò con tutte le mie forze”, spiegò il principe Adalberto di Prussia. Sul Deutsche Tageszeitung, un giornale che prima dell’11 novembre era stato monarchico e aveva come sottotitolo “per il Kaiser e il Reich”, venne scritto: “Può avere una qualche autorità solo un governo scelto con metodi che assicurino fedelmente il trionfo della volontà popolare”.
I partiti si riorganizzarono e cambiarono il loro nome, in modo da darsi un’immagine “democratica”. Per esempio il vecchio partito conservatore, pieno di monarchici favorevoli alla restaurazione, riapparve con il nome di “Partito nazionale del popolo tedesco”, mentre l’ex Partito del centro cattolico riemerse come “Partito cristiano del popolo”. Sentivano dove stava soffiando il vento e cambiavano di conseguenza le loro bandiere. A loro volta ponevano tutto il loro peso a favore della convocazione di un’Assemblea nazionale, che sarebbe servita a indire elezioni parlamentari e a rendere superflui i consigli operai.
La questione della convocazione di un’Assemblea nazionale o di un’Assemblea costituente naturalmente diede adito a un’aspra controversia, in cui la destra e la sinistra sostenevano posizioni diametralmente opposte. Pro o contro la convocazione di un’Assemblea nazionale divenne la questione centrale. La sinistra rivoluzionaria era fermamente contro. Nelle parole di Richard Mueller: “L’Assemblea nazionale dovrà passare sul mio cadavere!”[61] I dirigenti socialisti della maggioranza, con altrettanta determinazione, erano estremamente favorevoli all’Assemblea nazionale. Lo slogan del giornale socialdemocratico Vorwaerts non era “tutto il potere ai soviet!”, ma “tutto il potere al popolo!”.
Da un punto di vista storico la rivendicazione di un’Assemblea nazionale e di una Repubblica era stata tradizionalmente parte del programma della socialdemocrazia tedesca nella sua lotta contro l’autocrazia degli Junker. Persino Engels, nella sua critica al programma di Erfurt del 1891, non sostenne che fosse sbagliata, ma che non fosse abbastanza. Tra le larghe masse che detestavano il vecchio regime, c’era un sostegno spontaneo a favore di un’assemblea democratica o di un parlamento.
Gli eventi tuttavia si svilupparono diversamente. La rivoluzione di novembre aveva fatto emergere un altro potere rivoluzionario nella forma dei consigli degli operai e dei soldati, che in Russia erano diventati la base dell’auto-governo dei lavoratori. Gli spartachisti si opponevano quindi con forza alla convocazione di un’Assembla nazionale, facendo invece propaganda a favore di un governo dei consigli degli operai e dei soldati, una “Raeterepublik”. Secondo loro una repubblica sovietica di questo tipo si sarebbe fondata su rappresentanti eletti non su base geografica, ma nelle fabbriche, negli uffici, nei luoghi di lavoro, coinvolgendo tutti i lavoratori. La Repubblica sovietica in Russia forniva un esempio concreto di un simile sistema di potere operaio ed era questa la strada che gli spartachisti volevano che i lavoratori tedeschi seguissero.
Il problema dell’Assemblea nazionale
La questione dell’Assemblea nazionale si rivelò una vera e propria spina nel fianco per i rivoluzionari. Gli spartachisti vi si opponevano in linea di principio, senza tenere conto della decisione del Congresso dei Consigli degli operai e dei soldati. Per loro era una questione di vita o di morte.
Quando arrivò in Germania a metà dicembre del 1918, dopo essere entrato illegalmente nel paese, Karl Radek fu sconvolto dal tono isterico della loro propaganda:
“Sporco e lacero, comprai febbrilmente una copia del Rote Fahne e gli diedi un’occhiata mentre andavo in albergo. Mi allarmai. Dal tono del giornale sembrava che il conflitto finale fosse prossimo. Non avrebbe potuto essere più stridulo. Se solo potessero riuscire ad evitare di esagerare in questo modo!…Era il modo con cui relazionarsi all’Assemblea nazionale che originava controversie… Era molto seducente contrappore lo slogan dei consigli a quello dell’Assemblea nazionale. Tuttavia lo stesso Congresso dei consigli si era espresso a favore dell’Assemblea nazionale. Questo ostacolo non poteva essere aggirato facilmente. Rosa e Liebknecht se ne rendevano conto… ma i giovani del partito erano decisamente contro, dicevano ‘la disperderemo con le mitragliatrici’.”[62]
Lenin aveva costantemente messo in guardia i comunisti dal correre troppo avanti rispetto alle masse. Il partito rivoluzionario aveva bisogno di mantenere i suoi legami con il movimento di massa e questo richiedeva tattiche flessibili. Spiegò che una cosa era avere una posizione teorica compiutamente elaborata e un’altra era applicarla alle condizioni concrete. Questa dopotutto era l’essenza del bolscevismo.
Mentre in Germania la convocazione di un’Assemblea nazionale era ancora legata, agli occhi delle masse, alle aspirazioni rivoluzionarie e alla democrazia, in Russia le cose si erano svolte in modo differente. All’inizio del 1918 in Russia, quando i soviet, i veri organi democratici delle masse, avevano già intrapreso la trasformazione sociale, l’Assemblea nazionale fu utilizzata dai nobili, dai capitalisti e dai sostenitori dei generali “bianchi” come uno strumento della controrivoluzione. Con un rapporto di forze completamente cambiato, non si poteva lasciare che i diritti “democratici” formali della controrivoluzionaria Assemblea costituente minacciassero la rivoluzione socialista.
Non c’era scelta: o l’Assemblea costituente avrebbe approvato le decisioni del Congresso dei soviet oppure doveva essere disciolta, come aveva fatto Oliver Cromwell con il parlamento inglese. Di fatto, dato il suo rifiuto di riconoscere il potere sovietico, fu disciolta e, come nel caso di Cromwell, “senza un lamento”.
Lo scioglimento dell’Assemblea costituente non aveva nulla a che fare con il fatto che i bolscevichi e i loro sostenitori fossero in minoranza. Persino se avessero conquistato la maggioranza nelle elezioni per l’Assemblea costituente, avrebbero dovuto votare per il suo scioglimento in favore dei soviet. In quel momento l’Assemblea costituente era superflua rispetto alle esigenze della rivoluzione.
Nelle condizioni prevalenti in Germania nel 1918, dove la classe lavoratrice non aveva ancora preso il potere, la questione dell’Assemblea nazionale si poneva in un modo totalmente diverso. Con le masse che sostenevano l’Assemblea nazionale, era necessario marciare al loro fianco e partecipare alle elezioni, offrendo allo stesso tempo un programma d’azione rivoluzionario.
Il rinnegato Kautsky
Lo scioglimento dell’Assemblea costituente portò ad una dura condanna internazionale nei confronti dei bolscevichi, specialmente da parte dei dirigenti riformisti all’estero. Il più fervente tra questi critici fu Karl Kautsky, che nell’estate del 1918 aveva denunciato i bolscevichi, rifiutandosi di riconoscere i soviet come organi di democrazia operaia e auto-governo dei lavoratori. Per lui erano solo organizzazioni effimere con uno scopo limitato. Nel suo libro “La dittatura del proletariato”, aveva deliberatamente travisato le idee di Marx sull’auto-governo dei lavoratori, omettendo di citare la sua posizione sulla dittatura del proletariato e le lezioni dalla Comune di Parigi. Kautsky argomentava dal punto di vista di un borghese liberale a favore della “democrazia” in astratto. Le sue tesi furono confutate con estremo vigore da Lenin nel suo libro “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”, in cui controbatteva alle distorsioni del pensiero di Marx sullo Stato e spiegava che la “democrazia” in sé non era che una forma del dominio di classe. La democrazia non è semplicemente “democrazia”, ma una questione di classe: si può avere democrazia borghese o democrazia operaia, basate su opposti interessi di classe.
Secondo Lenin:
“La democrazia borghese, sebbene rappresenti un grande avanzamento storico in confronto al feudalesimo, rimane sempre, e sotto il capitalismo non può che rimanere, limitata, tronca, falsa e ipocrita, un paradiso per i ricchi e una trappola e un inganno per gli sfruttati, per i poveri”.[63]
I lavoratori russi vittoriosi non potevano utilizzare la vecchia macchina statale zarista, ma dovevano invece eliminarla per creare un nuovo semi-Stato che avrebbe rappresentato i loro interessi di classe e soppresso ogni tentativo da parte della borghesia di tornare al potere.
In Germania i ragionamenti di Kautsky ignoravano deliberatamente gli interessi di classe irreconciliabili rappresentati da una parte dai consigli degli operai e dei soldati e dall’altra dal governo di Ebert, che rifletteva gli interessi della borghesia. Kautsky non voleva riconoscere la situazione di “dualismo di potere” sorta dopo la rivoluzione di novembre. Invece di sostenere il potere operaio, propugnava la necessità di combinare i consigli dei lavoratori con lo Stato borghese. “Non è quindi una questione di assemblea nazionale o consigli operai, ma di entrambi”.[64] Ma questo era impossibile perché i loro interessi erano incompatibili come il giorno e la notte. La situazione in Germania era tale che o i consigli degli operai e dei soldati avrebbero consolidato la loro posizione e gettato le basi per una democrazia operaia, o la borghesia tedesca avrebbe ristabilito il suo potere e sciolto i consigli. Non c’era alcuna via di mezzo.
Il Congresso nazionale dei consigli
Alla fine il Congresso nazionale dei consigli degli operai e dei soldati si tenne a Berlino a partire dal 16 dicembre. Fu un fondamentale punto di svolta nella rivoluzione e durò cinque giorni, fino al 21 dicembre 1918. Delegati parteciparono da tutta la Germania, sulla base di un rappresentante per ogni mille lavoratori e un delegato per ogni battaglione. Le regole per le elezioni dei delegati vennero però lasciate agli organismi regionali e il risultato fu un congresso che, sotto molto aspetti, non era rappresentativo dei principali centri proletari. I consigli dei soldati poi tendevano ad essere più arretrati politicamente rispetto a quelli degli operai organizzati nelle fabbriche. Ancora più importante, dei 488 delegati solo 187 erano lavoratori salariati, mentre 95 erano funzionari di partito o dei sindacati, in gran parte dell’Spd. Questo indubbiamente influenzava il punto di vista dell’assemblea e le sue decisioni. Sui 488 delegati presenti, 289 sostenevano l’Spd, 90 l’Uspd (compresi 10 spartachisti) e 10 la Sinistra di Brema. I socialisti della maggioranza sfruttavano anche il desiderio di unità che influenzava vasti strati, specialmente delle masse politicamente inesperte. “Il primo Congresso pan-tedesco che qui si è aperto lunedì”, scrisse Morgan Philips Price, “per quanto riguarda il rapporto di forze tra i partiti, ricorda il primo Congresso pan-russo dei soviet nel giugno 1917”.[65]
Questo dominio dei socialisti di maggioranza si dimostrò decisivo. Dopo un acceso dibattito, il congresso si espresse decisamente a favore della convocazione di un’Assemblea nazionale e chiese che la sua apertura fosse anticipata al 19 gennaio 1919. Questo fu un duro colpo per i rivoluzionari, i cui slogan stavano incontrando un’eco crescente nella classe lavoratrice. Ora sembrava che la rivoluzione stesse loro scivolando tra le dita.
La proposta di stabilire una repubblica sovietica fu presentata da Heinrich Laufenberg, il presidente del consiglio degli operai e dei soldati di Amburgo, e sostenuta Ernst Daumig, dei Delegati sindacali rivoluzionari. Nel suo discorso Laufenberg affermò in maniera intransigente:
“Il vecchio sistema di governo è crollato il 9 novembre. Deve essere rimpiazzato dal sistema dei consigli degli operai e dei soldati. È qui che il potere deve risiedere, il potere che ci siamo conquistati con le nostre mani. Se partiamo da questo presupposto, la Germania può essere ricostruita sulle basi di un potere governativo creato dalla rivoluzione, i consigli degli operai e dei soldati. Noi lo chiamiamo una ‘Repubblica socialista’, ma al momento è meramente un titolo decorativo. Non abbiamo più una monarchia, ma non abbiamo ancora una repubblica. Una formazione statale socialista deve ancora essere creata… Quello che abbiamo fatto finora è solo il primo passo.”
Poi mise in guardia:
“Nei primissimi giorni della rivoluzione la borghesia era troppo terrorizzata per fare qualsiasi cosa. Ora sta riemergendo da tutti gli angoli.”[66]
Gli altri delegati però, compresi quelli dei soldati, si espressero con forza per una rapida convocazione dell’Assemblea nazionale, un modo ai loro occhi per consolidare le importanti conquiste della rivoluzione. Fu persino consentito a Ebert di prendere la parola a nome del governo e gettare tutto il suo peso a favore dell’Assemblea nazionale.
Il congresso era profondamente sotto l’influenza dell’Spd, che per paradosso aveva ereditato la direzione della rivoluzione, una rivoluzione cui Ebert e Scheidemann si opponevano. Il crescente sostegno per gli spartachisti trovò un riflesso nella manifestazione di massa dei lavoratori di Berlino fuori nelle strade, ma non tra i delegati all’interno del congresso. Con pochi delegati che li sostenevano, l’unica speranza che gli spartachisti avevano di influenzare il congresso era con una pressione esterna. La manifestazione fu convocata esplicitamente a sostegno di una repubblica sovietica e vide l’impressionante partecipazione di 240mila persone, risultando sensibilmente più grande di quella indetta dall’Spd, che pure dominava il congresso. Questo confermava le considerazioni dello spartachista Paul Froelich, il quale commentò che, rispetto a quanto avveniva dentro, “la realtà sociale fuori dalle porte del congresso era molto differente”. E rifletteva il fatto che la capitale fosse politicamente più avanzata rispetto alle province, che rappresentavano un contrappeso rispetto ai sentimenti della “rossa Berlino”, dove l’Uspd era influente. Rifletteva anche il peso dei delegati dei soldati, più conservatori rispetto a quelli provenienti dalle fabbriche.
Questo era uno dei motivi per cui gli spartachisti avevano un seguito limitato nei consigli degli operai e dei soldati, essenzialmente circoscritto a Brunswick e a Stoccarda, e non avevano nessuno nell’Esecutivo dei consigli di Berlino. A livello nazionale questi organismi erano dominati dai socialisti di maggioranza, che erano sostanzialmente l’equivalente dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari in Russia.
Mentre il congresso ascoltava Ebert, in qualità di capo del governo, invocare il trasferimento dei poteri dei consigli ad un’Assemblea nazionale, la proposta avanzata dal Consiglio di Stoccarda di consentire a Liebknecht e alla Luxemburg di partecipare con il diritto di parola venne respinto da una maggioranza considerevole. Ancora una volta questo dimostrava la presenza di settori più conservatori. Questo scacco non impedì alla manifestazione spartachista di massa all’esterno di inviare una delegazione a presentare le proprie posizioni al congresso. I loro rappresentanti rivendicarono con veemenza “tutto il potere ai consigli degli operai e dei soldati” e la sostituzione del Consiglio dei rappresentanti del popolo, compreso Ebert, con un Comitato esecutivo eletto dai consigli quale “massimo organo legislativo ed esecutivo”.[67] Ciò nonostante il Congresso adottò una linea più conservatrice. Dopo un acceso dibattito, votò a favore di una democrazia parlamentare e non di una repubblica sovietica. Di fatto, tra tutti i presenti, solo 98 delegati si espressero a sostegno di una repubblica sovietica. Il congresso proseguì approvando con una maggioranza schiacciante la proposta di trasferire i suoi poteri al nuovo governo fino all’elezione di un’Assemblea nazionale, che doveva essere anticipata dal 16 febbraio al 19 gennaio 1919:
“Il Congresso generale dei consigli degli operai e dei soldati della Germania, che detiene tutto il potere nel paese, trasferisce l’autorità legislativa ed esecutiva al Consiglio dei rappresentanti del popolo fino a che un’Assemblea nazionale eletta non stabilirà una nuova divisione dei poteri.
Il Congresso generale dei consigli degli operai e dei soldati della Germania designerà anche un Comitato centrale dei consigli degli operai e dei soldati, il cui compito sarà quello di controllare i gabinetti tedesco e prussiano.
Questo Comitato centrale assumerà il ruolo del parlamento. Ha il diritto di controllare i Rappresentanti del popolo della Germania e – fino a che la nuova struttura politica non sarà definita – i Rappresentanti del popolo della Prussia.
Per controllare i ministeri, il Consiglio dei rappresentanti del popolo nominerà assistenti presso i segretari di Stato. Due assistenti verranno inviati in ogni ministero, uno dalla Spd e uno dall’Uspd.
Prima di nominare i ministri e i loro assistenti, il Comitato centrale dovrà essere consultato.”[68]
Questa proposta passò con una schiacciante maggioranza di 344 voti contro 91. Di fatto segnò la conclusione della primissima fase della rivoluzione. Con lo scioglimento del Comitato esecutivo, al suo posto fu eletto un nuovo Comitato centrale, che diventò un fantoccio del governo. Gli Indipendenti decisero quindi di boicottarlo, il che in pratica eliminò ogni opposizione.
Il delegato sindacale rivoluzionario Ernst Daumig commentò che i consigli degli operai e dei soldati avevano votato la loro stessa “condanna a morte”.[69] Un’opinione condivisa da Paul Froelich:
“Con ciò i consigli degli operai e dei soldati avevano commesso un suicidio politico e designato la borghesia come propria erede.”[70]
Froelich era però decisamente all’estrema sinistra del movimento. Gli spartachisti, gli indipendenti di sinistra e altri arrivarono infatti al punto di organizzare proteste e assemblee contro le decisioni del congresso. Si levò il grido “Siamo stati ingannati! Di nuovo nelle strade!”.
La debolezza dell’ala rivoluzionaria stava tuttavia a significare che, con queste decisioni, oramai il dado era tratto. Il Congresso dei consigli degli operai e dei soldati aveva rifiutato di stabilire una repubblica sovietica. Questo avrebbe dovuto essere un segnale per gli spartachisti che, pur opponendosi alla decisione, dovevano modificare la loro tattica nei confronti dell’Assemblea nazionale, che alla fine si sarebbe comunque tenuta. Piuttosto che continuare a condannarla, avrebbero dovuto accettare di parteciparvi e rivendicare dall’interno l’approvazione di un programma rivoluzionario, ma si rifiutarono di seguire questa strada.
Un errore tattico
C’è una grande differenza tra riconoscere la necessità del potere sovietico e la capacità di conseguirlo. La rivoluzione non sarebbe stata portata a termine semplicemente attaccando i sostenitori dell’Assemblea nazionale. Tutto questo non faceva che allontanare quanti guardavano all’Assemblea come a un primo passo verso una repubblica democratica. Gli spartachisti consideravano l’Assemblea nazionale come un tradimento della rivoluzione, la quale poteva aver successo solo con il passaggio del potere ai consigli dei lavoratori. Le masse però non ne avevano una piena comprensione, soprattutto i settori politicamente più arretrati. Tutto quello che volevano era la fine dell’autocrazia e l’introduzione della democrazia. La frustrazione degli spartachisti, che vedevano sfuggire la vittoria, li stava spingendo a compiere un errore tattico. Finché larghi settori, soprattutto di soldati, guardavano all’Assemblea nazionale, era sbagliato per loro rifiutare in linea di principio qualsiasi idea di lotta politica al suo interno.
Le illusioni delle masse nell’Assemblea nazionale non potevano essere semplicemente messe da parte o denunciate. Queste illusioni potevano essere dissipate solo sulla base degli avvenimenti e in primo luogo era necessario per i rivoluzionari affrontare questa esperienza assieme alle masse.
Invece i dirigenti dell’Spd e dell’Uspd venivano accusati di essere “agenti occulti della borghesia” per il loro sostegno all’Assemblea, una politica che non riusciva a connettersi con le masse, specialmente con i lavoratori comuni socialdemocratici. Rosa Luxemburg chiamava l’Assemblea nazionale una “svolta da codardi” e “un guscio vuoto”, il che era senz’altro vero.[71] Ma le masse la vedevano in modo differente. I settori più conservatori o legati alla tradizione la vedevano come l’incarnazione delle loro speranze. L’Assemblea nazionale rappresentava certamente una “svolta” nel contesto della rivoluzione proletaria, ma non esisteva una linea retta verso la vittoria, specialmente in assenza di un partito rivoluzionario di massa. Più tardi la Luxemburg si pronunciò a favore della partecipazione a questo “guscio vuoto”, su basi rivoluzionarie.
Sebbene gli argomenti a favore della repubblica sovietica, o Raete Republik, erano stati fondamentali nelle prime fasi della rivoluzione tedesca, quando le masse erano immediatamente aperte alle idee rivoluzionarie, non appena fu chiaro che l’Assemblea nazionale sarebbe diventata una realtà, gli spartachisti avrebbero dovuto cambiare la loro tattica. Piuttosto che opporsi categoricamente all’Assemblea nazionale, avrebbero dovuto avere un approccio combinato: perorare la causa della repubblica sovietica, ma dichiarando allo stesso tempo che, se le elezioni per l’Assemblea avessero avuto luogo, vi avrebbero partecipato portando avanti un’alternativa rivoluzionaria.
“Ci siamo sbarazzati della monarchia reazionaria e abbiamo instaurato la libertà politica”, avrebbero dovuto dire alle masse, spiegando però che l’unico modo in cui potevano salvaguardare la loro vittoria era spezzando il potere dei nemici della democrazia, che erano i nemici del progresso. Avrebbero dovuto esprimersi a favore di un governo rivoluzionario che espropriasse le grandi tenute terriere, le banche e le industrie fondamentali e le ponesse sotto il controllo dei lavoratori. Lo Stato doveva essere epurato e rinnovato con rappresentanti del popolo affidabili. Un simile programma avrebbe dovuto essere portato avanti dai consigli degli operai e dei soldati ma, dal momento che questi non avevano intenzione di farlo, allora avrebbe dovuto essere presentato ai partiti operai in un’Assemblea nazionale rivoluzionaria. Il compito principale era quello di spiegare l’esigenza di portare avanti urgentemente il programma rivoluzionario. Solo in questo modo potevano essere risolti i problemi della classe operaia.
Sfortunatamente la maggioranza degli spartachisti, così come la Sinistra di Brema, adottò un approccio settario. Arrivarono ad uscire in blocco dal consiglio degli operai e dei soldati di Dresda, non potendo essere associati con gli “elementi controrivoluzionari” dell’Spd. Fu un grave errore, che non ebbe altro effetto se non quello di isolare ulteriormente le loro forze. Fu un chiaro caso di “infantilismo di sinistra”, che Lenin criticò con forza. Sebbene i membri della sinistra rivoluzionaria fossero coraggiosi combattenti della classe operaia, mancavano di una chiara comprensione della strategia e della tattica. È vero che Rosa Luxemburg tentò di frenare i loro eccessi, ma persino lei incontrò molte difficoltà. Erano trascinati dal movimento rivoluzionario e inebriati dagli eventi. Sfortunatamente non erano passati dalla ricca scuola del bolscevismo, che aveva preparato i bolscevichi a conquistare la maggioranza con grande intelligenza e a condurre la classe operaia al potere.
Socializzazione
In seguito il Congresso nazionale dei consigli degli operai e dei soldati discusse la questione della nazionalizzazione, o “socializzazione”, dell’economia, che era una delle principali istanze della rivoluzione di novembre. Naturalmente il governo, pur non opponendosi apertamente a questa misura, provò a incanalarla verso acque più tranquille con la proposta di istituire una commissione per studiare la questione. Per il governo più le cose fossero andate per le lunghe e meglio sarebbe stato. Rudolf Hilferding, che sosteneva la proposta, provò a scoraggiare l’idea di una nazionalizzazione immediata:
“La capacità produttiva è praticamente in rovina e la classe operaia è stata indebolita dalla malnutrizione e paralizzata dalla guerra. Tutte queste circostanze rendono il compito della socializzazione particolarmente difficile. Questo non significa che l’impresa sia impossibile, ma che abbiamo bisogno di più tempo per portarla a termine. Il nostro primo obiettivo è rimettere di nuovo l’economia in moto… Non possiamo prendere il controllo di tutta l’industria in un colpo solo… Sono convinto che l’idea di una semplice confisca sarebbe sbagliata.”
Hilferding sosteneva invece una tassa patrimoniale che “avrebbe fruttato forti somme e avrebbe ottenuto di più di quello che si poteva ottenere, in modo discontinuo e parziale, con l’esproprio”.[72]
L’approccio gradualista di Hilferding incontrò l’opposizione nel dibattito del suo compagno dell’Uspd e ministro Emil Barth, che invocò “la socializzazione non in mesi, ma in pochi giorni”. Nonostante il suo energico intervento, la linea prudente di Hilferding venne approvata dalla maggioranza del Congresso, ancora una volta un riflesso della composizione e dell’atteggiamento dei delegati. Ovviamente tutte le future promesse di socializzazione vennero rapidamente dimenticate e non avrebbero mai visto la luce del giorno.
La decisione dimostrò ancora una volta come la maggioranza del congresso non riflettesse lo stato d’animo della più vasta classe lavoratrice. Era in ritardo rispetto all’ambiente reale, soprattutto nelle fabbriche. Infatti più a fondo andavi e più il clima era radicale. Ci fu comunque una questione sulla quale i delegati presero una posizione molto radicale, se non rivoluzionaria. Era quella sul carattere dell’esercito. Questo rifletteva sicuramente l’influenza del gran numero di soldati che partecipava al congresso, che erano molto più rivoluzionari su temi che li riguardavano direttamente.
Sebbene la maggioranza del congresso fosse influenzata dall’Spd, le sue scelte politiche su questo specifico punto furono ben lungi dall’essere “conservatrici”. La manifestazione di massa che era confluita al congresso, tra le altre cose rivendicava la trasformazione democratica dell’esercito. Questa volta colpì nel segno e il dibattito del congresso svoltò drammaticamente a sinistra. Alla fine il congresso sostenne quasi all’unanimità i “Sette punti di Amburgo”, una carta dei diritti per la democratizzazione delle forze armate. Soldati e operai approvarono come un sol uomo una risoluzione che chiedeva: 1) Abolizione dell’esercito permanente e istituzione di una milizia popolare; 2) che tutte le insegne relative al grado fossero rimosse; 3) che tutti soldati potessero eleggere i loro ufficiali con diritto di revoca immediata; 4) soprattutto che i consigli dei soldati fossero responsabili per il mantenimento della disciplina nelle forze armate. Per di più i gradi più elevati non avrebbero dovuto essere riconosciuti al di fuori del servizio.
L’applicazione di questi punti, specialmente quello che chiedeva un “esercito del popolo”, avrebbe rappresentato una rivoluzione nelle forze armate e distrutto immediatamente il potere della casta reazionaria degli ufficiali. I ministri dell’Spd, guidati da Ebert, cercarono di rassicurare il generale Groener sul fatto che la risoluzione fosse priva di significato, ma dovettero invece affrontare una rivolta degli ufficiali. La casta degli ufficiali non poteva tollerare una simile interferenza nelle forze armate. Com’era da attendersi, i socialdemocratici capitolarono ai generali e rifiutarono di applicare questa decisione del congresso. Stabilirono anzi legami ancor più stretti con l’Alto comando tedesco. Per favorire questa relazione, disattesero palesemente le istanze e le decisioni del congresso, che in quel momento era la massima autorità politica in Germania. La “democrazia” gli andava bene solo quando andava a loro vantaggio.
Wilhelm Dittman avvertì Ebert:
“Se il Comitato centrale [dei consigli degli operai e dei soldati] accetta la proposta del generale Groener [di seppellire i Punti di Amburgo], firmerà la sua condanna a morte e lo stesso vale per il governo.”
Ma Ebert non badava a minacce di questo tipo. Non mostrava altro che disprezzo per i consigli e la rivoluzione, che vedeva come un manicomio:
“Le cose non possono andare in questo modo. Ci stiamo rendendo ridicoli davanti alla storia e al mondo intero… La gestione degli affari del Reich è di esclusiva competenza del governo… I consigli degli operai e dei soldati in tutto il paese devono smetterla di interferire e ficcare il naso negli affari di governo… Non possiamo assumerci la responsabilità per queste follie degne di un manicomio.”[73]
Comunismo “di sinistra”
Le tendenze estremiste all’interno della sinistra rivoluzionaria non erano confinate nella sola Germania. Lenin dovette occuparsi più volte di queste tendenze all’interno dei giovani partiti comunisti a livello internazionale. Fu questa la ragione per cui scrisse il libro “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”, precisamente per affrontare la questione alla luce delle esperienze e della storia del bolscevismo. Per formare i nuovi settori giovani che si avvicinavano al comunismo, “La tattica deve fondarsi – spiegò Lenin – sul calcolo preciso e rigorosamente oggettivo di tutte le forze di classe… È molto facile manifestare il proprio ‘spirito rivoluzionario’ limitandosi a lanciare ingiurie contro l’opportunismo parlamentare”.[74]
Era necessario prendere in considerazione più seriamente il livello di coscienza esistente della classe lavoratrice e il suo punto di vista:
“Voi siete in dovere di non scendere al livello delle masse, al livello degli strati arretrati della classe. Questo è incontestabile… Ma nello stesso tempo avete il dovere di considerare con sobrietà lo stato reale della coscienza e della maturità di tutta la classe (e non soltanto della sua avanguardia comunista), di tutte le masse lavoratrici (e non solo degli elementi d’avanguardia).”[75]
Trattando specificamente dell’atteggiamento dei comunisti “di sinistra” in Germania verso l’Assemblea costituente, spiegò:
“Come si può infatti affermare che ‘il parlamentarismo è politicamente superato’ se ‘milioni’ e ‘legioni’ di proletari non soltanto sono per il parlamentarismo in genere, ma sono addirittura [secondo i ‘sinistri’ tedeschi] ‘controrivoluzionari’!? È chiaro che in Germania il parlamentarismo non è ancora superato. È chiaro che i ‘sinistri’ in Germania hanno scambiato il loro desiderio, la loro posizione ideale e politica, per una realtà oggettiva. Questo è l’errore più pericoloso per dei rivoluzionari… Il problema consiste appunto nel non ritenere ciò che è superato per noi, come superato per la classe, come superato per le masse.”[76]
Lenin riteneva essenziale avere il polso della classe operaia, in modo da ottenere i migliori risultati possibili dalla propaganda di partito. Le illusioni delle masse non potevano essere superate semplicemente ripetendo idee astratte. Era necessario portare avanti un programma corretto, che fosse in grado di connettersi con i lavoratori.
Certamente questo non interessa ai settari, che si accontentano di strillare restando ai margini. I comunisti di contro devono cercare di mantenere il contatto con la classe operaia, tenere in considerazione le sue aspirazione e le sue illusioni. Ciò non significa alimentare queste illusioni, ma partire da esse per poi metterle in discussione. Come è spiegato nel Manifesto del partito comunista, i comunisti non stabiliscono dei propri principi settari sui quali plasmare e modellare il movimento operaio. Si distinguono in quanto fanno emergere gli interessi generali del proletariato nel suo insieme. Sono il settore più avanzato, con una chiara direzione di marcia. Non sono qualcosa di separato, ma parte integrante del movimento.
Il tentativo di boicottare l’Assemblea nazionale, mentre le masse erano a stragrande maggioranza a favore della partecipazione, era chiaramente un errore; era un tentativo di mascherare la propria impotenza con gesti apparentemente radicali. Eppure c’era una lunga tradizione nel Partito bolscevico sulle tattiche di boicottaggio da cui imparare. In generale un parlamento può essere boicottato solo quando sei forte abbastanza per rimpiazzarlo, altrimenti è una cosa senza senso. Per esempio i bolscevichi fecero un errore sostenendo il boicottaggio della Duma nel 1907 quando la rivoluzione era chiaramente in un fase di riflusso. Lenin si oppose a questo boicottaggio sostenendo che, date le circostanze, sarebbe stato più corretto utilizzare ogni possibilità legale per far avanzare la causa rivoluzionaria, ma si trovava da solo in minoranza e arrivò addirittura a votare con i menscevichi pur di ottenere la bocciatura del boicottaggio. A meno che non ci fosse stata un’ondata rivoluzionaria contro il governo – e non era questo il caso – un boicottaggio non poteva avere alcun esito favorevole. In queste condizioni i bolscevichi avevano bisogno di sfruttare ogni opportunità, per quanto piccola, il che significava anche partecipare ad una Duma reazionaria. Successivamente i bolscevichi passarono sulla posizione di Lenin e la questione del boicottaggio fu dimenticata. Questa lezione aveva grande importanza per la Germania.
Un boicottaggio dell’Assemblea nazionale nelle condizioni esistenti in Germania nel dicembre 1918 e nel gennaio 1919 avrebbe avuto solo l’effetto di isolare i rivoluzionari dalle masse che guardavano all’Assemblea. Questo era particolarmente vero dal momento che era stato introdotto il suffragio universale nelle elezioni, sia a livello nazionale che locale. Alla fine, nonostante la campagna di boicottaggio, ben l’83% della popolazione partecipò alle elezioni del gennaio 1919, la percentuale di partecipazione al voto più alta in tutta la storia tedesca fino a quel momento.
Analogamente gli spartachisti utilizzavano lo slogan “Abbasso il governo Ebert”, che era sbagliato perché nelle condizioni date avrebbe portato all’avventurismo. Erano ancora una piccola minoranza e avrebbero fatto molto meglio ad avanzare rivendicazioni nei confronti del governo socialista. Questo era il metodo dei bolscevichi, che all’inizio non rivendicarono il rovesciamento immediato del governo provvisorio, ma la cacciata dei “dieci ministri capitalisti” e la formazione di un governo con i soli partiti che avevano la maggioranza nei soviet, allo scopo di portare avanti pacificamente la rivoluzione. Il 22 aprile (5 maggio) 1917 Lenin aveva messo in guardia contro l’uso improprio di questo slogan in Russia:
“Lo slogan ‘Abbasso il governo provvisorio’ è sbagliato nel momento attuale, perché in assenza di una maggioranza solida (cioè con una chiara coscienza di classe e organizzata) del popolo dalla parte del proletariato rivoluzionario, un simile slogan o è una frase vuota oppure equivale obbiettivamente a un tentativo di carattere avventurista”.[77]
Proseguiva spiegando che i compiti dei bolscevichi erano: 1) Spiegare la linea proletaria; 2) Criticare la politica piccolo-borghese; 3) Continuare la propaganda e l’agitazione; 4) Organizzarsi, organizzarsi e ancora organizzarsi.
“Il governo provvisorio deve essere rovesciato, ma non ora e non nel modo consueto. Siamo d’accordo con il compagno Kamenev. Ma dobbiamo spiegare. È su questa parola che il compagno Kamenev ha insistito. Nondimeno questa è l’unica cosa che possiamo fare.”[78]
Questo veniva scritto solo sei mesi prima della rivoluzione bolscevica e sarebbe stato un consiglio molto saggio per i giovani comunisti tedeschi, che non avevano bisogno di adottare un tono isterico, ma un atteggiamento serio verso il movimento di massa.
Lenin combatté sempre contro qualsiasi elemento di putschismo o blanquismo[79] all’interno del Partito bolscevico, che non avrebbe fatto altro che isolare e mettere in pericolo il partito. Il principale obiettivo del partito doveva essere quello di attirare dalla sua parte la maggioranza attraverso la spiegazione paziente e non con discorsi settari che avrebbero compromesso gravemente la formazione dei quadri e disorientato il partito. Il 24 aprile (4 maggio) 1917 Lenin scrisse:
“Cosa ci può essere di più assurdo e ridicolo di questa fiaba per cui saremmo ‘fautori della guerra civile’, quando abbiamo dichiarato nel modo più chiaro, più solenne ed inequivocabile che tutto il nostro lavoro si dovrebbe concentrare sulla spiegazione paziente della politica proletaria in opposizione alla follia difensivista piccolo-borghese con la sua fiducia nei capitalisti?”[80]
Ancora una volta, riassumendo l’intera esperienza del bolscevismo nell’Estremismo, Lenin ribadì che i bolscevichi dovettero adottare tattiche flessibili per assicurarsi il successo.
“All’inizio del periodo indicato non abbiamo incitato a rovesciare il governo, ma abbiamo chiarito l’impossibilità di rovesciarlo senza operare mutamenti preliminari nella composizione e nell’indirizzo dei soviet. Non abbiamo proclamato il boicottaggio del parlamento borghese, della Costituente, ma fin dalla Conferenza di aprile (1917) del nostro partito abbiamo dichiarato ufficialmente, in nome del partito, che una repubblica borghese con un’Assemblea costituente è migliore di una repubblica borghese senza Assemblea costituente, ma che tuttavia la repubblica sovietica, ‘operaia-contadina’, è migliore di qualsiasi repubblica parlamentare democratica borghese. Senza tale preparazione lunga, prudente, circostanziata, previdente, non avremmo potuto né riportare la vittoria nell’ottobre 1917, né difendere questa vittoria.”[81]
Sfortunatamente a causa del fallimento della Luxemburg e di Liebknecht nel formare a sufficienza i quadri spartachisti in queste tattiche e strategie, gli elementi settari riuscirono ad esercitare un’influenza sproporzionata sulla Lega di Spartaco. Tuttavia dovremmo essere cauti nel biasimare eccessivamente Liebknecht e la Luxemburg, che per gran parte della guerra erano stati in prigione o in “custodia cautelare”. Non di meno questa debolezza avrebbe prodotto gravi conseguenze.
L’11 novembre 1918 gli spartachisti avevano formalmente cambiato il loro nome da Gruppo Internazionale a Lega di Spartaco e avevano aperto negoziati con i Delegati sindacali rivoluzionari e l’Uspd per un lavoro comune. Sebbene avessero un’influenza ben più vasta rispetto al numero dei loro iscritti, erano ancora un piccolo gruppo. Il loro compito era ancora quello di conquistare la maggioranza, ma questo richiedeva un’abilità tattica e una flessibilità di cui all’epoca difettavano.
La controrivoluzione rialza la testa
Dopo la prima ondata della rivoluzione di novembre, l’Alto comando tedesco, con la connivenza di Ebert, preparò dei piani per occupare Berlino con un certo numero di divisioni scelte di truppe “leali” e stabilire un governo “saldo” e affidabile. I ministri dell’ala destra ritenevano che Berlino fosse in preda all’anarchia e dovesse essere pacificata. In seguito il generale Groener spiegò:
“Era stato delineato uno schema per cui dieci divisioni dovevano marciare su Berlino per strappare il potere ai consigli degli operai e dei soldati. Ebert era d’accordo. Elaborammo un programma per ripulire Berlino e disarmare gli spartachisti.”[82]
Un tentativo di colpo di Stato ebbe luogo il 6 dicembre 1918, quando truppe reazionarie marciarono sulla Cancelleria, proclamando Ebert presidente. Allo stesso tempo un altro gruppo attaccò la Camera dei deputati e arrestò i membri del Comitato esecutivo dei consigli degli operai e dei soldati della regione di Berlino, la maggioranza dei quali erano indipendenti di sinistra.
Hermann Mueller scrisse:
“Questo golpe fu pianificato a sostegno del governo Ebert-Haase per contrastare la campagna del gruppo spartachista. L’ispiratore, un certo Spiro, che non era né un socialista né un comunista, si era rivolto a Ebert alcuni giorni prima con altri membri del suo reggimento e gli aveva detto che avrebbe manifestato assieme ai soldati in favore del governo. Spiro fece del suo meglio per ottenere il consenso di Ebert, che però considerava questa manifestazione innecessaria e spiegò ai suoi visitatori che in simili casi era desiderabile il coinvolgimento dei lavoratori oltre a quello dei soldati. Nonostante le raccomandazioni del cancelliere, tuttavia, Spiro fece a modo suo – una prova che la reazione era ancora lontana.”
Mentre Ebert rifiutò la presidenza a queste condizioni, il golpe si era già messo in moto. Gruppi di soldati filo-governativi fecero un’incursione nella sede del giornale spartachista Rote Fahne, arrestarono Liebknecht e attaccarono una manifestazione guidata dagli spartachisti, uccidendo 16 lavoratori. Questo provocò una reazione spontanea di massa. Una gigantesca folla di marinai infuriati e operai marciò contro le truppe, liberò i membri dell’Esecutivo e fece fallire il tentativo di golpe.
Il Rote Fahne proclamò:
“Lavoratori, soldati, compagni!
La rivoluzione è in pericolo!…
Salvaguardate la vostra opera del 9 novembre!…
I criminali sono Wels[83] e compagnia, Scheidemann, Ebert e compagnia…
Cacciate i colpevoli fuori dal governo!…
Dobbiamo sventare la cospirazione di Wels, Ebert e Scheidemann.
La rivoluzione deve essere salvata…
Abbasso i sobillatori codardi di ammutinamenti! …
Avanti verso l’obiettivo! Alla lotta!”
L’editoriale del giornale dell’Spd Vorwaerts dell’8 dicembre, invece, minimizzò gli avvenimenti e addirittura accusò gli spartachisti per aver messo in scena una provocazione:
“I sostenitori di Spartaco sanno comunque che un tentativo di golpe non avrebbe avuto alcuna prospettiva di successo e che, persino nel caso del tutto improbabile di una sua riuscita, un governo Liebknecht-Luxemburg non sarebbe durato nemmeno tre giorni perché avrebbe avuto contro l’intera nazione.”
Il giornale proseguiva scaricando la colpa su qualcun altro:
“La dichiarazione del governo del Reich che è stata pubblicata ieri fornisce in breve i risultati dell’indagine sui fatti di venerdì, dalla quale emerge che sono stati un paio di piccoli funzionari del Ministero degli esteri con altisonanti nomi aristocratici a mettere in moto questo impertinente pseudo-colpo di Stato. Sono stati loro a fuorviare i soldati. Non si sa se essere più meravigliati dalla mancanza di scrupoli di questi gentiluomini o dalla loro incomprensibile stupidità. Il danno che hanno arrecato è immenso. Il governo socialdemocratico si sta adoperando per cooperare con gli ufficiali del vecchio regime e un ovvio prerequisito è naturalmente l’obbedienza di questi ufficiali all’autorità superiore”.[84]
Questa ipocrita risposta al golpe mostrava fino a che punto i socialdemocratici si appoggiassero sugli elementi del vecchio regime. Cogliendo l’opportunità, gli spartachisti organizzarono manifestazioni di massa e anche scioperi contro il tentato golpe, con grande disappunto del governo “socialista”. Il sentimento di rabbia tra i lavoratori di Berlino era palpabile e trovò espressione nella manifestazione armata, forte di 150mila persone, convocata per l’8 dicembre. Gli spartachisti lanciarono un appello urgente:
“Lavoratori, soldati, compagni! Attenzione!
La rivoluzione si trova in grande pericolo!
State in guardia!
Sono in gioco i nostri interessi più vitali! Tutto per la rivoluzione e il socialismo!
Tutto – anche la vita! Respingete l’attacco!
Abbasso i cospiratori! Lunga vita al socialismo! Il futuro, la vittoria finale saranno nostri!”[85]
Le truppe di Groener – le truppe d’assalto della controrivoluzione – iniziarono ad arrivare nella capitale, salutate da Ebert. Si sperava che avrebbero ripristinato l’ordine, ma nel giro di breve tempo la situazione cominciò a chiarirsi. I soldati semplici iniziarono a fraternizzare con gli operai radicalizzati di Berlino, con i quali condividevano gli stessi problemi. Questo ebbe un effetto decisivo. “Le truppe avevano un tale desiderio di tornare alle loro case che con queste dieci divisioni non c’era nulla da fare”, dichiarò Groener. “Il programma che consisteva nell’epurare Berlino degli elementi bolscevichi e ordinare la consegna delle armi, non poteva essere realizzato”.[86] Le truppe erano diventate completamente inaffidabili, il che mandò a monte qualsiasi piano di imporre una dittatura e costrinse i generali a ritirarsi in attesa di tempi migliori.
La minaccia di una guerra civile da parte dello Stato maggiore generale non era priva di fondamento. Dati i rapporti di forza e gli effetti della rivoluzione, però, c’era una certa cautela. Se si fosse arrivati ad uno scontro aperto, non era sicuro chi avrebbe vinto. L’iniziativa era ancora nelle mani delle masse rivoluzionarie e le forze della controrivoluzione erano ancora completamente sulla difensiva. La mossa di Groener si era dimostrata prematura.
Come si chiese Herman Mueller, uno strenuo difensore di Ebert: “Dov’erano le forze della controrivoluzione? La borghesia aveva tutto da perdere in una guerra civile; i monarchici non potevano nemmeno sognarsi una controrivoluzione. Erano grati che la rivoluzione avesse risparmiato le loro vite.”[87]
Sebbene i militari non potessero far altro che guadagnare tempo, questo non impediva loro di provare a sondare il terreno, ma era chiaro che avevano troppa fretta di riaffermare il loro controllo. L’esercito era in fase di smobilitazione, con i soldati stanchi della guerra che ritornavano a casa a frotte per prendere parte alla rivoluzione o esserne contagiati.
Il governo doveva quindi appoggiarsi maggiormente sui Freikorps per mantenere il controllo. Come abbiamo visto, questi erano bande ultra-reazionarie di guardie bianche, i cui ufficiali provenivano dall’esercito monarchico, dai figli dell’aristocrazia che costituivano il grosso del corpo studentesco nelle università. Queste bande paramilitari, che avevano avuto il primo assaggio di sangue combattendo assieme ai Bianchi contro i bolscevichi, erano ora impegnati in azioni terroristiche contro gli scioperi e i dirigenti sindacali locali che avevano simpatie di sinistra. Dal 1918 in poi formarono la spina dorsale delle forze armate utilizzate dalla repubblica di Weimar per portare avanti la controrivoluzione. A partire dal 1923 formarono il nucleo della “Reichswehr nera”, la formazione paramilitare illegale che sarebbe poi stata alla base delle bande fasciste di Adolf Hitler.
La Divisione navale del popolo
Berlino era al centro di turbolenze estreme e instabilità. C’erano continui scioperi e manifestazioni. Per quanto il governo di Ebert si adoperasse, Berlino, invece di essere il centro del governo, era completamente in preda all’anarchia. C’erano quindi continui appelli dall’alto per la legge e l’ordine.
Dopo il fallito colpo di Stato del 6 dicembre, i leader militari, in combutta con il cancelliere, decisero ancora una volta di imporsi. Il pretesto per questo intervento venne fornito il 23-24 dicembre, quando si verificarono scontri aperti tra le truppe regolari e i marinai ribelli della Divisione navale del popolo. Questa divisione era formata da marinai, in gran parte provenienti dal porto di Kiel, che erano venuti a Berlino per difendere la capitale contro le forze della controrivoluzione. A quel tempo si erano stabiliti nel Palazzo imperiale, nel centro di Berlino. Il governo li vedeva chiaramente come una minaccia alla sua autorità e, preoccupato per la loro presenza, preparò un piano per cacciarli dal Palazzo, che servì solo a provocarli. Numerosi gruppi di marinai sfilarono in segno di sfida fuori dal quartier generale del Comando militare, ma venne aperto il fuoco su di loro. Un marinaio fu ucciso e altri tre vennero gravemente feriti. In tutta risposta i marinai infuriati fecero irruzione nel quartier generale, catturarono il comandante, Otto Wels, e pretesero che questi firmasse un documento in cui veniva sancito che la divisione non sarebbe stata trasferita. Ma Wels si rifiutò e venne tenuto in ostaggio dai marinai.
Secondo i verbali della riunione di gabinetto del 26 dicembre, Scheidemann batté il pugno sul tavolo dicendo: “per farla breve, noi dobbiamo decidere da che parte stare sulla questione dei disertori… una banda completamente priva di scrupoli”.[88]
Il governo stava serrando le fila in vista di un nuovo scontro. Con il pretesto di liberare Wels, Ebert ordinò alle truppe governative al comando del generale Lequis di intervenire facendo ricorso alla forza. Dopo che fu recapitato un ultimatum ai marinai perché consegnassero Wels, cominciò un bombardamento di artiglieria, che distrusse parte dell’edificio. Nello scontro dozzine di combattenti persero la vita. Questo spargimento di sangue suscitò indignazione e una folla numerosa circondò i soldati di Lequis, fraternizzando con loro e schierandosi dalla parte degli ammutinati.
Sotto questa pressione, le truppe diventarono sempre più inaffidabili e gruppi di soldati iniziarono a deporre le armi. Molti si rifiutarono di obbedire agli ufficiali e l’assalto contro la Divisione navale si concluse nel caos. Alla fine, nonostante le perdite, i marinai ne uscirono vittoriosi. Wels fu rilasciato, ma quattro giorni dopo rassegnò le dimissioni.
Il giorno di Natale, spartachisti e marinai occuparono la sede del Vorwaerts, che aveva pubblicato un articolo in cui venivano attaccati i marinai. Il 26 dicembre uscì, per la prima volta a Berlino, un numero del Vorwaerts stampato con inchiostro rosso.
Lo Stato maggiore generale andò su tutte le furie davanti a questa ritirata vergognosa e Lequis fu rimosso dal comando. I generali erano ben decisi a vendicare l’umiliazione patita. Questa non era la prima volta in cui l’esercito veniva impiegato in questo modo e non sarebbe stata l’ultima. Tuttavia i lavoratori di Berlino si erano particolarmente infuriati per l’utilizzo delle truppe regolari contro i marinai rivoluzionari.
Lo sdegno per questo attacco ebbe gravi ripercussioni politiche. Il 29 dicembre 1918 i ministri dell’Uspd rassegnarono le dimissioni in protesta contro questo “bagno di sangue”. Ciò costituiva una profonda crisi di governo, che vedeva la metà dei ministri dimissionari. Ma il governo non cadde, dal momento che non c’era alcuna alternativa politica. Alla fine Ebert si affrettò a sostituire i ministri indipendenti con socialisti di maggioranza, tra i quali c’era Gustav Noske, il “mastino” della controrivoluzione, che fu posto capo degli affari militari e navali.
I socialdemocratici di destra avevano ora assunto la totale responsabilità nel portare avanti la controrivoluzione. Avevano chiaramente già dimostrato la loro disponibilità, se e quando era necessario, a versare il sangue dei lavoratori con l’aiuto dei militari.
Noske avrebbe giocò un ruolo particolarmente deleterio. Venne nominato Ministro della difesa e da questa posizione intrecciò un legame molto stretto con l’Alto comando tedesco. In questa sua funzione, fu posto a capo dei famigerati Freikorps e sarebbe presto diventato l’uomo più odiato in tutta la Germania. “Uno di noi – dichiara – deve fare la parte del boia”. Poi, rivolto a Ebert: “Sta tranquillo: vedrai che presto la ruota della fortuna comincerà a girare.”[89]
Il nuovo governo della destra socialdemocratica diede maggior fiducia alla controrivoluzione. Verso la fine di dicembre 1918 un’alleanza di elementi monarchici e controrivoluzionari di varia natura condusse (assieme ai dirigenti dell’Spd) una velenosa caccia alle streghe contro la Lega di Spartaco, i rappresentanti del bolscevismo in Germania. Un’organizzazione denominata “Lega anti-bolscevica”, finanziata con il denaro del governo, fece tappezzare i muri di città e villaggi con manifesti che calunniavano i leader spartachisti. I socialisti di maggioranza, specialmente sulle pagine del Vorwaerts, svolsero un ruolo attivo in questa caccia alle streghe e non risparmiarono gli sforzi per mobilitare le forze della controrivoluzione.
Il funerale delle vittime dell’assalto alla Divisione navale del popolo si svolse il 29 dicembre. Ad un corteo organizzato dall’Spd i cosiddetti “Comitati di vigilanza” distribuirono volantini che incolpavano gli spartachisti per le morti e incitavano all’assassinio di Karl Liebknecht e dei suoi compagni:
“La provocazione di Natale degli spartachisti trascinerà il popolo nell’abisso…
La violenza brutale di questa banda di criminali può essere affrontata solo con altrettanta violenza…
Volete la pace?
Allora assicuratevi, tutti voi, di porre fine alla violenza degli spartachisti…
Volete la libertà?
Allora sbarazzatevi dei fannulloni armati al seguito di Liebknecht…”[90]
Inizia la caccia alle streghe
Veniva deliberatamente fomentato un clima di istigazione all’assassinio di Liebknecht e della Luxemburg, considerati i leader del movimento rivoluzionario. Fu l’equivalente delle Giornate di luglio in Russia, quando i bolscevichi furono costretti alla clandestinità e Lenin dovette nascondersi. Ingenti somme di denaro furono spese nella campagna contro gli spartachisti, che invocava esplicitamente l’omicidio dei suoi dirigenti. Apparivano enormi manifesti come questo:
“Lavoratori!
Cittadini!
La caduta della patria è imminente!
Salvatela!
Non è minacciata dall’esterno, ma dall’interno: dal gruppo Spartaco.
Colpite i suoi capi a morte!
Uccidete Liebknecht!
Solo allora avrete pace, lavoro e terra.
Firmato: i soldati al fronte.”[91]
Questa propaganda mise in fibrillazione molti settori politicamente arretrati e reazionari, specialmente quei soldati insoddisfatti e arrabbiati che tornavano dal fronte e non avevano mai sentito parlare prima di Liebknecht o degli spartachisti. Furono consapevolmente indotti in uno stato di isteria contro gli spartachisti, che erano falsamente accusati di voler cominciare una ribellione sanguinosa e gettare il paese nel caos. La controrivoluzione stava mostrando i denti e si preparava a colpire.
La fondazione del Partito comunista
La situazione in Germania era estremamente polarizzata. La Lega di Spartaco, usando l’autorità di Liebknecht e della Luxemburg, cercava di diffondere il suo messaggio rivoluzionario alle masse. Sebbene tenesse manifestazioni e comizi di massa, il suo sostegno era ancora relativamente limitato. Le masse erano ancora particolarmente influenzate dai socialdemocratici di maggioranza e dagli indipendenti di sinistra, sebbene ci fosse un crescente spostamento a sinistra, specialmente tra i settori più avanzati.
Nel turbine degli eventi, la Lega di Spartaco era immersa in una estenuante attività quotidiana. A un certo punto i tipografi dello Scherl si rifiutarono di stampare il Rote Fahne, che a partire dal 18 novembre fu pubblicato al Kleines Journal. Il nuovo giornale riportava nella testata “Direttori: Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg”. Nel primo numero della nuova edizione, c’era un articolo di Rosa Luxemburg che proclamava audacemente:
“L’abolizione del dominio capitalista e la creazione di un ordine sociale socialista – questo e nessun altro è il tema della rivoluzione tedesca. È un compito formidabile e non può essere realizzato dal giorno alla notte con pochi decreti dall’alto, ma solo grazie all’azione cosciente delle masse lavoratrici nelle città e nelle campagne e dal più alto livello di maturità intellettuale e idealismo da parte loro nel perseguimento del proprio obiettivo, attraverso tutte le vicissitudini, fino alla vittoria finale.”[92]
Alla fine di dicembre del 1918, sotto l’influenza della rivoluzione d’Ottobre in Russia, crebbe la pressione all’interno della Lega di Spartaco perché questa si trasformasse da un’organizzazione federale a maglie larghe in un partito comunista centralizzato sul modello bolscevico. Inizialmente si voleva aspettare la conferenza ordinaria dell’Uspd prima di avanzare l’idea di un nuovo partito, ma questo piano fu scartato su insistenza di Radek, che voleva velocizzare il processo e, dati i suoi legami con i bolscevichi, godeva di grande autorità.
Fin dalla rivoluzione del 9 novembre si era svolto un acceso dibattito politico all’interno dell’Uspd, che aveva coinvolto soprattutto gli spartachisti. Il 14 dicembre, alla conferenza berlinese dell’Uspd, esplose una pesante polemica sulla questione dell’Assemblea nazionale. La discussione fu così accesa che Haase, il presidente dell’assemblea, chiese agli spartachisti di lasciare il partito, un gesto tutt’altro che amichevole. Sebbene l’ala sinistra fosse stata sconfitta sul punto dell’opposizione all’Assemblea nazionale, questo portò ad una situazione molto polarizzata e ad aspri scambi d’accuse. La Lega si appigliò a questo per chiedere che i dirigenti dell’Uspd organizzassero un congresso nazionale straordinario per discutere della situazione critica nel paese. La richiesta venne avanzata nella forma di un ultimatum, con una scadenza di ventiquattrore per la risposta.
Com’era prevedibile, la direzione dell’Uspd temeva un congresso. Se fosse stata sconfitta, avrebbe perso consensi a favore della sinistra e cioè degli spartachisti. Si rifiutarono quindi di convocare il congresso. Gli spartachisti andarono avanti e organizzarono una loro conferenza, che si aprì il 29 dicembre e alla quale parteciparono 127 delegati, compresi quelli provenienti dalla Libera gioventù socialista, dalla Sinistra di Brema e dai Radicali di sinistra di Amburgo. Fu in questa occasione che venne presa la decisione di fondare il Partito comunista di Germania (Lega di Spartaco), il Kommunistische Partei Deutschlands (Kpd).
All’inizio Rosa Luxemburg era contro l’idea di lanciare un nuovo partito, temendo che sarebbe rimasto politicamente isolato. Leo Jogiches, un altro dirigente di esperienza, era a sua volta fermamente contro la proposta. Potevano infatti vedere le masse affluire a milioni nei sindacati e i settori avanzati dei lavoratori orientarsi verso l’Uspd, che vedevano come un partito rivoluzionario. C’erano ancora molte opportunità favorevoli per un lavoro fruttuoso in queste organizzazioni, specialmente tra gli Indipendenti, e invece si stava decidendo di abbandonare quel partito. Ad ogni modo la fondazione di un nuovo partito comunista tedesco era promossa da Karl Radek, i cui argomenti, appoggiandosi sull’autorità della rivoluzione d’Ottobre, prevalsero.
’esitazione di Rosa Luxemburg non può essere presa sotto gamba. Non aveva niente a che vedere con un attaccamento sentimentale al vecchio partito. Il potenziale per un fruttuoso lavoro di frazione all’interno dell’Uspd era evidente. La base spartachista era ancora piuttosto confusa politicamente ed estremista, e avrebbe tratto beneficio dal mettere alla prova le sue idee tra le fila degli Indipendenti. C’era ancora molto lavoro da fare per formare questi settori, che però erano molto impazienti e ansiosi di lasciare l’Uspd “riformista” per formare un nuovo partito comunista rivoluzionario.
Rosa Luxemburg aveva ragione sul pericolo di isolamento politico, come gli eventi successivi avrebbero dimostrato. Non era una questione di principio se gli spartachisti dovessero essere o meno un partito indipendente. L’appello di Lenin per una scissione nella Seconda Internazionale dal 1914 in poi aveva lo scopo di allontanare le masse dai dirigenti riformisti, non di salvare la coscienza dei rivoluzionari. Era una questione politica.
Gli spartachisti dopotutto erano un piccolo gruppo con al massimo alcune migliaia di aderenti. Lanciare un partito indipendente non avrebbe cambiato il rapporto di forze a livello politico in Germania né avrebbe offerto una facile soluzione all’impasse della rivoluzione. In Gran Bretagna, per esempio, i comunisti erano solo un piccolo gruppo. Sebbene avessero organizzato un Partito comunista della Gran Bretagna nell’agosto del 1920, Lenin propose loro di richiedere immediatamente l’affiliazione al Partito laburista, in modo da avvicinarsi alla sua base radicalizzata. Questo dimostrava la totale flessibilità tattica e organizzativa di Lenin. Lenin in realtà era sempre fermo sui principi, ma flessibile sulle questioni tattiche e organizzative.
All’inizio della rivoluzione gli spartachisti avevano deciso di rimanere nell’Uspd il più a lungo possibile, ma furono le pressioni e le frustrazioni derivanti dalla rivoluzione che crearono un clima di impazienza. Rosa Luxemburg tentò di combattere questa impazienza, ma si dimostrò una battaglia persa in partenza.
Non sarebbe sbagliato sostenere che, se gli spartachisti fossero rimasti nell’Uspd e vi avessero organizzato in precedenza una frazione più organica, la scissione di massa dall’Uspd dell’ottobre 1920 sarebbe avvenuta prima – così come prima si sarebbe creato un partito comunista di massa in Germania.
Operare come l’opposizione della sinistra spartachista all’interno dell’Uspd, gli avrebbe inoltre fornito una certa “protezione”. Agendo da soli come piccolo gruppo, erano molto più vulnerabili ed esposti ai colpi dello Stato e della controrivoluzione. “La Lega di Spartaco era ancora rudimentale e consisteva principalmente di un gran numero di piccoli gruppi quasi autonomi, sparpagliati per tutto il paese”, spiegò Paul Froelich.[93] Sebbene la loro influenza fosse molto più vasta, non erano nelle condizioni di guidare una rivoluzione. C’era ancora molto lavoro preliminare da fare per accrescere le loro forze. Per giunta la costruzione di un’organizzazione rivoluzionaria nel mezzo di una rivoluzione è estremamente difficile. Mentre le masse sono aperte alle idee rivoluzionarie, il peso delle organizzazioni tradizionali di massa è enorme. I quadri, la spina dorsale di un partito rivoluzionario, non possono essere creati dal giorno alla notte; ci possono volere anni per creare un quadro. Era proprio questa la forza del bolscevismo russo, che aveva creato l’organizzazione e i quadri prima della rivoluzione del 1917. Lenin ebbe un ruolo indispensabile per il successo della rivoluzione, ma senza un partito non sarebbe stato in grado di indirizzare gli eventi.
Naturalmente la prima preoccupazione di Rosa Luxemburg, fin dal suo rilascio dalla prigione, fu quella di mettere insieme il più velocemente possibile i quadri di un’avanguardia proletaria. Questo compito, che i bolscevichi avevano impiegato due decenni a realizzare, doveva ora essere completato in pochi mesi o al massimo in pochi anni. Così il piccolo gruppo spartachista venne gettato nel vortice degli eventi, cercando disperatamente di incidere sul corso della rivoluzione con forze insufficienti.
Una rivoluzione trasforma rapidamente la coscienza delle masse, ma l’esperienza dimostra che è necessaria una direzione rivoluzionaria consapevole per guidare le masse al potere. Una direzione di questo tipo non può essere semplicemente improvvisata, ma deve essere costruita con il materiale a disposizione, ed era questo il compito tutto in salita che Rosa Luxemburg si trovava di fronte, in cima alla moltitudine di altri compiti che ricadevano sulle sue spalle.
Gioventù ribelle
La Lega di Spartaco aveva attratto sotto la sua bandiera molti giovani ribelli, ostili al riformismo, ma politicamente inesperti e con una conoscenza molto limitata del marxismo.
Rosa Leviné-Meyer scrisse:
“Come molti altri ardenti sostenitori del comunismo, sapevo poco del suo programma e non provavo alcun impulso a studiarne le procedure. È sorprendente quanto poco uno voglia imparare quando a malapena sa qualcosa.”[94]
Anche Froelich riassunse le difficoltà in modo abbastanza accurato:
“La Lega di Spartaco era un’organizzazione a maglie larghe con solo poche migliaia di membri. Il suo nucleo era la vecchia ala sinistra della socialdemocrazia, una élite marxista formatasi con le idee e le tattiche di Rosa Luxemburg. La maggioranza della Gioventù socialista si era unita alla Lega, che aveva poi reclutato ulteriori sostenitori tra i molti giovani che erano stati spinti alla sinistra del movimento operaio dalla loro opposizione alla guerra. Durante gli anni della guerra tutti questi elementi avevano corso rischi e affrontato pericoli piuttosto inediti per il movimento operaio in Europa occidentale. Erano tutti entusiasti aderenti della rivoluzione, sebbene molti di loro avessero ancora un’idea molto romantica di essa.”[95]
Lo stesso Froelich aveva idee “romantiche” a quel tempo. La direzione attorno alla Luxemburg tentava di moderare il “romanticismo” e l’impazienza – in cui rientravano simpatie estremiste che inclinavano verso il putschismo – sottolineando la necessità di conquistare la maggioranza politica all’interno della classe operaia come premessa alla conquista del potere. Il programma, redatto da Rosa Luxemburg, enfatizzava fortemente questa idea centrale:
“La rivoluzione proletaria può vincere solo attraverso la piena chiarezza e la maturità acquisita per fasi, passo dopo passo, prendendo la strada per il Golgotha, attraverso le sue amare esperienze, attraverso sconfitte e vittorie. La vittoria della Lega di Spartaco si trova non all’inizio, ma alla fine della rivoluzione: si identifica con la vittoria delle grandi masse di milioni del proletariato socialista…La Lega di Spartaco non conquisterà mai il governo in nessun altro modo se non con la chiara, inequivocabile volontà della grande maggioranza delle masse proletarie in Germania, se non in virtù dell’adesione consapevole del proletariato alle sue idee, ai suoi obiettivi e ai suoi metodi di lotta”.[96]
Molti dei giovani militanti non erano però convinti da questo approccio. Erano in gran parte guidati dai loro istinti e in pochi erano politicamente formati. Come nel caso di altri partiti comunisti di recente formazione, quello tedesco era pieno zeppo di tendenze settarie, che si opponevano alla partecipazione nei parlamenti o nei sindacati ed erano persino a favore di un’organizzazione federale flessibile al posto di un partito basato sul centralismo democratico. Era decisamente un miscuglio di materiale piuttosto grezzo che aveva bisogno di essere formato e plasmato.
Un nuovo inizio
Una volta presa la decisione di formare un partito comunista separato, sia la Luxemburg che Liebknecht vi si dedicarono totalmente. Il congresso di fondazione del Partito comunista tedesco si aprì a Berlino il 30 dicembre 1918. Erano presenti 83 delegati dalla Lega di Spartaco e 20 dai Comunisti internazionalisti di Germania (Ikd), che era il nuovo nome adottato dalla Sinistra di Brema e dagli altri gruppi indipendenti, che erano rimasti fuori dall’Uspd e le cui idee erano influenzate dall’anarco-sindacalismo.
Ernst Meyer scrisse:
“A causa degli eventi tumultuosi di quei giorni, il congresso di fondazione fu in pratica completamente improvvisato. Il grosso dei delegati erano organizzatori di piccoli gruppi locali. Un’ideologia salda e unitaria era del tutto assente.”[97]
La maggior parte dei delegati erano giovani, tre quarti di loro con meno di trentacinque anni e uno solo (Jogiches) con più di cinquant’anni. La metà erano operai industriali. Al di là del voto per costituire il partito e scegliere il suo nome, il congresso discusse il punto più controverso e cioè l’atteggiamento verso l’Assemblea nazionale. Per primo Paul Levi avanzò la proposta di partecipare alle elezioni per l’Assemblea, ma fu interrotto numerose volte durante il suo discorso. Poi intervenne Otto Ruhle per opporsi alla partecipazione. Presentando la risoluzione a favore del boicottaggio, dichiarò: “Ne abbiamo avuto abbastanza di compromessi e opportunismo… Stabiliremo un nuovo governo qui a Berlino. Ci sono rimasti ancora quattordici giorni [prima delle elezioni].”[98]
Rosa Luxemburg intervenne per sostenere energicamente Levi. Accolse con favore l’entusiasmo manifestato nel congresso, ma con alcune riserve. “Sono contenta ma anche turbata. Sono convinta che voi volete una sorta di radicalismo un po’ troppo facile e veloce. Questo emerge particolarmente dalle interruzioni.”[99] Spiegò che non c’era alcuna differenza sostanziale in merito ai loro obiettivi, ma su come ottenerli. L’obiettivo era “far saltare quel bastione dall’interno”. La maggioranza dei delegati non era tuttavia convinta.
Nonostante la prudenza del programma di partito contro l’avventurismo, i delegati furono influenzati da discorsi sentimentali intrisi di radicalismo verbale. Perché partecipare ad un’assemblea reazionaria che dovrebbe essere rovesciata, si chiedevano? Nonostante l’intervento di Rosa Luxemburg, votarono in maniera netta, con 62 voti a favore e 23 contro, per boicottare le elezioni per l’Assemblea nazionale fissate in gennaio.
A seguito del voto, Rosa Luxemburg dichiarò: “Compagni, voi prendete il vostro radicalismo un po’ troppo facilmente”. Leo Jogiches fu così sconvolto da ritenere che la fondazione del Partito comunista fosse stata prematura. Ma Rosa si limitò a scrollare le spalle, sostenendo che un neonato all’inizio piagnucola sempre. In una lettera a Clara Zetkin, Rosa Luxemburg descrisse il voto come “radicalismo alquanto infantile, raffazzonato e di vedute ristrette”, ma espresse la speranza che potesse essere superato.[100]
Il suo punto di vista era condiviso da Lenin, che successivamente scrisse:
“Anzitutto, fin dal gennaio 1919, com’è noto, i tedeschi ‘di sinistra’ consideravano ‘politicamente superato’ il parlamentarismo, nonostante l’opinione di grandi dirigenti politici come Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. È noto che i ‘sinistri’ hanno sbagliato.”[101]
Al congresso furono dibattute altre due mozioni di estrema sinistra, volte a dichiarare l’adesione ai sindacati incompatibile con l’adesione al Partito comunista. In base ad esse i comunisti non dovevano aderire ai sindacati, ma ai consigli operai e “continuare nella maniera più risoluta la lotta contro i sindacati”. Froelich dichiarò nel suo intervento che lo slogan avrebbe dovuto essere “Fuori dai sindacati!”.[102] Rieger, delegato di Berlino, sostenne che l’appartenenza ai sindacati riformisti era incompatibile con la militanza comunista. Man mano che andava avanti, il congresso sembrava spostarsi sempre di più verso posizioni settarie.
Per paradosso il sentimento della maggioranza favorevole all’astensione dai sindacati veniva espresso in un’epoca in cui milioni di lavoratori radicalizzati stavano affluendo nei sindacati! Prima della rivoluzione di novembre c’erano 1,5 milioni di iscritti ai sindacati; alla fine di dicembre 1918 erano 2,2 milioni; alla fine del 1919, 7,3 milioni. I sindacati erano stati riempiti e trasformati dalle masse. Nel 1920 il sindacato “libero” (Adgb) raggiunse il picco di più di 8 milioni di iscritti. In più c’erano altri sindacati, come la federazione sindacale “cristiana” che nel 1920 radunava più di un milione di iscritti.
Il compito dei comunisti non era quello di boicottare questi milioni di lavoratori radicalizzati che stavano entrando nei sindacati, ma precisamente di unirsi a loro e partecipare alle loro lotte. Boicottare i sindacati avrebbe semplicemente significato boicottare le masse. Ma molti nel nuovo Partito comunista tedesco, inebriati dalla rivoluzione, non erano in grado di riconoscere questo dato di fatto, di comprendere che se il partito voleva conquistare le masse, doveva fare un serio lavoro nei sindacati. Fu solo con i più grandi sforzi che la direzione del partito riuscì ad impedire che queste risoluzioni estremiste fossero poste in votazione, affidandole al vaglio di una commissione sindacale.
“Il congresso dimostrò in modo acuto la giovinezza e l’inesperienza del partito”, osservò Radek, che partecipò al congresso facendo parte, assieme a Bucharin, Rakovskij, Joffe e Ignatov, della delegazione fraterna inviata dal Partito bolscevico.[103]
L’orientamento corretto verso i sindacati non venne adottato fino al congresso dell’ottobre 1919, quasi un anno dopo, quando il Kpd decise finalmente di condurre un lavoro rivoluzionario nel sindacati riformisti diretti dall’Spd.
Sulle orme del partito russo, il congresso stabilì di adottare il nome di Partito Comunista, abbandonando la vecchia etichetta di “socialdemocratico”, che era ora associata ai riformisti e ai traditori del socialismo. Questo rappresentava un ritorno ai primi anni del movimento marxista, quando nel 1847 Marx ed Engels cambiarono il nome della Lega dei giusti in Lega dei comunisti.
Di fronte all’esuberanza giovanile, intrisa di settarismo, del Partito comunista tedesco, la Luxemburg e Liebknecht non potevano far altro che guadagnare tempo. Speravano che gli eventi avrebbero dimostrato la correttezza della direzione e che la maggioranza della base avrebbe imparato dall’esperienza. Sfortunatamente, sebbene quella fosse ancora la prima fase della rivoluzione, il tempo non era dalla loro parte.
Nonostante tutte queste debolezze, la fondazione del Partito comunista tedesco, sotto la Luxemburg e Liebknecht, rappresentò un vero punto di svolta a livello internazionale. Fuori dalla Russia, il partito tedesco, nonostante le sue dimensioni, era comunque il più forte e il più autorevole tra tutti i gruppi comunisti. Il suo congresso fondativo si rivelò un passaggio importante che spinse i bolscevichi a procedere alla fondazione della Terza Internazionale nel marzo del 1919.
Nel giro di due settimane dal congresso, il nuovo Kpd sarebbe passato per il suo battesimo del fuoco, negli eventi noti come la “settimana spartachista”, e avrebbe vissuto il tragico assassinio dei suoi dirigenti storici, Liebknecht e la Luxemburg.
Note
1. H. Stracham, The First World War, Simon & Shuster UK Ltd 2003, p. 286.
2. P. Broué, Rivoluzione in Germania 1917-1923, Einaudi 1977, p. 129.
3. S. Taylor, Germany, 1918-1933: Revolution, Counter-revolution and the Rise of Hitler, Gerald Duckworth & Co. Ltd 1983, p. 6.
4. J. Braunthal, History of the International 1864-1914, Nelson 1966, p. 118.
5. R. Watt, The Kings Depart: the Tragedy of Germany – Versailles and the German Revolution, Weidenfeld & Nicolson 2003, p. 150.
6. Ibidem, p. 151.
7. P. Broué, op. cit., p. 140.
8. Karl Liebknecht era un leader rivoluzionario tedesco. Già membro del Partito socialdemocratico, nel 1907 era stato arrestato una prima volta per le sue campagne contro il militarismo. Esponente dell’ala sinistra dell’Spd, nel 1914 fu l’unico deputato in tutto il gruppo parlamentare socialdemocratico a votare contro i crediti di guerra. Fu tra i fondatori della Lega di Spartaco, vicina alle posizioni del bolscevismo, e nel corso della guerra fu arrestato altre due volte. (NdT)
9. L’Uspd, Partito socialdemocratico tedesco indipendente (da cui il nome di “indipendenti”), era nato nel 1917 come scissione di sinistra dall’Spd, soprattutto in polemica con il sostegno alla guerra dei socialdemocratici “di maggioranza”. Formazione dai contorni politici indefiniti, vedeva al suo interno elementi eterogenei, dalla destra riformista di Eduard Bernstein e Karl Kautsky, fino alla sinistra rivoluzionaria di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. (NdT)
10. La Lega di Spartaco era un’organizzazione rivoluzionaria guidata da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che prendeva il nome dal celebre gladiatore che guidò la rivolta contro lo schiavismo più significativa di tutta la storia romana. Nata con il nome di Gruppo Internazionale in seno all’ala sinistra della socialdemocrazia tedesca, si caratterizzò per la sua intransigente opposizione alla guerra imperialista. Nel 1917 entrò nell’Uspd, pur mantenendo la propria autonomia politica. (NdT)
11. Eduard Bernstein, storico esponente dell’ala destra della socialdemocrazia tedesca, nei primi del ‘900 propugnò le tesi “revisioniste”, che prevedevano un abbandono della prospettiva rivoluzionaria in favore di un approccio gradualista e riformista. Nel 1917 aderì all’Uspd, salvo poi rientrare nell’Spd due anni dopo. (NdT)
12. The German Revolution and the Debate on Soviet power: documents 1918-1919, a cura di J. Riddell, Pathfinder Press 1999, p. 30.12. The German Revolution and the Debate on Soviet power: documents 1918-1919, a cura di J. Riddell, Pathfinder Press 1999, p. 30.
13. La “Sinistra di Brema” era uno dei tanti piccoli gruppi dell’estrema sinistra in Germania, come per esempio i “radicali di sinistra di Amburgo”. Si trattava di formazioni di dimensioni ridotte e radicate per lo più a livello locale, che erano vicine agli spartachisti, ma non erano entrate nell’Uspd ed erano influenzate dalle idee anarco-sindacaliste. (NdT)
14. J. Riddell, op. cit. p. 31.
15. Lenin, Collected Works, Progress Publishers 1967, vol. 35, p. 369.
16. Ibidem, vol. 28, pp. 100-102.
17. S. Taylor, op. cit., p. 6.
18. Il vero nome di Valtin era Richard Krebs. Fu un membro del sindacato dei marittimi, del Partito comunista tedesco e successivamente un agente dei servizi segreti sovietici.
19. J. Valtin, Out of the night, AK Press 2004, pp. 9-10.
20. E. Schneider, The Wilhelmshaven Revolt: A Chapter of the Revolutionary Movement in the German Navy 1918-1919, ChristieBooks 2013.
21. R. Watt, op. cit., pp. 166-167.
22. P. Broué, op. cit., p. 138.
23. J. Braunthal, In search of the Millennium, Victor Gollanz 1945, p. 230.
24. M. P. Price, Dispatches from the Weimar Republic: Versailles and German Fascism, Pluto Press 1999, p. 21.
25. I Freikorps (corpi franchi) erano formazioni paramilitari reclutate tra i settori più reazionari della società. Si trattava di bande ultra-reazionarie sul tipo delle guardie bianche, i cui ufficiali erano ex militari monarchici ed esponenti dell’aristocrazia.
26. R. Watt, op. cit., p. 181.
27. The German Left and the Weimar Republic: a selection of documents, a cura di Ben Fowkes, Hamarket Books 2015, p. 232.
28. S. Taylor, op. cit., p. 8.
29. E. Anderson, Hammer or Anvil: the Story of the German Working Class Movement, Create Space Independent Publishing Platform 2010, p. 43.
30. Lenin, op. cit., vol. 28, p. 271.
31. E. Anderson, op. cit., p. 44.
32. G. Kuhn, All power to the councils! A documentary history of the German Revolution of the 1918-1919, PM Press 2012, p. 51.
33. P. Broué, op. cit., p. 158.
34. R. Watt, op. cit., p. 183.
35. Ibidem, p. 183.
36. J. Riddell, op. cit., p. 40.
37. Il distretto militare in cui si trovava Berlino, il cui comandante era a capo delle truppe di stanza nella capitale. (NdT)
38. R. Watt, op. cit., p. 195.
39. Ibidem, p. 184.
40. Ibidem, p. 199.
41. J. Riddell, op. cit., p. 44.
42. Dall’edizione speciale del Vorwaerts del 9 novembre 1918.
43. L’agenzia Wolff era una delle principali agenzie di stampa tedesche. (NdT)
44. P. Broué, op. cit., p. 142.
45. J. Riddell, op. cit., pp. 41-42.
46. P. Broué, op. cit., p. 144.
47. J. Braunthal, History of the International 1864-1914, Nelson 1966, p. 122.
48. R. Watt, op. cit., p. 197.
49. E. Anderson, op. cit., pp. 36-37.
50. S. Taylor, op. cit., p. 8.
51. B. Fowkes, op. cit., p. 17.
52. J. Riddell, op. cit., p. 52.
53. B. Fowkes, op. cit., p. 15.
54. J. Riddell, op. cit., p. 54.
55. R. Watt, op. cit., p. 219.
56. J. Riddell, op. cit., p. 66.
57. R. Watt, op. cit., p. 183.
58. Ibidem, p. 200.
59. P. Broué, op. cit., p. 163.
60. Era la bandiera tricolore della Repubblica di Weimar.
61. E. Anderson, op. cit., p. 46.
62. J. Riddell, op. cit., pp. 159-162.
63. Lenin, op. cit., vol. 28, p. 243.
64. J. Riddell, op. cit., p. 101.
65. M. P. Price, op. cit., p. 22.
66. B. Fowkes, op. cit., pp. 48-49.
67. J. Riddell, op. cit., p. 142.
68. G. Kuhn, op. cit., pp. 73-74.
69. J. Riddell, op. cit., p. 144.
70. P. Froelich, Rosa Luxemburg, Haymarket Books 2010, pp. 307-308.
71. J. Riddell, op. cit., pp. 92-93.
72. B. Fowkes, op. cit, pp. 24-25.
73. Ibidem, pp. 52-53.
74. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, AC Editoriale 2003, p. 76.
75. Ibidem, p. 70.
76. Ibidem, pp. 69-70.
77. Lenin, Collected Works, Progress Publishers 1967, vol. 24, pp. 210-211.
78. Ibidem, p. 246.
79. Louis Blanqui era un socialista francese del XIX secolo. In base alle sue concezioni, il potere poteva essere conquistato dall’azione di una piccola minoranza rivoluzionaria.
80. Lenin, Collected Works, Progress Publishers 1967, vol. 24, p. 207.
81. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, AC Editoriale 2003, p. 32.
82. C. Harman, The lost revolution: Germany 1918-1923, Haymarket Books, p. 58.
83. Otto Wels era il socialdemocratico a capo del distretto militare di Berlino, considerato dagli spartachisti come l’uomo dietro il tentato golpe.
84. B. Fowkes, op. cit., pp. 22-23, enfasi nell’originale.
85. J. Riddell, op. cit., p. 117.
86. P. Broué, op. cit., p. 221.
87. E. Anderson, op. cit., p. 52.
88. S. Taylor, op. cit., p. 12.
89. P. Broué, op. cit., p. 227.
90. P. Froelich, op. cit., p. 318.
91. J. Riddell, op. cit., p. 263.
92. P. Froelich, op. cit., p. 294.
93. Ibidem, p. 293.
94. R. Leviné-Meyer, The life of a revolutionary, Saxon House 1973, p. 71.
95. P. Froelich, op. cit., p. 310.
96. B. Fowkes, op. cit., p. 284.
97. J. Riddell, op. cit., p. 167.
98. Ibidem, p. 175.
99. Ibidem, p. 177.
100. J. P. Nettl, Rosa Luxemburg, Schocken Books 1989, pp. 757-758.
101. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, AC Editoriale 2003, p. 68.
102. J. Riddell, op. cit., p. 188.
103. P. Broué, op. cit., p. 212.