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La rivoluzione di Marx in filosofia – riflessioni sulle “Tesi su Feuerbach”

di Alan Woods

 

La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.“ (Marx, Seconda tesi su Feuerbach)

Il problema della conoscenza ha occupato per secoli un posto centrale nella filosofia. Ma questo cosiddetto problema sorge solo quando la conoscenza umana è considerata

• come qualcosa di separato da un corpo fisico

• come qualcosa di separato dal mondo materiale

Si tratta di una visione unilaterale della coscienza, qui considerata una sorta di barriera che si suppone ci separi dal mondo “esterno”. In realtà noi siamo parte di questo mondo, non siamo separati da esso, e la coscienza non ci divide, ma ci connette ad esso. Fin dall’inizio il rapporto degli esseri umani con il mondo fisico non è mai stato contemplativo, bensì essenzialmente attivo.

Noi non pensiamo solo con il cervello, ma con tutto il nostro corpo. Bisogna considerare il pensiero non un’attività a sé stante (“lo spirito nella macchina”) ma come una parte dell’intera esperienza umana, dell’attività sensibile degli uomini e dell’interazione con il mondo e con gli altri. Si tratta di un aspetto di questo complesso processo di interazione permanente, e non di un’attività indipendente da contrapporre meccanicamente ad esso.

Il materialismo respinge l’idea in base alla quale la mente, la coscienza, l’anima e simili concetti siano qualcosa di separato dalla materia. Il pensiero è semplicemente il modo di esistenza del cervello, che, come la vita stessa, è solamente materia organizzata in un certo modo. Quella che noi chiamiamo mente non è che la somma totale delle attività del cervello e del sistema nervoso. Ma, dialetticamente, il tutto è maggiore della somma delle sue parti.

La concezione materialista trova un riscontro nelle conclusioni della scienza, che sta gradualmente scoprendo il funzionamento e svelando i segreti del cervello. Al contrario gli idealisti insistono nel presentare la coscienza come un “mistero” al di là dell’umana comprensione: a questo punto riemerge trionfante una nostra vecchia conoscenza, l’Anima, accompagnata dallo Spirito Santo, gli angeli, il Diavolo e da tutto il resto dell’armamentario mistico che ormai da tempo la scienza avrebbe dovuto relegare nei musei.

Cartesio e il dualismo

La rispettabile facciata dell’idealismo filosofico cela la religione e la superstizione. E l’idealismo in ultima analisi è sempre una forma di religione. Si credeva che l’Anima Immacolata ed Eterna fosse imprigionata nell’imperfetto, sordido e transitorio corpo materiale, in attesa della liberazione al momento della morte, quando “rendiamo l’anima” e voliamo in Paradiso (se siamo fortunati).

In questo modo la materia veniva considerata come un cittadino di seconda classe, un bifolco straccione destinato a cedere il passo dinnanzi a Sua Maestà l’Anima Immortale. Questo concetto è vecchio almeno quanto Platone e Pitagora, che vedevano il mondo fisico come un’imitazione scadente dell’Idea perfetta, l’Archetipo che esiste ancora prima che si possa pensare qualcosa del mondo.

L’idea che l’anima possa esistere indipendentemente dal corpo è stata diffusa in epoca moderna dal famoso filosofo francese Cartesio (1596-1650). Egli trattò il problema in modo confuso e la confusione è continua ininterrottamente da allora. A lui dobbiamo il moderno concetto di dualismo, in base al quale il pensiero (la coscienza) è qualcosa di separato dalla materia. La mente è così considerata un’entità presente all’interno del corpo, ma del tutto diversa da esso. La difficoltà insormontabile che sorge con il dualismo è la seguente: se la mente e il corpo fisico sono completamente distinti tra loro, come possono interagire tra loro?

L’errore consiste nel trattare la coscienza come una “cosa a sé”, un’entità indipendente, separata e distinta dall’attività sensibile umana. La scienza moderna ha bandito per sempre il concetto di coscienza come “cosa a se stante”. Noi oggi abbiamo delle nozioni che Cartesio non possedeva sui processi naturali, sul mondo delle molecole, degli atomi e delle particelle subatomiche, sugli impulsi elettrici che regolano le attività cerebrali. Al posto di un’anima misteriosa, acquisiamo una sempre maggiore comprensione scientifica di come funzionino il corpo umano ed il cervello.

L’azione dei neuroni è sia elettrica che chimica. Alle estremità di ogni cellula nervosa ci sono le terminazioni sinaptiche, aree specializzate ricche di piccole sacche membranose che contengono neurotrasmettitori chimici atti a trasmettere gli impulsi nervosi da un neurone all’altro. Dopo che un impulso elettrico ha viaggiato attraverso un neurone, raggiunge la terminazione e stimola il rilascio di neurotrasmettitori dalle loro sacche.

I neurotrasmettitori viaggiano attraverso la sinapsi (la giunzione tra i neuroni limitrofi) e stimolano la produzione di una nuova carica elettrica, che spinge avanti l’impulso nervoso. Questo processo viene ripetuto più e più volte fino a quando un muscolo si muove o si rilassa o un’impressione sensoriale viene registrata dal cervello. Questi eventi elettrochimici possono essere considerati il “linguaggio” del sistema nervoso, per mezzo del quale l’informazione viene trasmessa da una parte del corpo all’altra. Questa spiegazione scientifica spazza via immediatamente ogni concezione mistico-idealista del pensiero e della coscienza come qualcosa di misterioso e inspiegabile, qualcosa di completamente scisso dai normali processi naturali o dalle altre funzioni corporee.

Mano e cervello

La visione idealista della coscienza e del linguaggio è in contrasto anche con la realtà dell’evoluzione umana, e dunque antistorica oltre che astratta ed arbitraria. Il rapporto tra i primi esseri umani (e proto-umani) e l’ambiente fisico è stato determinato dalla necessità di trovare cibo e sfuggire ai predatori. Le modificazioni dell’ambiente prodotte dal cambiamento climatico resero possibile la posizione eretta, la quale portò alla liberazione delle mani e alla possibilità di usarle come strumenti di lavoro.

La coscienza sorge dall’evoluzione del cervello e del sistema nervoso centrale, la quale è a sua volta strettamente collegata all’attività pratica dell’uomo, cioè al lavoro: gli esseri umani trasformano il loro ambiente attraverso il lavoro fisico, e così facendo trasformano se stessi. Questo processo ha richiesto milioni di anni, e ha le sue radici nei primi stadi dell’evoluzione, in particolare nella transizione dagli invertebrati ai vertebrati, che si caratterizza per lo sviluppo di un sistema nervoso centrale e più tardi di un cervello.

La stretta connessione tra mano e cervello è ben documentata: una maggiore abilità manuale e lo sviluppo di una molteplicità di attività manuali portarono ad una rapida crescita del cervello e ad una maggiore capacità di pensare. È un dato di fatto che esista un rapporto dialettico tra le grandi dimensioni del cervello, la posizione eretta e lo sviluppo della mano per operazioni specifiche. Che meraviglioso prodotto dell’evoluzione è la mano umana! L’opposizione del pollice al resto della mano è stato l’adattamento fondamentale che ha consentito la prensione e la manipolazione, la condizione preliminare per ogni evoluzione successiva.

Le scimmie usano le mani per spostarsi tra gli alberi, ma possono anche impugnare dei rametti e in certi casi persino utilizzarli come utensili primitivi per operazioni piuttosto sofisticate come  lo scavo dei termitai. Con l’adozione della posizione eretta le mani dei nostri lontani antenati furono libere di sperimentare molte altre opportunità e, grazie alla pratica costante, divennero sempre più abili e capaci di eseguire le operazioni più delicate e complesse, in particolare la manipolazione di oggetti naturali fino a trasformarli in utensili.

È stata la mano a favorire lo sviluppo del cervello, non viceversa. Del resto, se osserviamo gli altri animali, anch’essi non contemplano il mondo, lo mangiano, proprio come un bambino umano “conosce” il mondo mettendoselo in bocca. Allo stesso modo il linguaggio non è uno “strumento”, come un martello o una pala che viene prodotto e manipolato a piacimento: esso infatti evolve assieme alla coscienza, come risultato dei rapporti sociali e della produzione collettiva. Non è “prodotto”, ma sorge spontaneamente dal protrarsi per lungo tempo dell’attività umana collettiva e della vita sociale.

Il regolare utilizzo di strumenti e l’attività in comune dovettero rendere necessario qualche tipo di linguaggio, innescando tutta una serie di fattori interdipendenti, poiché tutte le funzioni mentali e fisiche sono strettamente interconnesse. Dialetticamente, la causa diventa effetto e l’effetto diventa causa. La mano umana è strettamente collegata alla vista ed al cervello, e la coordinazione necessaria per creare anche il più rudimentale utensile di pietra è considerevole. Tutti gli esseri umani creano ed utilizzano utensili, e la correlazione tra mano, occhio e cervello necessaria a tale scopo è ciò che ha guidato lo sviluppo del cervello in milioni di anni. “L’uso di utensili sembra avere reso più precoce lo sviluppo del cervello umano, ed è associato già agli ominidi fossili del genere Australopithecus.” (H.J. Fleure e M. Davies, A Natural History of Man in Britain, pag. 47.)

La produzione consapevole di strumenti di pietra elementari è chiaramente stata la forza motrice della formazione dei primi concetti elementari e del successivo sviluppo del pensiero, ed ha indubbiamente agito sulla struttura interna del cervello, provocando un accrescimento delle dimensioni di quest’organo. Queste trasformazioni, prese nel loro insieme, rappresentano il salto di qualità che ha separato l’umanità da ogni altra forma di materia vivente. La nostra specie non è quindi stata plasmata da Dio in seguito ad uno speciale atto creativo, ma è il prodotto di un’evoluzione nella quale l’elemento decisivo è stato il lavoro manuale. Così, come Engels ha spiegato più di cento anni fa, non è stato il cervello a sviluppare la nostra umanità, bensì la mano a sviluppare il cervello.

La rivoluzione filosofica di Marx

Nella sua Terza tesi su Feuerbach, Marx ha scritto:

La dottrina materialistica in base alla quale gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società. La coincidenza nel variare dell’ambiente e dell’attività umana, ossia l’auto-cambiamento [Selbstveränderung], può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.

Queste poche frasi sintetizzano una rivoluzione filosofica. Il grande filosofo tedesco Hegel era giunto quasi a scoprire la verità, ma nonostante il suo colossale genio non fu in grado di fare il passo decisivo dalla teoria alla pratica, accecato com’era dai propri preconcetti idealistici. In Hegel la dialettica resta oscurata, le sue profonde verità disperse in una massa di ragionamenti astratti ed astrusi. Ci è voluto il genio di un Marx per scoprire il nocciolo razionale che giaceva nascosto tra le pagine della Logica hegeliana per applicarlo al mondo reale e materiale.

Con Marx la filosofia emerge finalmente dalla cantina buia e soffocante dov’era stata confinata per secoli dal pensiero scolastico e, sbattendo le palpebre, viene condotta fuori alla luce del giorno. Ecco che finalmente il pensiero si unisce con l’attività, non l’attività unilaterale, puramente intellettuale, dello studioso, ma la reale attività umana nel mondo sensibile. Il grande poeta tedesco Goethe, in risposta al versetto biblico “In principio era il Verbo”, scrisse “In principio era l’Azione.”

Ma l’attività caratteristica dell’uomo, il lavoro, non è l’attività di atomi isolati, bensì è necessariamente collettiva nella propria essenza. La combinazione degli sforzi, delle aspirazioni e delle creatività individuali di uomini e donne che da origine a tutte le meraviglie della civiltà: è la realizzazione concreta di quello che il vecchio Hegel chiamava l’unità del Particolare con l’Universale. Eppure questa necessaria unità è stata ostinatamente negata ed i pensieri e le azioni del genere umano vengono presentati non come attività collettiva, ma come opera di individui isolati.

Questa falsa idea è al tempo stesso un riflesso del pregiudizio borghese e un tentativo di giustificare le strutture, la morale e i valori della società borghese, una società in cui si afferma che l’Ego (l’individuo in quanto tale) regna sovrano. In realtà l’individualità della grande maggioranza è oppressa e schiavizzata dall’individualità di un’esigua minoranza che possiede e controlla i mezzi di produzione, ossia la chiave della vita stessa. E per dirla tutta, anche questa minoranza è a sua volta in balìa di forze che non è in grado di controllare.

Alienazione e società borghese

La defunta – e per nulla rimpianta – Margaret Thatcher pronunciò la famosa citazione “Non esiste una cosa come la società”. Ma quando Aristotele disse che l’uomo è un animale politico, intendeva dire che l’uomo è un animale sociale. La chiave di tutto lo sviluppo umano (ivi compresi il pensiero e il linguaggio) è l’attività sociale che si fonda sul lavoro collettivo. Hegel ha detto che la ricchezza del carattere di una persona è la ricchezza delle sue relazioni: un individuo abbandonato su un’isola deserta o tenuto in isolamento per molti anni mostrerebbe capacità di pensiero e comunicazione  gravemente compromesse.

Ora, il capitalismo tende a isolare, atomizzare ed alienare le persone, cui viene insegnato a vedere se stesse come “individui”, cioè come atomi isolati. Ciò riflette la realtà sociale della borghesia e della piccola borghesia, costantemente in competizione reciproca, e si rispecchia nella politica, nella religione e nella filosofia. La borghesia condusse le sue prime grandi battaglie contro il feudalesimo nelle guerre di religione del XVI e XVII secolo, quanto i Protestanti rivendicavano il diritto di ogni individuo di pregare Dio alla propria maniera.

L’individualismo borghese è stato una forza progressista nel periodo di ascesa del capitalismo, quando la borghesia era ancora in grado di sviluppare le forze produttive e di ampliare gli orizzonti della civiltà e della cultura umana. Ma tutto ciò è ormai perduto tra le nebbie della storia, e nell’epoca della decadenza del capitalismo, l’individualismo è diventato mero egotismo, egoismo e disumanità: alimenta l’indifferenza verso le sofferenze altrui e fomenta atteggiamenti e comportamenti barbari che rischiano di minare la basi stesse della cultura e della civiltà.

A tutti piace pensare di essere liberi di fare quello che vogliamo, ma questo non è vero. Come osservò il filosofo tedesco Leibniz, se un ago magnetico potesse pensare, crederebbe senza dubbio di puntare a nord di sua spontanea volontà. Nel XIX secolo Darwin si batté per dimostrare che gli esseri umani non sono una creazione speciale dell’Onnipotente ma si sono evoluti all’interno del mondo animale. Nel XX secolo Freud ha dimostrato come molte delle nostre azioni siano inconsce e il “libero arbitrio” sia in realtà un’illusione.

In ogni epoca tuttavia uomini e donne hanno cercato di negare questa realtà e di garantire agli esseri umani uno speciale status privilegiato nel grande ordine delle cose. La sola idea di non essere liberi e che le nostre azioni posano essere determinate da forze che non possiamo capire né controllare ci ripugna profondamente. Eppure, come spiegava Hegel, la vera libertà non è la negazione della necessità, ma il riconoscimento della necessità.

La coscienza è determinata dall’ambiente fisico. Se Albert Einstein fosse nato nella capanna di un contadino in qualche villaggio dell’India, la sua naturale intelligenza avrebbe potuto renderlo esperto nel piantare il riso, ma potremmo mai pensare che avrebbe sviluppato la teoria della relatività? Trotskij disse una volta: “Quanti Aristotele oggi pascolano i porci, e quanti porcai siedono in trono?”

L’intera ottica borghese è egoista. Ma per quanto riguarda la classe lavoratrice le cose sono  molto diverse. Marx spiega che, senza organizzazione, la classe operaia è solo materia grezza per lo sfruttamento. Ma gli operai sono obbligati a cooperare nel lavoro collettivo sulla linea di produzione, dove il modo di produzione è sociale e non individuale. Un contadino può dire: “Ho coltivato questi cavoli”, ma nessun lavoratore della Ford potrebbe dire: “Ho fatto questa macchina.”

La coscienza del lavoratore è quindi naturalmente collettiva. Le armi della classe operaia sono strutturalmente collettive: lo sciopero, lo sciopero generale, le assemblee e le manifestazioni di massa. L’individualismo è il segno distintivo di un crumiro che pone i propri interessi egoistici al di sopra di quelli dei compagni di lavoro. Ecco perché la stampa capitalista loda sempre il “coraggio” dei crumiri che difendono fedelmente “la libertà dell’individuo”.

Uomini e donne fanno la propria storia, combattendo per cambiare e plasmare ciò che li circonda. Tuttavia quando cambiamo le condizioni sociali, cambiamo anche noi stessi. L’idea che ci sia una cosa eterna ed immutabile chiamata “natura umana” è un pregiudizio profondamente radicato, ma del tutto privo di fondamento nella realtà: la cosiddetta natura umana si è modificata molte volte nella storia, sta tuttora mutando e cambierà ancora di più in futuro.

Viviamo in un mondo alienato, irrazionale e incomprensibile. In un mondo del genere il pensiero razionale è fuori moda, anzi è meglio non pensare affatto. Il vuoto della moderna filosofia borghese rispecchia perfettamente questa idea, come le vuote banalità del post-modernismo. Uomini e donne sentono di aver perso il controllo della propria vita, di essere divenuti le pedine di forze estranee, incomprensibili ed incontrollabili. La vita umana è spogliata di tutto il suo valore ed è precipitata nella ferocia e ella violenza che sgretolano ogni fondamento di un’esistenza civile e razionale. “La ragione diventa irrazionalità”, come disse Hegel.

L’alienazione  – una caratteristica onnipresente della vita nella moderna società borghese – si manifesta anche  nella cultura popolare. Come spiegare la strana attrazione per i robot, spesso ritratti (come nei film di Terminator) come sfuggiti al controllo umano e tesi alla conquista del mondo? Simili opere di fantascienza ci dicono poco o nulla sulla natura della coscienza degli esseri umani o dei robot, ma ci fanno capire parecchio sul mondo alienato dove vivono gli esseri umani nel primo decennio del XXI secolo.

Nel mondo da incubo di Terminator, le “cose” (macchine, robot) hanno conquistato il mondo e schiavizzato le persone. Ma questo incubo è già una realtà: oggi le persone sono ridotte al livello di cose e le cose (soprattutto il denaro) sono elevate al di sopra del livello delle persone. Nei tempi antichi i sacerdoti pagani sacrificavano bambini a Moloch, ed oggi milioni di bambini sono sacrificati ogni anno sull’altare del Capitale.

Il solo modo per eliminare questo senso di alienazione consiste nell’abolirne la base materiale. Il solo modo per eliminare il pensiero irrazionale è abolire le relazioni umane irrazionali nella società capitalista. L’unico modo per eliminare la sensazione di aver perso il controllo delle nostre vite e dei nostri destini è quello di rovesciare questi rapporti di produzione contraddittori e stabilire una economia pianificata e razionale, in cui ogni decisione venga prese democraticamente da uomini e donne liberi.

In una società razionale, cioè in una società socialista basata sulla pianificazione economica, la dominazione delle cose sulle persone  verrà sostituita dall’amministrazione delle cose da parte di uomini e donne liberi. Invece di essere schiavi delle macchine, saranno queste ad essere i nostri fedeli servitori. Sotto il capitalismo ogni progresso tecnologico serve soltanto a prolungare la giornata di lavoro e ad aumentare la servitù dei lavoratori, ma con il socialismo, invece di faticare più a lungo per produrre sempre maggior plusvalore, la gente potrà lavorare di meno e vivere più pienamente la propria vita

Gli incredibili progressi della scienza e della tecnologia nel corso del secolo passato ci hanno messo a disposizione tutti i mezzi necessari a trasformare il pianeta. Ciò che la scienza ha rivelato sulla struttura dell’universo è molto più affascinante, emozionante e bello di qualsivoglia presunta “verità rivelata” della religione. Rivoluzionando le proprie  condizioni di vita, l’umanità preparerà la via per trasformare se stessa e porrà fine alla preistoria della nostra specie, in modo che gli uomini possano vivere, agire e pensare come esseri umani e non più come animali; come uomini e donne liberi, non più come  schiavi.

Questo ci riporta alle già citata terza tesi su Feuerbach:

La dottrina materialistica in base alla quale gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società. La coincidenza nel variare dell’ambiente e dell’attività umana, ossia l’auto-cambiamento [Selbstveränderung], può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.

Che significa semplicemente:

Per rivoluzionare il pensiero è necessario rivoluzionare la società.

Londra, 17 maggio 2013

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