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La rivoluzione boliviana del 1952

di Alessandro Giardiello e Jorge Martìn

 

Il 9 aprile 1952, un’insurrezione infiammò la Bolivia. Si apriva una delle rivoluzioni proletarie più profonde della storia dell’America Latina. Nel giro di poche ore, gli operai delle fabbriche, la popolazione delle città e i minatori armati sconfissero e umiliarono l’apparato statale borghese, distruggendo fisicamente l’esercito della classe dominante, che avrebbe impiegato anni per tornare a riformarsi e consolidarsi. Eppure il processo rivoluzionario iniziato con la rivoluzione del 1952 si concluse nel 1964 con un colpo di Stato militare e l’instaurazione della dittatura di Ovando y Barrientos.

Un paese ricco ed estremamente arretrato

La Bolivia, all’inizio del XX secolo, era un paese estremamente sottosviluppato, la cui economia dipendeva principalmente dal settore minerario e dall’agricoltura. L’arretratezza e la povertà della Bolivia (che prima della seconda guerra mondiale aveva il secondo reddito pro capite più basso del continente dopo Haiti) erano anche, in modo contraddittorio, il risultato dell’enorme ricchezza mineraria del suo sottosuolo.

Nelle campagne i latifondisti, i ”gamonales”, possedevano centinaia di migliaia di ettari di terra, che coltivavano con i metodi semi-feudali del cosiddetto ”pongueaje”, un’istituzione ereditata dal regno degli Incas, ma che i colonizzatori spagnoli avevano adattato alle loro esigenze.

L’8% dei proprietari terrieri possedeva più del 95% delle terre coltivabili. Tra questi, i 615 proprietari terrieri con estensioni superiori ai 10mila ettari, possedevano la metà del suolo coltivabile del paese. Centinaia di migliaia di contadini erano costretti a lavorare la terra, nella maggior parte dei casi gratuitamente, e due milioni di contadini sopravvivevano al di fuori dell’economia di mercato solo grazie all’agricoltura di sussistenza.

La stragrande maggioranza della popolazione era indigena, l’80% della quale non parlava altra lingua che la propria (ed era quindi esclusa da tutte le attività pubbliche ufficiali che si svolgevano unicamente in spagnolo), mentre il 90% era analfabeta.

Allo stesso tempo, il carattere diseguale e combinato dello sviluppo della Bolivia aveva creato un potente settore di esportazioni sul mercato mondiale. Il settore minerario, che impiegava il 3,2% della popolazione attiva, produceva il 25% del Pil.

Tre famiglie (Patiño, Aramayo e Hochschild) controllavano l’80% di un’industria che a sua volta rappresentava l’80% delle esportazioni nazionali. Durante la seconda guerra mondiale, lo stagno boliviano arrivò a costituire il 50% della produzione mondiale. I baroni dello stagno, popolarmente noti come la Rosca, controllavano, in alleanza con i “gamonales”, tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica del paese: possedevano le principali banche, pubblicavano i giornali a maggiore diffusione, cambiavano a loro piacimento i governi, comprando politici e presidenti.

Borghesia parassitaria

Questa classe dominante non aveva alcun interesse a sviluppare un mercato interno per migliorare le condizioni di vita delle masse. I proprietari terrieri avevano bisogno di mantenere il regime di sfruttamento semi-feudale nelle campagne, mentre i baroni delle miniere esportavano i loro prodotti sul mercato mondiale.

In questo modo le strutture economiche della Bolivia mettevano in luce in modo molto chiaro una serie di contraddizioni che potevano essere risolte solo dai lavoratori, se si fossero posti alla guida della nazione oppressa e avessero preso il potere, affrontando in senso rivoluzionario il problema delle risorse naturali e della distribuzione della terra ai contadini poveri.

Il proletariato minerario, che negli anni della guerra arrivò a contare 53mila addetti, viveva e lavorava in condizioni orribili di sfruttamento. Le miniere erano generalmente situate in località remote e mal collegate, e i minatori dipendevano totalmente dai datori di lavoro per l’alloggio e l’acquisto di generi alimentari.

Le miniere erano estremamente umide, alcune di esse allagate fino all’altezza della cintola e il calore era insopportabile. La maggior parte dei minatori soffriva di silicosi e la loro aspettativa di vita era inferiore alla media nazionale, già bassa di per sé (attorno ai 50 anni).

Queste condizioni avevano rafforzato i legami di solidarietà e di combattività dei minatori durante i primi decenni del XX secolo. Le zone minerarie erano generalmente sorvegliate da accampamenti di militari, che non esitavano a massacrare i lavoratori per imporre la disciplina del più brutale sfruttamento capitalista.

Fu la guerra del Chaco del 1932-35 l’avvenimento che mise in luce tutte le contraddizioni accumulate nella società boliviana e soprattutto il marciume della classe dominante. La guerra tra Bolivia e Paraguay, dietro cui c’erano gli interessi delle compagnie petrolifere straniere (Standard Oil a sostegno della Bolivia, Shell dalla parte del Paraguay), fu un disastro assoluto.

Decine di migliaia di uomini (fino a un totale di 250mila su una popolazione di 3 milioni di abitanti) vennero trasferiti a migliaia di chilometri dalle loro case, in un ambiente inospitale e con un clima malsano, a combattere per ragioni sconosciute. Per decine di migliaia di contadini indigeni, questa fu la prima esperienza al di fuori delle loro comunità. Morirono più soldati boliviani per malattia, per non aver resistito al clima del Chaco e per l’inettitudine dei generali, che per le pallottole nemiche. L’umiliante sconfitta nella guerra del Chaco segnò la coscienza di un’intera generazione di boliviani di tutte le classi sociali e trasformò il proletariato boliviano in una delle classi operaie più politicizzate al mondo.

La guerra non era ancora conclusa che nell’emigrazione si formò il Grupo revolucionario Tupac Amaru, la cui dichiarazione di principio prevedeva “la liberazione del popolo boliviano, la sua organizzazione rivoluzionaria e l’emancipazione economica”.

I quattro punti al centro del programma dei Tupac Amaru erano significativi per il loro contenuto avanzato:

1) Porre fine alla guerra, avvalendosi di tutti i mezzi disponibili, e ottenere la pace rovesciando i governi feudali della Bolivia e del Paraguay, che subordinano gli interessi popolari ai profitti della compagnie petrolifere.

2) Organizzare i boliviani dentro e fuori dal paese, offrendo loro un chiaro orientamento sociale, formando quadri che comprendano la situazione e le possibilità attuali per organizzare la lotta.

3) Lotta senza quartiere contro l’imperialismo e i suoi alleati: governanti, sacerdoti, latifondisti, avvocati di impresa e militari.

4) Costruire il primo governo socialista in America Latina.

I militari temendo il processo di radicalizzazione che si estendeva a macchia d’olio, alla fine della guerra decisero di intervenire con un golpe, che opportunisticamente si richiamerà al socialismo allo scopo preciso di confondere le masse. Deposto il presidente Salamanca, si proclamarono “socialisti”.

Tutto lo Stato maggiore che aveva condotto la guerra del Chaco, diede vita alla cosiddetta Junta Mixta che si auto-assegnava il compito di preparare “un futuro governo eletto liberamente dal popolo, che orienti la nazione verso un socialismo di Stato prudente e graduale e che, evitando le convulsioni e gli attentati, stabilisca in Bolivia un regime di giustizia sociale”.

Nacque il cosiddetto “socialismo militare” dei governi Toro e Busch.

Si trattava in realtà di una forma di populismo, un fenomeno che si inseriva in una scia che avrebbe interessato l’America Latina nel periodo tra le due guerre (e che la seconda guerra mondiale in qualche modo consolidò), con la formazione di una serie di regimi nazionalisti borghesi e piccolo-borghesi (Càrdenas in Messico, Peròn in Argentina, Vargas in Brasile, Toro, Busch e Villarroel in Bolivia, ecc.).

La borghesia nazionale e un settore della piccola borghesia civile e militare, allo scopo di respingere l’invadenza dell’imperialismo Usa, faceva concessioni al movimento operaio, il più delle volte privandolo della sua indipendenza politica e sindacale.

Naturalmente si trattava di una contrapposizione parziale, lo scopo era “usare” i lavoratori per contrattare migliori condizioni con il capitale straniero. Tuttavia questi regimi temevano le mobilitazioni operaie più di quanto non temessero l’imperialismo ed è per questo che si proponevano di inquadrare il proletariato in un sindacato di Stato, secondo il modello delle corporazioni fasciste, e di limitarne significativamente l’indipendenza.

Trotskij, che aveva osservato da vicino il fenomeno di Cardenas in Messico, lo definì nei seguenti termini:

“Nei paesi industrialmente arretrati il capitale straniero ha una funzione decisiva. Di qui la relativa debolezza della borghesia nazionale rispetto al proletariato nazionale. Ciò determina un potere statale di tipo particolare. Il governo si barcamena tra il capitale straniero e il capitale indigeno, tra la debole borghesia nazionale e il proletariato relativamente forte. Ciò conferisce al governo un carattere bonapartista sui generis, di tipo particolare. Si colloca, per così dire, al di sopra delle classi. In realtà può governare o divenendo strumento del capitale straniero e tenendo incatenato il proletariato con una dittatura poliziesca o manovrando con il proletariato e giungendo persino a fargli delle concessioni, assicurandosi in tal modo la possibilità di una certa libertà nei confronti dei capitalisti stranieri. La politica attuale (di Càrdenas) rientra nella seconda categoria: le sue maggiori conquiste sono l’espropriazione delle ferrovie e delle industrie petrolifere. Queste misure si pongono direttamente sul piano del capitalismo di Stato. Tuttavia, in un paese semicoloniale, il capitalismo di Stato si trova sotto la pesante pressione del capitale privato straniero e dei suoi governi, e non può reggere senza l’appoggio attivo dei lavoratori. Per questo senza lasciarsi sfuggire di mano il potere reale, tenta di far ricadere sulle organizzazioni operaie una parte considerevole della responsabilità per l’andamento della produzione nei settori nazionalizzati dell’industria.” (Lev Trotskij, Industria nazionalizzata e gestione operaia, enfasi nostra)

Nelle condizioni peculiari della Bolivia, per l’estrema povertà del paese e la conseguente inconsistenza della borghesia nazionale, questo tipo di regimi non ebbero la relativa stabilità di cui godettero in paesi come Argentina, Brasile e Messico, il che permise al movimento operaio di giungere alle soglie del potere nell’aprile del 1952.

Nel merito il colonnello David Toro intestò al suo governo il titolo di “Revoluciòn Militar Socialista” (Rivoluzione Militare Socialista) e consegnò il ministero del lavoro a un dirigente del sindacato dei grafici.

Si trattava di un sotterfugio per spingere la rivoluzione su un binario morto, dando vita al “Estado Sindical boliviano” (Stato sindacale boliviano) e usando la burocrazia sindacale, che inaugurava un lungo periodo di collaborazione con il nazionalismo borghese.

Da una parte si imponeva la sindacalizzazione obbligatoria ad ogni lavoratore (secondo la logica delle corporazioni), dall’altra si concedevano diritti civili e politici, come il suffragio femminile, che in Bolivia arrivò nel 1938 (circa un decennio prima che nella maggior parte dei paesi capitalisti europei).

Nel marzo del 1937, sotto la spinta popolare, Toro si spinse persino a non rinnovare le concessioni petrolifere alla Standard Oil, nei fatti nazionalizzando l’industria petrolifera con la formazione di Yacimientos petroliferos fiscales bolivianos.

Mentre introduceva delle misure progressiste, allo stesso tempo il governo usava la mano di ferro contro chiunque si proponesse di “instaurare il comunismo” e  lanciava una purga contro i partiti della sinistra (dalla più estrema alla più moderata), mettendo progressiavamente fuori legge anche i partiti borghesi, imponendo la dittatura più assoluta, che veniva definita “socialismo di Stato”, ma dietro la quale si nascondevano gli interessi di grandi gruppi del capitalismo nazionale come Aramayo e Hochschild.

Sulla base dello scontento popolare che le misure liberticide provocarono, il 7 giugno 1939 ci fu un nuovo golpe guidato dal tenente colonnello Germàn Busch, che si proclamò dittatore, rivendicando il ritorno al programma originario di Toro e imponendo all’industria mineraria di mantenere il 100% del denaro guadagnato all’interno del paese. Si trattava di un colpo piuttosto duro contro la borghesia estrattiva, che non poteva più lasciare gli ingenti profitti sui conti all’estero.

Busch si spinse a dire: “Non sono arrivato alla Presidenza per servire i capitalisti. Loro devono servire il paese e se non lo fanno volontariamente, lo faranno con la forza.”

Ben presto, tuttavia, i propositi di combattere gli interessi dell’imperialismo e della Rosca in nome della nazione, si rivelarono del tutto falsi. Questi regimi non avevano nè la volontà, nè la forza di portare lo scontro fino alle estreme conseguenze, perchè questo avrebbe implicato l’espropriazione dei baroni dello stagno e dei gamonales, lasciando il governo in balia della spinta rivoluzionaria delle masse e senza una solida base di appoggio. Busch, aldilà dei propositi personali (che in termini marxisti contano relativamente), non poteva spingersi oltre i limiti della sua classe sociale di riferimento.

Questa impotenza lo spinse al suicidio nell’agosto del 1939. Nel testamento scrisse: “Visto che la mia gestione a fin di bene della patria non può continuare come io desideravo, preferisco mettere fine alla mia vita.”

Si trasformerà in un martire per i nazionalisti, che lo useranno per costruire il mito della “rivoluzione nazionale”, di cui Busch divenne precursore e simbolo e sulla quale prese forma il Movimento Nazionalista Rivoluzionario (MNR).

Il MNR, fondato nel 1941, era un classico partito nazionalista piccolo-borghese, con un frasario radicale, antimperialista, patriottico e persino “socialista”. Il suo slogan principale era “Rivoluzione Nazionale”, dove l’aggettivo “nazionale” doveva essere inteso in contrapposizione a “socialista” o “proletaria”.

Il MNR, proprio per la sua ideologia confusa e interclassista, organizzava elementi che andavano dall’estrema destra fino a coloro che, sotto la pressione delle masse, adottavano un linguaggio estremamente radicale.

L’anno prima (1940) venne fondato anche il Partido de Izquierda Revolucionaria (Partito della Sinistra Rivoluzionaria – PIR), sotto l’influenza dell’Internazionale Comunista stalinizzata. Nel giugno 1941 il PIR adottò una politica “a favore della democrazia contro il fascismo”, cioè di sostegno alle potenze capitaliste Alleate nella seconda guerra mondiale, che all’epoca si trovavano nello stesso campo dell’URSS.

In pratica questa linea politica portò il PIR a sostenere e persino a collaborare con i governi dell’oligarchia rosquera, che rispondevano all’imperialismo e all’ambasciata statunitense. Una politica criminale, analoga a quella dei partiti comunisti in Argentina e a Cuba, per citare solo i due esempi più eclatanti, che minò quel poco di base operaia che il PIR aveva conquistato, lasciando campo libero al Movimento Nazionalista Rivoluzionario (MNR), che con il suo discorso populista e a parole anti-imperialista riuscì, come vedremo, a costruirsi una base tra i lavoratori e i contadini.

La nascita del POR

Ma all’interno del movimento operaio in Bolivia c’era anche un’altra posizione politica, che rifiutava sia la collaborazione con “l’imperialismo democratico” sia l’idea che tutte le classi della nazione, unite, potessero risolvere i problemi più urgenti. Questa era la posizione del Partido Obrero Revolucionario (POR), un partito che nacque nel dicembre 1934, a Cordoba in Argentina, raccogliendo le migliori forze provenienti dal Grupo revolucionario Tupac Amaru, di cui si è detto, e della Izquierda boliviana (un gruppo di attivisti esiliati in Cile) a cui si aggiunsero alcuni esiliati dal Perù.

Su proposta del dirigente più acuto politicamente, José Aguirre Gainsborg, il nuovo partito si orienterà all’Opposizione di sinistra guidata da Lev Trotskij e in seguito aderirà alla Quarta internazionale, quando questa si formerà nel 1938.

Il partito avrà nei primi anni un’esistenza aleatoria, sia per ragioni legate alle difficoltà dell’esilio, che per l’eterogeneità politica di alcuni intellettuali che ne facevano parte; tra questi il più conosciuto era senza dubbio Tristàn Marof, il quale non solo aveva una conoscenza piuttosto limitata delle idee di Trotskij, ma perseguiva obiettivi del tutto personali, che niente avevano a che vedere con la rivoluzione boliviana e mondiale.

L’errore di Aguirre Gainsborg fu quello di mettere alla testa del movimento Marof, nel tentativo di sfruttarne il prestigio personale. Marof aveva scritto un libro di innegabile successo, La tragedia del Altiplano, che aveva avuto grande impatto tra i lavoratori e i giovani attivisti in Bolivia e in tutta l’America Latina.

Nel suddetto libro si affermava:

“I vecchi partiti senza ideologia, senza un programma preciso e senza onore sopravvivono a se stessi per il ritardo delle masse e l’assenza di un partito operaio che affronti con fermezza ed energia la trasformazione e la rivoluzione boliviana (…) La Bolivia deve nazionalizzare le miniere, prendere il controllo delle stesse e organizzare la sua economia, la sua cultura, la sua arte e la sua vita (…) fin quando il popolo boliviano dei lavoratori non prenderà le miniere, le fonti produttive, il petrolio e il governo nelle proprie mani, sotto il proprio controllo, non potrà esserci rivoluzione (…)”

Ma a fianco di considerazioni corrette come questa, c’erano anche idee profondamente sbagliate, che si richiamavano a un indigenismo informe; si proponeva come modello politico il mito della società degli Incas.

Nel corso degli anni divenne sempre più evidente, anche all’interno del partito, che a Marof non interessava costruire un autentico partito bolscevico, ma mettere assieme un gruppo di militanti da usare come base d’appoggio per soddisfare il suo arrivismo politico e condurlo alla presidenza della Repubblica.

Quando nel 1938 i dirigenti del POR poterono finalmente tornare in patria, si celebrò il secondo congresso del partito (ottobre 1938), nel quale emersero le divergenze politiche che si erano andate accumulando sotto la superficie.

Da una parte c’era la linea opportunista di Marof, che proponeva di abbandonare ogni posizione “estremista”, per adottare una vaga posizione “socialista” che si adattasse alla situazione arretrata della Bolivia. Dall’altra Aguirre Gainsborg, a capo della frazione che rivendicava la rivoluzione socialista in Bolivia, richiamandosi alle tesi della rivoluzione permanente.

La posizione di Trotskij, spiegata magistralmente nel libro La rivoluzione permanente, nel quale si traggono le conclusioni teoriche della rivoluzione russa, era chiara:

Per quanto riguarda i paesi a capitalismo arretrato, e in particolare i paesi coloniali e semi-coloniali, la teoria della rivoluzione permanente significa che la soluzione completa ed efficace dei loro obiettivi democratici e la loro emancipazione nazionale possono essere concepite solo attraverso la dittatura del proletariato, con quest’ultimo che detiene il potere come direzione della nazione oppressa e, soprattutto, delle sue masse contadine(…) La rivoluzione democratica si trasforma direttamente in socialista assumendo un carattere permanente.(enfasi nostra)

Questo confronto politico condusse a una rottura. Marof darà vita al Partido Socialista Obrero Boliviano (PSOB), che dopo aver conosciuto un rapido successo iniziale, raggruppando socialisti di tutte le tendenze, si sciolse altrettanto rapidamente come neve al sole.

Il POR ridotto ai minimi termini, per la scissione di Marof e la morte prematura in un banale incidente di Gainsborg Aguirre, attraverserà una fase di profonda crisi.

Sarà diretto per un periodo da un gruppo politicamente oscillante e piccolo-borghese, con sede a Cochabamba. Solo diversi anni più tardi il partito, con una direzione totalmente rinnovata e condizioni oggettive estremamente più favorevoli, tornerà ad avere un’influenza decisiva, trasformandosi nel principale partito della classe operaia boliviana. Guillermo Lora ne diverrà il principale leader.

Questo fu possibile per una serie di circostanze favorevoli, legate alle politiche nefaste dei principali concorrenti politici: da una parte gli stalinisti persero gran parte della loro influenza nel corso della guerra a causa dei loro zig-zag, dall’altra il governo di Villarroel (così come il MNR, il principale partito a suo sostegno), in carica tra il ‘43 e il ‘46, generò, dopo gli entusiasmi iniziali, grande delusione e frustrazione tra i lavoratori.

I trotskisti boliviani riuscirono così a conquistare una posizione di assoluto privilegio, paragonabile a quella di un solo altro paese al mondo, lo Sri Lanka, dove nel 1935 si formò il Lanka Sama Samaja Party, che in seguito all’espulsione degli stalinisti nel 1940, divenne l’anima del movimento per l’indipendenza dalla Gran Bretagna e il partito tradizionale della classe operaia srilankese.

La particolarità boliviana, unica nel panorama latinamericano, fu che dopo un processo di definizione interna e varie peripezie politiche e organizzative, i trotskisti divennero egemoni nella classe lavoratrice, particolarmente tra i minatori, che erano il cuore del movimento operaio boliviano.

Le circostanze storiche concrete avevano determinato che il primo partito operaio a formarsi fosse anche quello politicamente più avanzato. Lo riconobbe un avversario politico come Mariano Baptista Gumucio (dirigente del MNR e segretario del futuro presidente Paz Estenssoro) quando disse:

“Eccettuando l’anarchismo, che ebbe vita precaria in alcune organizzazioni artigianali, fu la corrente trotskista la prima che in Bolivia si costituì in un partito organizzato.”

Come spiega Liborio Justo nel libro Bolivia: la revolucion derrotada, altre circostanze avevano favorito quell’esito. Tra le numerose contraddizioni che caratterizzavano la Bolivia, c’era quella vedeva convivere, a fianco di una povertà estrema e di un analfabetismo di massa, una notevole e qualificata cultura universitaria, da cui emersero intellettuali estremamente aperti alle idee rivoluzionarie. A questo si aggiunga il carattere quasi vergine del proletariato boliviano, che praticamente esordiva in quegli anni sulla scena politica nazionale e non aveva precedenti tradizioni politiche.

Fino ad allora nei primi ambiti sindacali erano prevalse le idee anarco-sindacaliste. Il piccolissimo Partito comunista boliviano non potè raccogliere l’eredità dei primi nuclei organizzati del movimento operaio, in quanto realmente non arrivò a costituirsi come un soggetto significativo nel momento decisivo, dopo la guerra del Chaco. Le sue cellule originarie erano sostanzialmente sparite all’inizio degli anni ‘30.

La crescita del MNR e l’insurrezione del 1946

Alla base della prima fase di crescita dell’influenza del MNR ci fu il massacro di Catavi, che si verificò il 21 dicembre 1942, quando il governo della Rosca, guidato da Peñaranda, mandò l’esercito a sparare su un corteo di minatori. Il luogo del massacro venne chiamato “Campo Maria Barzola” dal nome della donna che guidava la manifestazione con una bandiera rossa e che cadde sotto i colpi delle mitragliatrici. Morirono 20 persone tra uomini, donne e bambini e 50 furono i feriti. Peñaranda in quel momento godeva del sostegno del PIR stalinista.

Approfittando delle difficoltà del POR di quegli anni (di cui abbiamo detto) e del tradimento del PIR, fu il MNR a capitalizzare politicamente la rabbia per il massacro di Catavi.

Il più scatenato nella campagna di opposizione fu il deputato del MNR, Victor Paz Estenssoro, che cominciò ad attaccare le “Grandi imprese”, il “Capitale internazionale”, la Rosca e “chiunque si piegasse all’imperialismo”.

Il massacro di Catavi, affermò Paz Estenssoro, è stato atroce, ha colpito la coscienza pubblica e ha messo sotto gli occhi dei boliviani la tremenda realtà di un paese di 3 milioni e mezzo di abitanti, sfruttato da tre soli uomini e la loro corte di servitori.” (Dal libro di J. Fellman Velarde, Victor Paz Estenssoro)

L’anno dopo Peñaranda fuggiva all’estero, come conseguenza dell’ennesimo golpe militare, guidato da Gualberto Villarroel, che nella guerra del Chaco era stato un suo sottoposto. Il golpe del 20 dicembre del 1943 aveva connessioni con l’Asse e il nazifascismo e vincoli evidenti con il processo inaugurato nel giugno dello stesso anno dal generale Péron, in Argentina.

Villarroel contò fin dal primo momento sul sostegno del MNR, che esprimeva tre ministri nel nuovo governo, tra cui Paz Estenssoro, all’agricoltura. Così come in Argentina, gli stalinisti organizzarono la cosiddetta opposizione attraverso il fronte “democratico” pro-yankee, nel quale c’erano tutti i partiti dell’oligarchia e della Rosca che avevano appoggiato Peñaranda e l’imperialismo americano.

Con il proposito di conquistare l’adesione popolare, il governo di Villarroel-Paz Estenssoro adottò una serie di misure particolari e per certi aspetti progressive. Fece una legge contro il licenziamento senza giusta causa, aprì la strada al pensionamento anticipato, introdusse forti limitazioni agli sfratti e nuove leggi per la tutela degli inquilini, decretò l’abolizione del pongueaje e dei servizi gratuiti che i contadini erano costretti a fornire ai latifondisti, fece costruire scuole e fattorie nei centri indigeni e convocò nel 1945 la prima assemblea nazionale indigena. Venne infine fondata dall’alto la Federazione Sindacale dei Lavoratori delle Miniere (FSTM), il cui leader diventerà Juan Lechìn, ma la cui direzione era in realtà in mano al ministro del Lavoro, Antonio Ponce.

Il tema ricorrente di Villarroel era: “Non siamo nemici dei ricchi, ma siamo più amici dei poveri.” Sulla base di queste misure il governo di Villarroel, a un certo punto, divenne estremamente popolare.

Ma questa popolarità non durò a lungo, in realtà le misure toccavano solo la superficie. Non c’era una parvenza di riforma agraria; la Rosca, per quanto pregiudicata e limitata, si mantenne stabilmente nella propria posizione economica. Non intervenne alcun tipo di esproprio.

In compenso i contadini e gli operai che protestavano (per avere la terra o per questioni salariali) venivano accolti dalle fucilate dell’esercito.

La classe operaia, stanca della repressione, a un certo punto reagì: il 21 luglio 1946 si produsse un’insurrezione che rovesciò Villarroel. Sull’onda di quella mobilitazione, durante la quale il movimento diventerà sempre più cosciente, si farà strada il POR, le cui tesi vennero adottate a maggioranza, su proposta della delegazione di Llallagua, dal congresso della Federazione sindacale dei lavoratori delle miniere boliviane, che si tenne nel 1946 a Pulacayo.

Le tesi di Pulacayo: potenzialità e limiti

Le Tesi di Pulacayo, redatte da Guillermo Lora, erano essenzialmente l’applicazione del Programma di transizione di Trotskij alla realtà boliviana. Stabilivano per prima cosa che la Bolivia era un paese capitalista, parte del sistema capitalistico mondiale, nel quale rimanevano in sospeso una serie di compiti della rivoluzione democratico-borghese:

La Bolivia è un paese capitalista arretrato. All’interno del processo di fusione delle più disparate fasi dell’evoluzione economica, lo sfruttamento capitalistico predomina qualitativamente (…) Nonostante sia un paese arretrato, la Bolivia è solo un anello della catena capitalistica mondiale. Le particolarità nazionali stesse rappresentano una combinazione dei tratti fondamentali dell’economia mondiale.

Da qui le Tesi facevano discendere il ruolo di avanguardia del proletariato nella rivoluzione:

Il proletariato si caratterizza per avere la forza necessaria per raggiungere i propri obiettivi e anche quelli degli altri [settori oppressi]. Il suo enorme peso specifico in politica è determinato dal suo ruolo nel processo di produzione e non dal suo piccolo numero.”

Infine si insisteva sul carattere della rivoluzione, che non poteva esaurirsi nei compiti democratico-borghesi (distribuzione della terra ai contadini, riconoscimento dei diritti delle minoranze nazionali, diritti politici e civili, abolizione dei retaggi feudali):

Il proletariato dei paesi arretrati è obbligato a combinare la lotta per i compiti democratico-borghesi con la lotta per le rivendicazioni socialiste. Entrambe le fasi – quella democratica e quella socialista – non sono separate nella lotta da distinte fasi storiche, ma si sviluppano immediatamente l’una dall’altra.

Non si può sottovalutare quanto fosse importante che il settore decisivo della classe operaia boliviana, già nel 1946, si ponesse fermamente nella prospettiva che solo l’espropriazione dei grandi mezzi produttivi, delle banche, delle miniere e delle fabbriche, sotto il controllo operaio, potesse risolvere i compiti lasciati in sospeso della rivoluzione democratica, e che questi compiti fossero intrinsecamente legati alla lotta per il socialismo.

Nelle tesi si rivendicava: 1) salario minimo garantito e scala mobile dei salari in base all’inflazione, 2) settimana di 40 ore, 3) occupazione delle miniere, 4) contratti collettivi di lavoro, 5) indipendenza sindacale e di classe, 6) controllo operaio delle miniere, 7) armamento dei lavoratori, 8) casse di resistenza per gli scioperi, 9) regolamentazione dei prezzi, sotto il controllo dei lavoratori, dei prodotti di prima necessità, 10) soppressione del lavoro a cottimo.

Le tesi di Pulacayo costituirono una autentica conquista per il proletariato boliviano, che si collocava politicamente all’avanguardia dei lavoratori di tutta l’America Latina.

Come disse un commentatore del movimento operaio del Altiplano (citato nel libro di Liborio Justo):

“Le tesi di Pulacayo per la loro funzione di orientamento, per il loro profondo significato rivoluzionario, risvegliarono la furia dell’oligarchia (…) Le Tesi di Pulacayo terrorizzarono l’oligarchia.”

Ma queste tesi contenevano anche un limite su cui si discuterà a lungo nel movimento trotskista latinoamericano. Se da una parte rappresentavano un piano avanzato d’azione e di indipendenza di classe, a differenza delle posizioni collaborazioniste del PIR stalinista e del MNR, dall’altra nel capitolo “Il tipo di rivoluzione che deve realizzarsi” era contenuta questa affermazione:

“Mentono coloro che ci accusano di propugnare una immediata rivoluzione socialista in Bolivia, sappiamo fin troppo bene che per essa non esistono condizioni oggettive. Affermiamo categoricamente che la rivoluzione sarà democratico-borghese per quanto riguarda i suoi obiettivi e sarà proletaria unicamente per la classe sociale che la guiderà (…)”

Se si compara questa formula con quella già citata di Trotskij, si vedrà come nelle tesi di Pulacayo si avanzava l’idea di una rivoluzione guidata dal proletariato ma dal carattere non socialista. Questo punto è in realtà in contraddizione con altri passaggi presenti nelle tesi, ma si rivelerà un punto debole, che si aggiungerà ad altri elementi di confusione di Lora e del gruppo dirigente del POR che saranno fatali.

Chi scrive è assolutamente convinto, per dirla con Lenin, che “non si muore per un passaggio malposto nelle tesi” e dunque non fu solo questo elemento a determinare la sconfitta del 1952, quanto piuttosto l’impreparazione complessiva del partito ad assumere il potere quando si presentò l’opportunità rivoluzionaria, come vedremo in seguito.

Molto più grave fu che nel momento della verità il POR non si mise alla testa della classe operaia, ma assunse una posizione simile a quella che il partito bolscevico (guidato da Stalin e Kamenev) difese in Russia prima dell’arrivo di Lenin, di sostanziale appoggio alla borghesia progressista, cedendo alla tesi menscevica delle due fasi (prima il potere della borghesia, poi in un secondo momento, non meglio precisato, arriverà il turno della classe operaia).

L’esatto contrario di quanto affermato nelle tesi (anche nel passaggio scorretto che abbiamo indicato). Il dramma è che non ci fu un Lenin boliviano che nel corso della rivoluzione portasse avanti una battaglia come quella delle tesi di Aprile, per convincere il partito ad adottare la parola d’ordine: Tutto il potere ai soviet!

1946-1952: morte e resurrezione del MNR

Il periodo che si colloca tra l’insurrezione del 1946 e la rivoluzione dell’aprile del 1952 determinerà la scomparsa del PIR, che collaborerà attivamente con il governo rosquero di Enrique Hertzog, eletto nel gennaio del 1947.

Il PIR aveva due dicasteri in quel governo, tra cui il ministro del lavoro, Alfredo Medizàbal, che sarà la testa d’ariete dell’oligarchia contro il proletariato rivoluzionario. La segreteria del governo verrà affidata all’ex porista Tristàn Marof, che terminerà così la sua carriera politica nel modo più indegno.

Tutti sapevano che la candidatura di Hertzog era stata lautamente finanziata dalla borghesia estrattiva, con a capo la famiglia Patiño. All’opposizione del governo restava così solo il POR, che alle elezioni si era presentato con la lista Bloque Minero Parlamentario, conquistando 4 deputati (tra cui Lora) e un senatore. Anche il MNR si era presentato, ma raccolse solo 13mila voti, scontando il sostegno a Villarroel.

Appena eletto Hertzog si renderà prima responsabile del massacro di contadini a Pucarani (gennaio 1947), legati al MNR in quanto Villarroel, pur non avendo dato loro la terra, aveva per lo meno abolito il pongueaje. Il mese dopo a essere colpiti furono i minatori di Potosì, che in una manifestazione pacifica per chiedere aumenti salariali, vennero assaltati dalla polizia a colpi di arma da fuoco.

Pochi mesi più tardi, nel quarto congresso dei minatori, il segretario del sindacato (esponente dell’ala sinistra del MNR), Juan Lechìn, distrusse politicamente in un confronto pubblico il ministro del lavoro, lo stalinista Alfredo Mendizàbal, difendendo a spada tratta le tesi di Pulacayo, che venivano duramente attaccate dagli stalinisti.

Lechìn, grazie alla posizione che occupava nel sindacato dei minatori, divenne una pedina decisiva per permettere al MNR di recuperare il consenso tra i lavoratori e lo fece nell’unico modo possibile, attraverso l’uso demagogico delle parole d’ordine del POR, avendo verificato l’effetto che queste avevano tra le masse.

Il PIR a quel punto non serviva più alla reazione e venne scaricato da Hertzog, che lo gettò via come un limone spremuto. Una fine decisamente meritata. Sparirà nel nulla in poco tempo, non prima di aver lanciato una velenosa campagna contro il “trotsko-movimentismo”, che “favorisce la cospirazione nazifascista, dissimulandola con parole d’ordine avventuriste”.

Il nuovo Partito Comunista Boliviano si ricostituirà qualche anno più tardi, con i soldi di Mosca e una linea opposta a quella del PIR, di totale fiancheggiamento al MNR, attraverso l’ennesima giravolta politica.

Nel corso del 1948-49 ci sarà un’ulteriore ascesa della lotta di classe e nuovi massacri di attivisti operai si produrranno a La Paz, alla miniera Siglo XX, dove 80 minatori verranno assassinati. Il governo dichiarerà lo stato d’assedio. La resistenza armata da parte dei minatori alle violente aggressioni dell’esercito, si trasformeranno in un’azione offensiva.

Le milizie operaie armate di dinamite, fucili e armi automatiche, partite dalla Siglo XX, attaccheranno prima la caserma dei carabinieri, poi il reggimento Colorados a Miraflores. Nello stesso pomeriggio gruppi del MNR e del POR, facendosi strada a colpi di dinamite, rasero al suolo la caserma della polizia di Huanuni.

A Colquiri i lavoratori scesero in sciopero e presero in ostaggio i dirigenti boliviani e stranieri dell’impresa. Nella Bolivia meridionale ci sarà lo sciopero nella miniera Tasna. Queste azioni, che rappresenteranno una vera e propria prova generale dell’insurrezione del 1952, verranno fermate da quello che lo storico A. Barcelli definirà come “il massacro più barbaro che si ricordi nella storia della Bolivia”.

Hertzog aveva perso la faccia e venne rimpiazzato dal suo vice, Mamerto Urriolagoitia, che se possibile intensificò ancor più l’azione repressiva del governo, facendola sfociare in una vera e propria guerra civile, che si scatenerà nel corso dell’anno 1949. Marof, impassibile, resterà nella posizione di segretario anche del nuovo presidente.

Il MNR, attraverso i contatti nell’esercito, stava preparando un golpe militare-civile su scala nazionale. Alla lotta rivoluzionaria alla luce del sole, i cosiddetti “movimentisti”, come venivano chiamati in Bolivia, preferivano un complotto istituzionale. Parlavano di rivoluzione, ma niente li terrorizzava di più della partecipazione attiva delle masse alla lotta politica.

Il POR si dimenava dall’altra parte in quella che si rivelerà la sua eterna contraddizione, tra le buone capacità propagandistiche e gli enormi limiti organizzativi.

Fu così che le masse restarono senza direzione e il tentativo di golpe del MNR, dopo aver conquistato Cochabamba, Potosì, Sucre e Santa Cruz, rimase come un’operazione di vertice e fallì perchè i dirigenti del MNR si rifiutarono di fare un appello alla mobilitazione delle masse.

Ma questo non fermerà la lotta. Nel 1950 ci sarà uno sciopero generale molto partecipato, a cui farà seguito il 6° congresso nazionale dei minatori, nel quale i tentativi del governo di usare i propri sostenitori (e una martellante campagna dei giornali della Rosca) allo scopo di accantonare le tesi di Pulacayo, si rivelarono ancora una volta infruttuosi.

Nelle elezioni del 1951, il massimo dirigente del MNR, anche lui un ex trotskista, Luis Peñaloza, proporrà come candidato alla presidenza prima Tamayo e infine Paz Estenssoro, che nel frattempo si era trasferito in Argentina, nella speranza che le masse dimenticassero il ruolo che aveva svolto nel 1945, durante la pessima esperienza del governo Villaroel.

La candidatura di Paz Estenssoro a quel punto poteva contare sull’appoggio del nuovo partito stalinista (PCB), che non ebbe alcuno scrupolo a sostenere convintamente quello stesso personaggio che qualche anno prima aveva accusato di essere un nazi-fascista. Ma il punto di appoggio fondamentale per la vittoria arriverà ancora una volta da Juan Lèchin, l’influente segretario del sindacato dei minatori.

Il sostanziale esaurimento politico del precedente governo ultrareazionario permise a Paz Estenssoro di vincere facilmente le elezioni. Tuttavia al momento dell’insediamento, Urriolagoitia, prima di scappare all’estero, invece di consegnare il potere al nuovo presidente eletto, lo metterà nelle mani della giunta militare guidata dal generale Hugo Ballivìan.

Fu un errore decisivo da parte della Rosca, che trasformò completamente l’immagine di Paz Estenssoro e riportò il MNR in auge.

La domanda che potremmo porci è: come fu possibile per il MNR, che nel 1946 sembrava completamente distrutto, tornare ad occupare tra le masse il posto che sembrava definitivamente conquistato dal POR?

A questa domanda Lora risponderà così:

“Il (nostro) lavoro di penetrazione tra le masse non fu accompagnato dalla formazione di cellule nei luoghi di lavoro e sul territorio e il lavoro aveva un carattere propagandistico di idee rivoluzionarie (…) ma si esprimeva anche l’estrema debolezza del partito e la sua capacità organizzativa rudimentale (…) Il MNR, allo scopo di rafforzarsi (…) si dimenticò del suo programma, dissimulò le sue reali posizioni, i suoi leader si proclamarono marxisti e si lanciarono in demagogiche posizioni anti-imperialiste (…) progressivamente, ma in maniera ferma, il MNR si travestì con idee che gli erano aliene, saccheggiandole dal POR (…) I suoi dirigenti sindacali, addestrati e temprati dalla lotta quotidiana, riuscirono a reclutare validi combattenti e agitatori sindacali (…) Molti agitatori del MNR durante il sessennio, tennero i piedi in due scarpe, quella del MNR e quella del POR.” (G. Lora, La revolucion boliviana)

Queste spiegazioni, a giudizio di chi scrive, hanno un vago sapore giustificazionista. Non sono convincenti in quanto eludono completamente la questione delle proposte politiche che il POR difese nel corso del processo rivoluzionario. Il problema non era solo che il partito fosse impreparato sul piano organizzativo ad assumere il potere. Lo era in primo luogo sul piano politico. Torneremo nelle conclusioni su questo punto.

Ciò che è indubbio, è che la pressione e per certi aspetti il martirilogio a cui i governi della Rosca avevano sottoposto il MNR, da partito di composizione prevalentemente piccolo-borghese, come era nel 1946, lo avevano trasformato allargando significativamente la sua base operaia.

Furono costretti ad adottare parole d’ordine “operaiste” e ad interpretare le spinte della classe operaia, perchè in quel contesto si trattava dell’unica strada possibile per recuperare il potere politico. Naturalmente tutto questo avvenne senza che cambiasse la natura di classe del partito, che resterà sempre una rappresentanza della borghesia e della piccola borghesia nazionale.

Ma la rivoluzione ormai bussava alle porte della Bolivia.

La Rivoluzione d’aprile

Come spesso accade, la rivoluzione, iniziata il 9 aprile del 1952, troverà un forte impulso nel tentativo controrivoluzionario di Ballìvian. Proprio nel corso del golpe, si scatenerà la rabbia operaia, come sempre con i minatori in prima linea.

In tutto il paese i lavoratori si armarono e affrontarono l’esercito. A Cochabamba, Oruro, Potosì, gli operai armati si misero in marcia verso la capitale, La Paz. I minatori di Milluni occuparono la stazione ferroviaria, si impossessarono di un treno di rifornimenti dell’esercito e marciarono a loro volta verso La Paz. Il loro arrivo nella capitale determinò l’esito della lotta. I sette reggimenti dell’esercito qui presenti vennero completamente sbaragliati, i prigionieri catturati dagli operai furono umiliati e consegnarono le armi ai minatori. L’11 aprile, l’esercito borghese aveva cessato di esistere in Bolivia e l’unica forza armata nel paese era composta da 100mila uomini organizzati dai sindacati in milizie armate. Il potere reale era nelle mani dei lavoratori.

Il 15 aprile il leader del MNR, Paz Estenssoro, tornò nel paese per diventare il nuovo presidente. Una folla di lavoratori armati lo accolse in uno scroscio di applausi al grido di “Nazionalizzazione delle miniere” e “Riforma agraria”. I lavoratori più avanzati continuavano a guardarlo con circospezione, ma per le grandi masse era l’uomo che avrebbe sferrato un colpo mortale ai proprietari terrieri, all’imperialismo e ai capitalisti minerari. Nulla poteva essere più lontano dalle sue reali intenzioni.

Comunque anche i lavoratori più avanzati contavano sulla forza militante che potevano esprimere in quel frangente. Il 17 aprile, su iniziativa del militante del POR, Miguel Alandia, venne costituita la Central Obrera Boliviana (COB). Nata nel pieno del fervore rivoluzionario, la COB più che un sindacato era un organismo di espressione del potere operaio, aveva le stesse caratteristiche dei soviet nella rivoluzione russa. Gli mancava solo una cosa, la possibilità di eleggere e revocare i suoi rappresentanti in qualsiasi momento. Così la descrisse Liborio Justo:

Fin dal primo momento, la COB (…) si è presentata come la legittima rappresentanza dei lavoratori organizzati nelle milizie armate che controllavano il paese e che erano l’unico effettivo potere esistente in Bolivia. Il ‘compagno presidente’ (…) era un prigioniero virtuale del proletariato e delle sue milizie, presidiato e sorvegliato nel Palacio Quemado [la sede del governo boliviano, Ndt].”

E ancora più importante:

Non aveva alcun sostegno per poter resistere a una eventuale pressione operaia, poiché l’unico sul quale poteva contare, l’esercito borghese, era stato distrutto nei giorni tra il 9 e l’11 aprile 1952 dal proletariato in armi, e questo era ormai l’unica autorità effettiva.

In pochissimo tempo il movimento raggiunse i contadini, che occuparono le terre, crearono i loro “sindacati” (che si unirono alla COB) e le loro milizie armate. Guillermo Lora, descrive come i sindacati avessero il potere nelle loro mani:

A partire dal 9 aprile, i sindacati più importanti hanno semplicemente deciso di dover risolvere i problemi fondamentali e le autorità, se non erano state rimosse, non hanno avuto altra scelta se non quella di sottomettersi alle loro decisioni. Responsabili della vita quotidiana delle masse, si sono dotati di poteri legislativi ed esecutivi (hanno il potere di applicare le decisioni prese) e si sono spinti fino al punto di amministrare la giustizia. L’assemblea sindacale è diventata la legge suprema, l’autorità suprema.

Lo stesso valeva nelle campagne, in alcuni casi anche più radicalmente, come racconta lo stesso Lora:

I sindacati contadini – sindacati solo perché nel turbine rivoluzionario non si era trovato un nome migliore per designarli – presentano sempre, nella prima fase della rivoluzione, le caratteristiche essenziali di un consiglio e agiscono come unica autorità (legislativa, esecutiva e giudiziaria) della loro regione. Le milizie armate dei contadini imponevano facilmente le decisioni dei comitati sindacali, che regolavano anche la vita quotidiana degli abitanti.

È chiaro che nell’aprile del 1952 esisteva in Bolivia un dualismo di potere: da una parte il vero potere era nelle mani degli operai e dei contadini, attraverso le loro organizzazioni, coordinate dalla COB e sostenute dalle milizie armate, mentre dall’altra c’era il potere “ufficiale” del governo che non aveva alcuna base d’appoggio nella società.

Una situazione molto simile a quella che si verificò in Russia dopo la rivoluzione del febbraio del 1917 o in Spagna dopo che i lavoratori sconfissero la sollevazione fascista nel luglio 1936. In entrambi i casi i lavoratori detenevano il potere reale (sotto forma di soviet in Russia e di comitati delle milizie operaie in Spagna), ma allo stesso tempo permaneva un potere ufficiale (il governo provvisorio in Russia, il governo repubblicano in Spagna).

In Russia questa situazione si risolse a favore dei lavoratori in meno di nove mesi, con la presa del potere da parte dei soviet nell’ottobre 1917. In Spagna la situazione si risolse a favore del governo repubblicano, che gradualmente recuperò il potere, disarmò le milizie operaie e nel maggio 1937 smantellò ogni elemento di potere operaio, determinando in questo modo il trionfo del fascismo nella guerra civile. La differenza fu determinata dalla politica dei bolscevichi che, al contrario di quanto fecero gli anarchici e il Poum in Catalogna e nel resto della Spagna, si rifiutarono di entrare nel governo borghese, preparando scrupolosamente l’insurrezione operaia sotto la direzione dei soviet.

In Bolivia gli eventi seguirono un corso simile a quello della rivoluzione spagnola e si conclusero con la sconfitta degli operai. Il proletariato boliviano non conservò il potere, non portò a termine la rivoluzione proletaria attraverso la conquista del potere, lo scioglimento del governo di Paz Estenssoro e l’espropriazione dei grandi mezzi di produzione, in una parola il programma che aveva approvato a Pulacayo, ma consegnò quel potere che aveva nelle mani ai capi del partito piccolo-borghese.

Il POR nel momento decisivo della rivoluzione ignorò l’aspetto fondamentale e si astenne dallo spiegare alle masse che il 9 aprile si era instaurata una situazione di dualismo di potere, che poteva risolversi positivamente solo se la COB avesse assunto il controllo politico, in quanto l’altro potere, rappresentato da Paz Estenssoro a Palacio Queimado, non era che l’ombra di sé stesso, totalmente succube delle milizie operaie.

In quel momento decisivo il POR non propose la parola d’ordine più naturale, che altra non era che: “Tutto il potere alla COB! Fuori i ministri operai dal governo di Paz Estenssoro! Per la realizzazione delle tesi di Pulacayo!”

Non solo questa parola d’ordine non venne mai avanzata nel momento decisivo, ma il POR seguì la linea esattamente opposta,  sostenendo che la COB inviasse i propri rappresentanti come ministri “operai” nel governo di Paz Estenssoro, sulla base di un’illusione co-governativa (una sorta di potere misto basato sia sul governo che sulla COB) e trasformando nei fatti quello che era a tutti gli effetti un soviet operaio, in un organismo di consultazione e sostegno del governo della borghesia.

In quel preciso momento il Por possedeva una forza di gran lunga superiore a quella che avevano i bolscevichi nei soviet prima dell’insurrezione d’ottobre. Ben 6 membri su 13 del Comitato centrale della COB erano membri del POR.

Di conseguenza, in un processo simile a quello che si realizzò nella rivoluzione tedesca del 1918-23, il soviet (la COB) da organismo della rivoluzione proletaria, si trasformò in uno strumento della controrivoluzione. Fu così che il “prigioniero di Palacio Queimado” progressivamente riconquistò terreno, grazie all’insipenza del POR e all’inestimabile aiuto che ricevette da un burocrate sindacale intelligente come Juan Lechin, che nel punto di massima radicalizzazione seppe spostare molto a sinistra il suo discorso politico.

Non solo Lora non mosse un dito per evitare un tale tragico scenario, ma il gruppo dirigente del POR lasciò credere al proletariato che il governo di Paz Estenssoro fosse il “governo degli operai”, sulla base del fatto che i rapporti di forza erano fortemente sbilanciati a favore del proletariato, che controllava le milizie. Sostennero che la “semplice pressione del movimento di massa, sarebbe stata così forte da obbligare l’MNR a fare una rivoluzione socialista”.

Sulla base di questi gravissimi errori politici, nel giro di poco tempo i rapporti di forza nella COB, inizialmente molto favorevoli al POR, cambiarono bruscamente.

Naturalmente le responsabilità di Michel Pablo e Ernest Mandel, che da Parigi dirigevano la Quarta Internazionale e avevano adottato una linea di totale adattamento allo stalinismo e al nazionalismo piccolo-borghese, non furono seconde a quelle di Lora. Entrambi svolsero un ruolo fondamentale nel determinare quella deriva di adattamento ad una linea di collaborazione di classe. Nelle tesi del III Congresso mondiale della Quarta Internazionale, che si tenne nel 1951, nel capitolo sulla Bolivia si parlava apertamente di dare un “sostegno critico” al MNR.

Lora in sede di bilancio storico, come abbiamo visto, ha provato ad esaltare i meriti dei nazionalisti, ma per quanto sia vero che il governo del MNR utilizzò dal suo punto di vista una tattica intelligente, temporeggiando rispetto alla realizzazione delle principali richieste delle masse, indebolendole e svuotandole di contenuto reale, è altrettanto vero che senza la collaborazione del POR questa linea non si sarebbe mai potuta realizzare.

Si tratta di una visione esagerata, di una critica infondata? A sostegno di essa riportiamo un inciso che il POR fece nel giugno 1953, alla sua X Conferenza nazionale:

“Il periodo rivoluzionario cominciato il 9 aprile 1952 ha scosso dalle fondamenta le masse più sfruttate nella città e nelle campagne (…) La rivoluzione per vincere deve necessariamente superare i limiti della democrazia borghese, questa è la prospettiva che suggerisce il POR agli sfruttati boliviani (…) Questa posizione si manifesta attraverso una pressione sul governo perchè realizzi ciò a cui aspirano gli operai e i contadini (…) Lungi da lanciare la parola d’ordine del rovesciamento del regime di Paz Estenssoro, lo sosteniamo perchè resista all’aggressione della Rosca, facciamo appello al proletariato internazionale a difendere incondizionalmente la rivoluzione boliviana e il suo governo transitorio (…) Non è il momento di gridare ‘Abbasso il governo’, ma di esigere che il governo porti avanti i postulati della Rivoluzione.”

Se questo non bastasse, nella relazione politica alla IX conferenza, tenuta a ridosso della rivoluzione di aprile, Lora sosterrà la seguente posizione:

  • Appoggio al governo contro gli attacchi dell’imperialismo e della Rosca.
  • Appoggio a tutte le misure progressiste che [il governo] porti avanti, indicando sempre la loro prospettiva e i loro limiti.
  • Nella lotta tra le diverse ali del MNR, il POR appoggia la sinistra (…) Il POR appoggierà la sinistra del partito, in tutte le attività che tendano a distruggere le strutture su cui si basa lo sfruttamento feudale-borghese e imperialista, e in ogni tentativo di approfondire la rivoluzione e portare avanti il programma operaio, così come di assumere il controllo completo del governo, sostituendo l’ala destra.”

Si tratta di un programma di collaborazione con l’ala sinistra della borghesia per sconfiggere l’ala destra e conquistare il governo capitalista, al posto di consolidare e stabilire definitivamente il potere operaio, che si era imposto naturalmente nel corso degli avvenimenti. Una posizione che ricorda da vicino quella di Kamenev e Stalin, che nel marzo del 1917, nel loro articolo-programma come nuovi redattori della Pravda, dichiararono che“i bolscevichi avrebbero appoggiato decisamente il governo provvisorio nella misura in cui questo governo avesse combattuto contro la reazione e la controrivoluzione”. (cit. in L. Trotskij, Storia della Rivoluzione russa)

Tutto questo naturalmente, prima che Lenin tornasse in Russia per prenderli a scudisciate e accusarli meritatamente di opportunismo. Purtroppo in Bolivia non c’era alcun dirigente che avesse l’autorità e avesse lavorato per tutto un periodo storico (durato quasi vent’anni) alla definizione di un partito che fosse in grado di condurre i lavoratori al potere nel momento in cui se ne presentò l’opportunità.

Di fatto il sostegno offerto dal POR al “governo transitorio” non servì nè a conquistare il governo a un programma operaio, nè tanto meno a portare avanti i postulati della rivoluzione, ma fu decisivo per permettere a Paz Estenssoro di prendere tempo e, nell’inevitabile riflusso della mobilitazione, ricostruire un pò alla volta un esercito borghese in grado di affrontare le milizie operaie e contadine.

Questo processo cominciò nel 1953 (con l’aiuto degli Usa e del Fondo monetario internazionale), ma fu un processo che durò molto a lungo, basti pensare che, in molte parate militari, l’esercito era costretto a chiedere alla COB le armi per restituirle al sindacato alla fine della cerimonia. Tutto questo sarebbe ironico se non fosse tragico.

Mentre la COB chiedeva l’immediata nazionalizzazione delle miniere, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, il 13 maggio 1952 Paz Estenssoro creava una commissione d’inchiesta sulla nazionalizzazione, che doveva fare rapporto entro… quattro mesi!

Quando, il 31 ottobre 1952, la nazionalizzazione delle miniere fu finalmente decretata, si trattò di una nazionalizzazione borghese, in realtà molto favorevole agli interessi dei baroni dello stagno, con indennizzi e concessioni per le imprese statunitensi. Ma ormai il fervore rivoluzionario dei primi giorni era entrato in una fase discendente e non poteva essere diversamente, visto che si era perso il momento decisivo.

Qualcosa di simile si verificò con la riforma agraria. La radicalizzazione nelle campagne era arrivata, anche se con un certo ritardo, ad un livello ancora più alto rispetto a quella dei lavoratori nelle città e nelle miniere. In particolare dal 1953 in poi, i contadini presero l’iniziativa e occuparono le terre dei “gamonales”. Un autore americano citato nel libro di Liborio Justo descrive il processo in questo modo:

I contadini non hanno avuto alcun ruolo nella rivoluzione dell’aprile 1952, ma una volta che il MNR è arrivato al potere, hanno fatto la loro rivoluzione. Si sono presi le terre e le hanno distribuite tra di loro. Nel 1953 le zone rurali delle grandi valli di Cochabamba, densamente popolate dagli indio quechua, costituivano una regione impenetrabile per gli ex proprietari terrieri, per tutte le persone sospettate di appartenere alla Rosca e per gli stranieri.

La legge sulla riforma agraria dell’agosto 1953 (dopo un’altra commissione d’inchiesta durata quattro mesi) legalizzava semplicemente ciò che le masse avevano già fatto e faceva tutto il possibile per stabilire un indennizzo per gli ex proprietari e anche per salvaguardare legalmente ciò che restava dei latifondi. Ad esempio, il terreno in cui il proprietario aveva fatto investimenti non era considerato un latifondo, e si fissava la quantità massima consentita di terreno nelle zone tropicali e subtropicali a 50mila ettari!

Tuttavia, i risultati ottenuti nel campo della riforma agraria (frutto dell’azione diretta dei contadini) sono stati più duraturi che in altri settori e hanno permesso al MNR di consolidare una base di consenso nelle campagne. Nonostante ciò, senza accesso al credito, ai macchinari e ad altri strumenti, molti di questi piccoli proprietari rurali creati dalla riforma agraria sono stati costretti, nel corso di decenni, a vendere o ad abbandonare le loro terre, producendo un nuovo ciclo di concentrazione della proprietà agricola in poche mani.

Questo processo di svuotamento dei contenuti della rivoluzione per cui le masse avevano combattuto nell’aprile 1952, portò a una crescente disillusione, alla burocratizzazione delle istituzioni rivoluzionarie (a partire dalla stessa COB) e infine al colpo di Stato di Barrientos nel 1964.

La maggior parte dei compiti che sono stati posti nel 1952 devono ancora essere risolti. Nel corso del Novecento ci furono altre due rivoluzioni in Bolivia, nel 1971 con la formazione delle assemblee popolari e nelle “giornate di marzo” del 1985, quando uno sciopero generale a oltranza durato dall’8 al 24 di marzo, con 10mila minatori arrivati da tutto il paese, pose direttamente la questione del potere. Nè la COB avanzò una parola d’ordine in tal senso, nè il POR la propose mai, facendo una battaglia al suo interno.

Per garantirne la vittoria delle future rivoluzioni che inevitabilmente si svilupperanno, è necessario costruire un partito rivoluzionario che apprenda da questi errori, radicato nelle organizzazioni di massa del proletariato boliviano e con una prospettiva chiara: il capitalismo non è stato in grado di risolvere nessuno dei problemi dell’arretratezza, del sottosviluppo e della dominazione imperialista; solo l’espropriazione dell’oligarchia, dei capitalisti, dei proprietari terrieri e degli imperialisti da parte della classe lavoratrice può farlo.

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