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La questione nazionale irlandese

di Roberto Sarti 

 

La questione dell’Irlanda del Nord è da sempre in primo piano per molti attivisti di sinistra e del movimento operaio italiano. L’oppressione plurisecolare dell’imperialismo inglese sull’isola, le migliaia di morti degli ultimi trent’anni, l’ennesimo processo di pace che sta andando in fumo, pongono interrogativi cui cercheremo di fornire una risposta in questo scritto.

Le origini

La colonizzazione inglese ebbe inizio nel XII secolo, ma l’occupazione vera dell’isola, attraverso guerre di sterminio e il trapianto di coloni inglesi e scozzesi in Irlanda, occuperà in realtà tutto il XVI e il XVII secolo. Se nel 1641 i cattolici detengono il 59% delle terre irlandesi, nel 1714 ne possiederanno solo il 7%. I contadini, scacciati dalle loro terre, soprattutto nel nord est (Ulster) e nel sud est, furono costretti a spostarsi nelle contee più occidentali e vennero sostituiti con i coloni della Gran Bretagna.

La creazione di questa nuova base protestante doveva servire a formare una minoranza artificiale, leale alla monarchia britannica. L’intera strategia dell’imperialismo britannico si basava e si baserà sulla politica del “divide et impera”, cioè “dividi e comanda”.

All’inizio del Settecento, dopo il definitivo trionfo della monarchia inglese, la maggioranza della popolazione irlandese fu colpita da una serie di dure leggi restrittive. Queste stabilivano che un cattolico non potesse ricoprire incarichi pubblici, votare, arruolarsi nell’esercito e, soprattutto, comprare appezzamenti di terreno. L’effetto di queste misure, e di tutte le altre prese dall’imperialismo inglese che aveva come religione di Stato l’anglicanesimo, nei secoli a venire, fu quello di portare la massa della popolazione ad identificarsi con la religione cattolica come sinonimo d’identità nazionale.

L’Irlanda doveva rimanere una colonia ad economia quasi esclusivamente agricola, una riserva alimentare per lo sviluppo industriale della Gran Bretagna. Lenin descrisse così questo processo:

La Gran Bretagna deve il suo brillante sviluppo economico e la prosperità della sua industria in larga misura al trattamento cui ha sottoposto i contadini irlandesi, trattamento che ricorda i crimini della Saltycika, proprietaria di servi della gleba in Russia. L’Inghilterra prosperava, mentre l’Irlanda deperiva e continuava ad essere un paese puramente agricolo, arretrato e semiselvaggio, un paese di miseri contadini fittavoli “.1

Contro una simile dominazione, rivolte periodiche erano inevitabili.

Nel 1798, sotto l’effetto della rivoluzione francese e di quella americana, scoppiava la rivolta degli United Irishmen (Irlandesi uniti), guidata dal giovane protestante Wolfe Tone. La lotta contro l’oppressione inglese aveva riunito assieme la piccola borghesia di Belfast e i piccoli proprietari delle contee di Antrim e Down, protestanti, con i contadini di Connaught e Wexford, cattolici.

Fin dall’inizio la rivolta fu però contrassegnata da tradimenti, confusione e disorganizzazione, elementi che, combinati con la repressione inglese, la condussero verso un esito tragico.

La sconfitta degli United Irishmen non era tuttavia casuale. Rifletteva l’atteggiamento delle diverse classi coinvolte e l’assenza di una borghesia, con una forza consistente, che volesse veramente lottare per l’indipendenza. Solo nel nord esisteva una borghesia nascente capace di giocare un ruolo rilevante, grazie al grande sviluppo dell’industria manifatturiera, ma essa era legata a doppio filo alla Gran Bretagna. Nel resto del paese la classe capitalista era troppo timida e debole per assumersi la direzione della lotta. Guardava alla Francia perché venisse a “liberarla”. Le classi più elevate erano talmente intimidite dal fatto che le tendenze più radicali dei contadini e delle classi meno abbienti prendessero il sopravvento, che preferivano a ciò la dominazione straniera. Dal 1798 in poi la borghesia irlandese sosterrà sempre più apertamente la repressione dei movimenti di massa.

Nel 1801 l’Atto d’Unione unificherà Irlanda e Inghilterra in un solo regno, diretta conseguenza della sconfitta di tre anni prima. Uno dei suoi effetti fu l’abolizione delle tariffe protettive votate dal parlamento irlandese, che determinò l’atrofia delle nascenti industrie dell’isola. L’attività produttiva fu limitata alla sola agricoltura. Allo stesso tempo si approfondivano le divisioni settarie, con l’istituzione dell’Orange Order, un’organizzazione reazionaria protestante esistente ancora oggi.

L’unione realizzò un sistema di sfruttamento da parte dei latifondisti e degli intermediari che combinava gli aspetti peggiori dello sfruttamento capitalista con l’appropriazione, grazie a metodi semifeudali, del surplus e spesso dell’indispensabile per vivere. Con la rivoluzione agraria, dalla metà del secolo scorso in poi, i proprietari terrieri si rifiutarono di dare in affitto i piccoli appezzamenti di terra per sostituirvi il pascolo, attuando estese operazioni di sfratto dei contadini.

Tra il 1855 e il 1866 un milione di irlandesi, emigrati o defunti, furono sostituiti con un milione di capi di bestiame.

Marx ed Engels

Marx ed Engels analizzarono approfonditamente le vicende irlandesi e videro nel movimento di liberazione nazionale una grande forza progressista. Ammiravano le tradizioni di lotta degli irlandesi, ma allo stesso tempo erano perfettamente coscienti dei loro lati deboli e della loro eterogenea composizione di classe. L’opposizione liberale della piccola borghesia urbana, capitanata da elementi come Daniel O’Connell, suscitava spesso in loro critiche severe, per il suo desiderio di giungere a compromessi con le classi dominanti inglesi, i suoi appelli alla moderazione, il suo timore di lasciare via libera alle energie rivoluzionarie del popolo.

Le simpatie dei due andavano a un’ala più radicale, orientata verso la liberazione rivoluzionaria dell’isola, che esprimeva nei suoi programmi le istanze della popolazione. Disapprovavano però, in movimenti come quello Feniano, dominante fra i ceti popolari, la tattica delle congiure avventuristiche e degli attentati terroristici nonché il loro rifiuto di stabilire contatti con il movimento operaio inglese.

Per quei signori il movimento operaio è pura eresia, e il contadino irlandese non deve sapere che gli operai socialisti sono i suoi unici alleati in Europa“.2

Il loro programma si basava sul riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo irlandese al pari di tutti gli altri popoli oppressi. Richiedevano l’abolizione dell’atto di unione e l’indipendenza per l’Irlanda. Questi punti avrebbero dovuto essere le parole d’ordine dello stesso movimento operaio inglese. L’indipendenza avrebbe, infatti, aiutato anche la classe operaia britannica, in quanto l’oppressione coloniale aumentava il potere della classe dominante sfruttatrice.

Per accelerare lo sviluppo sociale d’Europa, è necessario operare per la catastrofe dell’Inghilterra ufficiale. A questo fine, bisogna attaccarla in Irlanda. È questa il suo punto vulnerabile. Perduta l’Irlanda, è l’“Impero” britannico a crollare, e la lotta di classe in Inghilterra, fino ad oggi sonnolenta e cronica, assumerà forme acute“.3

Marx ed Engels non escludevano una successiva, volontaria e libera Federazione delle due isole, ma sulla base di un diverso sistema economico, un sistema socialista. Sul finire del secolo si definivano quindi due tendenze. Una, quella dei borghesi liberali, che si accontentava delle riforme che la Corona concedeva come sottoprodotto della lotta per la liberazione nazionale, e che non collegava la liberazione dell’Irlanda alla fine dell’opposizione di classe; a questo proposito il parlamento inglese aveva votato una serie di leggi sulla proprietà della terra che permettevano l’acquisto ai fittavoli irlandesi e sembrava orientato a concedere l’Home Rule, cioè l’istituzione di un parlamento irlandese che avesse il potere di legiferare sulle questione interne all’isola.

L’altra legava la lotta per l’autodeterminazione ad obiettivi rivoluzionari e si basava sul nascente proletariato urbano.

La classe operaia entra in scena

Nel 1907 James Larkin arrivò a Belfast da Liverpool per organizzare il Sindacato dei Portuali. Nel luglio cominciò uno sciopero di 500 portuali, che in seguito si estese ad altri settori, per rivendicare aumenti salariali e il riconoscimento dei diritti sindacali, ottenendo una vittoria parziale. Lavoratori protestanti e cattolici scendevano in lotta assieme. Gli interessi di classe si dimostrarono più forti delle divisioni religiose.

Gli anni tra il 1907 e il 1914 furono anni di ascesa della lotta di classe, in Inghilterra come in Irlanda. Il Sindacato irlandese dei trasporti (Itgwu), fondato da Larkin, che raggruppava anche lavoratori di altri settori, passò da 4.000 membri nel 1911 a 300mila nel 1913.

In quello stesso anno un episodio significativo fu la lotta nel settore delle linee tranviarie di Dublino. Il suo proprietario, Walter J. Murphy, voleva distruggere l’Itgwu e dichiarò la serrata insieme con altri datori di lavoro. 25mila lavoratori furono licenziati. Dopo una dura lotta i licenziati furono reintegrati, ma il fatto che Murphy era un membro del Partito nazionalista irlandese e un fervente sostenitore della Home Rule, come gli altri capitalisti coinvolti nella vertenza, non faceva certo avvicinare i lavoratori protestanti alla causa nazionalista.

La reazione intanto si organizzava. Nel 1912 100mila protestanti si radunavano in un sobborgo di Belfast contro la Home Rule. Un anno dopo 250mila abitanti dell’Ulster firmavano una petizione con una richiesta simile e costituivano un’organizzazione paramilitare, l’Ulster Volunteer Force (Uvf), di cui facevano parte 100mila membri. L’Uvf era una forza reazionaria dove trovavano posto gli strati più arretrati della società nordirlandese. Alla base c’erano lavoratori e piccoli borghesi, ma al vertice si trovavano nobili, avvocati, uomini d’affari, medici, ecc. Il grande capitale britannico finanziava tutta l’operazione.

L’indipendenza, come era stata concepita dai leaders nazionalisti, era un attacco al tenore di vita dei lavoratori protestanti. Il programma del Partito nazionalista comprendeva ad esempio il taglio dei finanziamenti al welfare per l’Irlanda. Anche il Sinn Fein, un nuovo movimento fondato nel 1900 caratterizzato da una fraseologia più radicale, rifiutava un approccio di classe. I suoi massimi dirigenti appoggiarono il padronato nello sciopero del 1913.

James Connolly

Come illustrato in precedenza, c’era invece chi disponeva di un chiaro atteggiamento di classe e aveva compreso l’analisi di Marx ed Engels. Il massimo esponente di questa corrente rispondeva al nome di James Connolly.

Irlandese di Edinburgo, formò alla fine del secolo il Partito socialista repubblicano d’Irlanda. Diventò uno dei principali organizzatori dell’Igtwu e dal 1914 Segretario generale. Secondo Connolly, “solo la classe operaia rimane l’erede incorruttibile della lotta per la libertà in Irlanda”. Riecheggiando la teoria della rivoluzione permanente di Trotskij, spiegava come i compiti della rivoluzione socialista e quelli della liberazione nazionale erano totalmente interconnessi. I lavoratori, assumendo il potere nelle loro mani, potevano procedere alla riforma agraria e distribuire la terra ai contadini, cosa che la borghesia nazionale era incapace di fare. Solo una rivoluzione socialista avrebbe potuto assicurare, espropriando la classe capitalista, un tenore di vita decente sia alle masse cattoliche sia a quelle protestanti.

Pochi giorni prima della sua morte, Connolly chiarì i suoi obiettivi: “Lottiamo per l’Irlanda agli irlandesi. Ma chi sono gli irlandesi? Non il latifondista che affama i contadini, non il capitalista assetato di profitti, non l’avvocato untuoso o il giornalista prezzolato. Non sono questi gli irlandesi da cui dipende il futuro. Non sono questi, ma la classe operaia irlandese costituisce le uniche fondamenta sicure sulle quali una nazione può essere costruita“.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, Connolly fu uno dei pochi ad opporsi al conflitto. I dirigenti nazionalisti parteciparono entusiasticamente alla guerra, pensando che la Corona li avrebbe ricompensati per la loro affidabilità. Migliaia e migliaia di irlandesi furono mandati al macello nella trincea di mezza Europa.

Nel frattempo, Connolly aveva già costruito un’organizzazione di autodifesa dei lavoratori dagli attacchi sempre più frequenti della polizia, l’Irish Citizen Army, nel 1914.

L’Insurrezione di Pasqua

Nel tentativo di fare nascere un movimento per la definitiva indipendenza e per dare il via a un’ascesa del conflitto di classe in Europa, Connolly con diversi esponenti di formazioni nazionaliste preparò l’Insurrezione di Pasqua del 1916. Poco più di mille uomini marciarono verso la Posta Centrale e altri edifici strategici di Dublino, prendendone possesso con relativa facilità. Nei giorni successivi la reazione dello stato inglese fu però spietata. Dato che ai rivoltosi mancava una reale base di supporto, dopo una settimana di scontri l’esercito riprese il controllo della città. Nei mesi successivi furono giustiziati novanta partecipanti all’insurrezione, tra cui lo stesso Connolly.

L’errore dell’Insurrezione di Pasqua non fu nel fatto che avvenne, ma che accadde troppo prematuramente. Connolly si sbagliava quando pensava che essa avrebbe dato il via a un movimento in Europa.

La teoria che un gruppo di persone, anche i lavoratori più determinati, può fungere da detonatore per movimenti di massa è falsa. Solo quando le condizioni per la lotta di massa esistono, solo quando le masse sono pronte a sacrificarsi in uno scontro anche duro, allora anche un piccolo gruppo di rivoluzionari può giocare un ruolo importante. La forza di alcune migliaia di uomini armati è limitata, ma essa, collegata alla forza schiacciante del movimento operaio organizzato, diventa ben altra cosa. Lo sciopero generale per fermare i rifornimenti alle truppe e fare entrare in scena le masse, era una proposta necessaria per cercare di fare vincere l’insurrezione. Ma Connolly non la fece.

Le condizioni per un’azione di massa rivoluzionaria non esistevano in Irlanda né in Europa nel 1916. A Dublino l’avanguardia della classe lavoratrice si sollevò, ma fu massacrata, prima che un movimento cominciasse in Europa. Connolly era morto, Larkin in prigione in America, senza che un partito marxista fosse stato creato per mantenere vive le idee e le tradizioni rivoluzionarie. Nel vuoto tutta una serie di elementi opportunisti presero il sopravvento, fregiandosi del nome di Connolly, come vedremo in seguito.

Lo sciopero del 1919

La guerra aveva arrestato la radicalizzazione sociale che era in atto nell’isola, ma la fine delle ostilità fece ritornare in prima linea il movimento operaio, che diventò la principale preoccupazione delle classi dominanti britanniche. Ne determinò l’atteggiamento negli anni a venire, lasciando il segno anche nelle formazioni Unioniste e trasformando il movimento nazionalista.

Nel 1919 si aprì una vertenza generale in Irlanda e Inghilterra per la riduzione dell’orario di lavoro. In Irlanda questa rappresentava il culmine di una serie di scioperi che coinvolgevano tutti i settori. Il 14 Gennaio 1919, 20mila metalmeccanici e lavoratori dei cantieri navali scesero in sciopero marciando in corteo per Belfast. Fu l’inizio di quattro settimane di sciopero che dimostrarono la forza della classe operaia. I lavoratori si impadronirono del governo della città, controllando ciò che funzionava e decidendo ciò che non doveva funzionare. Alla testa della lotta erano il comitato di sciopero e il consiglio dei Sindacati di Belfast (Belfast Trades Council).

Le divisioni religiose scomparvero durante il movimento. Testimone di ciò era la composizione del Comitato di sciopero, dove la maggioranza dei membri era protestante, ma il presidente era cattolico. Come nel 1907, ma a un livello superiore, si dimostrava che quando il movimento operaio avanza, il settarismo religioso indietreggiava. Solo i tentennamenti e le sconfitte davano la possibilità di riacquistare uno spazio a queste tendenze reazionarie.

Dopo un mese di lotta, i lavoratori di Glasgow, davanti al pericolo di un intervento dell’Esercito, ritornavano al lavoro. Belfast rimaneva isolata, i lavoratori solo attraverso una maggioranza risicata decidono di continuare lo sciopero: è allora che la polizia, cosciente di questa divisione, forza i picchetti e ristabilisce “l’ordine” in città. Lo sciopero era stato sconfitto, ma il Primo maggio seguente centomila persone partecipavano alla manifestazione di Belfast. I candidati del Partito laburista ottennero un ottimo risultato nelle elezioni locali dello stesso anno.

De Valera e Michael Collins

Nel sud il protrarsi della guerra, unito all’appoggio che i leaders nazionalisti moderati le davano, stava scontentando larghe fasce di popolazione. La coscrizione obbligatoria degli irlandesi a partire dal 1916 acuì questo processo. Nelle elezioni politiche del 1918 il Partito nazionalista passò da 80 seggi a sette, mentre il Sinn Fein ne conquistò 73. Il massiccio voto per il Sinn Fein dimostrava il passaggio delle masse irlandesi dal nazionalismo moderato al populismo e al radicalismo piccolo borghese. L’obiettivo non era più un’indipendenza limitata, ma la Repubblica.

Ma qual era il programma del Sinn Fein e dei suoi dirigenti, come Griffiths, De Valera e Michael Collins? La dichiarazione del Parlamento irlandese, illegale, affermava che “il diritto alla proprietà privata doveva essere subordinato al bene pubblico”; De Valera nei suoi discorsi rendeva omaggio a James Connolly. Allo stesso tempo questi uomini mantenevano buone relazioni coi capitalisti cattolici e con la gerarchia ecclesiastica, “i pilastri della nazione irlandese”.

Il movimento operaio deve aspettare, la nazione deve venire prima degli interessi specifici all’interno di essa, spiegava De Valera. Per usare una frase di Connolly, mentre i vecchi nazionalisti erano i nemici aperti della classe operaia, questi repubblicani radicali erano gli alleati più pericolosi.

La tragedia fu che i dirigenti del movimento operaio ascoltarono i consigli di quelli del Sinn Fein. William O’Brien, il segretario dell’Igtwu, sostenne il candidato del Sinn Fein in un’elezione suppletiva del 1917. I dirigenti dell’Igtwu accettarono di aderire ad un Fronte Nazionale insieme ai nazionalisti piccolo-borghesi.

Nel congresso dell’Itgwu nell’agosto 1918 si era deciso di cambiare il proprio nome in Irish Labour Party e di presentarsi alle imminenti elezioni. Sotto le pressioni di De Valera, e nonostante l’opposizione della base, i dirigenti laburisti decisero di ritirarsi “negli interessi della nazione”. Gli interessi della nazione erano in realtà gli interessi del capitale. L’unità nazionale del Sinn Fein era l’unita dei proletari e dei piccoli contadini cattolici dietro le bandiere dei partiti procapitalisti, a cui l’Irish Labour Party sacrificava l’unità dei lavoratori cattolici e protestanti.

Quale avrebbe dovuto essere il programma della classe operaia? Per unificare lavoratori cattolici e protestanti sarebbe dovuta andare oltre una serie di rivendicazioni “democratiche”.

Sì a una repubblica, ma a una repubblica dei lavoratori; non solo un parlamento, ma un’assemblea costituente rivoluzionaria che nazionalizzasse le fabbriche e la terra sotto il controllo della classe lavoratrice. Non il governo del “popolo irlandese”, ma dei lavoratori irlandesi; non solo indipendenza, ma indipendenza dal capitalismo britannico. Non solo contro l’oppressione nazionale, ma per una posizione internazionalista così da stringere i legami più saldi con la classe operaia britannica.

Verso la divisione

Il nazionalismo radicale del Sinn Fein non avrebbe mai potuto attrarre i lavoratori protestanti del Nord. Nel 1919 cominciarono le prime azioni dell’Irish Republican Army (Ira), l’Esercito repubblicano irlandese. L’imperialismo reagì con i metodi repressivi ben conosciuti. Nel 1920 fu imposto il coprifuoco nelle principali città, 5.000 repubblicani furono rinchiusi in prigione. Centinaia furono i morti nei due schieramenti.

La borghesia inglese capì che con la repressione militare si sarebbe forse tenuto sotto controllo la situazione, a fronte di un prezzo politico ed economico ben difficile da sostenere a lungo. Non poteva poi risolvere il problema di un movimento operaio che si stava sviluppando e che avrebbe potuto avere un effetto in Gran Bretagna. In questo periodo, infatti, grande era la simpatia dei lavoratori britannici verso la causa irlandese.

L’imperialismo fece di tutto per aumentare il settarismo. I pogrom e le atrocità commesse dalle squadracce unioniste avevano l’appoggio della Gran Bretagna. Le forze dell’ordine non fornivano alcuna protezione ai cattolici. In questo periodo il governo inglese fece la proposta che venisse costituita una speciale forza di polizia nell’Ulster: in altre parole che alle bande paramilitari protestanti fossero date uniformi ed armi direttamente da Sua Maestà (questa forza prese poi il nome di Royal Ulster Constabulary, Ruc).

La divisione dell’Irlanda non fu uno dei risultati della situazione interna irlandese. Come vedremo non fu imposta dal movimento nel Sud. Piuttosto i dirigenti repubblicani furono costretti a negoziare un cessate il fuoco sulla base delle condizioni dettate dall’imperialismo.

Non fu concessa nemmeno a causa della resistenza portata avanti dagli Unionisti. L’Uvf si sviluppò solo sulla base dell’appoggio della borghesia britannica. Se l’esercito inglese avesse voluto, all’epoca avrebbe distrutto le sue brigate, armate in maniera del tutto insufficiente.

La divisione fu imposta dall’imperialismo inglese per soddisfare le sue necessità, per tracciare un confine tra i lavoratori cattolici e protestanti in Irlanda, e tra il movimento operaio irlandese e quello inglese.

I dirigenti repubblicani accettarono il trattato, firmato nel dicembre 1921, da una parte perché la loro natura di classe li rendeva inclini al compromesso, dall’altra perché non vedevano alcuna possibilità di vittoria. Michael Collins stimava che nel 1921 l’Ira potesse contare su 2-3.000 uomini come veri combattenti, però avesse seri problemi di approvvigionamento d’armi e munizioni.

Ma soprattutto i metodi di lotta adottati, come le campagne di attentati e di terrorismo individuale, non potevano sconfiggere l’imperialismo. La storia dimostra che solo l’azione delle masse può cambiare la società.

In seguito all’accordo, una vera e propria guerra civile si scatenò nel sud, e le forze del nuovo Stato irlandese si scagliarono con violenza inaudita contro chi si opponeva al trattato. Questo non era però il frutto di un tradimento improvviso da parte di Collins o altri. Era la logica conseguenza dei metodi di lotta e delle forze sociali che l’avevano guidata.

Le divisioni si approfondirono anche fra la classe lavoratrice. Il Northern Ireland Labour Party (Nilp) adottò la teoria reazionaria che è stata sempre portata avanti dagli Unionisti, secondo cui gli interessi del movimento operaio del nord sono difesi meglio mantenendo il legame con il capitalismo inglese. Le idee di Collins andavano bene per i lavoratori cattolici. Queste idee rappresentarono sempre un enorme ostacolo per lo sviluppo dell’unità della classe lavoratrice e determinarono anche la sua disintegrazione negli anni settanta.

La lotta per i diritti civili

Dopo il 1945, l’imperialismo britannico aveva cambiato la sua strategia per l’Irlanda del Nord. L’Irlanda era stata divisa nel 1921 per mantenere il possesso delle industrie del Nord e delle importanti basi militari, ma soprattutto per impedire il diffondersi della rivoluzione sociale che accompagnò la lotta per la liberazione nazionale.

Nessuno di questi fattori esisteva più dopo il 1945. La guerra fredda aveva spostato i nemici dell’Inghilterra ad est e l’Ulster si avviava con il resto della Gran Bretagna verso un periodo di boom economico prolungato, mentre l’Eire si era stabilizzato come satellite delle potenze capitaliste più forti. Nel 1968 la Repubblica d’Irlanda era il quinto importatore di beni britannici.

I capitalisti britannici ed irlandesi prospettavano un processo graduale di costruzione di un’Irlanda unita, dove la Gran Bretagna avrebbe dominato, cioè un lungo periodo di stabilità per massimizzare i profitti.

L’opinione generalizzata secondo cui le differenze in Irlanda si sarebbero pian piano appianate spiega l’inerzia dei governi laburisti dell’immediato dopoguerra, dopo le vittorie elettorali del 1945 e del 1954. Al NILP era concesso un posto nella direzione nazionale del Labour Party. I suoi dirigenti preferivano ignorare la bomba ad orologeria che avevano sotto i piedi. Sotto la superficie enormi tensioni stavano montando, mentre cresceva il malcontento e la rabbia lasciate in eredità dalla divisione.

Ai padroni protestanti era stata concessa la facoltà di creare un regime antidemocratico, che impediva a 300mila lavoratori di votare (in gran parte, ma non esclusivamente, cattolici), gli Unionisti si assicuravano una loro maggioranza e si garantivano il controllo della macchina statale. Il censimento del 1961 dimostrava la natura discriminatoria del regime.

Nelle elezioni al parlamento di Stormont, sebbene ci fosse il suffragio universale, c’era anche un secondo voto per i laureati e per gli uomini d’affari. Dato che i cattolici erano di fatto messi al bando dall’educazione superiore e dai commerci, ciò dava ai protestanti circa 26mila voti in più. Nella contea di Antrim, dove vivevano quasi 67mila cattolici, tutti e sette seggi andavano agli unionisti!

Nelle elezioni amministrative la discriminazione era ancora più evidente. Oltre ai meccanismi sopra descritti, potevano votare solo i proprietari di case, impedendo il voto non solo di molti cattolici delle classi più basse, ma anche di molti lavoratori protestanti. A tutto ciò si aggiungeva una peculiare definizione dei collegi elettorali. A Derry anche con le leggi elettorali descritte sopra i cattolici erano chiaramente in maggioranza, ma gli Unionisti eleggevano 12 rappresentanti, i cattolici solo otto.

Il controllo delle amministrazioni locali rendeva inoltre molto difficile per i cattolici l’assegnazione di case popolari, nonché di posti di lavoro pubblici.

A metà degli anni sessanta l’attenzione dell’opinione pubblica era concentrata sulla lotta per i diritti civili della minoranza nera negli Usa. Era evidente a tutti che simili livelli di disuguaglianza erano presenti anche in Gran Bretagna.

Il movimento per i diritti civili cominciò anche in Irlanda del Nord. All’inizio i lavoratori cercarono di esprimersi attraverso le loro organizzazioni tradizionali. Malgrado che per tutto il dopoguerra il Nilp avesse continuato a difendere una posizione pro-unionista, a causa della pressione dal basso, nel 1965 si dichiarò a favore di eguali diritti per tutti e un anno dopo pubblicò un appello assieme ai sindacati per “una persona, un voto” e la ridefinizione dei collegi elettorali.

Ma i dirigenti del Nilp non diedero una direzione di classe al movimento, lasciandola ad elementi piccolo borghesi, che, confinando gli obiettivi del movimento ad eguali opportunità e guardando alla repubblica d’Irlanda come modello, si alienarono l’appoggio di molti lavoratori protestanti.

Questi ultimi hanno sempre temuto che una riunificazione su basi capitaliste con l’arretrata economia del Sud non avrebbe significato nient’altro che una ridivisione delle disuguaglianze.

Come ammise in seguito la leader del movimento per i diritti civili, Bernadette Devlin, “Capimmo che, anche se lo presentavamo nella maniera più amichevole possibile, più posti di lavoro per i cattolici voleva dire meno posti per i protestanti. La loro era una paura reale”.

Il 1969

Il mostro settario costruito dall’imperialismo sfuggì dal controllo. Le marce per i diritti civili furono attaccate brutalmente dalla Ruc e dai suoi reparti speciali, le B-Specials. Nell’agosto del 1969 si raggiunse l’apice della violenza. In due notti furono bruciate trecento case e uccise sei persone. 5.000 cattolici si rifugiarono nel sud dell’Isola.

Intanto si organizzava anche la resistenza. A Derry le forze dell’ordine erano state espulse dal quartiere di Bogside (“No-Go” areas). I lavoratori organizzavano da soli i servizi sociali e dirigevano la lotta contro la Ruc e le B-Specials dalle barricate, mentre i Giovani Socialisti controllavano la stazione radio locale, Free Derry.

Anche a Belfast e in altre città i lavoratori organizzavano la difesa delle loro case. Nei cantieri navali “Harland and Wolff” a maggioranza protestante, 8.000 lavoratori su 9.000 decisero di non partecipare ai pogrom settari.

Questa corretta reazione dei lavoratori mancava però di una direzione. Tutti i principali leaders del movimento operaio, infatti, appoggiarono l’invio delle truppe dell’esercito inglese, per “ristabilire la legge e l’ordine”.

Il governo laburista decise l’intervento perché impaurito non solo per l’“anarchia” regnante a Belfast e Derry, ma anche per gli effetti che gli avvenimenti avrebbero potuto avere nelle città inglesi, in cui vivevano centinaia di migliaia di lavoratori irlandesi. I dirigenti socialdemocratici, come sempre, si comportarono come fedeli servitori degli interessi della borghesia.

Anche la sinistra laburista, i dirigenti del movimento dei diritti civili, come John Hume o Bernadette Devlin, i gruppi dell’ultra sinistra difesero l’invio delle truppe. Anche l’Ira chiese “l’invasione di truppe”, basta che fossero quelle irlandesi, il che avrebbe avuto ugualmente esiti tragici.

Solo i marxisti, i Giovani Socialisti e il Partito Laburista di Derry avvertirono del pericolo: Le truppe sono state inviate per imporre una soluzione nell’interesse del grande capitale dell’Ulster. Entreranno nella zona (di Bogside, ndr) e ristabiliranno il controllo del governo preparando la strada per la Ruc.

I marxisti chiedevano il ritiro delle truppe, e al tempo stesso la formazione di una forza di autodifesa dei lavoratori, basata sui sindacati. Portavano avanti anche delle rivendicazioni che potessero unire i lavoratori protestanti e quelli cattolici.

Lo spostamento a sinistra della società irlandese era evidente, sia a nord, dove il Nilp prese 100mila voti nel 1970, sia a sud, dove l’Irish Labour Party arrivò al 17%, uno dei suoi migliori risultati. Il Nilp purtroppo rimase legato a una politica pro-unionista, proponendo un governo di coalizione con la destra Unionista.

Il nuovo governo conservatore di Heath, eletto nel 1970, portò avanti una nuova ondata di repressione, con centinaia di arresti e il coprifuoco sulle zone cattoliche di Belfast. Vennero varate leggi d’emergenza che prevedevano l’incarcerazione senza processo. Nel 1972 mille persone erano in carcere per effetto di queste leggi.

Il 30 gennaio 1972, nella cosiddetta “domenica di sangue”, 13 civili disarmati vennero uccisi dai soldati inglesi per le strade di Derry durante una manifestazione.

Nei giorni seguenti, 70mila persone parteciparono a un corteo di protesta a Newry e uno sciopero generale di tre giorni paralizzò l’Irlanda del Nord, con i lavoratori protestanti che cominciavano a partecipare alla lotta.

I dirigenti laburisti facevano solo timide critiche agli “eccessi dell’Esercito”, chiedendo un’inchiesta parlamentare e il governo diretto di Westminster sull’Ulster.

Provisional Ira

La reazione guadagnava sempre più spazio. I lavoratori e i giovani cattolici, in mancanza di un’alternativa, entrarono in massa nell’Ira per difendersi. Così fecero anche i protestanti nelle milizie paramilitari unioniste.

Nell’inverno del 1969 l’Ira si divise in due gruppi: gli “officials”, che si stavano spostando a sinistra, avvicinandosi alle idee del marxismo, e i “provisionals”, appoggiati finanziariamente e militarmente dai servizi segreti irlandesi e da settori della classe capitalista del Sud. Ovviamente questi ultimi si assicurarono che l’Ira limitasse i suoi attacchi al Nord, lasciando intatti i loro profitti e le loro proprietà.

Il principale obiettivo che i “Provos” si proponevano attraverso le loro campagne militari era quello di cacciare via l’Esercito e la maggior parte della comunità protestante (un milione di persone!) dall’Irlanda del Nord.

Il marxismo si è sempre opposto ai metodi del terrorismo individuale: è un vicolo cieco. La campagna di terrorismo individuale è ancora più folle nei paesi industrializzati, specialmente nell’Irlanda del Nord dove i “provos” non avevano neanche l’appoggio di tutta la popolazione cattolica. Questa campagna non avrebbe mai potuto sconfiggere l’esercito britannico, anche se fosse durata altri 25 o 50 anni. Il terrorismo individuale è controproducente perché viene usato come scusa da parte dello Stato per rafforzare il suo apparato e per applicare le leggi repressive. Lo Stato può sfruttare la repulsione provocata da questi metodi per attaccare e dividere i lavoratori. Le leggi introdotte contro il terrorismo sono state applicate anche in Gran Bretagna, in particolare la legge di Prevenzione del Terrorismo è stata usata per la prima volta contro attivisti del movimento operaio. Le azioni dell’Ira hanno fornito la scusa per giustificare livelli di sorveglianza che sarebbero stati inimmaginabili dieci anni fa. I centri delle città, le strade, le stazioni ferroviarie, i parcheggi sono sempre più attrezzati con telecamere che controllano e registrano ogni movimento delle persone. Il cosiddetto “anello di acciaio” intorno alla City di Londra, introdotto dopo la bomba dell’aprile 1993, con le sue videocamere e blocchi stradali è un’indicazione di quello che si possono permettere.

Come sempre, il terrorismo individuale si è dimostrato incapace di raggiungere la liberazione nazionale. Ha portato più di tremila morti in trent’anni, una generazione di militanti repubblicani perduta, l’aumento della reazione e gli accordi di pace del Venerdì Santo del 1998.

L’accordo del Venerdì Santo

L’accordo prevede la costituzione di una nuova Assemblea dell’Irlanda del Nord su base proporzionale e una struttura di divisione dei poteri piuttosto complicata. Contempla inoltre l’istituzione di tutta una serie di organismi di consultazione tra Londra e Dublino e tra Nord e Sud, nonché il disarmo di tutte le milizie. Il governo dell’Eire in seguito ha cambiato la Costituzione che rivendicava diritti sulle sei contee del Nord, Londra ha ritirato qualche reparto dell’Esercito.

Tutti hanno salutato l’accordo come l’inizio di un irreversibile processo di pace, ma le cose, come abbiamo visto negli ultimi dodici mesi, non sono andate del tutto lisce, ed ora il processo di pace è in una fase di stallo. Perché?

L’accordo, che si sarebbe potuto firmare in qualunque momento negli ultimi quattro o cinque anni, riflette il fallimento dei metodi del terrorismo individuale: dopo più di vent’anni di cosiddetta “lotta armata”, l’Ira è più lontana dall’obiettivo di un’Irlanda unita che all’inizio della sua campagna. Inoltre riflette il desiderio di molti lavoratori, sia cattolici sia protestanti, di vedere la fine della violenza e la nuova strategia del capitalismo britannico.

Le dichiarazioni di Adams, leader del Sinn Fein, non dicevano nulla sul confine, sul ritiro delle truppe britanniche o sull’Irlanda unita. È stata in realtà una totale capitolazione. I dirigenti dello Sinn Fein e dell’Ira sono stati costretti a riconoscere il vicolo cieco in cui si erano messi. Il reclutamento dei “provos” è crollato se paragonato ai livelli degli anni ‘70, ed insieme a questo anche il loro appoggio nei quartieri cattolici.

La strategia del “Mitra in una mano e l’urna elettorale nell’altra”, con la speranza di sorpassare l’Sdlp (Partito laburista socialdemocratico, con un certo appoggio tra i cattolici, ndr), è fallita. Con Adams la direzione si è impegnata a “moderare” il programma e parla ora di una “soluzione politica”. Il triste spettacolo di Adams che stringe la mano a Clinton, il rappresentante dell’imperialismo Usa, dà un’idea della degenerazione politica della direzione repubblicana.

I politicanti borghesi del sud hanno da tempo abbandonato l’idea di unificare l’isola. La spesa pubblica dell’Eire ammonta a circa 14 miliardi di sterline all’anno. Non riuscirebbero mai a sopportare il peso dei quattro miliardi di sterline che ogni anno il governo britannico destina all’Ulster solo per mantenere lo status quo.

La classe dominante britannica sarebbe ben disposta a vedere un’Irlanda capitalista unita, dato che questa rimarrebbe subordinata economicamente e politicamente all’imperialismo britannico.

Purtroppo, per loro, hanno creato un mostro come Frankenstein nel settarismo protestante. Giocando la carta “Orange” con la politica del “divide et impera”, l’imperialismo britannico ha lasciato un’eredità che non può essere facilmente cancellata. I protestanti combatteranno con ogni mezzo per fermare la creazione di un’Irlanda unita dove loro verrebbero considerati e trattati come cittadini di seconda categoria.

Il capitalismo si è dimostrato totalmente incapace di risolvere i problemi materiali dei lavoratori, sia al Nord sia al Sud. Il sistema economico è responsabile della disoccupazione e la povertà, che affliggono le masse lavoratrici, sia protestanti sia cattoliche. Secondo le cifre ufficiali, per mantenere l’attuale livello di spesa sociale del Nord, in un’Irlanda unita bisognerebbe aumentare di un 20-30% le imposte. I soldi che potrebbero impegnarsi ad elargire Clinton e l’Unione Europea (si parla di una cifra intorno ai 150 milioni di dollari) sono noccioline.

La divisione di poteri fra due comunità è stata tentata più volte, ad esempio nel Libano e a Cipro, da parte dell’imperialismo inglese. In ambedue i casi il risultato è stata la guerra civile, tra cristiani maroniti e musulmani in Libano e tra turchi e greco ciprioti, con l’intervento dell’esercito turco a Cipro.

Trimble e gli altri dirigenti protestanti più moderati avevano firmato l’accordo cercando di approfittare della situazione economica favorevole. L’Irlanda del nord è la regione d’Europa che ha avuto la crescita economica più rapida negli ultimi tre anni e il volume degli scambi commerciali tra Nord e Sud è aumentato del 50%. Ricordiamoci che l’Orange Order rappresenta gli interessi della classe media protestante, che quando sente parlare di profitti, mette da parte qualunque credo religioso. Ma il Partito Unionista Democratico (Udp) di Ian Paisley ha ancora un seguito considerevole, anche se non è più in grado di organizzare uno sciopero generale reazionario, come nel 1974 contro gli accordi di pace di Sunnigdale. Le sue pressioni hanno spinto Paisley a mostrare il muso duro sulla questione del disarmo dell’Ira, che ovviamente i protestanti vorrebbero fosse unilaterale.

Ci sono 100mila protestanti armati e pronti a combattere. Chi a sinistra parla tranquillamente di togliere il veto protestante, non riesce ad afferrare che il vero veto si trova in questa forza armata. Un tentativo serio di andare verso un’Irlanda unita su basi capitaliste inevitabilmente porterebbe ad una guerra civile, nella quale potrebbero essere coinvolte anche le forze “ufficiali” protestanti, come la Ruc e l’esercito dell’Irlanda del Sud. Vedremmo ripetuti gli orrori della Jugoslavia. Ciò porterebbe inevitabilmente ad una nuova spartizione dell’Irlanda con la creazione di un piccolo Stato protestante al Nord.

Attualmente i cattolici hanno enormi illusioni nel “processo di pace”. La domanda da porsi è: quanto può durare? La verità è che i partiti principali ora credono che il meglio che si possa ottenere non sia un’Irlanda unita, ma una qualche forma di Stato semi-autonomo con legami sia con la Gran Bretagna sia con la Repubblica del Sud. Sperano che questo possa soddisfare le rivendicazioni di tutti, o almeno dei dirigenti.

Tuttavia è certo che ci vorrà molto per convincere i gruppi come l’Uvf o l’Udp e gli strateghi borghesi più seri credono che non ci si riuscirà. Nel caso in cui si riesca ad imporre un tale accordo, l’esercito britannico dovrà pattugliare le zone protestanti di Belfast per “sistemare” i paramilitari. È sempre stata questa la speranza dell’Ira quando parlava di una “ritirata scaglionata”.

Qualsiasi “accordo” più che mettere fine al conflitto (con i 3.000 morti e più di 30mila feriti sino ad oggi) getterà le basi per una crisi più seria. Sicuramente nessuno dei gruppi paramilitari si scioglierà e da ambedue le parti continueranno operazioni di racket di stampo mafioso, alle quali molti dei dirigenti si sono abituati in passato. Un esponente unionista spiegava come il partecipare nella direzione di un’organizzazione paramilitare, ti dà un certo carisma in società. A breve termine, data la stanchezza dopo tanti anni di guerriglia, la “pace” potrà reggere. Ma a lungo termine qualsiasi “accordo” che riusciranno a mettere insieme, a prescindere da eventuali aiuti statunitensi e dell’Unione Europea, non riuscirà a risolvere i problemi di fondo dei lavoratori. Tali problemi, la disoccupazione, la questione della casa e dei servizi sociali, la discriminazione, potranno far ritornare di nuovo in auge il terrorismo.

Un’Irlanda socialista

C’è solo un fattore che può evitare questa prospettiva, la forza del movimento operaio. La classe lavoratrice irlandese ha una grande tradizione di lotte, sia al Nord sia al Sud. I movimenti dei lavoratori nel Sud o nella Gran Bretagna potranno fare da scintilla per nuovi movimenti al Nord. I sindacati sono tuttora tra le poche organizzazioni che raggruppano nei propri ranghi sia lavoratori protestanti sia cattolici, con 225mila membri: una loro azione potrebbe spezzare il settarismo. A questo andrebbe aggiunta una conferenza dei sindacati dalla quale far nascere un partito dei lavoratori.

Con un programma socialista, un partito operaio sarebbe in grado di sfidare i partiti unionisti ed agire da faro per i lavoratori cattolici e protestanti. Farebbe venire alla luce le questioni di classe e metterebbe da parte il settarismo.

Solo risolvendo i problemi sociali sarà possibile trovare una soluzione alla questione nazionale. Un partito operaio nel Nord, basandosi sui sindacati e con un programma socialista, sarebbe in grado di superare la divisione settaria e promuovere un movimento verso un’Irlanda Unita socialista. Questo sarebbe legato alla lotta per una Gran Bretagna ed un’Europa socialiste. Questa è l’unica via d’uscita realistica per i lavoratori e l’unica alternativa al settarismo e alla violenza.

Aprile 1999

 

Note

1. Marx Opere, vol. 20, pag. 137, Editori Riuniti, 1966

2. Engels a Marx, “L’Irlanda e la questione irlandese”, pag. 269, Ediz. Progress, 1975

3. Marx a Paul e Laura Lafargue, op. cit., pag. 275

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