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La Quarta Internazionale e lo scontro Stalin-Tito

 

Dopo la serie di articoli dedicati al dibattito nella Quarta Internazionale nel dopoguerra, presentiamo oggi un testo sulla questione “jugoslava”. A seguito della rottura tra l’Unione Sovietica di Stalin e la Jugoslavia di Tito nel 1948, infatti, la direzione della Quarta Internazionale, che fino a quel momento aveva sostenuto che in Jugoslavia (così come nel resto dell’Europa dell’est) esistesse ancora il capitalismo, ribaltò completamente la sua linea facendo notevoli aperture nei confronti dei comunisti jugoslavi. Ancora una volta fu la sezione britannica della Quarta, il Revolutionary Communist Party (RCP), a contrapporre un’analisi corretta, presentando il confitto tra Mosca e Belgrado per quel che era: uno scontro tra due burocrazie, che impiegavano gli stessi metodi e perseguivano interessi nazionali in confitto tra loro. Anche in questo caso i termini della polemica verranno ricostruiti attraverso i documenti originari dell’epoca. Cominciamo oggi pubblicando, per la prima volta in italiano, una lettera scritta nel 1948 da Jock Haston, allora segretario all’RCP, alla direzione internazionale sulla natura del regime di Tito; il testo è preceduto da una nota introduttiva di Jacopo Renda.

                                                                                                                      La redazione 

 

 

Introduzione

La seguente lettera, indirizzata al Comitato esecutivo internazionale della Quarta Internazionale da parte del dirigente del Partito Comunista Rivoluzionario britannico Jock Haston, non è stata datata, ma fu presumibilmente scritta nell’estate del 1948 e non venne mai pubblicata su Fourth International, il bollettino internazionale della Quarta, che pure pubblicò numerosi articoli sulla questione jugoslava.

La lettera faceva seguito alle due lettere inviate dal Segretariato Internazionale della Quarta Internazionale al Comitato Centrale del Partito Comunista Jugoslavo (PCJ) nel luglio del 1948.1 Infatti in seguito alla rottura tra Tito e Stalin, avvenuta nel giugno 1948, i dirigenti della Quarta prospettarono erroneamente l’inizio di “processo di disintegrazione convulsiva delle stalinismo”.2

Ancora nel II Congresso della Quarta Internazionale, svoltosi a Parigi nell’aprile del 1948, la Jugoslavia veniva erroneamente definita un paese capitalista. Negli anni successivi i dirigenti della Quarta considerarono il regime di Tito prima un regime “centrista di sinistra”3 e successivamente addirittura uno “Stato operaio relativamente sano”. Si spinsero oltre giungendo alla conclusione che in Jugoslavia “lo stalinismo non esiste praticamente più come fattore importante del movimento operaio”.4 L’RCP si oppose a questa visione che rappresentava un elemento della deriva opportunista del gruppo dirigente della Quarta. Questa non era dovuta “all’assenza di informazioni sugli eventi e sulle istituzioni jugoslave”, come si dichiarava nella risoluzione già citata del 1951, né si svolse all’unanimità all’indomani del 28 Giugno 1948, come sostenuto nella stessa.

Questa lettera, ripresa da vari articoli di Ted Grant a partire da quello comparso sull’organo dell’RCP, Socialist Appeal, nel giugno 1948 dal titolo “Dietro lo scontro Stalin-Tito”5 è l’ennesimo capitolo della battaglia contro la degenerazione della Quarta Internazionale che abbiamo documentato in numerosi articoli di questo sito.

                                                                                                                      Jacopo Renda

 

di Jock Haston

 

Lettera sulla Jugoslavia inviata al Comitato esecutivo internazionale dall’RCP britannico  

Cari compagni,

La disputa tra la Jugoslavia ed il Cominform6 offre alla Quarta Internazionale una grande opportunità per dimostrare ai militanti dei partiti stalinisti quelli che sono i metodi burocratici dello stalinismo. È possibile mettere in evidenza il modo in cui le direzioni staliniste impediscono qualsiasi vera discussione sul conflitto, distorcendo i fatti e nascondendo ai compagni le risposte da parte della direzione del Partito Comunista Jugoslavo (PCJ). Sottolineando tali aspetti dell’espulsione jugoslava, possiamo esercitare una profonda influenza sui militanti dei partiti comunisti.

Tuttavia, il nostro approccio a questo evento di vitale importanza deve essere basato su dei principi. Non possiamo dare credito, con il nostro silenzio, alle politiche e al regime del PCJ, a qualunque impressione secondo cui Tito o i leader del PCJ sarebbero trotskisti, oppure non sarebbero molto lontani dal trotskismo. La nostra denuncia dei metodi burocratici utilizzati per espellere il PCJ non deve trasformarci negli avvocati della dirigenza del PCJ, o creare anche la più remota illusione che questi non rimangano, nonostante la rottura con Stalin, stalinisti nei metodi e nella formazione.

Secondo la nostra opinione, le Lettere Aperte del Segretariato Internazionale al congresso del PCJ non soddisfano queste condizioni essenziali. Non sono riuscite a porre chiaramente e direttamente quali fossero gli errori non solo del partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), ma anche dello stesso PCJ. L’intero approccio ed il tono generale delle lettere creano l’illusione che la dirigenza del PCJ sia comunista, che abbia sbagliato in passato, ma che ora, per la prima volta, stia scoprendo i mali dei metodi burocratici di Mosca. Quando invece si tratta di una dirigenti che hanno aiutato attivamente la burocrazia e sono stati agenti di quest’ultima in passato.

Le lettere sembrano basate sulla prospettiva che la dirigenza del PCJ possa essere attratta verso la Quarta Internazionale. Sotto la pressione dagli eventi sono avvenute mutazioni singolari in alcuni individui, ma rimane estremamente improbabile, per usare un eufemismo, che Tito ed altri dirigenti del PCJ possano diventare ancora bolscevichi-leninisti. Tremendi ostacoli sbarrano la strada a questa eventualità: le tradizioni del passato e la formazione stalinista, oltre al fatto che questi stessi dirigenti sostengono un regime burocratico stalinista in Jugoslavia. Le lettere hanno fallito nell’indicare la natura di questi ostacoli, non riuscendo a sottolineare che, per far sì che la dirigenza del PCJ diventi comunista, non è sufficiente che essa rompa con lo stalinismo, ma deve ripudiare il suo stesso passato, i suoi metodi stalinisti e riconoscere apertamente la sua responsabilità nella costruzione della macchina che ora viene usata per schiacciarla. Non si tratta di una situazione in cui dei comunisti si trovano ad affrontare un “terribile dilemma”, con una “responsabilità enorme” che pesa su di loro, ai quali noi offriamo il nostro modesto parere. Si tratta di burocrati stalinisti che dovrebbero diventare comunisti.

La finalità di tali Lettere Aperte non può che essere limitata. Mettendo sul piatto un’analisi corretta e ragionata del ruolo della burocrazia stalinista e della dirigenza del PCJ, offrendo sostegno al PCJ in una battaglia comunista chiaramente definita, le Lettere Aperte sarebbero potute diventare un utile mezzo di propaganda, favorendo l’avvicinamento degli elementi di base alla ricerca di una direzione comunista.

Nel loro stato attuale, purtroppo, a causa del loro silenzio su aspetti fondamentali del regime jugoslavo e delle politiche del PCJ, le lettere assumono un tono opportunista.

Non ci risulta che i militanti comunisti più coraggiosi ed indipendenti “siano oggi stimolati dalle vostre [del PCJ] gesta.” La crisi del Cominform ha piuttosto portato confusione nei ranghi dei partiti comunisti e disorientato i loro sostenitori. Questo ci avvantaggia, ma, nonostante sia relativamente facile denunciare le macchinazioni del Cominform, c’è anche una parziale verità nelle sue accuse a Tito (in particolare riguardo al regime interno e al Fronte Nazionale). Questo provoca un sentimento di avversione nei confronti dei dirigenti del PCJ tra le fila dei militanti stalinisti, offrendoci l’opportunità di conquistare questi militanti non alla causa di Tito, bensì a quella trotskista.

Tito sta tentando, e continuerà a tentare, di seguire un percorso indipendente tra Mosca e Washington, senza alterare la macchina burocratica e senza orientarsi verso l’internazionalismo proletario. Un regime burocratico, che si basa prevalentemente sui contadini, non può avere una prospettiva autonoma tra l’Unione Sovietica e l’imperialismo americano. Il principale obbiettivo delle lettere avrebbe dovuto essere quello di mostrare la necessità di un cambiamento radicale rispetto alle politiche attuali del PCJ, a partire dall’introduzione di una democrazia di tipo sovietico nel partito e nello Stato, accompagnata da una politica di internazionalismo proletario. La questione deve essere posta ai militanti iugoslavi non come una scelta tra tre alternative – la burocrazia russa, l’imperialismo americano e l’internazionalismo proletario – ma, prima di tutto, come una scelta tra la democrazia proletaria nel regime e nel partito, l’internazionalismo proletario, e l’attuale sistema burocratico destinato inevitabilmente a soccombere davanti alla burocrazia russa o all’imperialismo americano.

Le lettere del Segretariato analizzano la disputa esclusivamente sul piano della “interferenza” della dirigenza del PCUS, come se si trattasse solamente di un problema di quella direzione che cerca di imporre la sua volontà senza considerare “le tradizioni, le esperienze e le relazioni” dei militanti. Ma non si tratta soltanto del tentativo di un partito comunista di rendersi indipendente dai diktat di Mosca. Si tratta del tentativo di un pezzo dell’apparato burocratico di raggiungere tale indipendenza. È vero che per alcuni aspetti la posizione di Tito è un prodotto della pressione delle masse contro le pressioni della burocrazia russa, contro l'”unità organica” richiesta da Mosca, del malcontento per gli standard degli esperti russi, della pressione dei contadini contro la collettivizzazione troppo rapida. Ma d’altra parte va tenuto conto del desiderio dei dirigenti iugoslavi di mantenere una posizione burocratica indipendente e delle loro aspirazioni per il futuro.

Non è sufficiente far ricadere i crimini dello stalinismo internazionale solo sulle spalle dei dirigenti del PCUS. Rispetto alla Jugoslavia, ma anche ad altre nazioni, la Lettera Aperta da la falsa impressione che sia la dirigenza russa ad essere la sola responsabile di questi crimini. Immaginare le relazioni all’interno del movimento stalinista internazionale nella maniera in cui lo fa la lettera della SI – secondo cui i leader del PCUS avrebbero “forzato Thorez a disarmare i partigiani francesi”, “forzato i comunisti spagnoli a dichiarare […] che l’esproprio delle fabbriche […] era “un tradimento””, completamente proibito ai dirigenti dei partiti comunisti nei paesi capitalisti di parlare di rivoluzione” – può creare l’illusione che i leader dei partiti stalinisti nazionali potrebbero essere dei buoni rivoluzionari, se solo Mosca glielo permettesse. È vero che la degenerazione dei partiti comunisti è stata causata fondamentalmente dalla degenerazione dell’Unione Sovietica, ma la malattia del movimento stalinista è stata anche causato dalla corruzione dilagante delle direzioni nazionali, che sono legate a doppio filo alla macchina burocratica. Questi dirigenti hanno partecipato attivamente alla preparazione dei loro crimini. È stato così anche per Tito, che non certo stato “obbligato” in passato ad esaudire i desiderata di Mosca.

Non è ammissibile farfugliare a proposito della natura del PCJ, sul suo essere identico nei punti fondamentali agli altri partiti stalinisti. Questo tipo di incertezza può solo disorientare i lavoratori stalinisti. Eppure il Segretariato ha compiuto ogni tipo di tentativo per ridurre la distanza che separa le politiche del PCJ dal bolscevismo-leninismo. Non si può trarre altra conclusione da dichiarazioni come le seguenti:

“[…] Il Cominform vi accusa di non capire l’“internazionalismo proletario” e di seguire una politica nazionalista. Questo viene detto dalla stessa dirigenza russa la cui propaganda sciovinista durante la guerra […] è stata la causa principale della mancanza di una rivoluzione in Germania. Al contrario [nostra enfasi] in Jugoslavia il movimento partigiano è stato capace di attirare nei suoi ranghi migliaia di soldati proletari provenienti dagli eserciti di occupazione. Questo è stato detto da Togliatti, che non ha esitato a schierarsi sulla stessa linea dei veri fascisti del Movimento Sociale Italiano (MSI), in una campagna sciovinista per il ritorno alla patria capitalista delle sue ex colonie. Ed è stato detto da Thorez, la cui isteria nazionalista sulla questione delle riparazioni per la Francia imperialista è gradita agli eredi borghesi di Poincaré.”

È vero che gli stalinisti jugoslavi hanno affrontato, con un certo successo, il problema nazionale all’interno del loro paese. È stato il loro programma su questa questione che ha permesso loro di conquistare i soldati delle armate collaborazioniste. Nonostante ciò, i compagni devono tenere presente che la propaganda del PCJ rispetto alla Germania aveva lo stesso carattere sciovinista di quella russa e degli altri partiti stalinisti. La lettera del Segretariato affronta la questione dell’internazionalismo proletario in astratto, senza esaminare concretamente le politiche presenti e passate del PCJ. Sarebbe stato sicuramente necessario indicare nel concreto cosa significhi internazionalismo proletario, parlando delle politiche passate e presenti del PCJ, il quale non è stato meno sciovinista di altri partiti stalinisti. Il Segretariato Internazionale menziona lo sciovinismo di Togliatti, l’isteria nazionalista di Thorez e lascia l’impressione di un bilancio favorevole al PCJ nel confronto con le politiche di altri partiti stalinisti. Non possiamo rimanere in silenzio sulla campagna sciovinista del PCJ rispetto a Trieste, sul loro atteggiamento rispetto alle riparazioni di guerra ed al loro supporto acritico alla richiesta della burocrazia russa di ottenere riparazioni di guerra da parte del popolo tedesco. È necessario affrontare queste questioni in modo che sia chiaro quale sia esattamente la differenza tra una politica nazionalista e una politica internazionalista, e contro cosa debbano lottare i militanti jugoslavi.

Ma c’è un altro aspetto delle lettere del Segretariato che non può passare senza che il Comitato esecutivo internazionale prenda una posizione ed esprima un’opinione.

La maggioranza del Congresso Mondiale ha adottato una posizione secondo la quale le nazioni “cuscinetto”7, inclusa la Jugoslavia, sarebbero paesi capitalisti, respingendo la risoluzione dell’RCP secondo la quale queste economie si stavano allineando a quella dell’Unione Sovietica e non potevano essere definite capitaliste. L’emendamento del partito britannico al paragrafo “L’URSS e lo stalinismo” fu bocciato. Ma è evidente da queste lettere che il Segretariato Internazionale è stato costretto dagli eventi a procedere secondo il punto di vista del partito britannico, per cui i rapporti produttivi e politici in Jugoslavia sono sostanzialmente identici a quelli dell’Unione Sovietica.

Se in Jugoslavia ci fosse veramente uno Stato capitalista, allora le lettere del Segretariato potrebbero essere caratterizzate solo come sfacciato opportunismo. Il Segretariato non pone per la Jugoslavia i compiti che sarebbero necessari se le relazioni borghesi vi esistessero come forma dominante. Le lettere sono basate su conclusioni che possono derivare solo dalla premessa che il sostanziale rovesciamento del capitalismo e del latifondismo sia effettivamente avvenuto.

La seconda lettera aperta pone diverse condizioni necessarie affinché la Jugoslavia possa andare avanti con un vero progresso rivoluzionario e comunista. Eppure, in nessun passaggio del testo, fa appello alla distruzione dei rapporti di produzione borghesi nell’economia ed al rovesciamento del sistema e del regime borghesi. Gli obbiettivi indicati nella lettera sono i seguenti:

“I comitati del Fronte […] devono divenire gli organi di una democrazia sovietica […]”

“Revisionare l’attuale Costituzione [basata su quella dell’Unione Sovietica]”

“Ammettere in linea di principio il diritto dei lavoratori di organizzare altri partiti della classe lavoratrice, a condizione che questi ultimi si collochino nel quadro della legalità sovietica […]”

“Ottenere la più ampia partecipazione delle masse nell’ambito della pianificazione […]”

“Stabilire la piena sovranità dei comitati di fabbrica […] per instaurare un vero e proprio controllo della produzione da parte dei lavoratori.”

E via dicendo. In nessun passaggio il Segretariato ha sentito la necessità di incitare i lavoratori iugoslavi al rovesciamento del capitalismo. Se il Segretariato avesse dovuto basarsi sul documento del Congresso Mondiale, questa avrebbe dovuto essere la prima e più importante rivendicazione. I compagni ricorderanno che il documento congressuale da come prima motivazione del perché “la natura capitalista della “zona cuscinetto” è evidente” il fatto che “da nessuna parte la borghesia in quanto tale è stata distrutta o espropriata.” Perché non c’è menzione di questo nelle Lettere Aperte? Delle sette condizioni fornite dal documento del congresso come motivazione della natura capitalista “evidente” della Jugoslavia e di altri paesi cuscinetto, la lettera del Segretariato ne menziona solamente una, la nazionalizzazione della terra. Ma anche in questo caso, il fallimento nella nazionalizzazione della terra non viene preso in considerazione come motivo per provare la natura capitalista della Jugoslavia. Invece, questo punto viene sollevato per indicare, correttamente, che la nazionalizzazione della terra è necessaria al fine di combattere la concentrazione del profitto e dei terreni nelle mani dei kulaki. La questione viene sollevata nel contesto generale della lettera, come consiglio per lo sviluppo socialista dell’agricoltura in una nazione dove il capitalismo ed il latifondismo sono già stati rovesciati, ma il pericolo di un nuovo sfruttamento è ancora presente nelle campagne.

Non solo gli obbiettivi principali posti nelle Lettere Aperte sono identici a quelli che dovrebbero essere portati avanti per purificare uno Stato simile per rapporti politici e di produzione all’Unione Sovietica, ma dobbiamo aggiungere che nel teso si dà l’impressione che queste relazioni siano molto più sane che in Russia.

Gli articoli che appaiono nella nostra stampa internazionale hanno rivelato una cosa: le tesi adottate dal Congresso Mondiale non hanno fornito una guida chiara per comprendere i problemi sorti dalla frattura tra il Cominform e la Jugoslavia ed i compiti dei rivoluzionari in rapporto al regime ed alla sua base economica.

Ci appelliamo al Comitato esecutivo internazionale affinché respinga l’orientamento della Lettera aperta, corregga e ripari il danno che è stato fatto, riaprendo la discussione sulle zone cuscinetto e adeguando la nostra posizione ai reali sviluppi economici e politici di questi paesi.

Saluti fraterni,

Vostro

J. Haston

a nome del Comitato Centrale dell’RCP

 

Note

  1. Il testo delle due lettere, in inglese, è reperibile ai seguenti link: https://www.marxists.org/history/etol/document/icl-spartacists/prs4-yugo/is-1july.html e https://www.marxists.org/history/etol/document/icl-spartacists/prs4-yugo/is-13july.html
  2. Pablo, L’affaire Tito, agosto 1948, pubblicato in Fourth International, dicembre 1948
  3. Pablo, L’evoluzione del centrismo jugoslavo, pubblicato in Fourth International, ottobre 1949
  4. Risoluzione approvata al III congresso mondiale del 1951
  5. L’articolo verrà prossimamente pubblicato su questo sito.
  6. Dopo lo scioglimento della Terza internazionale nel 1943, Stalin aveva creato una nuova organizzazione internazionale nel 1947, il Cominform, allo scopo di inquadrare e tenere sotto controllo i partiti comunisti europei.
  7. Con paesi “cuscinetto” si intendevano all’epoca gli Stati dell’Europa orientale in cui i partiti comunisti erano arrivati al potere nel dopoguerra.
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