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La natura dello stalinismo

di Ted Grant

 

La controversia sul carattere di classe dell’Urss

Secondo Lenin, lo Stato

“(…) è sempre stato e si componeva di un gruppo di persone la cui occupazione era esclusivamente, o quasi esclusivamente, o essenzialmente, il governo. Gli uomini si dividono in governati e in specialisti nel governare, cioè in coloro che si ergono al di sopra della società, e che si chiamano governanti, rappresentanti dello Stato.

Questo apparato, questo gruppo di uomini che governano gli altri, prende sempre nelle proprie mani un certo apparato di costrizione, di forza fisica, di violenza sugli uomini, esercitata per mezzo del randello primitivo oppure, nell’epoca dello schiavismo, per mezzo di un tipo di arma più perfezionato, oppure per mezzo dell’arma da fuoco apparsa nel Medioevo o, infine, dell’arma moderna che nel XX secolo è un miracolo tecnico basato interamente sull’ultima parola della tecnica moderna.

I metodi di violenza sono cambiati; ma sempre, da quando esiste lo Stato, c’è stato in ogni società un gruppo di persone che governavano, che comandavano, che dominavano e che per mantenere il potere avevano nelle loro mani un apparato di costrizione fisica, un apparato di violenza, con un armamento corrispondente al livello tecnico di ogni epoca. Soltanto osservando questi fenomeni generali, chiedendoci perché non esisteva lo Stato quando non vi erano classi, quando non vi erano sfruttatori e sfruttati, e perché esso sorse quando sorsero le classi, troviamo una risposta precisa alla questione concernente la natura dello Stato e il suo significato.

Lo Stato è una macchina per mantenere il dominio di una classe sull’altra.”1

Perché, come affermava Marx, la classe operaia non può impossessarsi della macchina statale capitalista così com’è e usarla per i propri fini? Non per motivi mistici, ma per certi fatti ben concreti. Nello Stato moderno tutte le posizioni chiave sono nelle mani di quelle persone che sono sotto il controllo della classe dominante; esse sono state specificamente selezionate, per educazione, concezioni e condizioni di vita, per servire gli interessi della borghesia. Il modo di pensare degli ufficiali dell’esercito, in particolare dei gradi più alti, dei funzionari civili e dei tecnici più importanti è plasmato per servire gli interessi della classe capitalista. Tutte le posizioni dominanti nella società sono nelle mani di persone di cui i capitalisti possono fidarsi. È per questo che la macchina statale è un mezzo nelle mani dei capitalisti che non può essere usato dalla classe operaia, e che quest’ultima deve distruggere e spazzare via. Ora, che cosa comporta la distruzione della macchina statale?

È possibile che molti, forse anche la maggioranza, dei funzionari dello Stato capitalista vengano usati dalla classe operaia una volta che essa salga al potere. Ma saranno subordinati ai comitati e alle organizzazioni operai. Per esempio nell’Unione Sovietica, nei primi tempi dopo la soppressione dell’esercito zarista, l’Armata Rossa fu costretta a servirsi di ex ufficiali zaristi, sotto il controllo dei commissari politici. Allo stesso modo, nell’apparato statale sovietico una parte considerevole di funzionari era costituita da ex funzionari zaristi. A causa di fattori storici sfavorevoli questo fatto avrebbe giocato in seguito un ruolo importante nella degenerazione del regime russo. Non per niente Lenin affermò che lo Stato sovietico era “una macchina borghese zarista (…) con una sottile vernice di socialismo”.

Il proletariato, secondo il concetto classico, abbatte la vecchia macchina statale e procede a creare un semi-Stato. Ciò nonostante, è costretto a servirsi dei vecchi tecnici. Ma lo Stato, anche nelle migliori condizioni, possibili solo in un paese avanzato con un proletariato istruito, rimane un relitto della società classista e può sempre degenerare. È per questo che i marxisti insistono sul controllo delle masse, per assicurare che allo Stato non sia permesso di evolversi come una forza indipendente. Il più velocemente possibile, esso si deve dissolvere nella società.

Proprio per le ragioni dette sopra, a certe condizioni, lo Stato può raggiungere una certa indipendenza dalla base che esso rappresentava originariamente. Engels spiegò che la sovrastruttura – Stato e ideologia -, pur dipendendo dalla base economica, ha in ogni caso una propria dinamica. Di conseguenza ci può essere un conflitto tra lo Stato e la classe che esso rappresenta, anche per un periodo lungo. Non è un caso che Engels parli dello Stato come rappresentante diretto della classe dominante normalmente o in periodi tipici. Così si può comprendere la società divisa in classi solo se si prende in considerazione l’interdipendenza e gli antagonismi sfaccettati e dialettici di tutti i fattori presenti.

Quando parliamo dello sviluppo della società, l’economia deve essere considerata il fattore dominante. Però la sovrastruttura che si sviluppa su questa base economica si separa dalla base e ne diventa antagonista. Dopo tutto, l’essenza della teoria marxista della rivoluzione è che i cambiamenti graduali nella produzione, ad un certo stadio, entrano in conflitto con la vecchia forma di sovrastruttura, sia nella proprietà sia nello Stato. Secondo Marx, “da forme di sviluppo delle forze produttive queste relazioni ne diventano l’ostacolo”. Si crea una profonda contraddizione che si può risolvere solo abolendo la sovrastruttura e riorganizzando la società sulla base del nuovo modo di produzione che si è sviluppato in seno a quello vecchio.

Pur non esaurendo la questione della natura di classe dello Stato, che si definisce in modi diversi a seconda del momento, sono decisive nel lungo termine le relazioni economiche e di proprietà. Perciò, come tutti i grandi teorici marxisti si sforzavano di spiegare, in ultima analisi la sovrastruttura vi si deve adeguare. “Con il cambiamento delle fondamenta economiche, l’intera immensa sovrastruttura viene trasformata più o meno rapidamente” come affermò Marx. Se si abbandona questo criterio, divengono possibili tutti i tipi di analisi superficiali e arbitrarie. Ci si perderebbe inevitabilmente nel labirinto della storia, come Perseo nel palazzo di Minosse, ma senza il filo che conduce fuori. Il filo della storia è la struttura economica dominante della società, o la forma di proprietà, che è il suo riflesso legale. Nelle parole di Engels: “Vediamo nelle condizioni economiche ciò che in ultima istanza condiziona lo sviluppo storico”.2

Nel 1793 i Giacobini francesi presero il potere. Come affermarono Marx ed Engels, essi andarono oltre la cornice dei rapporti borghesi di proprietà e realizzarono in pochi mesi ciò che alla borghesia avrebbe richiesto decenni: la completa epurazione dalla Francia di tutte le tracce di feudalesimo. Tuttavia questo regime si basava sempre sulle forme di proprietà borghesi. Fu seguito dalla reazione del Termidoro e dal Direttorio, che poi cedette il posto alla dittatura vera e propria di Napoleone Bonaparte.

Quest’ultimo ripristinò molte forme feudali, si fece incoronare imperatore e concentrò il potere supremo nelle sue mani. Ciononostante, questo regime lo definiamo comunque un regime borghese. Persino con la restaurazione di Luigi XVIII, il regime era comunque capitalista. E poi ci furono non una, ma addirittura due rivoluzioni, nel 1830 e nel 1848. Queste rivoluzioni ebbero conseguenze sociali importanti; comportarono cambiamenti significativi nel personale dell’apparato statale. Eppure caratterizziamo entrambe queste come rivoluzioni politiche borghesi nelle quali non ci fu un cambiamento della classe che manteneva il potere: la borghesia.

Ma andiamo oltre. Dopo la Comune di Parigi del 1871 e il conseguente sconvolgimento delle relazioni sociali, vediamo l’instaurazione della Terza repubblica con una democrazia borghese che sarebbe durata per decenni. Poi seguirono i regimi bonapartisti di Petain e di De Gaulle e successivamente un’intera sfilza di governi fino ai giorni nostri. Consideriamo per un momento l’incredibile diversità di questi regimi. Per chi non ha una visione marxista potrebbe sembrare assurdo mettere nella stessa categoria, per esempio, il regime di Robespierre e quello di De Gaulle o Chirac. Tuttavia i marxisti li definiscono fondamentalmente uguali, come regimi capitalisti. Qual è il criterio? Uno solo: chi è il proprietario dei mezzi di produzione. In tempi più recenti possiamo considerare la diversità nella sovrastruttura di regimi che comunque poggiano sulla stessa base economica. Per esempio, il regime della Germania nazista e quello della democrazia parlamentare britannica sono così diversi nella sovrastruttura politica che molti teorici della scuola non marxista o ex marxista hanno trovato nel fascismo una nuova struttura di classe e un sistema di società completamente nuovo. Perché diciamo che essi rappresentano la stessa classe e lo stesso regime? Perché nonostante la differenza della sovrastruttura, la base economica di queste società rimane la stessa.

Lo Stato di transizione dopo l’Ottobre

Come abbiamo visto, è impossibile passare direttamente dal capitalismo al socialismo. Anche in una società avanzata, sarebbe necessario un periodo di transizione in cui lo Stato continuasse a esistere, insieme al denaro e alla legge del valore. Ma, come spiega Marx, la classe operaia non avrà bisogno del tipo di Stato mostruoso che esiste sotto il capitalismo, ma di uno Stato molto semplice, uno Stato operaio, che inizierà a scomparire dal primo giorno. Due mesi prima della presa del potere, Lenin scrisse in Stato e Rivoluzione:

“Il proletariato ha bisogno di uno Stato, ripetono tutti gli opportunisti, i socialsciovinisti e i kautskiani, assicurando che questa è la dottrina di Marx, ma «dimenticando» di aggiungere che innanzi tutto il proletariato, secondo Marx, ha unicamente bisogno di uno Stato in via di estinzione, costituito cioè in modo tale che cominci subito ad estinguersi e non possa che estinguersi.”

Uno Stato di transizione ha inevitabilmente un carattere contraddittorio. Il regime sovietico era basato su nuovi rapporti di proprietà sorti dalla Rivoluzione d’Ottobre, ma aveva ancora molti elementi ereditati dalla vecchia società borghese. La statalizzazione dei mezzi di produzione è la condizione previa per andare nella direzione del socialismo, ma la possibilità di portare realmente la società a uno stadio più alto di sviluppo umano dipende dal livello delle forze produttive. Il socialismo presuppone una tecnica, una produttività del lavoro e una cultura superiori a quelle della società capitalista più sviluppata. È impossibile costruire il socialismo sulla base dell’arretratezza.

Nella Rivoluzione Tradita, Trotskij spiega il carattere dualistico dello Stato di transizione:

“Le norme borghesi di distribuzione, affrettando l’accrescersi della potenza materiale, dovrebbero servire a fini socialisti, ma solo in ultima analisi. Lo Stato acquista immediatamente un duplice carattere: socialista nella misura in cui difende la proprietà collettiva dei mezzi di produzione; borghese nella misura in cui la distribuzione dei beni ha luogo con l’aiuto di criteri di valore capitalistici, con tutte le conseguenze che ne derivano. Una definizione così contraddittoria spaventerà forse i dogmatici e gli scolastici; non ci resterà che esprimere loro il nostro rincrescimento.”3

Solo la vittoria della rivoluzione nell’Europa occidentale e, soprattutto, in Germania avrebbe potuto cambiare questo stato di cose. L’unione dell’industria e della tecnica tedesche con le enormi risorse naturali ed umane della Russia in una federazione socialista avrebbe creato condizioni materiali per la riduzione della giornata lavorativa, requisito previo per la partecipazione della classe operaia alla gestione dell’industria e dello Stato. Ma il tradimento dei socialdemocratici fece naufragare la rivoluzione tedesca e condannò la rivoluzione russa all’isolamento in un paese arretrato. La vittoria della burocrazia derivò direttamente da questo. Dal 1920 in poi, la burocrazia legalmente o illegalmente assorbì parte del plusvalore prodotto dalla classe operaia.

Questo succederebbe in una certa misura anche in un Stato operaio sano. I funzionari e i dirigenti riceverebbero parte del plusvalore, ma solo a titolo di ciò che Marx chiamava “i salari da supervisore”. Si tratterebbe, per usare un’espressione di Lenin, di “uno Stato borghese senza la borghesia” o, come diceva Trotskij, uno Stato senza mandarini, uno stato maggiore senza samurai. In uno Stato simile, i funzionari non avrebbero privilegi speciali. Era inevitabile che, dato il livello estremamente basso delle forze produttive e della cultura in Russia, la classe operaia non fosse in grado di gestire lo Stato senza l’aiuto dei vecchi funzionari zaristi e degli ufficiali dell’esercito che dall’inizio richiesero, e ottennero, salari molto al di sopra della media. Questo è il motivo fondamentale per cui il proletariato fu incapace di mantenere il suo controllo sul potere. Dopo la fine della guerra civile, i lavoratori furono gradualmente messi da parte dai funzionari che si sentivano indispensabili per l’amministrazione della società. Lenin e Trotskij non prevedevano che la rivoluzione riuscisse a sopravvivere a lungo in assenza della vittoria dei lavoratori dei paesi capitalisti avanzati. Prospettavano che, in tali condizioni, gli elementi capitalisti avrebbero liquidato le conquiste dell’Ottobre. Ciò non accadde, anche se era possibile negli anni ’20, particolarmente nel periodo della NEP, quando i bolscevichi furono costretti a fare molte concessioni ai contadini ricchi e alla borghesia nascente. Poco prima della sua ultima malattia, Lenin concluse un patto con Trotskij per combattere la burocrazia, che egli temeva stesse creando le condizioni per la vittoria di una vera e propria controrivoluzione borghese.

Nel gennaio 1921, Lenin scrisse:

“Ho detto: «Il nostro Stato non è realmente uno Stato operaio, ma uno Stato operaio e contadino.» Rileggendo il resoconto della discussione, capisco ora che ho sbagliato (…); avrei dovuto dire: «Lo Stato operaio è un’astrazione. In realtà abbiamo uno Stato operaio con le seguenti caratteristiche peculiari: 1) sono i contadini e non i lavoratori che predominano nella popolazione; 2) è uno Stato operaio con deformazioni burocratiche».”4

La questione della natura di classe della Russia continuò ad occupare l’attenzione di Trotskij fino alla sua morte. Come poteva svilupparsi la reazione sulla base creata da una rivoluzione proletaria? Poco prima della sua espulsione dall’Unione Sovietica, Trotskij si confrontò con questo problema:

“Dobbiamo dire chiaramente: i cinque anni dopo la morte di Lenin sono stati anni di reazione sociale e politica. La direzione del partito dopo Lenin è diventata un’involontaria, ma tanto più efficace, espressione di questa reazione, così come un suo strumento.

I periodi di reazione, a differenza di quelli di controrivoluzione, non comportano la sostituzione della classe dominante. L’assolutismo feudale ebbe periodi di riforme «liberali» e periodi di controriforma che rafforzarono la servitù della gleba. Il dominio della borghesia, che sorse con l’epoca delle grandi rivoluzioni, conobbe periodi di avanzamento turbolento e periodi di regressione. Questo spiega la successione di diversi partiti al potere mentre a dominare era un’unica classe capitalista.

Non solo la teoria ma anche l’esperienza vivente degli ultimi undici anni mostra che il governo del proletariato può attraversare un periodo di reazione sociale e politica così come un periodo di avanzamento turbolento. Naturalmente non si tratta di reazione «in generale», ma di reazione sulla base della rivoluzione proletaria vittoriosa, che si oppone al mondo capitalista. L’alternarsi di questi periodi è determinato dal corso della lotta di classe. I periodi di reazione non cambiano la base del dominio di classe, cioè non rappresentano il passaggio di potere da una classe all’altra (questo significherebbe una controrivoluzione), ma indicano che c’è un cambiamento nella relazione delle forze di classe e un riallineamento degli elementi all’interno di una classe. Nel nostro paese, il periodo di reazione che seguì quello di forte avanzamento rivoluzionario fu causato soprattutto dal fatto che le classi abbienti sconfitte, respinte o terrorizzate, furono in grado, grazie alle condizioni oggettive e agli errori commessi dalla direzione rivoluzionaria, di recuperare le loro forze e passare gradualmente all’offensiva usando soprattutto l’apparato burocratico.

D’altra parte, la classe vittoriosa, il proletariato, senza appoggio esterno, incontrò sempre nuovi ostacoli e difficoltà; perse la forza e lo spirito dei primi giorni; ebbe inizio la differenziazione al suo interno, con una burocrazia emergente al vertice che agiva sempre di più nel suo interesse, ed in basso elementi che si staccavano stanchi e completamente disperati. L’attività delle classi borghesi, soprattutto di quegli strati di piccolo borghesi che lottavano per farsi strada mediante i vecchi metodi di sfruttamento, aumentò di pari passo al decrescere della militanza del proletariato.

Non è necessario dimostrare che tutti questi processi di reazione interna si sono potuti sviluppare e rafforzare solo a causa della tremenda sconfitta del proletariato mondiale e del rafforzamento della borghesia imperialista.”5

Termidoro e bonapartismo

Ci sono ampie somiglianze nei processi che avvengono nelle rivoluzioni, anche quando la loro natura di classe è diversa. Entro certi limiti il confronto tra la rivoluzione russa e la grande rivoluzione francese del 1789-94 può illuminare alcuni processi fondamentali. Questo vale per l’uso di un termine come “Termidoro”, che si riferisce all’episodio del 27 luglio 1794 (9 Termidoro nel vecchio calendario rivoluzionario), quando l’ala destra dei rivoluzionari giacobini si accordò con il centro opportunista (la “Palude”) per rovesciare Robespierre, iniziando così a scivolare verso la reazione politica che si concluse con la dittatura di Napoleone che significò la fine del periodo di ascesa rivoluzionaria. Questo si rifletteva nel fatto che laddove nel periodo di ascesa (1789-94) il Terrore era stato diretto quasi interamente contro i nemici della rivoluzione e coloro che volevano scendere a patti con la reazione, dopo il Termidoro fu diretto contro l’ala rivoluzionaria.

Per estensione, per Termidoro si può intendere un momento nella rivoluzione in cui comincia a sentirsi una certa stanchezza ed esaurimento, rappresentati da un ripiegamento che prepara la strada ad una reazione aperta. In Francia questo accadde quando una frazione della “Montagna” (l’ala rivoluzionaria del congresso nazionale) si stancò del terrore e degli sconvolgimenti della rivoluzione. La spaccatura nella “Montagna” portò alla reazione termidoriana. Allo stesso modo, le origini della reazione stalinista in Russia si possono far risalire ad un vago sentimento, sviluppatosi alla fine della guerra civile tra i funzionari sovietici e la piccola borghesia, che era ora di porre fine alle innovazioni rivoluzionarie e di adoperarsi per “ristabilire l’ordine”. La teoria del socialismo in un solo paese riassumeva bene questo ambiente. Certo, come ogni analogia storica, l’uso del termine Termidoro era solo un’approssimazione, e come tale aveva un carattere relativo. Trotskij nei suoi articoli del 1929 spiegò la sua posizione come segue:

“Esamino qui, innanzi tutto, la questione del Termidoro e di conseguenza la questione del carattere di classe dello Stato sovietico. La formula del Termidoro è, beninteso, convenzionale come qualsiasi altro tentativo di analogia storica (…). Il Termidoro indica la prima vittoriosa tappa della controrivoluzione, cioè, chiaramente, il passaggio del potere dalle mani di una classe a quelle di un’altra; questo passaggio, anche se necessariamente accompagnato da una guerra civile, resta mascherato, dal punto di vista politico, dal fatto che la lotta si svolge tra le frazioni di un partito che fino a ieri era unito (…). Indica un trasferimento del potere nelle mani di un’altra classe, dopo di che la classe rivoluzionaria non può riprenderlo se non con un’insurrezione armata. Ciò richiede una nuova situazione rivoluzionaria che dipende da un complesso insieme di cause interne e internazionali.”6

Qualche anno dopo, in un articolo intitolato Lo Stato operaio e la questione del Termidoro e del bonapartismo, Trotskij analizzò ancora questa posizione sul Termidoro e spiegò che l’analogia con il Termidoro era stata oggetto di fraintendimenti. Centralismo Democratico, il gruppo estremista del defunto Vladimir Smirnov, in contrasto con l’Opposizione di sinistra, aveva dichiarato nel 1926 che il proletariato aveva già perso il potere e che il capitalismo era stato ristabilito in Russia. Per Trotskij questo era totalmente falso e significava seppellire la rivoluzione mentre era ancora viva. Senza le analogie storiche non possiamo imparare dalla storia, ma dobbiamo anche capirne i limiti, le somiglianze e le differenze. Questo era il caso del Termidoro.

“Il Termidoro nel 1794” – scrisse Trotskij – “produsse uno spostamento del potere da certi gruppi nella Convenzione ad altri, da uno strato ad un altro del «popolo» vittorioso. Il Termidoro fu controrivoluzionario? La risposta a questa domanda dipende da quanto sia ampio il significato che attribuiamo, in un determinato caso, al concetto di controrivoluzione. Il rovesciamento sociale dal 1789 al 1793 ebbe un carattere borghese. Fondamentalmente si riduceva a uno spostamento della proprietà feudale fissa a proprietà borghese «libera». La controrivoluzione corrispondente a questa rivoluzione avrebbe dovuto portare alla restaurazione della proprietà feudale. Ma il Termidoro non fece nemmeno un tentativo in questa direzione. Robespierre cercò appoggio tra gli artigiani, il Direttorio tra la media borghesia. Bonaparte si alleò con le banche. Tutti questi mutamenti, che ebbero certo un significato non solo politico, ma anche sociale, avvennero, comunque, sulla base della società e del nuovo Stato della borghesia.

Il 18 Brumaio di Bonaparte [questa era la nuova data del 9 novembre 1799, quando Napoleone Bonaparte prese il potere e creò una dittatura militare] ebbe le stesse caratteristiche; fu la tappa successiva più importante sulla strada della reazione. In entrambi i casi, non si trattò di ristabilire né le vecchie forme di proprietà, né il potere dei precedenti settori dominanti, ma di dividere le conquiste del nuovo regime sociale tra le diverse fazioni del «terzo stato» vittorioso. La borghesia si appropriava di sempre più proprietà e potere (sia direttamente sia indirettamente, o attraverso speciali agenti come Bonaparte), ma non attentò assolutamente contro le conquiste sociali della rivoluzione; al contrario, cercò sollecitamente di rafforzarle, organizzarle e stabilizzarle. Napoleone faceva la guardia alla proprietà borghese, inclusa quella dei contadini, sia contro la «canaglia» che contro le pretese dei proprietari espropriati. L’Europa feudale odiava Napoleone come l’incarnazione vivente della rivoluzione, e dal suo punto di vista aveva ragione.”7

Qui stiamo trattando una serie di controrivoluzioni politiche che si fondano sugli stessi rapporti di proprietà borghesi. Usando questa analogia, Trotskij rivela il carattere e la dinamica dello stalinismo, non come sistema di sfruttamento di una nuova classe, ma come un parassitismo sociale sullo Stato operaio. La classe operaia aveva perso il potere politico, ma la controrivoluzione non aveva riportato la borghesia al potere. La burocrazia stalinista stessa aveva usurpato il potere politico. Questa controrivoluzione politica eliminò completamente la democrazia dallo Stato operaio, ma non distrusse i nuovi rapporti di proprietà stabiliti dalla Rivoluzione d’Ottobre. Ergendosi sopra i lavoratori, la burocrazia cercò di regolare queste contraddizioni interne nel proprio interesse. Si basava sull’economia statalizzata e pianificata e giocava un ruolo relativamente progressivo nello sviluppo delle forze produttive, sebbene, nelle parole di Trotskij, a costi tre volte maggiori del capitalismo, con sprechi, corruzione e malgestione tremendi. Lungi dallo sradicare queste contraddizioni sociali, la burocrazia ne accumulò di nuove. Alla fine si eresse al di sopra del proletariato e stabilì un regime di assolutismo burocratico, in cui la classe operaia era politicamente espropriata, senza diritti, né voce in capitolo nella gestione della società.

Cos’è il bonapartismo

Sulla base degli avvenimenti Trotskij fu in grado di estendere ed approfondire ulteriormente la sua analisi sulla natura di classe dell’Urss, rendendo la sua definizione più precisa. Nel 1935 abbandonò il termine “centrismo” per descrivere la burocrazia, e adottò una definizione più calzante della sua natura: una forma di bonapartismo proletario. Per capire il ragionamento di Trotskij è prima necessario esporre nuovamente le basi della teoria marxista dello Stato.

Lo Stato può essere definito in vari modi. Una delle formule più comuni con cui i marxisti definiscono lo Stato è “corpi armati di uomini in difesa della proprietà privata”. Tutte le forme di Stato si riducono, in ultima analisi, a questa definizione. Scendendo ad un livello più analitico lo Stato è però molto di più dell’esercito e della polizia. Lo Stato moderno, anche sotto il capitalismo, è un mostro burocratico costituito da un corposo esercito di funzionari che assorbe una quantità enorme del plusvalore prodotto dalla classe operaia. Da questo punto di vista è riconoscibile un germe di verità negli argomenti dei monetaristi, la cui richiesta di tagli al bilancio dello Stato non è che una moderna eco della rivendicazione dei liberali del XIX secolo di un “governo a buon mercato”. Come Marx spiega ne La guerra civile in Francia, l’unico modo per conseguire tale obiettivo è attraverso l’abolizione rivoluzionaria dello Stato borghese e l’insediamento di uno Stato operaio, o di un semi-Stato, come avvenne con la Comune di Parigi. Marx, Engels e Lenin rilevarono che lo Stato è un potere di natura speciale, che si pone al di sopra della società e che progressivamente si aliena da essa. Come formulazione generale possiamo accettare che ogni Stato rifletta gli interessi di una determinata classe dominante, ma questa osservazione non esaurisce affatto la questione del ruolo specifico dello Stato nella società. Anche la burocrazia statale ha suoi interessi specifici, che non corrispondono necessariamente in ogni situazione e in ogni momento a quelli della classe dominante e talvolta possono addirittura entrare in aperto conflitto.

Lo Stato, secondo Marx e Lenin, è costituito in ultima analisi da corpi armati di uomini e da tutto ciò che costituisce una loro appendice, tale è l’essenza della definizione marxista. Occorre però prestare particolare attenzione nell’uso delle generalizzazioni marxiste, senza dubbio corrette in termini assoluti. La verità è sempre concreta e, se non si analizzano in dettaglio l’articolazione delle circostanze concrete, si cade inevitabilmente in errori ed astrazioni. Osserviamo la cautela con cui Engels affronta la questione, persino nel momento in cui enuncia formulazioni di validità generale. Nella sua opera L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Engels scrive:

“Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’«ordine»; e questa potenza, che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato.” – E più oltre aggiunge: “(…) Basta guardare la nostra Europa di oggi, in cui la lotta di classe e la concorrenza nelle conquiste ha portato il potere pubblico a un’altezza da cui minaccia di inghiottire l’intera società e perfino lo Stato.”8

Engels procede nella sua analisi mostrando come lo Stato, una volta sorto, entro certi limiti, ma necessariamente, sviluppi un proprio movimento indipendente:

In possesso della forza pubblica e del diritto di riscuotere imposte, i funzionari appaiono ora come organi della società al di sopra della società.

Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di classe, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa

“(…) Eccezionalmente tuttavia, vi sono dei periodi in cui le classi in lotta hanno forze pressoché uguali, cosicché il potere statale, in qualità di apparente mediatore, momentaneamente acquista una certa autonomia di fronte ad entrambe (…).”9

Ancora Engels sostiene:

“La società civilizzata si riassume nello Stato che, in tutti i periodi tipici, è senza eccezione lo Stato della classe dominante ed in ogni caso rimane essenzialmente una macchina per tenere sottomessa la classe oppressa e sfruttata.”10

Vogliamo sottolineare l’estrema accortezza, l’approccio scientifico con cui Engels si esprime: “In tutti i periodi tipici”, “è per regola lo Stato della classe più potente, economicamente dominante”, ecc. Engels aveva compreso chiaramente che c’erano condizioni atipiche e anomale in cui questo principio generale della teoria marxista non poteva essere applicato.

Tale approccio dialettico alla questione dello Stato fu sviluppato da Marx nello scritto Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, nel quale la spiegazione del fenomeno del bonapartismo parte dal fatto che i rapporti fra Stato e classe dominante non corrispondevano in quella data situazione alla norma. Marx evidenziò come la soldataglia ubriaca di Luigi Bonaparte non si fosse trattenuta dallo sparare contro quegli stessi borghesi che si suppone avrebbe dovuto rappresentare. Esiste qualche dubbio che, sotto Luigi Bonaparte, la borghesia fosse la classe dominante? Non è necessaria una profonda conoscenza del marxismo per rispondere a questa domanda. La formulazione sintetica, e dunque nuda, “corpi armati di uomini” non prende in considerazione né il bonapartismo borghese né quello proletario.

Se prendiamo in esame la storia della società moderna si presentano numerosi esempi in cui la borghesia viene espropriata del potere politico, pur restando la classe dominante. È precisamente ciò che chiamiamo bonapartismo o, con le parole di Marx, “il nudo dominio della spada sulla società”. Prendiamone in esame alcuni.

Nel 1927, in Cina, Ciang Kai-shek represse nel sangue la classe operaia di Shanghai ricorrendo all’aiuto della feccia e di bande criminali; i banchieri organizzarono banchetti in suo onore, lo applaudirono come benefattore e lo acclamarono quale salvatore della civilizzazione. Ciang però voleva qualcosa di più tangibile delle lodi dei suoi padroni, così, facendo pochi complimenti, sequestrò tutti i ricchi industriali e i banchieri di Shanghai e ne ottenne in riscatto una fortuna. Aveva fatto il lavoro sporco per conto di questi signori e ora pretendeva di essere pagato. Ciang non aveva massacrato gli operai di Shanghai per il beneficio dei capitalisti, ma per ciò che avrebbe significato, in termini di potere e di denaro, per lui stesso e per la sua banda di delinquenti. Eppure chi potrebbe affermare che i banchieri imprigionati non erano più la classe dominante, espropriata del potere politico? Più di un borghese cinese deve aver tristemente riflettuto in quella occasione sulla complessità di una società in cui una grossa fetta del bottino, il plusvalore estratto dai lavoratori, veniva destinata a foraggiare i loro cani da guardia, mentre molti rappresentanti della stessa classe padronale languivano in carcere.

In tali condizioni la borghesia è espropriata del potere politico; la società è governata con la forza. Una parte crescente del plusvalore viene consumato dai vertici militari e dai funzionari e, precisamente per questa ragione, è nell’interesse di questi burocrati che lo sfruttamento capitalista dei lavoratori continui. Da un lato essi mungono il più possibile la borghesia, dall’altro ne tutelano la proprietà privata. Ecco perché la borghesia continua ad essere la classe dominante, pur avendo perso il controllo diretto del potere politico.

L’analisi del bonapartismo condotta da Marx indirettamente fornisce una risposta ai fautori della teoria del capitalismo di Stato in Urss, secondo i quali sarebbe pura sofisticheria sostenere che l’Unione Sovietica fosse uno Stato operaio deformato e che la classe operaia sovietica potesse essere la classe dominante, dal momento che la stessa classe operaia era sottoposta al giogo dello stalinismo o, in buona parte, imprigionata nei campi di lavoro. Se non si parte con l’analisi prendendo in considerazione le forme di proprietà dominanti all’interno della società si è destinati a perdere completamente la bussola.

Nella storia si sono presentati frequentemente casi in cui un conflitto fra settori diversi della classe dominante abbia portato lo Stato ad ergersi al di sopra della società. In occasione della guerra delle due Rose [Regno d’Inghilterra, 1450-1485, NdT], le due fazioni feudali che facevano capo ai casati di Lancaster e York si contendevano il potere, col risultato che quasi si sterminarono a vicenda.

A fasi alterne le fila della classe dominante, già falcidiate dalla lotta intestina, erano state ulteriormente assottigliate dalle incarcerazioni dei partigiani della parte avversa ad opera di quegli avventurieri, di un banda o dell’altra, che momentaneamente avevano occupato il trono. Da questa lotta alla fine emerse una nuova dinastia – quella dei Tudor – che seppe bilanciarsi fra le diverse classi della società inglese e riuscì ad insediare un regime di tipo assoluto.

Processi analoghi si verificarono anche in altri paesi: qual’era dunque la natura di classe dell’assolutismo? Nel tentativo di consolidare il proprio potere sulla società, i monarchi assoluti, alienandosi sempre più da essa, si appoggiavano spesso sulla borghesia nascente per colpire la nobiltà feudale, eppure la natura di classe del regime rimaneva feudale, determinata dai rapporti di proprietà vigenti e non dalla configurazione politica del governo.

Una situazione simile si presentò anche nel periodo di decadenza della società schiavistica. Gli imperatori romani si ersero al di sopra della società, opprimendo con ferocia la stessa classe dominante dei proprietari di schiavi – depredati dalle imposte, bersagliati da arresti, torture e omicidi commissionati dagli stessi imperatori, i quali venivano “eletti” alla loro carica dalla Guardia pretoriana. Marx per descrivere questo fenomeno coniò il termine “cesarismo”. Ma ciò non cambia minimamente la definizione della natura di classe dello Stato romano, e cioè schiavista. Anche sotto il tallone di ferro del cesarismo, i proprietari di schiavi restavano la classe dominante.

Come spiega Trotskij, seguendo l’analisi di Marx, Engels e Lenin,

“il cesarismo, o la sua forma borghese, il bonapartismo, fa il suo ingresso in scena nella storia quando l’aspra lotta di due avversari pare innalzare il potere al di sopra della nazione e assicura ai governanti un’apparente indipendenza nei confronti delle classi, pur non lasciando loro in realtà che la libertà di cui hanno bisogno per difendere i loro privilegi.”11

Nel corso di questo secolo, nell’epoca della decadenza capitalista, abbiamo conosciuto il fenomeno del fascismo, che si differenzia dal bonapartismo per le sue origini, ma che con esso condivide anche molti aspetti comuni. Un regime fascista, a differenza del bonapartismo, conquista il potere sulla base di un movimento di massa composto dalla piccola borghesia esasperata e dal sottoproletariato. Una volta al potere, però, esso perde rapidamente la sua base di massa e si trasforma in un regime bonapartista, che si appoggia sull’esercito e sulla polizia. Trotskij paragonava la burocrazia nazista in Germania al “vecchio del mare” (dei racconti di Simbad – Ndt) che si installa sulle spalle della borghesia e, mentre la guida sulla strada della salvezza, la insulta, sputandole sulla testa e conficcandole gli speroni nei fianchi.

Nel suo libro In difesa del marxismo Trotskij delinea la differenza fra bonapartismo e fascismo:

“L’elemento che [il fascismo] ha in comune con il vecchio bonapartismo è il fatto che si sia servito dell’antagonismo delle classi per dare maggiore indipendenza al potere statale. Ma abbiamo sempre sottolineato che mentre il vecchio bonapartismo si manifestava nel periodo dell’ascesa della società borghese, il fascismo è il potere statale della società borghese in declino.”12

Basti solo soffermare la nostra attenzione sul trattamento che Hitler riservò ai suoi oppositori capitalisti: i nazisti, che difendevano i rapporti di proprietà privata, non solo depredarono la borghesia e le confiscarono le sue proprietà, ma in qualche occasione non si fecero scrupolo di ricorrere alle fucilazioni. Non c’è alcun dubbio che la natura di classe dello Stato nazista fosse borghese; la borghesia tedesca però aveva perso il controllo dello Stato che era caduto nelle mani di Hitler e dei suoi seguaci, avventurieri criminali e irresponsabili, che usarono lo Stato a proprio vantaggio.

Il rapporto fra la classe dominante e lo Stato si sviluppa in modo dialettico e contraddittorio. Nel 1943 infatti gli interessi della classe dominante in Germania entrarono in aperto conflitto con lo Stato. La guerra, a quella data, era già persa. Era nell’interesse della classe dominante tedesca raggiungere una pace con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti per continuare la guerra contro l’Unione Sovietica. La resa avrebbe però significato la condanna a morte per la cricca nazista che controllava lo Stato. La borghesia tedesca tentò di rimuovere Hitler con un colpo di Stato militare (la cospirazione dei generali) ma senza successo, così Hitler combatté la guerra fino al suo amaro epilogo e la Germania pagò il prezzo di questa avventura con la perdita della sua metà orientale che andò alla Russia stalinista.

Stalinismo: una forma di bonapartismo

Quando analizziamo il ruolo dello Stato, la domanda più importante a cui bisogna dare risposta è: quale classe rappresenta? Lo Stato deve essere uno strumento di una classe, quale classe rappresentava lo Stato dell’Urss? Non poteva rappresentare la classe capitalista perché essa era stata espropriata nel 1917. Non si può sostenere che rappresentasse gli interessi della classe contadina, o dei piccoli proprietari delle città. Lo Stato rappresentava chiaramente gli interessi della burocrazia stalinista ma, in quanto forma speciale di bonapartismo proletario, in ultima analisi, esso rappresentava la classe operaia nella misura in cui difendeva la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, l’economia pianificata e il monopolio del commercio estero.

Sotto un regime bonapartista o fascista, come abbiamo visto, anche nei casi in cui questi banditi tengono in ostaggio la borghesia con un coltello puntato alla gola si mantiene tuttavia una classe capitalista nel cui interesse funziona l’economia nel suo complesso. Per certi formalisti la burocrazia sovietica costituiva una nuova classe dominante, ma un esame serio della questione dimostra fino a che punto questa affermazione sia errata. Quello che essi sostengono è che lo Stato è una classe: posto che la burocrazia “possiede” lo Stato e che lo Stato “possiede” i mezzi di produzione, la burocrazia “possiede” i mezzi di produzione, dunque essa non può che essere una classe dominante. Ma ricorrere a un tale ragionamento è semplicemente eludere la questione. Per prima cosa la premessa stessa è falsa: la burocrazia non possedeva lo Stato; inoltre sostenendo ciò stanno dicendo che lo Stato possedeva lo Stato. Il tentativo di risolvere la questione ricorrendo al metodo della logica formale finisce in una pura tautologia, che non spiega assolutamente nulla.

La burocrazia era dunque la classe dominante nella società sovietica? Questo argomento è chiaramente debole. In una società capitalista, o in qualsiasi altra società di classe, non importa quanti privilegi abbiano gli alti funzionari, essi utilizzano lo Stato per proteggere la classe dominante, che è l’unica ad avere un rapporto diretto con i mezzi di produzione perché ne è la proprietaria. Sappiamo chi rappresentasse Napoleone; sappiamo chi rappresentassero Luigi Bonaparte, Bismarck, Ciang Kai-shek, Churchill e De Gaulle. Ma chi rappresentavano i burocrati stalinisti? Loro stessi? Questo è chiaramente falso. Lo Stato per sua natura è composto da burocrati, funzionari, generali, capi della polizia, ecc. Ma questi individui non costituiscono una classe dominante; essi sono lo strumento di una classe anche se, in determinate circostanze, possono entrare in conflitto con quest’ultima. Non possono essere loro stessi una classe. La burocrazia è composta da milioni di individui posizionati ai differenti livelli dell’apparato statale. C’è il piccolo funzionario locale e ci sono gli alti dignitari. Quale settore della burocrazia “possiederebbe” lo Stato? Non possono essere allo stesso tempo tutti i burocrati, perché la burocrazia stessa è divisa su basi gerarchiche, ma allo stesso tempo il piccolo impiegato è parte della burocrazia tanto quanto l’alto burocrate.

Nel suo scritto Germania, la sola via, Trotskij affronta la questione del bonapartismo:

“A suo tempo abbiamo definito il governo Brüning come bonapartismo («una caricatura di bonapartismo»), cioè un regime di dittatura militar-poliziesca. Non appena la lotta tra i due campi sociali contrapposti – i possidenti e i proletari, gli sfruttatori e gli sfruttati – raggiunge la massima tensione, si stabiliscono le condizioni per il dominio della burocrazia, della polizia e della soldatesca. Il governo diventa “indipendente” dalla società. Ricordiamolo ancora una volta: se si piantano simmetricamente due forchette su di un tappo, il tappo può rimanere in equilibrio anche sulla capocchia di uno spillo. Proprio questo è lo schema del bonapartismo. Naturalmente un simile governo continua ad essere il commesso delle classi possidenti. Ma il commesso se ne sta seduto sulla schiena del padrone, lo colpisce alla nuca e, se necessario, non si perita di dargli calci in faccia.

Si poteva supporre che Brüning si sarebbe mantenuto sino a una soluzione definitiva, ma nel corso degli avvenimenti si è inserito un altro elemento: il governo Papen. Se vogliamo essere più precisi, dobbiamo rettificare la nostra definizione precedente: il governo Brüning era un governo pre-bonapartista, non era che un precursore. In forma compiuta, il bonapartismo è entrato in scena con il governo Papen-Schleicher.”13

Il bonapartismo dell’epoca di decadenza e di crisi differisce dal bonapartismo della giovinezza del capitalismo. Esso assume diverse forme, con diverse combinazioni, a seconda delle condizioni concrete. Il dominio di Napoleone o di Oliver Cromwell – un bonapartismo di tipo classico – era caratteristico dell’emergere della società borghese. Il bonapartismo del periodo di ascesa del capitalismo è forte e fiducioso e, in condizioni di potente sviluppo delle forze produttive, raggiunge una certa stabilità. Al contrario il bonapartismo del declino del capitalismo è ammalato di vecchiaia; sorgendo dalla crisi della società capitalista non può risolvere nessuno dei problemi che affronta. La crisi del periodo fra le due guerre diede il via a tutta una serie di regimi bonapartisti che tentavano di equilibrarsi fra le forze contrastanti della rivoluzione e della controrivoluzione. Nel mondo ex-coloniale, per la debolezza della democrazia borghese, molti regimi tendono ad assumere un carattere bonapartista: a periodi caratterizzati da regimi parlamentari deboli si alternano periodi di dittatura militare.

Il dominio fascista rappresenta invece il completo esproprio politico della borghesia. Tutti i diritti democratici vengono cancellati, la classe capitalista cede il potere nelle mani dei parvenu fascisti che usano la forza delle masse piccolo-borghesi impazzite come testa d’ariete contro la classe operaia che, sotto il dominio fascista, resta atomizzata.

“C’è un elemento di bonapartismo nel fascismo” – dichiara Trotskij. – “Senza questo elemento, cioè senza il sorgere dello Stato al di sopra della società a causa dell’acutizzarsi estremo della lotta di classe, il fascismo non sarebbe possibile. Ma abbiamo messo in luce fin dall’inizio che era innanzi tutto una questione di bonapartismo dell’epoca del declino dell’imperialismo, che è qualitativamente diversa dal bonapartismo dell’epoca dell’ascesa borghese (…). I ministri Brüning, Schleicher e la presidenza di Hindenburg in Germania, il governo Petain in Francia, tutti questi si sono dimostrati, o devono dimostrarsi, instabili. Nell’epoca del declino imperialista un bonapartismo puramente bonapartista è completamente insufficiente; l’imperialismo trova indispensabile mobilitare la piccola borghesia per schiacciare sotto il suo peso il proletariato.”14

Si possono elencare infiniti argomenti per dimostrare che uno Stato capitalista presuppone la proprietà privata, la proprietà individuale dei mezzi di produzione. Lo Stato è l’apparato di dominio; non può costituire esso stesso la classe che comanda. La burocrazia fa semplicemente parte dell’apparato dello Stato. Può “possedere” lo Stato nel senso che può diventare relativamente indipendente dalla classe che domina a livello economico, cioè la classe dominante. Questo era il caso della Germania nazista, dove la burocrazia dettava ai capitalisti cosa produrre, come produrre, ecc., per gli scopi di guerra. Così con l’economia di guerra in Gran Bretagna, negli Usa e ovunque, lo Stato dettava ai capitalisti le scelte produttive, ma ciò non trasformò lo Stato in classe dominante; perché? La ragione fondamentale è che queste misure erano state prese in difesa della proprietà privata e nell’interesse della classe capitalista nel suo complesso.

La burocrazia dirige e pianifica l’economia, ma di chi sono le industrie che dirige e pianifica? Nella società capitalista, i quadri manageriali pianificano e guidano l’industria nelle singole imprese e nei trust, ma questo non li rende proprietari di quelle stesse imprese. Le industrie statalizzate della Gran Bretagna, ad esempio, erano guidate da una burocrazia manageriale, ma quei burocrati non erano proprietari di queste imprese, che restavano di proprietà dello Stato – lo Stato capitalista – ed erano gestite nell’interesse dell’economia capitalista nel suo complesso. La burocrazia in Urss dirigeva l’industria intera. In questo senso è vero che essa aveva più indipendenza dalla sua base economica di qualsiasi altra burocrazia o macchina statale in tutta la storia dell’umanità. Eppure – come Engels ha sottolineato, e noi dobbiamo sottolineare ancora una volta – in ultima analisi la base economica è decisiva.

I sociologi borghesi ricorrono a definizioni arbitrarie per caratterizzare ogni tipo di raggruppamento sociale e di sottogruppo qualificandoli come classi, confondendo così le reali basi di classe della società; al contrario il marxismo definisce una classe in termini di rapporti di proprietà. Sostenere che la funzione dirigenziale trasformi in qualche modo questi burocrati in classe dominante non ha assolutamente senso, perlomeno non ha nulla a che spartire con la definizione marxista di classe capitalista. La burocrazia, nel suo ruolo di strato dirigente, ha giocato una funzione nella produzione simile a quella dei dirigenti d’azienda nelle imprese capitaliste, ma c’è almeno una differenza fondamentale.

I dirigenti nei paesi capitalisti lavorano per i proprietari privati delle industrie (o per lo Stato borghese, che è l’ancella del settore privato). Essi non possiedono le industrie e non costituiscono una classe sociale distinta. In quanto dirigenti hanno diritto solamente a quello che Marx chiamava “stipendio di soprintendenza”. Esattamente lo stesso varrebbe per i dirigenti di uno Stato operaio, anche quelli di uno Stato operaio sano quando, nel periodo di transizione, si manterranno ancora differenze fra i salari del lavoro specializzato e quelli del lavoro non specializzato. Ciò che caratterizzava la burocrazia stalinista era che essa divorava una parte considerevolmente maggiore della ricchezza prodotta dalla classe operaia e ciò non ha assolutamente nulla a che vedere con le sue funzioni manageriali o con lo “stipendio di soprintendenza”.

Se i burocrati dello Stato operaio si sono appropriati di più di quanto spettasse loro, ciò è un fenomeno analogo a quello già evidenziato circa la burocrazia fascista o bonapartista. Essi non costituiscono una classe nel senso marxista della parola, ma una casta parassitaria.

“Per la sua funzione di regolatrice e di intermediaria,” – dice Trotskij – “per la preoccupazione che ha di mantenere la gerarchia sociale, per l’utilizzazione nel suo interesse dell’apparato dello Stato, la burocrazia sovietica rassomiglia a qualsiasi altra burocrazia e soprattutto a quella del fascismo. Ma se ne distingue pure per caratteristiche di estrema importanza; sotto nessun altro regime la burocrazia ha raggiunto una simile indipendenza.”15

I privilegi della burocrazia stalinista iniziavano esattamente dove finivano le sue funzioni produttive (quali che esse fossero) e in realtà sorsero non nella sfera della produzione, ma in quella della distribuzione. In condizioni di povertà generale, era necessario decidere come distribuire i beni scarsi. Trotskij paragona la situazione ad una coda davanti al negozio del fornaio. Se c’è poco pane e la coda è lunga, essa può diventare indisciplinata, rendendo così necessario un gendarme che mantenga l’ordine nella coda e si assicuri che ognuno prenda la sua razione. Durante queste operazioni succede spesso che il gendarme prenda più degli altri. Questo non predispone la folla ad un atteggiamento più favorevole verso il gendarme, ma sicuramente non ne fa neanche un membro della classe dominante nel senso marxista del termine!

La burocrazia stalinista non era una nuova classe dominante, come invece hanno sostenuto J. Burnham, M. Shachtman, M. Djilas, J. Kuron e T. Cliff (in compagnia della borghesia e della destra laburista), ma una casta parassitaria che non gioca un ruolo necessario nel processo produttivo. Esattamente per questa ragione era da escludere la prospettiva di significative riforme dall’alto in favore dei lavoratori. Gli intellettuali polacchi “dissidenti” sostenevano – rivelando la loro ignoranza – che, se nel capitalismo erano possibili sindacati liberi, perché non avrebbero dovuto esserci nel “capitalismo di Stato”? Senza dubbio, in circostanze normali, per i capitalisti la “democrazia” borghese (cioè la democrazia formale, in cui ai lavoratori è permesso l’esercizio di certi diritti, ma dove in ultima istanza sono le banche e i monopoli a decidere ciò che conta) è la forma di governo più economica e sicura, assai preferibile al mostruoso spreco e saccheggio dello Stato che caratterizza i regimi fascisti o bonapartisti. Sotto lo stalinismo i diritti democratici rappresentavano una minaccia immediata alla posizione della burocrazia; democrazia formale e stalinismo sono incompatibili.

Trotskij era inflessibile su questo punto, cioè che la burocrazia non costituiva una nuova classe dominante. Nel 1937 in polemica con un suo sostenitore francese, Yvan Craipeau, egli spiegò:

“Questa volta egli trae il suo argomento schiacciante da una frase de ‘La rivoluzione tradita’ secondo cui «tutti i mezzi di produzione appartengono allo Stato, e lo Stato appartiene, sotto certi aspetti, alla burocrazia». Craipeau esulta; se i mezzi di produzione appartengono allo Stato e lo Stato alla burocrazia, quest’ultima diviene proprietaria collettiva dei mezzi di produzione e solo per questo la classe possidente e sfruttatrice. Il resto del ragionamento di Craipeau ha un carattere quasi puramente letterario. Ci dice ancora una volta, con l’aria di polemizzare con me, che la burocrazia termidoriana è cattiva, rapace, reazionaria, assetata di sangue, ecc. Una vera rivelazione! Non abbiamo mai sostenuto che la burocrazia stalinista fosse virtuosa! Le abbiamo solo negato la qualità di classe nel senso marxista del termine, e cioè rispetto alla proprietà dei mezzi di produzione.”16

Lo Stato è lo strumento di coercizione per affermare il dominio di classe, un gendarme incensato e riverito, ma il poliziotto non è la classe dominante. La polizia può diventare sfrenata, i poliziotti possono diventare banditi, ma questo non li trasforma in classe capitalista, feudale o schiavista. Il carattere parassitario della burocrazia si vede dal fatto che essa è costretta a nascondere la sua natura di strato privilegiato. Nelle parole di Trotskij, “la sua appropriazione di un’ampia quota del prodotto nazionale ha il carattere del parassitismo sociale”. Gode dei suoi privilegi sotto la forma di un abuso di potere; nasconde le sue entrate.

“I più grandi appartamenti, le bistecche più sugose e persino le Rolls Royce non sono sufficienti per trasformare la burocrazia in classe dominante”, commentava Trotskij.17

La democrazia operaia del periodo di Lenin e Trotskij fu sostituita con il regime burocratico di Stalin. Sebbene le forme politiche fossero radicalmente diverse da quelle dei primi anni della rivoluzione, ciò che rimaneva erano i rapporti di proprietà nazionalizzata. È stato questo fatto – l’esistenza dell’economia nazionalizzata e pianificata – che ha permesso di definire l’essenza della natura di classe dell’Unione Sovietica: uno Stato operaio orribilmente deformato da una controrivoluzione burocratica.

“Un tumore può crescere ad una grandezza tremenda e può persino strangolare un organismo vivente, ma non può mai diventare un organismo indipendente” osservò Trotskij.18

La burocrazia sovietica era simile ad altre burocrazie, in particolare alla burocrazia fascista, con una differenza importante: la burocrazia fascista si basava sulla proprietà privata dei mezzi di produzione ed era l’espressione più mostruosa di un regime in declino, mentre la burocrazia stalinista si basava sui nuovi rapporti di proprietà stabiliti dalla rivoluzione, che per tutto un periodo hanno mostrato una grandissima vitalità.

Fino a poco tempo fa, la burocrazia russa era costretta a difendere la proprietà statale in quanto fonte del suo potere e delle sue entrate. Questo fatto da solo le permise di giocare un ruolo relativamente progressista nello sviluppo delle forze produttive. Tuttavia, anche nei periodi migliori, essa rimaneva un’escrescenza parassitaria nello Stato operaio, fonte di sprechi senza fine, di corruzione e di cattiva gestione. La burocrazia sovietica aveva tutti i vizi, ma nessuna delle virtù storiche di una classe dominante.

Come disse Trotskij:

“Se la canaglia bonapartista è una classe, ciò significa che non è un aborto, ma un figlio legittimo della storia. Se il parassitismo banditesco è sfruttamento nel senso scientifico del termine, ciò significa che la burocrazia ha un avvenire dal punto di vista storico come classe dirigente indispensabile a un dato sistema economico.”19

Questo chiaramente non è vero. Senza dubbio l’economia sovietica ha fatto enormi passi in avanti, ma questo impulso non è dovuto alla burocrazia in quanto tale, bensì all’economia nazionalizzata e pianificata. La burocrazia è diventata un freno gigantesco allo sviluppo tecnologico e culturale della Russia o, nel migliore dei casi, ha giocato un ruolo relativamente progressista nello sviluppo dell’industria pesante, a costo di enormi sprechi.

Lo Stato sotto Stalin non aveva più nulla in comune con quello dell’Ottobre, ad eccezione della proprietà statale e della pianificazione. Ogni conquista della rivoluzione volta ad introdurre l’amministrazione e il controllo operaio dell’industria e dello Stato venne abolita. La burocrazia aveva il controllo completo. Le cosiddette elezioni erano una farsa, in cui i candidati di un unico partito erano regolarmente eletti con il 99% dei voti (una cosa anche tecnicamente impossibile; la gente a volte si trasferisce e persino muore).

La classe lavoratrice era alla mercé della burocrazia, soggetta al licenziamento arbitrario, all’esilio, all’arresto, al confino in ospedali psichiatrici e a tutti gli altri metodi con cui uno Stato totalitario mantiene il suo popolo in uno stato di terrore che pervade tutti gli aspetti della vita.

Oltre ai normali organismi repressivi, la burocrazia disponeva al suo servizio di un esercito di spie, informatori e confidenti, presenti in ogni fabbrica, in ogni ufficio, in ogni aula di scuola e in ogni condominio.

È vero che negli anni successivi, specialmente dopo la morte di Stalin, furono introdotte grandi riforme, che portarono ad un innalzamento del livello di vita, servizi sociali migliori e così via, ma in ogni momento il controllo rimaneva stabilmente nelle mani della burocrazia. Quelle riforme arrivavano sempre dall’alto e in nessun modo modificavano il rapporto fondamentale fra la classe operaia e la casta burocratica dominante. Mai vennero introdotti elementi di democrazia operaia.

“Collettivismo burocratico”?

La Russia stalinista rappresentava in qualche modo una nuova formazione sociale non prevista da Marx o Lenin? Se lo stalinismo non è il socialismo, ovvero una società basata sulla soddisfazione armoniosa dei bisogni umani, cosa rappresenta?

Qualcuno ha guardato verso l’Unione Sovietica e ha provato repulsione per i processi delle purghe, i campi di lavoro, le montature mostruose e la complessiva natura totalitaria del regime e ha tratto la conclusione che lo stalinismo dovesse essere una nuova società di sfruttamento con una sua classe dominante burocratica. Molte formule sono state inventate per sintetizzare tale conclusione, dal “collettivismo burocratico” (Bruno Rizzi e Max Shachtman) al “capitalismo di Stato” (Tony Cliff). Tali concezioni sono sbagliate da cima a fondo.

La teoria del capitalismo di Stato si basava sull’idea che la controrivoluzione politica stalinista in Russia marcasse un nuovo stadio del capitalismo, che non differiva negli aspetti essenziali dal capitalismo “normale”. Si sosteneva che la burocrazia fosse una nuova classe dominante, che l’economia sovietica obbedisse alle normali leggi del capitalismo, e così via. Chi seguiva tale ragionamento si trovava immediatamente intrappolato in una matassa inestricabile di contraddizioni.

Per cominciare si deve far presente che un’Unione Sovietica capitalista (o a capitalismo di Stato, il che non cambia sostanzialmente la questione) avrebbe dovuto essere soggetta alle stesse leggi che governano il moto del capitalismo, cioè boom e recessioni. Per quanto si possa scavare tra i dati e interpretarli, non si troverà nessun riscontro di un tale fenomeno. L’adozione di una teoria errata necessariamente conduce all’abbandono dei princìpi fondamentali del marxismo. In Urss ci sarebbe stata una specie di capitalismo in grado di eliminare le contraddizioni fondamentali dell’economia di mercato, un capitalismo senza disoccupazione, capace di sviluppare i mezzi di produzione a un ritmo inaudito, senza le interruzioni delle crisi di sovrapproduzione.

Una conclusione del genere, se fosse valida, ci obbligherebbe inevitabilmente a rivedere tutti i postulati basilari del marxismo, ma non è valida. L’intera concezione poggia su una completa incomprensione della teoria marxista dello Stato, della natura di classe della società e del periodo di transizione.

Lo schema generale di Marx e di Lenin su come si potesse sviluppare la transizione dal capitalismo al socialismo era assolutamente corretto, in generale. Ma la verità è sempre concreta.

Non è possibile comprendere un fenomeno sociale complesso e contraddittorio sulla base delle sole generalizzazioni teoriche. Esse possono rappresentare una utile impalcatura, una base di partenza, ma possiamo afferrare la natura della cosa stessa solo sulla base di un’analisi attenta e a tutto campo dei fatti e dei processi, portando alla luce tutte le tendenze contraddittorie. Al contrario il tentativo di ordinare i fatti in modo da giustificare una definizione preconcetta sfocia necessariamente in un aborto teorico.

La spiegazione di Trotskij dello stalinismo quale Stato operaio deformato, ovvero una forma di bonapartismo proletario, è tanto più semplice quanto in totale accordo con la teoria di Marx, spiega perfettamente tutto ciò che abbiamo visto accadere in Urss dalla morte di Lenin alla caduta del muro di Berlino. Per questo motivo non abbiamo alcun bisogno di rivedere le idee fondamentali del marxismo, che sono le uniche che ci permettono una comprensione scientifica e una guida all’azione nella nuova situazione.

Non è possibile afferrare un processo vivo, in pieno sviluppo, con gli strumenti delle definizioni astratte e della logica formale. Come Trotskij ha spiegato,

“l’errore fondamentale del ragionamento volgare sta nel fatto che desidera accontentarsi di impressioni statiche di una realtà che invece consiste in un eterno movimento. Il pensiero dialettico conferisce ai concetti, attraverso approssimazioni successive, correzioni, concretizzazioni, una ricchezza di contenuto e una flessibilità, direi persino una squisitezza che in una certa misura li avvicina ai fenomeni viventi. Non un capitalismo in generale, ma un dato capitalismo in un dato stadio di sviluppo. Non uno Stato operaio in generale, ma uno Stato operaio in un paese arretrato accerchiato dall’imperialismo, ecc.”20

Le teorie sul capitalismo di Stato in Russia risalgono a molto tempo fa. La teoria del collettivismo burocratico per caratterizzare l’Urss fu avanzata da Bruno Rizzi e Max Shachtman oltre 50 anni fa. Nel suo libro La Bureaucratisation du Monde, Bruno Rizzi spiega:

“Noi pensiamo che l’Urss rappresenti un nuovo tipo di società guidata da una nuova classe: ecco la nostra conclusione. La proprietà collettivizzata in realtà appartiene a questa classe che ha introdotto un nuovo – e superiore – sistema di produzione. Lo sfruttamento è trasferito dall’individuo alla classe.”21

E ancora:

“Noi pensiamo che in Urss i proprietari siano i burocrati, poiché sono loro che detengono la forza nelle loro mani. Sono loro che dirigono l’economia come era normale fra la borghesia; sono loro che si appropriano dei profitti, come era normale fra le classi sfruttatrici, e sono loro che fissano i salari e i prezzi delle merci: ancora una volta sono i burocrati.”22

Rizzi conclude:

“Lo sfruttamento si verifica esattamente come in una società basata sulla schiavitù (…). Gli operai russi non sono più proletari; sono semplici schiavi. Sono una classe di schiavi nella sostanza economica e nella manifestazione sociale.”23

Stranamente Rizzi conclude il suo ragionamento sostenendo che, in base alla crescita e allo sviluppo produttivo, questo collettivismo burocratico sfocerà in una “società senza classi e nel socialismo”.

Per non essere troppo tirchio, Rizzi nella categoria dei paesi a collettivismo burocratico butta dentro anche la Germania di Hitler. L’argomentazione di Bruno Rizzi è priva di basi scientifiche. I burocrati sovietici non erano proprietari dei mezzi di produzione. Essi non possedevano né titoli né azioni, né potevano lasciare in eredità alcuna proprietà in quanto tale. Sicuramente non possedevano la classe operaia come gli schiavisti di Roma possedevano i loro schiavi.

Ammesso per ipotesi che Rizzi avesse invece ragione, come una tale società di classe potesse in seguito trasformarsi in socialismo resta un mistero. Ciononostante questa accozzaglia di idee bizzarre è stata ripresa dall’ex-rivoluzionario James Burnham, che ha guadagnato fama internazionale come autore de La rivoluzione manageriale, in cui equipara stalinismo, fascismo e New Deal, e ha fatto parlare di sé anche in quanto dichiarato fautore della guerra atomica contro l’Urss.

Tutto ciò riflette il profondo pessimismo e la frustrazione di uno strato di intellettuali di estrazione piccolo-borghese di fronte alla sconfitta della classe operaia su scala internazionale. La nozione di collettivismo burocratico, più che una teoria, era l’espressione dell’umore profondo di questo strato, assai vividamente simboleggiato dalla visione apocalittica del futuro proposta nelle pagine di 1984 di George Orwell.

Anche Max Shachtman adottò la teoria del collettivismo burocratico dopo essersi allontanato dal movimento trotzkista nel 1940.

“È la realizzazione crudele della previsione fatta da tutti i grandi scienziati socialisti, da Marx ed Engels in poi, che il capitalismo deve crollare essendo incapace di risolvere le proprie contraddizioni e che le alternative di fronte all’umanità non sono tanto capitalismo o socialismo, bensì: socialismo o barbarie. Lo stalinismo è quella nuova barbarie” – dichiara Shachtman24.

In seguito si spinse anche lui fino al punto di sostenere che i lavoratori dell’Urss non erano affatto lavoratori, ma schiavi dello Stato burocratico, la qual cosa non gli impedì però di sostenere che il collettivismo burocratico fosse un sistema più progressivo del capitalismo.

Secondo la risoluzione sulla Russia approvata nel 1941 dalla Conferenza della sua organizzazione, il Workers’ Party,

“dal punto di vista del socialismo lo Stato collettivista burocratico è un ordine sociale reazionario; in relazione al mondo capitalista, esso è su un piano storicamente più progressivo”.

Questo era in realtà un tentativo, da parte di Shachtman, di giustificare il suo adattamento all’opinione pubblica piccolo borghese americana, diventata profondamente antistalinista dopo il 1939. In seguito si spostò ancora più a destra e finì con l’appoggiare la politica estera degli Usa. La teoria del collettivismo burocratico, come descrizione dell’Urss, in seguito cadde in disuso.

Invece la teoria del capitalismo di Stato continuò ad essere sostenuta in certi ambienti. Il suo teorico contemporaneo più recente è Tony Cliff nel suo libro Russia: un’analisi marxista (1964), ripubblicato come Capitalismo di Stato in Russia (1974). Questo lavoro si basa su un testo precedente dal titolo La natura della Russia stalinista pubblicato nel giugno 1948. Data la sua debolezza teorica e le critiche che chi scrive fece allora a questo lavoro, le argomentazioni ivi sostenute sono state in seguito modificate. Inizialmente Cliff sosteneva che la Russia aveva subìto una trasformazione nel 1928 – l’inizio del primo piano quinquennale – da uno Stato operaio deformato a capitalismo di Stato perché si poteva affermare definitivamente “che con l’introduzione dei piani quinquennali le entrate della burocrazia consistevano in larga misura di plusvalore”.25

Questo argomento decisivo fu però abbandonato quando si fece presente a Cliff che la burocrazia consumava, legittimamente o meno, una gran parte del plusvalore prodotto dalla classe operaia fin dal 1920.

Come Marx spiegò correttamente, nel periodo di transizione di uno Stato operaio, la produzione di plusvalore sarebbe stata usata per rafforzare velocemente l’industria e preparare così la strada alla transizione più rapida possibile verso l’eguaglianza e il comunismo completo. Nessun marxista può sostenere che la natura di classe dello Stato sovietico potesse cambiare a causa di questo fatto. Tony Cliff abbandonò in modo sbrigativo e senza nessuna spiegazione questo argomento e successivamente ne sviluppò altri nel tentativo di rafforzare la sua teoria del capitalismo di Stato. Questo riassume il suo approccio totalmente eclettico a questo problema negli ultimi quarant’anni.

Trotskij sul “capitalismo di Stato”

Le teorie del collettivismo burocratico e del capitalismo di Stato sono state demolite da Trotskij già negli anni ’30. Per Trotskij la chiave della comprensione dello stalinismo era il metodo marxista. Lungi dall’essere rigido e formalista, come credeva Tony Cliff, Trotskij era scrupolosamente dialettico nella sua analisi dello stalinismo; egli esaminava in modo meticoloso le caratteristiche contraddittorie del processo così come si sviluppava ad ogni stadio. Per lui il processo non era semplicemente bianco o nero, ma assai più articolato e complesso. Non cercava categorie fatte e finite per assecondare le leggi della logica formale, ma sviscerava la realtà contraddittoria per capire cosa stesse realmente succedendo in Unione Sovietica.

Il metodo di Cliff era completamente diverso. In modo assai superficiale esaminava le caratteristiche più evidenti dello stalinismo in Russia e poi delineava analogie altrettanto superficiali con alcuni aspetti del capitalismo, senza capire la reale natura dell’Unione Sovietica e i processi contraddittori che si sviluppavano in essa. Senza dubbio erano riscontrabili somiglianze con il capitalismo, ma esistevano anche differenze fondamentali.

“In Russia gli orrori dell’industrializzazione forzata, della collettivizzazione brutale della terra, la privazione dei diritti dei lavoratori di organizzarsi in sindacati o di scioperare, il terrore della polizia, tutti questi aspetti sono conseguenze di un tasso di accumulazione del capitale mai riscontrato prima” dichiara Cliff.26

Queste caratteristiche dello stalinismo esistevano, ma non dipendevano dall’accumulazione primitiva di una supposta società a capitalismo di Stato.

Trotskij spiegò questi sviluppi, non come conseguenza del funzionamento delle leggi economiche del capitalismo, ma come elementi derivanti dal tentativo della burocrazia stalinista di consolidare la sua posizione privilegiata raggiungendo un livello di parità con l’occidente. Altre burocrazie hanno agito in modo altrettanto spietato, come la burocrazia nazista nel perseguire il dominio mondiale. Tuttavia, questo fatto non cambia la natura di classe del regime. Dato l’approccio fondamentalmente diverso di Cliff, egli giustamente conclude:

“La nostra analisi sulla natura di classe della Russia sotto Stalin, e oggi, differisce da quella fatta da Lev Trotskij”.27

Il punto è che Trotskij usava un metodo corretto d’analisi, Cliff no. Tony Cliff sostiene che la burocrazia stalinista sarebbe una nuova classe dominante, ma da nessuna parte nei suoi scritti c’è una vera analisi o una prova addotta del perché e come una tale classe potesse costituirsi come una classe capitalista. Ciò non è casuale, è una conseguenza diretta del suo metodo. Partendo dall’idea preconcetta del capitalismo di Stato, tutto viene artificialmente aggiustato in funzione di questa concezione. Invece di applicare la teoria marxista alla società russa nel suo processo di sviluppo, Cliff ha rovistato nelle opere dei grandi marxisti per raccogliere citazioni e ha tentato di ricomporle in una nuova teoria.

Per i marxisti il criterio principale, attraverso il quale si analizzano i sistemi sociali, è questo: la nuova formazione porta allo sviluppo delle forze produttive? Cliff aggira la questione con paragoni errati tra alcuni indici di crescita di singoli paesi capitalisti. Ma quello che occorre fare è paragonare il tasso di crescita dell’Unione Sovietica con quello del resto del mondo capitalista.

La teoria del marxismo si basa sullo sviluppo materiale delle forze produttive in quanto esse sono la forza motrice del progresso storico. La transizione da un sistema ad un altro non è determinata soggettivamente, ma ha origine nei bisogni della produzione stessa. È su questa base e solo su questa base che si erge la sovrastruttura: Stato, ideologia, arte, scienza e governo. È vero che la sovrastruttura ha un importante effetto secondario sulla produzione e persino, entro certo limiti, come spiegò Engels, acquista un suo proprio ruolo indipendente. In ultima analisi però è decisivo lo sviluppo della produzione.

Marx chiarì che la giustificazione storica del capitalismo – nonostante gli orrori della rivoluzione industriale, nonostante la schiavitù dei neri d’Africa, nonostante il lavoro infantile nelle fabbriche, le guerre di conquista in tutto il globo – risiedeva nel fatto che il modo di produzione capitalista era un passaggio necessario nello sviluppo delle forze produttive. Marx mostrò che senza schiavitù, non solo la schiavitù antica, ma anche la schiavitù degli albori dello sviluppo capitalista, non sarebbe stato possibile lo sviluppo moderno della produzione. Senza tutto ciò le basi materiali per il socialismo non si sarebbero mai sviluppate. In una lettera a P.V. Annenkov del 28 dicembre 1846, Marx scrisse:

“La schiavitù diretta è il perno dell’industria borghese, tanto quanto i macchinari, il credito, ecc. Senza la schiavitù non si ha cotone; senza cotone non si ha l’industria moderna; è la schiavitù che ha dato alle colonie il loro valore; sono le colonie che hanno creato il commercio mondiale ed è il commercio mondiale che è il requisito indispensabile dell’industria su grande scala. Così la schiavitù è una categoria economica della massima importanza.

Senza la schiavitù l’America del Nord, il più progressivo dei paesi, si trasformerebbe in un paese patriarcale. Cancellata l’America del Nord dalla mappa mondiale si avrebbe l’anarchia: la decadenza completa del commercio mondiale e della civilizzazione.”28

Naturalmente l’atteggiamento di Marx verso gli orrori della schiavitù e della rivoluzione industriale è ben noto. Sarebbe un’imperdonabile violenza alla posizione di Marx sostenere che, scrivendo quanto sopra, si schierasse a favore della schiavitù e del lavoro infantile. Allo stesso modo sarebbe disonesto accusare i marxisti, per il fatto che sostengono la proprietà statale in Urss, di giustificare i gulag e gli altri crimini del regime stalinista. L’appoggio di Marx a Bismarck nella guerra franco-prussiana era dettato da considerazioni simili a quelle che guidano l’atteggiamento dei marxisti nei confronti dell’Urss. Marx diede un appoggio critico alla guerra della Prussia contro la Francia, nonostante la politica “di sangue e spada” di Bismarck e la natura reazionaria del suo regime, proprio per il fatto che lo sviluppo delle forze produttive sarebbe stato agevolato dall’unificazione nazionale della Germania. Il criterio basilare era lo sviluppo delle forze produttive; in ultima analisi tutto il resto deriva da questo.

Qualsiasi analisi della società sovietica deve partire da questa base. Una volta ammesso che il capitalismo, pur essendo in declino e decadenza su scala mondiale, conserva un ruolo progressivo in Russia in rapporto allo sviluppo delle forze produttive, logicamente Cliff avrebbe dovuto sostenere che il capitalismo di Stato fosse lo stadio successivo e superiore per la società, almeno per i paesi arretrati.

In modo del tutto contraddittorio, Cliff sembra accettare che fu precisamente l’incapacità della borghesia russa di assolvere il compito storico già portato a termine dalla borghesia in Occidente, a rendere la rivoluzione proletaria inevitabile in Russia. Se diciamo che in Urss esisteva il capitalismo di Stato (introdotto da una rivoluzione proletaria), è dunque chiaro che la crisi del capitalismo non è senza soluzione ma rappresenta solo “le doglie” per il passaggio ad uno stadio nuovo e superiore di capitalismo (il capitalismo di Stato). Il brano di Marx, che Cliff stesso cita, secondo il quale nessuna società esce di scena fino a quando non ha esaurito tutte le possibilità intrinseche in essa indicherebbe che, se la sua argomentazione è corretta, dovrebbe aprirsi davanti ai nostri occhi una nuova epoca caratterizzata dal capitalismo di Stato. L’idea di Lenin che l’imperialismo fosse il più alto stadio di sviluppo del capitalismo sarebbe sbagliata. Tutto il marxismo dovrebbe essere rivisto dal principio alla fine.

“Un sindacato al potere”

Affrontando il tema del “capitalismo di Stato” abbiamo un esempio del tipo di feticismo di cui parlava Marx e di come esso possa contagiare anche il movimento rivoluzionario: cambia il nome ad una cosa e puoi cambiarne l’essenza! Trotskij lo definiva “radicalismo terminologico”.

Applicando queste etichette al fenomeno dello stalinismo non si cambia il carattere del regime. Se l’idea del capitalismo di Stato o del collettivismo burocratico fosse corretta, tutta la teoria di Marx diventerebbe un’utopia. Procediamo a partire dalle affermazioni fondamentali.

Secondo la teoria di Marx nessuna società esce dalla scena della storia fino a quando non ha esaurito tutte le sue potenzialità intrinseche. Per tutto un periodo il regime sovietico è progredito a passi da gigante, molto più grandi di qualsiasi altro paese dell’Occidente. L’evidente assurdità di una nuova rivoluzione, la rivoluzione proletaria del 1917 che, secondo i sostenitori della teoria del capitalismo di Stato, avrebbe trasformato l’economia russa in capitalismo di Stato ci porta a concordare con Trotskij quando dice:

“Si è tentato di decifrare l’enigma sovietico con l’aiuto dell’espressione «capitalismo di Stato», che ha il vantaggio di non avere per nessuno un significato preciso.”29

Mentre Trotskij individuava, a conferma dell’esistenza di uno Stato operaio, la trasformazione delle forme di proprietà, i sostenitori della teoria del capitalismo di Stato vi trovano le prove contrarie. Certamente possono sostenere che, a meno che la classe operaia non abbia il controllo diretto dello Stato, esso non può essere considerato uno Stato operaio, ma in tal caso dovrebbero a rigore rifiutare l’idea che sia mai esistito uno Stato operaio in Russia, tranne forse nei primissimi mesi dopo l’Ottobre. Anche qui è necessario ribadire che una dittatura del proletariato si realizza attraverso lo strumento dell’avanguardia della classe, cioè il partito, e nel partito, attraverso la sua direzione. Nelle condizioni migliori questo compito sarà svolto con la massima democrazia nello Stato e nel partito. Ma proprio l’esistenza della dittatura, la necessità di realizzare il cambiamento del sistema sociale, è già la prova di profonde contraddizioni sociali che possono, in circostanze storiche sfavorevoli, trovare un riflesso nello Stato e nel partito. Né il partito, né lo Stato, possono automaticamente e direttamente riflettere gli interessi della classe. Non per nulla Lenin considerava i sindacati come contraltare necessario per la difesa dei lavoratori dal loro stesso Stato, e allo stesso tempo un baluardo in difesa dello Stato stesso.

Qui ancora possiamo notare i risultati nefasti della sostituzione dell’analisi dialettica con il formalismo. I sostenitori di questa teoria si basano su pure astrazioni: uno Stato operaio in generale, invece di uno Stato operaio dato, formatosi in condizioni di arretratezza spaventosa, di povertà e analfabetismo. Un materialista si avvicina all’argomento in modo completamente differente. Il proletariato, pur essendo la classe più omogenea della società, non è del tutto omogeneo. Esistono importanti differenziazioni fra diversi strati della classe: specializzati e non, arretrati e avanzati, organizzati e non, e così via. Gli stessi processi possono svilupparsi nella classe operaia, come in altre classi, a seconda delle condizioni concrete.

La storia delle organizzazioni operaie sotto il capitalismo fornisce un’analogia utile, in quanto esse possono subire un processo di burocratizzazione in determinate condizioni, in particolare quando i lavoratori non partecipano attivamente. Trotskij, in ultima analisi, paragona uno Stato operaio a un sindacato che ha conquistato il potere. Dopo un lungo sciopero, senza vittoria in vista, i lavoratori tendono a cadere nella passività e nell’apatia, a partire dagli elementi più arretrati. Così in Urss dopo anni di guerra, rivoluzione e guerra civile, i lavoratori erano esausti e gradualmente caddero nella passività con i soviet, i sindacati e gli altri organismi del potere operaio che a poco a poco si burocratizzarono. Un processo simile è riscontrabile anche nella Rivoluzione francese, seppur con un contenuto di classe diverso. Se è stato possibile dunque per il partito della classe operaia (la socialdemocrazia) e in particolare la sua direzione, degenerare sotto la pressione del capitalismo, perché dovrebbe essere impossibile per lo Stato istituito dai lavoratori seguire uno sviluppo simile? Perché lo Stato non potrebbe acquisire un’indipendenza dalla classe, e allo stesso tempo (nel proprio interesse) difendere le nuove forme economiche create dalla rivoluzione? In realtà la transizione da una società ad un’altra risulta ben più complessa di quanto i fondatori del socialismo scientifico avessero potuto prevedere.

Al pari di qualsiasi altra classe o formazione sociale, al proletariato non è stato concesso il privilegio di un passaggio tranquillo e sicuro verso il suo dominio sociale, e poi verso il suo scioglimento come classe nella società in modo indolore e pacifico per conseguire una società socialista. Questa era solo una possibile variante. La degenerazione sia della socialdemocrazia che dello Stato sovietico in queste circostanze non fu affatto casuale. Rappresentava in un certo senso i rapporti complessi fra una classe, i suoi rappresentanti e lo Stato, rapporti di cui la classe dominante – borghese, feudale e schiavista – ha avuto motivo di rammaricarsi più di una volta nella storia. Rispecchia in altre parole la molteplicità dei fattori storici che sono lo sfondo del fattore decisivo: l’economia.

Si confronti il largo respiro dell’analisi di Lenin con quello meccanicistico dei fautori della teoria del capitalismo di Stato. Lenin sottolineò più volte la necessità di studiare i periodi di transizione delle epoche passate, in particolare dal feudalesimo al capitalismo, per capire le leggi per la transizione in Russia. Lenin avrebbe rifiutato sdegnosamente la concezione per cui lo Stato emerso dall’Ottobre doveva seguire una strada stabilita, pena il suo snaturamento come Stato operaio. Sapeva molto bene che il proletariato, il suo partito e la sua direzione non erano dotati di un qualche potere divino che, una volta rovesciato il capitalismo, li avrebbe condotti, senza contraddizioni e problemi, al socialismo. Tale sarebbe necessariamente l’unica conclusione che si potrebbe trarre dalle regole kantiane enunciate in modo categorico dai teorici del capitalismo di Stato. Ecco perché, in anticipo, Lenin sottolineò che la dittatura del proletariato avrebbe assunto forme molto differenti nei diversi paesi a seconda delle condizioni.

Lenin ribadì insistentemente come nella transizione dal feudalesimo al capitalismo la dittatura della borghesia emergente si fosse espressa nella dittatura di un solo uomo, vale a dire che una classe poteva dominare attraverso il potere personale di un singolo individuo. A posteriori anche Tony Cliff sembrerebbe perfettamente disposto ad accettare questa concezione fintanto che viene applicata alla borghesia. Ma, in base alle sue argomentazioni schematiche, si potrebbe solo concludere che un simile sviluppo sarebbe impossibile nel caso del proletariato. Il dominio di un solo uomo implica l’assolutismo, poteri dittatoriali e arbitrari conferiti ad un singolo individuo, e assenza di diritti politici per la classe dominante, i cui interessi comunque sono rappresentati in ultima analisi da quest’uomo. Lenin però non sviluppò oltre questo pensiero e fece queste considerazioni solo per dimostrare che in certe condizioni la dittatura del proletariato poteva essere realizzata anche attraverso la dittatura di un uomo. Oggi, alla luce dell’esperienza dell’Urss e dei paesi dell’est europeo, della Cina, di Cuba e degli Stati operai deformati, possiamo approfondire e comprendere non solo gli attuali sviluppi della società, ma anche quelli passati.

In certe circostanze, la dittatura del proletariato può assumere la forma della dittatura di un uomo. Non stiamo parlando ovviamente di uno Stato operaio sano, ma di una distorsione di questo Stato che può emergere dalla separazione dello Stato dalla classe che esso rappresenta. Questo significa che l’apparato tenderà quasi inevitabilmente a diventare indipendente dalla sua base e ad acquisire così interessi propri, ostili ed estranei alla classe che esso rappresenta. Questo è avvenuto nella Russia stalinista. Quando studiamo lo sviluppo della società borghese, ci possiamo rendere conto che, in certe condizioni sociali, l’autocrazia di un individuo ha risposto alle necessità di sviluppo della società, come dimostrano chiaramente i regimi di Cromwell e di Napoleone. Ma anche se entrambi questi regimi si basavano sulla borghesia, ad un certo punto l’autocrazia borghese, da fattore favorevole allo sviluppo della società capitalista, diventò un intralcio al pieno e libero sviluppo della produzione borghese.

Il regime dittatoriale assolutistico, tuttavia, non si estingue in modo indolore solo perché è d’intralcio alla classe dominante: in Francia e in Inghilterra sono state necessarie rivoluzioni politiche supplementari perché l’autocrazia borghese potesse trasformarsi in democrazia borghese, senza la quale uno sviluppo libero e completo delle forze produttive entro i limiti del capitalismo sarebbe stato impossibile. Se ciò che si è detto vale per l’evoluzione storica della borghesia, con quante più ragioni dovrebbe valere per il proletariato di un paese arretrato e isolato, dove la dittatura del proletariato è degenerata nella dittatura di un solo uomo, Stalin?

Affinché il proletariato russo riprendesse la via del socialismo, sarebbe stata necessaria una ulteriore rivoluzione politica volta a trasformare lo Stato bonapartista proletario in una democrazia operaia. Questo ragionamento è in completa sintonia con l’esperienza del passato. Così come il capitalismo ha attraversato molte fasi tempestose e contraddittorie – e siamo ancora ben lontani dal vederne la fine, come testimonia la nostra epoca – ciò accadeva anche allo Stato operaio russo in quelle determinate condizioni storiche. Anche l’est europeo e la Cina sono passate per questa fase di bonapartismo proletario.

Il curioso concetto secondo cui uno Stato operaio nascerebbe sempre immacolato come la Vergine Maria e invariabilmente, in tutte le condizioni, dovrebbe assumere la forma classica di una perfetta democrazia operaia mentre, se così non fosse, dovrebbe essere denunciato quale “Stato di una nuova classe”, è una mistificazione che non ha nulla a che vedere con il metodo materialista e dialettico del marxismo. È frutto del pensiero basato su categorie astratte e formali. In effetti è nello studio delle interrelazioni fra la classe e il suo Stato, nel quadro di condizioni storiche determinate, che troviamo la spiegazione della degenerazione stalinista, non facendo ricorso ad astrazioni sovrastoriche.

Per la verità ancora oggi la questione della natura di classe dello Stato russo non è stata determinata definitivamente, ma i fautori della teoria vuota e superficiale del capitalismo di Stato sono i meno capaci di gettare luce sui processi che si stanno sviluppando oggi nella ex Unione Sovietica. Se fallirà l’attuale processo verso la restaurazione capitalista, nel lungo termine, dopo molti sconvolgimenti e catastrofi, si rivelerà decisivo il fattore economico e cioè i rapporti di proprietà. È una questione di quali forme di proprietà prevarranno alla fine: nazionalizzazione o proprietà privata. Questa lotta è tuttora in corso e il risultato non è ancora deciso. Naturalmente, se avessimo accettato l’idea che l’Urss fosse capitalista (anche se a “capitalismo di Stato”) durante gli scorsi 60 o 70 anni, il processo di restaurazione capitalista in atto nell’ex Urss sarebbe solo un piccolo dettaglio di cui non dovremmo preoccuparci troppo.

La classe operaia russa, attraverso un’esperienza dolorosa, è giunta a comprendere che c’è senza dubbio una differenza fra un’economia nazionalizzata e pianificata e il capitalismo. Al momento in cui scriviamo i minatori russi stanno scioperando contro il governo borghese di Mosca. Un numero sempre maggiore di lavoratori stanno imparando la necessità di difendere ciò che è rimasto dell’industria nazionalizzata contro le ruberie della nascente, ma rapace, classe capitalista. Questo comporta una qualche capitolazione della classe operaia di fronte alla burocrazia? Nient’affatto. I lavoratori russi lotteranno contro la nascente borghesia ricorrendo ai loro metodi: scioperi, manifestazioni, scioperi generali. Così facendo riscopriranno presto le grandi tradizioni rivoluzionarie del passato, ma a condizione di comprendere la necessità di intraprendere una battaglia a tutto campo contro la minaccia immediata della controrivoluzione capitalista.

Dopo averle bloccato la strada attraverso la lotta, i lavoratori si renderanno conto della loro forza e acquisiranno la necessaria coscienza che permetterà loro di rovesciare la burocrazia e organizzare una democrazia operaia sana, che non assomiglierebbe allo Stato debole ed impoverito del 1917. Grazie allo sviluppo tecnologico e scientifico raggiunto in passato con l’economia nazionalizzata e pianificata un regime di democrazia operaia potrebbe decretare oggi la riduzione generalizzata della settimana lavorativa e, nell’arco di uno, al massimo due piani quinquennali, grazie al controllo democratico e alla partecipazione delle masse, tutta la situazione verrebbe trasformata. Lo Stato operaio potrà così, per la prima volta, approssimarsi all’ideale sviluppato da Marx e da Lenin.

La teoria del “capitalismo di Stato” oggi

Il dibattito sulla natura di classe dell’Urss non è un esercizio accademico; al contrario esso ha importanti conseguenze pratiche. Trotskij avvertì in anticipo che qualunque tendenza avesse adottato l’erronea teoria del capitalismo di Stato avrebbe corso il rischio di diventare “uno strumento passivo dell’imperialismo”. Proprio nel momento di uno spostamento verso la restaurazione del capitalismo in Russia e nei paesi dell’Est europeo, le teorie del capitalismo di Stato hanno giocato il ruolo più nefasto immaginabile. La debolezza e la mancanza di perspicacia teorica di Cliff e dei suoi sostenitori si può riscontrare nella loro totale incapacità di spiegare i processi che si stanno sviluppando in Russia sotto i nostri occhi. L’intera questione è liquidata con la frase inconsistente e frivola secondo la quale la burocrazia avrebbe mosso un “passo in direzione laterale” (!), il che, come al solito, non spiega nulla del regime sociale esistente in Russia né prima né dopo gli ultimi avvenimenti. Non ci dice nulla sui rapporti di proprietà, sulla natura di classe dello Stato, né sul contenuto sociale della controrivoluzione che si sta sviluppando. Questo è logico; dopo aver negato il significato rivoluzionario della proprietà statale, i sostenitori della teoria del capitalismo di Stato sono, in effetti, costretti a negare del tutto che si stia sviluppando una controrivoluzione! Dunque, il concetto di capitalismo di Stato si rivela, al momento della verità, non solo fallimentare sul piano teorico, ma disastroso nella pratica.

Nel difendere le sue posizioni, Cliff liquida l’analisi di Trotskij sul carattere di classe dell’Unione Sovietica come “contraddittoria” rispetto al marxismo. Secondo lui l’analisi di Trotskij “soffre di un limite serio: un attaccamento conservatore al formalismo, che per sua natura è contraddittorio rispetto al marxismo, il quale subordina la forma al contenuto”.30

Questo punto di vista è sostenuto anche da un altro importante sostenitore di Cliff, Duncan Hallas, il quale dichiara:

“l’analisi di Trotskij sulla lotta di classe in Urss dopo il 1927 ha dimostrato chiaramente di essere errata”.31

E ancora: “Non ci può essere dubbio che non più tardi del 1928 una nuova classe aveva preso il potere in Russia”, dice un altro sostenitore della teoria di Cliff, Chris Harman. “L’Opposizione di sinistra era ben lontana dal capire contro cosa stesse combattendo. Trotskij, fino al giorno della sua morte, credette che l’apparato che gli dava la caccia e che lo avrebbe assassinato fosse quello di uno Stato operaio degenerato”.32

Trotskij e i suoi sostenitori opposero strenua resistenza allo stalinismo, ma, secondo Harman, le loro “teorie sulla Russia resero il loro compito più difficile (…)”.33

Già dal 1936, Trotskij, con una brillante deduzione, aveva previsto che la burocrazia si sarebbe inevitabilmente orientata verso la proprietà individuale dei mezzi di produzione, nel caso in cui i lavoratori non avessero riconquistato il potere politico. Cosa ne dicono i sostenitori del capitalismo di Stato? La restaurazione della proprietà privata ha colto totalmente di sorpresa questi signori. Che alternativa potevano offrire di fronte alla privatizzazione dell’industria e all’abolizione del piano? Questo non è un problema puramente teorico, ma una questione vitale per gli interessi della classe operaia russa. È necessario dare una risposta concreta. Come si accorda questo con il capitalismo di Stato?

Nonostante il fatto che i commentatori borghesi in Occidente e la stampa borghese siano palesemente schierati dietro le insegne del movimento per la restaurazione capitalista, Chris Harman sostiene che “il passaggio da un’economia di comando (gestita burocraticamente, Ndt) al mercato non è né un passo avanti né un passo indietro, ma un passo in direzione laterale, da una strada di sfruttamento dell’organizzazione capitalista ad un’altra (!)”34 Per Tony Cliff, “la privatizzazione era una questione irrilevante”.

Questa posizione risulta abbastanza logica, naturalmente nella mente di chi accetta che la controrivoluzione capitalista fosse già avvenuta decenni fa. Con grave ritardo ora si dichiarano contrari alle privatizzazioni negli Stati ex-stalinisti, allo stesso modo con cui vi si oppongono in Occidente, anche se il motivo di tale opposizione resta un mistero. Sarà che, dopo tutto, il “capitalismo di Stato” è progressista? Se così è, i sostenitori di questa posizione vanno di male in peggio! Almeno, a qualcuno di essi non sfuggono le conseguenti contraddizioni.

Uno dei principali oratori di un loro convegno nell’estate del 1990 ha formulato l’opinione secondo cui Trotskij “aveva fatto dell’economia nazionalizzata un feticcio”. La messa in discussione proprio del concetto di economia nazionalizzata e pianificata in quanto condizione prioritaria di un movimento in direzione del socialismo è, senza dubbio, implicita in tutta la loro posizione, ma quali conclusioni dovremmo trarne?

Se la nazionalizzazione è “irrilevante” e quello che si è compiuto in Russia è solo un “passo in direzione laterale”, perché sarebbe necessario opporvisi? Non dovrebbe interessarci se la nascente borghesia riprenderà o no il controllo dello Stato e dell’economia? Ovviamente per i lavoratori minacciati dalle privatizzazioni le cose non sembrano così semplici! Ma dal punto di vista della teoria del capitalismo di Stato, non c’è assolutamente nulla da scegliere fra le due alternative, così l’unica posizione coerente sarebbe la totale neutralità (questo varrebbe anche per la questione delle privatizzazioni in Occidente). Ma l’ultima cosa di cui si può accusare i sostenitori di questa teoria è la coerenza!

Che sia in Oriente o in Occidente, è un dovere elementare di ogni lavoratore cosciente difendere le conquiste del passato. L’unica conquista storica rimasta dalla Rivoluzione d’Ottobre è l’economia nazionalizzata e pianificata. Il governo pro-borghese di Eltsin, sostenuto e promosso dall’imperialismo occidentale, sta tentando di distruggere l’economia nazionalizzata, smantellandola e svendendola con le privatizzazioni. Se vi riuscirà, ciò rappresenterà l’eliminazione totale delle conquiste della Rivoluzione d’Ottobre; significherà la distruzione completa dello Stato operaio deformato e l’instaurazione di un nuovo Stato capitalista. Questo è dopo tutto l’obiettivo della borghesia nascente in Russia e degli imperialisti occidentali. La situazione non potrebbe essere più chiara. Eppure la teoria del capitalismo di Stato cerca di capovolgere le cose e di seminare la massima confusione.

Fin dal successo della Rivoluzione d’Ottobre come marxisti abbiamo difeso costantemente i rapporti di proprietà nazionalizzata. Non abbiamo sostenuto la reazione stalinista e la politica del regime stalinista. Quest’ultimo, lungi dal difendere la rivoluzione, contribuiva ad indebolirla e ad eroderne le basi. Alla fine, come aveva previsto Trotskij, la burocrazia ha tentato di consolidare la propria posizione attraverso la restaurazione capitalista. Questo è accaduto in Russia e nell’Europa orientale negli ultimi sei anni. Per Cliff e i suoi sostenitori il capitalismo di Stato non solo esisteva in Urss, nell’Europa orientale e in tutti gli altri Stati stalinisti dove la proprietà privata era stata abolita, ma evidentemente si era diffuso anche in Asia, in Africa e in America Latina durante gli anni ’30, ’40 e ’50. Nelle parole di Harman,

“l’intervento statale è andato più in là in molti paesi cosiddetti in via di sviluppo, dove i singoli gruppi capitalisti erano troppo deboli per fermare lo Stato nel suo dominio del settore industriale dell’economia”. Gli esempi sarebbero Egitto, Siria, Brasile, Argentina, Spagna, Irlanda e Corea del Sud, quali diverse forme di capitalismo di Stato.

“[Lo Stato] si è comportato in un modo molto simile all’Est europeo (…)” – dichiara Harman. – “Era espressione di una tendenza in tutto il mondo, dagli anni ’30 fino alla metà degli anni ’70, il ricorso all’intervento amministrativo del capitalismo di Stato in economie inclini alla crisi. Questa fase della storia capitalista tuttavia sta giungendo alla fine. Lo Stato interviene ancora, ma con una efficacia decrescente. In occidente questo ha significato un ritorno alla classica recessione; e all’est significa che le burocrazie trovano sempre più difficile evitare la stessa strada.”35

Harman distorce i fatti in modo tortuoso per farli quadrare con la teoria del capitalismo di Stato. Paesi come l’Argentina di Peron e l’Egitto di Nasser non erano nuove società a capitalismo di Stato, ma erano economie capitaliste che usavano l’intervento statale, il che è caratteristico di tutti i paesi capitalisti nell’epoca dell’imperialismo, per proteggere gli interessi della borghesia nazionale in competizione con le grandi potenze imperialiste.

Dato il livello di intervento statale raggiunto ovunque nel mondo, secondo la logica di Harman, il sistema del capitalismo di Stato sarebbe praticamente universale! Sembra inoltre che la guerra fredda e i rapporti ostili fra l’Urss e l’Occidente rappresentassero semplicemente un grosso equivoco, invece di un antagonismo di fondo fra due sistemi sociali, in quanto c’erano paesi a capitalismo di Stato da entrambe le parti della cortina di ferro. Se i due sistemi fossero stati fondamentalmente analoghi, perché tanto chiasso, tensioni diplomatiche e militari e la corsa agli armamenti?

“Come dobbiamo valutare la fine della guerra fredda, il crollo dell’Urss e l’orientamento iniziale della Russia verso gli Usa?” chiede David Crouch, sostenitore di Cliff a Mosca. Secondo lui, il crollo dello stalinismo non è stato una vittoria per l’imperialismo Usa, nonostante le manifestazioni di tripudio di tutti i commentatori borghesi a livello internazionale.

“Non c’è stata capitolazione agli americani. Quando la classe dominante russa ha smesso di barcollare per le sconfitte inflittele dalla popolazione dopo il 1989, essa ha rafforzato la sua posizione sia all’interno che all’estero. Questa grande dimostrazione di amicizia post guerra fredda fra la Russia e gli Usa era necessaria ad entrambe le parti. Il Cremlino da parte sua aveva bisogno di persuadere il suo popolo che i brutti tempi erano finiti e che la riforma lo avrebbe portato verso un futuro di mercato prospero.”36

Quanto si può essere confusi? Secondo Dave Crouch, il crollo dello stalinismo ha rafforzato il capitalismo di Stato “sia all’interno che all’estero”! Crouch, anche se abita a Mosca, sembra vivere su un altro pianeta. Non è in grado di percepire il crollo delle forze produttive, il caos, la povertà delle masse, le convulsioni politiche, la catastrofe militare che ha colto di sorpresa il popolo russo. No, non solo non c’è stato un cambiamento reale, ma attraverso un qualche mezzo misterioso, che solo Dave Crouch capisce, il precedente regime si è addirittura rafforzato! Qui si abbandona del tutto il marxismo per entrare nel regno della fantasia.

A quanto pare, i “capitalisti di Stato” della Russia e dell’Europa dell’Est, nel tentativo di superare i loro problemi, sono stati costretti a spostarsi verso forme più convenzionali di capitalismo di mercato. In altre parole, gli sconvolgimenti in Russia e nell’Europa orientale sono problemi puramente “tattici” che devono regolare i diversi settori della classe capitalista. Le privatizzazioni, l’elemento chiave della controrivoluzione borghese, sono considerate una sorta di trucco perché la proprietà in realtà non è stata affatto trasferita; la vendita di azioni è stata solo uno “stratagemma” per consentire ai “capitalisti di Stato” di avere un maggior profitto! Secondo questi signori, i comunisti non dovrebbero difendere una forma di capitalismo contro un’altra. All’inizio degli anni ’50, questa deformazione teorica ha fatto sì che Tony Cliff rimanesse neutrale durante la guerra di Corea quando lo Stato operaio deformato della Corea del Nord era sotto l’attacco imperialista, ma con la guerra del Vietnam, grazie alle pressioni degli studenti e degli elementi piccolo borghesi fra i suoi sostenitori, diventò di moda sostenere il paese a “capitalismo di Stato” Vietnam del Nord contro l’imperialismo americano. Oggi non va di moda difendere l’economia pianificata della ex-Urss e dell’Europa dell’est contro la controrivoluzione, mentre nei salotti liberal è stato invece apprezzato chi ha sostenuto le rivendicazioni degli studenti romeni a favore della restaurazione capitalista.

La storia viva si prende sempre una rivincita sulle false teorie. Tutta l’impalcatura artificiale del capitalismo di Stato è crollata. Eppure, invece di ammettere onestamente il loro errore, tentano di aggrapparsi al relitto con le unghie, sostenendo oggi che non c’è stato alcun cambiamento reale. Questo li porta immediatamente ad essere preda di un piccolo abbaglio: non saper distinguere fra rivoluzione e controrivoluzione! Secondo la teoria di Tony Cliff e degli altri, la controrivoluzione capitalista in Russia oggi è una contraddizione in termini. Siccome la burocrazia “possedeva lo Stato” e ha giocato lo stesso ruolo della classe capitalista, dove sta la differenza? Da questo punto di vista, non fa differenza se la proprietà statale è privatizzata o no, tanto è tutto “capitalismo”! Così la cosiddetta teoria del capitalismo di Stato, se fosse accettata dai lavoratori russi oggi, li disarmerebbe totalmente di fronte alla nascente borghesia.

Questo fatto da solo è sufficiente a sottolineare l’importanza vitale della teoria, che prima o poi si manifesta nella pratica.

Trotskij ha chiarito la posizione marxista ne Il manifesto della Quarta Internazionale:

“Certo, la nazionalizzazione dei mezzi di produzione in un paese arretrato come l’Urss, non garantisce ancora la costruzione del socialismo. Ma può favorire il crearsi delle condizioni pregiudiziali per il socialismo, cioè lo sviluppo pianificato delle forze produttive. Volgere le spalle alla nazionalizzazione dei mezzi di produzione con il pretesto che di per sé non assicura il benessere delle masse, significa condannare alla distruzione delle fondamenta di granito con il pretesto che è impossibile vivere senza le pareti e il tetto. L’operaio cosciente sa che una lotta vittoriosa per l’emancipazione totale è inconcepibile se non si difendono le conquiste già acquisite, per modeste che siano. A maggior ragione bisogna difendere una conquista colossale come l’economia pianificata, contro la restaurazione dei rapporti di produzione capitalistici. Coloro che non sanno difendere le vecchie posizione, non ne conquisteranno mai di nuove.”37

 

Note

1. V. I. Lenin, Opere scelte in 3 voll., vol. 3 pag. 195

2. MESW Engels, to W. Borgius a Breslau, Vol 3 pag 502

3. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 53

4. Lenin, Collected Works, Vol 32, pag. 48

5. L.Trotskij, The challenge of the Left Opposition 1928-29, pagg. 304-5

6. L. Trotskij, La difesa dell’URSS e l’opposizione, Scritti scelti 1929-36, pagg.148-49

7. L. Trotskij, Lo Stato operaio, il Termidoro e il bonapartismo, pagg. 3-4 enfasi mia

8. F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, pagg. 176-77

9. Ibid, pag. 178, enfasi mia

10. Ibid, pag. 182, enfasi mia

11. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 259

12. L. Trotskij, In difesa del marxismo, pag. 300

13. ‑L. Trotskij, La sola via, in I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni
internazionali 1924-1940
, pag 355

14. L. Trotskij, Writings 1939-40, nell’edizione inglese pag. 410

15. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 233

16. Trotskij, Writings 1937-38, pag. 36

17. Trotskij, Writings 1933-34, pag. 113

18. Trotskij, Writings 1933-34, pag. 19

19. L. Trotskij, In difesa del marxismo, pag. 69

20. L. Trotskij, In difesa del marxismo, pag. 112

21. B. Rizzi, La bureaucratisation du monde, pag. 31

22. Ibid, pag. 56

23. Ibid, pagg. 72-74

24. M. Shachtman, The Bureaucratic Revolution, pag. 32

25. T. Cliff, The Nature of Stalinist Russia, pag. 45

26. Binns, Cliff, Harman, Russia: From Workers’ State to State Capitalismo, pag. 11

27. Ibid, pag. 12

28. MESW, Lettere – Marx a Annenkov a Parigi, nell’ed inglese Vol 1 pp525-4

29. L. Trotskij, La rivoluzione tradita pag. 230

30. T. Cliff, Russia: A Marxist Analysis, pag. 145

31. T. Cliff e altri, The Fourth International, Stalinism and the Origins of the International Socialists, pag. 8

32. Binns, Cliff e Harman, op. cit., pag. 35

33. Ibid, pag. 36

34. C. Harman E. Mandel, The Fallacies of State Capitalism, pag. 79

35. C. Harman, Class Struggle in Eastern Europe 1945-83, pag. 327

36. International Socialism nº 66, primavera 1995, pagg. 12-14

37. L Trotskij, Guerra le rivoluzione, Mondadori, Milano 1973 pag. 169

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