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2 Ottobre 2024La situazione mondiale odierna è caratterizzata dall’apertura di una serie di conflitti sanguinosi: in Ucraina, a Gaza, in Congo, in Sudan. Nell’epoca dell’imperialismo, un sistema capitalista che sopravvive a se stesso preferirebbe annegare l’umanità in un mare di sangue piuttosto che finire pacificamente nella pattumiera della storia. Dall’altro lato, la situazione mondiale è caratterizzata dalla rabbia rivoluzionaria contro la guerra e l’imperialismo.
Quest’anno la Wellred Books, casa editrice dell’Internazionale Comunista Rivoluzionaria, ha publicato una selezione inedita di Lenin sulla guerra imperialista, come arma per una nuova generazione di combattenti comunisti. Il volume è disponibile in inglese presso il sito della Wellred Books.
Questa introduzione contestualizza questa preziosa raccolta di testi, spiegando come Lenin e i bolscevichi lottarono contro l’imperialismo prima, durante e dopo la Prima Guerra Mondiale e la presa del potere da parte della classe operaia in Russia nell’ottobre 1917, e come, ad ogni stadio, misero in connessione il programma rivoluzionario con le masse.
di Jorge Martin
Questo volume raccoglie gli scritti di Lenin sulla questione cruciale della posizione dei marxisti rivoluzionari nei confronti della guerra, in particolare in relazione alla Prima Guerra Mondiale. Lo studio di questi testi è importante oggi, quando la questione della guerra è di nuovo all’ordine del giorno e, vergognosamente, molti nel movimento operaio, compresi alcuni che si definiscono “comunisti”, hanno assunto una posizione socialsciovinista, in appoggio alla propria classe dirigente.
La posizione marxista sulla guerra è stata sviluppata da Marx ed Engels, in un’epoca in cui il capitalismo svolgeva ancora un ruolo relativamente progressista e la borghesia aveva condotto una serie di guerre progressive e persino rivoluzionarie. Lenin spiegò come, nel periodo compreso tra la Grande Rivoluzione Francese del 1789 e la Comune di Parigi del 1871, la maggior parte delle guerre in Europa fossero “guerre di carattere borghese-progressista, di liberazione nazionale” e di conseguenza:
“ … tutti gli onesti democratici rivoluzionari, nonché tutti i socialisti, durante tali guerre, simpatizzarono sempre per il successo di quel paese (cioè di quella borghesia) che contribuiva ad abbattere o a minare i pilastri più pericolosi del feudalesimo, dell’assolutismo e dell’oppressione di popoli stranieri” (Il socialismo e la guerra, Lenin, Opere complete, vol. 21, pag. 274, Editori riuniti, 1966).
Il XX secolo ha inaugurato l’inizio di un periodo completamente diverso, quello dell’imperialismo. Ciò ha avuto implicazioni per la posizione dei marxisti. A quel punto, l’Europa era dominata dalle potenze imperialiste e l’idea di “difesa nazionale” o di una giusta “guerra nazionale” non valeva più. Piuttosto, le guerre venivano ora combattute da diversi gruppi di proprietari di schiavi che si battevano l’un l’altro “per una più ‘giusta’ redistribuzione degli schiavi”, come disse Lenin.
La Seconda Internazionale, che formalmente si basava sul marxismo, aveva discusso l’imminente scoppio della guerra tra le potenze imperialiste e aveva preso una posizione chiara contro di essa. La Conferenza di Stoccarda dell’Internazionale Socialista del 1907 aveva adottato una risoluzione in cui si spiegava chiaramente che le guerre “fanno parte della natura stessa del capitalismo; cesseranno solo quando il sistema capitalista sarà abolito.” (Risoluzioni del Congresso socialista di Stoccarda, Opere complete , vol. 12, pag. 366).
Il corpo principale della risoluzione era stato redatto da August Bebel e rifletteva il punto di vista marxista sulla guerra in termini generali, ma mancava di dettagli concreti sulle azioni che i lavoratori dovevano intraprendere contro la guerra e il militarismo. La delegazione russa (Lenin e Martov) elaborò una serie di emendamenti insieme a Rosa Luxemburg. Questi furono sottoposti alla commissione “Militarismo e conflitti internazionali”, che li accettò. Lenin spiegò:
“In questi emendamenti (1) si diceva che il militarismo è l’arma principale dell’oppressione di classe; (2) si indicava il compito dell’agitazione tra la gioventù; (3) si sottolineava che la socialdemocrazia ha il compito di lottare non solo contro lo scoppio delle guerre o per la più rapida cessazione di quelle già iniziate, ma anche per utilizzare la crisi creata dalla guerra al fine di accelerare il rovesciamento della borghesia” (Il Congresso socialista di Stoccarda, Opere complete , vol. 13, pag. 73).
Nella commissione che discuteva di guerra e militarismo al Congresso di Stoccarda, Lenin e Luxemburg furono anche in grado di rispondere alle idee semi-anarchiche dell’estremista di sinistra francese Gustave Hervé, e nel farlo sottolinearono la posizione marxista fondamentale sulla guerra:
“Il famigerato Hervé, che ha fatto molto rumore in Francia e in Europa, ha sostenuto su questa questione un punto di vista semianarchico, proponendo ingenuamente che di ‘rispondere’ a qualsiasi guerra con lo sciopero e l’insurrezione. Da un lato, egli non capiva che la guerra è un prodotto necessario del capitalismo, e che il proletariato non può rinunciare a partecipare a una guerra rivoluzionaria, perché tali guerre sono possibili e ce ne sono state nelle società capitaliste. D’altro lato, non capiva che la possibilità di ‘rispondere’ alla guerra dipende dal carattere della crisi che la guerra provoca. Da queste condizioni dipende la scelta dei mezzi di lotta e inoltre questa scelta deve consistere (e questo è il terzo punto delle incomprensioni o della stoltezza dell’Hervéismo) non in una mera sostituzione della pace alla guerra ma nella sostituzione del socialismo al capitalismo. L’importante non è soltanto impedire lo scoppio della guerra, ma utilizzare la crisi da questa generata per affrettare l’abbattimento della borghesia” (il congresso socialista di Stoccarda, Opere complete , vol. 13, pagg. 72-73).
Ironia della sorte, Hervé, che non si basava su una comprensione materialista della questione e che era ossessionato dalla lotta contro il militarismo e la guerra in generale, oscillò violentemente nella direzione opposta e si unì al campo sciovinista della “difesa della nazione” nel 1914.
Una risoluzione simile a quella di Stoccarda fu approvata dal Congresso di Copenaghen dell’Internazionale Socialista nel 1910 e dal Congresso di Basilea nel 1912. L’Internazionale Socialista aveva chiaramente dichiarato che la guerra imminente era imperialista e che il dovere dei partiti socialisti era quello di opporsi con tutti i mezzi a loro disposizione.
Il tradimento del 1914
Tuttavia, quando nel 1914 scoppiò la guerra, l’Internazionale socialista tradì le sue stesse risoluzioni
e diede pieno sostegno al massacro imperialista. Uno dopo l’altro, in Germania, Francia, Belgio e Gran Bretagna, gli stessi partiti socialisti che avevano votato a favore delle risoluzioni contro la guerra imperialista ora votarono a favore dei crediti di guerra, dichiararono una tregua nella lotta di classe tra lavoro e capitale, entrarono in governi di unità nazionale con la classe dominante e cedettero al socialsciovinismo.
Questo fu un grande shock, anche per Lenin, che inizialmente pensò che la copia del Vorwärts, il giornale del Partito Socialdemocratico Tedesco, che annunciava il sostegno ai crediti di guerra, fosse un falso dello stato maggiore dell’esercito tedesco. In realtà, pur continuando a difendere nominalmente le idee e il programma marxista, i principali partiti della Seconda Internazionale, tra cui la grande e influente SPD, erano stati profondamente infettati dal riformismo. Essendosi sviluppati in un periodo di prolungata ripresa economica del capitalismo, i vertici delle organizzazioni socialiste erano stati cooptati dal capitalismo. Nel libro Imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), Lenin spiegò le radici sociali dello sciovinismo e del revisionismo, che collegò all’ascesa dell’imperialismo. I superprofitti derivanti dallo sfruttamento delle colonie permisero alla classe dominante dei paesi imperialisti di comprare lo strato superiore della classe operaia e le sue organizzazioni, creando un’aristocrazia del lavoro. Essi erano diventati nient’altro che “luogotenenti della classe capitalista”, come disse Lenin.
Coloro che rimasero fedeli ai principi internazionalisti e antimperialisti del movimento erano una piccola minoranza, tra di loro spiccavano soprattutto i bolscevichi russi e il partito serbo, che furono gli unici a non votare per i crediti di guerra, oltre a personalità di spicco ma inizialmente isolate, come Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg in Germania, James Connolly in Irlanda, John Maclean in Scozia, Eugene V Debs negli Stati Uniti e il grande marxista balcanico Christian Rakovsky. Altri che si opposero alla guerra lo fecero da una posizione pacifista o neutrale, come l’Independent Labour Party britannico e il Partito Socialista Italiano.
In questo primo periodo, Lenin rimase isolato in esilio (inizialmente nella Galizia occupata dagli austriaci, poi nella più sicura Svizzera neutrale), con pochissimi mezzi per mantenere i contatti e la corrispondenza con i bolscevichi all’interno della Russia. Si lanciò in una battaglia decisiva per difendere i principi del marxismo sull’importantissima questione della guerra. Il suo compito principale era quello di stabilire una salda chiarezza teorica e una chiara linea di demarcazione, non solo tra i rivoluzionari e i socialpatrioti, ma anche tra i rivoluzionari e gli elementi vacillanti (rappresentati da Karl Kautsky), e con chiunque non fosse disposto a operare una netta rottura con loro.
Le idee principali per cui si batteva erano che la guerra era una guerra imperialista e doveva essere contrastata dalla classe operaia di tutti i paesi; che i leader della socialdemocrazia avevano tradito il movimento; che la Seconda Internazionale era morta e bisognava costruirne una nuova; e che l’unico modo per porre fine alla guerra era la rivoluzione. Prese anche una posizione ferma contro il pacifismo, spiegando che una pace imperialista sarebbe stata solo il preludio di una nuova guerra imperialista.
Zimmerwald
Col passare del tempo, man mano che la guerra – che tutti pensavano sarebbe durata al massimo qualche mese – si prolungava e diventava più letale, le voci all’interno del movimento operaio che si opponevano al massacro imperialista cominciarono ad avere una eco maggiore. Una conferenza dei socialisti contrari alla guerra fu formalmente convocata dai partiti svizzero e italiano. Si svolse a Zimmerwald, in Svizzera, dal 5 all’8 settembre 1915.
In preparazione della conferenza, Lenin scrisse un opuscolo che esponeva la posizione dei bolscevichi su tutti gli aspetti più importanti dell’opposizione alla guerra imperialista. L’opuscolo Il socialismo e la guerra, firmato assieme a Zinoviev, fu stampato in tedesco e distribuito a tutti i partecipanti di Zimmerwald.
Il documento era un riassunto delle idee principali che Lenin aveva difeso fin dall’inizio della guerra. Spiegava che i marxisti non sono pacifisti. L’approccio marxista alla guerra parte dalla comprensione che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, e quindi deve essere affrontata anch’essa dal punto di vista degli interessi della classe operaia. I marxisti non si oppongono a tutte le guerre, ma partono da un’analisi del carattere di ciascuna guerra. Il loro atteggiamento nei confronti di una guerra non è determinato da chi ha sparato il primo colpo o da chi è “l’aggressore”, poiché le potenze imperialiste troveranno sempre una scusa o la inventeranno per giustificare una guerra. Ci sono guerre imperialiste reazionarie, a cui i marxisti si oppongono, ma ci sono anche guerre progressiste. I rivoluzionari sono a favore delle guerre di liberazione nazionale e delle guerre contro l’imperialismo da parte delle nazioni oppresse. I rivoluzionari sono anche a favore della guerra di classe delle classi oppresse contro la classe dominante.
Come Lenin aggiunse in seguito, commentando la posizione del gruppo Internazionale, fondato da Luxemburg, Liebknecht e Zetkin, i marxisti sono anche a favore delle guerre condotte da uno Stato proletario vittorioso contro i tentativi della borghesia di schiacciarlo.
I marxisti si oppongono all’idea di “difesa nazionale” in una guerra imperialista, poiché ciò che significa in realtà è il diritto di un gruppo di predoni di saccheggiare i paesi coloniali a spese di un gruppo di predoni opposto. I diritti delle piccole nazioni sono usati come scusa dalle potenze imperialiste.
Infatti, a proposito della Prima Guerra Mondiale, Lenin sosteneva che l’unico caso in cui la guerra poteva essere considerata di carattere “nazionale”, e quindi progressiva, era il caso della Serbia, attaccata dall’Austria-Ungheria. Ma anche in questo caso, le considerazioni nazionali furono superate dal carattere imperialista generale della guerra e dal fatto che dietro la Serbia si celavano gli interessi dell’imperialismo russo. L’aspetto più interessante è che la valutazione di Lenin fu condivisa con forza dai marxisti serbi: la loro comprensione della posizione rivoluzionaria nei confronti della guerra in epoca imperialista era stata acuita dalle guerre balcaniche che avevano preceduto la Prima Guerra Mondiale, e pertanto assunsero una posizione di principio.
In tempo di guerra, come in tempo di pace, la classe operaia deve mantenere la propria indipendenza di classe in difesa dei propri interessi e non stringere coalizioni o accordi con la classe capitalista. I marxisti si oppongono all’“unità nazionale” o alla “tregua sociale” in nome della “difesa nazionale”.
Lenin riservò alcuni dei suoi attacchi più decisi agli opportunisti, rappresentati soprattutto da Kautsky. Essi si opponevano “in generale” e “in linea di principio” alla guerra, ma poi giustificavano coloro che avevano votato per i crediti di guerra e avevano ceduto al socialsciovinismo. Opponendosi alla guerra a parole, si sono rifiutati di lottare in pratica contro di essa. Vacillavano anche sulla questione della necessità di una rottura netta con i socialsciovinisti.
Per Lenin, anche questo era un punto cruciale. La Seconda Internazionale aveva tradito la causa della classe operaia ed era necessaria una nuova Internazionale.
Come doveva essere condotta la lotta contro la guerra imperialista? Il punto di partenza di Lenin era che l’unico modo per porre fine alla guerra era trasformarla in una guerra civile, una guerra rivoluzionaria per rovesciare il sistema capitalista. Una pace imperialista sarebbe stata solo la continuazione della guerra imperialista e avrebbe preparato nuove guerre di conquista predatorie. L’unica lotta coerente contro la guerra è la lotta per portare la classe operaia al potere.
Inoltre, Lenin evidenziava i casi di fraternizzazione tra soldati di paesi diversi e sottolineò la necessità di svolgere un lavoro sistematico in questa direzione. Nelle condizioni di limitazione dei diritti democratici in tutti i paesi belligeranti, Lenin sostenne la necessità di integrare il lavoro legale e parlamentare con il lavoro clandestino e illegale. Più in generale, sostenne l’apoggio a ogni tipo di azione rivoluzionaria di massa da parte del proletariato.
I partecipanti alla Conferenza di Zimmerwald si dividevano principalmente in tre gruppi. L’ala destra si opponeva alla guerra, ma soprattutto da una posizione pacifista e non rivoluzionaria, ed era contraria a una netta rottura con i socialsciovinisti. L’ala sinistra, attorno a Lenin e ai bolscevichi, oltre a opporsi alla guerra, insisteva sulla necessità di denunciare i socialisti che l’avevano sostenuta; chiedeva che i deputati socialisti votassero contro i crediti di guerra; spiegava che la guerra poteva essere fatta finire solo con mezzi rivoluzionari; sosteneva la necessità di una rottura netta e della formazione di una nuova Internazionale. Tra questi due gruppi si trovava un raggruppamento di centro, che si schierava con la sinistra su diverse questioni chiave, ma non completamente.
Ben presto fu chiaro che la sinistra fosse in minoranza. Uno dei delegati tedeschi, Georg Ledebour, minacciò di lasciare la riunione se nella risoluzione finale fosse stato inserito un invito ai deputati socialisti a votare contro i crediti di guerra.
Alla fine, fu concordata una dichiarazione congiunta che includeva le idee più importanti proposte dalla sinistra. La dichiarazione era stata redatta da Trotskij che, pur non facendo formalmente parte della sinistra di Zimmerwald, si era schierato con essa su tutte le questioni fondamentali.
Il Manifesto di Zimmerwald dichiarava che la guerra era imperialista e doveva essere contrastata. Sosteneva che l’Internazionale e i partiti che avevano votato per i crediti di guerra, che avevano aderito ai governi di unità nazionale e che avevano sostenuto la pace sociale, avevano tradito la classe operaia. Infine, ricordava ai lavoratori che la guerra doveva essere contrastata con i metodi delineati nelle risoluzioni delle precedenti conferenze socialiste.
Tuttavia, era chiaro che alcune questioni cruciali non erano state affrontate, e pertanto alla conferenza furono presentate due dichiarazioni aggiuntive da parte della sinistra, che sottolineavano le carenze del manifesto principale. La prima dichiarazione spiegava che il manifesto non conteneva alcuna critica agli opportunisti. La seconda dichiarazione protestava per il fatto che l’inclusione della richiesta che i deputati socialisti votassero contro i crediti di guerra era stata bloccata dalla minaccia da parte di alcuni delegati tedeschi di abbandonare la riunione.
La sinistra chiariva quindi che, sebbene il manifesto fosse un passo avanti, c’erano alcuni punti che avrebbero dovuto essere espressi in modo più chiaro o più incisivo. Arrivarono dunque a un parziale compromesso sulla chiarezza politica per mantenere l’unità con il centro, pur conservando la libertà di spiegare pienamente la loro posizione e di presentarla pubblicamente.
Come si vede, anche tra gli oppositori della guerra c’era ancora confusione e molti non avevano tratto tutte le conclusioni necessarie, soprattutto per quanto riguarda la necessità di una rottura netta con l’opportunismo e la necessità di fondare una nuova Internazionale.
Sette mesi dopo la Conferenza di Zimmerwald, si tenne a Kienthal, in Svizzera, dal 24 al 30 aprile 1916, una riunione di verifica con la partecipazione di 43 delegati. Di questi, 12 sostennero la sinistra di Zimmerwald guidata da Lenin, con un aumento di 4 unità rispetto alla conferenza precedente. L’opinione pubblica operaia sulla guerra si era spostata ulteriormente, dando alla sinistra una posizione più forte a Kienthal. Su alcune questioni, la sinistra riuscì a ottenere 20 voti. Anche l’ala destra dei socialisti contrari alla guerra stava subendo pressioni dal basso per adottare una posizione più radicale, almeno a parole. Il manifesto approvato fu quindi un passo avanti rispetto a Zimmerwald per due aspetti importanti: includeva una critica esplicita ai leader socialpatriottici dell’Internazionale socialista e invitava apertamente i deputati socialisti a votare contro i crediti di guerra e a rompere con i governi di unità nazionale.
Il dibattito principale a Kienthal si concentrò sulla questione di come risolvere la crisi del movimento socialista. La sinistra di Zimmerwald invitò apertamente i lavoratori a “creare i presupposti teorici e organizzativi per preparare il lancio di una nuova Internazionale”, mentre la destra e il centro volevano che l’Internazionale riconvocasse il suo organo principale, il Bureau dell’Internazionale socialista, per condurre una lotta in quella sede.
Disfattismo rivoluzionario
È in questo contesto che Lenin adottò una posizione di “disfattismo rivoluzionario”:
“Per noi socialdemocratici russi non vi può essere il dubbio che, dal punto di vista della classe operaia e delle masse lavoratrici di tutti popoli della Russia, il minor male sarebbe la sconfitta della monarchia zarista, del più reazionario e barbaro dei governi, che opprime il maggior numero di nazioni e la maggior parte della popolazione dell’Europa e dell’Asia” (Opere complete, vol. 12, pag. 24).
In questo passaggio Lenin sottolineò che la sconfitta della monarchia zarista era il male minore dal punto di vista dei lavoratori russi. I social-sciovinisti tedeschi giustificarono il sostegno alla propria classe dominante sulla base del fatto che gli obiettivi di guerra della Germania erano in qualche modo “progressisti”, dal momento che stava combattendo la forza più reazionaria d’Europa: l’autocrazia russa. Ma, naturalmente, Lenin insisteva sul fatto che il compito principale dei lavoratori tedeschi era quello di lottare contro la propria classe dominante.
Sollevando l’idea che la sconfitta del proprio governo fosse il male minore, Lenin si rivolgeva ai quadri, ai settori più avanzati della socialdemocrazia rivoluzionaria, e nel farlo usava le formulazioni più taglienti per scongiurare ogni esitazione e tracciare una linea che escludesse gli elementi confusi. In occasioni importanti, Lenin “piegava il bastone” nella direzione opposta a quella dei suoi avversari per sottolineare un punto. Questo è un chiaro esempio che va in tale direzione. Di conseguenza, lo slogan del disfattismo rivoluzionario è forse una delle formulazioni di Lenin più fraintese e male interpretate.
Innanzitutto, Lenin chiarì che ciò non significava compiere atti di sabotaggio o azioni avventuristiche:
“… non si tratta affatto di ‘far saltare i ponti’, organizzare ammutinamenti militari votati all’insuccesso e, in generale, aiutare il governo a schiacciare i rivoluzionari” (Opere complete, vol. 21, pag 249).
In secondo luogo, lo slogan fu utilizzato soprattutto tra il 1914 e il 1916 nel contesto della polemica contro coloro che vacillavano e i centristi. In realtà, lo slogan non fu utilizzato in nessuna delle agitazioni condotte dai bolscevichi in Russia in quel periodo. Nell’opera classica St. Petersburg Between the Revolutions, Robert B. McKean afferma che:
“Un’analisi testuale di 47 volantini e appelli pubblicati illegalmente da militanti bolscevichi tra il gennaio 1915 e il 22 febbraio 1917 è molto illuminante. Non un solo volantino menzionava l’importante slogan leninista della sconfitta della Russia come male minore” (Robert B. McKean, St. Petersburg Between the Revolutions, Yale, 1990, pag. 361).
La maggior parte dell’agitazione bolscevica prima della rivoluzione era incentrata sull’attacco alle politiche del governo contro la classe operaia e sulla lotta rivoluzionaria contro di esso come unico modo per porre fine alla guerra, sottolineando gli slogan di una repubblica democratica, della giornata di otto ore e della redistribuzione della terra. Questo era il significato pratico concreto della “sconfitta del proprio governo”: la continuazione dell’agitazione rivoluzionaria contro il governo, anche in tempo di guerra, indipendentemente dal fatto che tale agitazione era destinata a indebolire il governo stesso in relazione allo sforzo bellico.
Ciò si evince anche dal Progetto di risoluzione dei delegati di sinistra alla Conferenza di Zimmerwald, scritto da Karl Radek, ma presentato insieme a Lenin, con il quale collaborò strettamente in Svizzera. La risoluzione insisteva sulla necessità della lotta rivoluzionaria contro i governi capitalisti, sulla necessità di utilizzare:
“… tutte le lotte, tutte le riforme rivendicate nel nostro programma minimo allo scopo di accentuare questa crisi bellica e tutte le crisi sociali e politiche del capitalismo per estenderle a un attacco alle sue stesse fondamenta” (Opere complete, vol. 21, pag. 302).
Conclude citando le parole della lettera di Liebknecht a quella stessa conferenza: “Guerra civile, non “pace civile” – questo è lo slogan!” La risoluzione, tuttavia, non contiene alcun riferimento alla sconfitta del proprio governo come male minore.
Lenin redasse anche una propria risoluzione per i delegati della sinistra. In essa spiegava che i socialisti avrebbero dovuto utilizzare “il crescente desiderio di pace delle masse” per intensificare la loro agitazione rivoluzionaria e non avrebbero dovuto “rifuggire, nel loro lavoro, dalle considerazioni sulla sconfitta della ‘loro’ patria”. Va notato che in questa risoluzione Lenin – che aveva energicamente respinto le illusioni pacifiste e persino l’uso dello slogan “pace” – riconosceva la necessità di basare l’agitazione rivoluzionaria sul desiderio di pace fra le masse. Spiegava che ciò era espressione del loro rifiuto “della menzogna borghese sulla difesa della patria e dell’inizio del risveglio della loro coscienza rivoluzionaria” (Opere complete, vol. 21, pag. 318). Ancora una volta, nel testo di Lenin non c’è alcun riferimento al fatto che la sconfitta del proprio governo sia il male minore.
Lenin prendeva di mira gli opportunisti, che capitolavano ovunque di fronte al proprio governo e cercavano di fermare la lotta di classe, di creare la “pace sociale”, per aiutare lo sforzo bellico. Lenin pose quindi la questione in modo negativo: l’agitazione rivoluzionaria non doveva essere limitata dal fatto che potesse portare all’indebolimento e alla sconfitta del governo. Al contrario.
Dopo la Rivoluzione di febbraio
Una volta scoppiata la rivoluzione in Russia nel febbraio 1917, e una volta che Lenin poté tornare nel Paese in aprile, abbandonò completamente l’idea che la sconfitta del proprio governo sarebbe stata il male minore, perché ora si rivolgeva alle masse nel contesto di una rivoluzione. In tutti i suoi scritti e discorsi dopo la Rivoluzione di febbraio, possiamo notare come Lenin riconoscesse la differenza tra lo stato d’animo “onestamente difensivo” che esisteva tra la massa di operai e contadini che avevano portato avanti la rivoluzione, e il difensismo reazionario della classe dominante, a cui facevano eco i socialsciovinisti. Di conseguenza, egli sottolineò la necessità di spiegare pazientemente il programma dei bolscevichi utilizzando slogan che servissero ad aumentare il livello di comprensione di questi settori.
“Le masse affrontano la questione non in modo teorico, ma pratico. Il nostro errore è affrontarla in modo teorico. (…) Data l’esistenza innegabile di uno stato d’animo difensista nelle grandi masse, che ammettono la guerra solo per necessità e non per ragioni di conquista, bisogna spiegare loro con particolare costanza, tenacia e pazienza che non si può porre fine alla guerra con una pace non imposta con la violenza senza rovesciare il capitale. (…) I soldati esigono una risposta concreta: come porre fine alla guerra. (…) Noi dobbiamo fondarci unicamente sulla coscienza delle masse. (…) Quando le masse affermano che non vogliono sconfitte, io credo loro. Quando Guckov e Lvov dicono di non volere conquiste, sono dei bugiardi. Quando l’operaio dice che vuole la difesa del paese, in lui parla l’istinto dell’oppresso” (Opere complete, vol. 36, pagg. 317-318).
Qui possiamo vedere il metodo rivoluzionario coerente di Lenin. La conclusione che ne trasse fu quella di non cadere nel difensismo, ma piuttosto di spiegare che solo quando gli operai prendono il potere si può adottare una vera posizione difensista.
In effetti, in diverse occasioni, tra il febbraio e l’ottobre 1917, i bolscevichi si preoccuparono di difendersi dalle accuse calunniose del governo provvisorio di essere a favore della disorganizzazione dell’esercito o di una pace separata con la Germania.
“… non si può mettere fine a questa guerra mediante il rifiuto dei soldati di una sola parte di continuare a combattere, mediante la semplice cessazione delle ostilità da parte di uno dei gruppi belligeranti.
La Conferenza protesta ancora una volta contro la bassa calunnia diffusa dai capitalisti ai danni del nostro Partito, secondo la quale noi saremmo favorevoli a una pace separata con la Germania. Per noi i capitalisti tedeschi sono altrettanto furfanti dei capitalisti russi, inglesi, francesi, ecc., e l’imperatore Guglielmo un bandito coronato come Nicola II o i monarchi inglese, italiano, rumeno, ecc.” (Opere complete , vol. 24, pag. 278).
Nel giugno 1917, Lenin riprodusse un volantino distribuito da agitatori bolscevichi nell’esercito:
“… diffidate dai provocatori che tenteranno di incitarvi a nome dei bolscevichi a sommosse e disordini per poter meglio nascondere la loro vigliaccheria! (…) I veri bolscevichi non vi incitano alla rivolta, ma alla lotta rivoluzionaria cosciente” (Opere complete , vol. 24, pag. 579)
In effetti, poco prima della Rivoluzione d’Ottobre ci fu un periodo in cui gli alti comandi dell’esercito e alcuni settori della classe dominante lavoravano apertamente per una sconfitta militare della Russia al fine di affogare la rivoluzione nel sangue. Stavano anteponendo i loro interessi di classe all’interesse nazionale. A questo punto, Lenin sviluppò ulteriormente le sue argomentazioni, spiegando le misure che sarebbero state necessarie per trasformare la guerra imperialista capitalista in una guerra giusta:
“La capacità di difesa, la potenza militare di un paese in cui le banche sono nazionalizzate è superiore a quella di un paese in cui le banche rimangono nelle mani di privati. La potenza militare di un paese contadino, in cui la terra è nelle mani di comitati contadini, è superiore a quella di un paese con grandi proprietà fondiarie” (La catastrofe imminente e come lottare contro di essa, Opere complete, vol. n 25, pag. 343).
L’argomentazione fondamentale è la stessa: i lavoratori devono prendere il potere. Ma il modo in cui l’argomentazione viene presentata è diversa, e tiene conto della platea a cui i bolscevichi si rivolgevano e dell’umore concreto delle masse in quel momento.
Durante un dibattito al quarto congresso straordinario dei soviet di tutta la Russia sulla ratifica del trattato di pace di Brest-Litovsk con la Germania nel marzo 1918, Lenin esplicitò il cambiamento:
“Noi eravamo disfattisti sotto lo zar, ma non lo eravamo più con Tsereteli e Chernov” (Opere complete, vol. 27, pag. 171).
Vale a dire, mentre l’autocrazia zarista era al potere, i bolscevichi erano disfattisti rivoluzionari, ma smisero di esserlo quando lo zarismo fu rovesciato e fu istituito il governo provvisorio.
Lenin stesso spiegò il significato di questo cambiamento in una discussione durante il Terzo Congresso del Comintern nel 1921:
“All’inizio della guerra noi bolscevichi seguivamo una sola parola d’ordine: guerra civile, e per di più spietata. Bollavamo come traditore chiunque non si pronunziasse per la guerra civile. Ma quando, nel marzo 1917, tornammo in Russia, cambiammo completamente la nostra posizione. Quando tornammo e parlammo con i contadini e gli operai, vedemmo che essi erano tutti per la difesa della patria, ma in un senso completamente diverso da quello dei menscevichi, s’intende, e non potevamo chiamare mascalzoni e traditori questi semplici operai e contadini. Noi definimmo questo fenomeno ‘difensismo in buon fede’. (…) La nostra posizione iniziale al principio della guerra era giusta: allora bisognava formare un determinato nucleo decisivo. Anche la nostra posizione successiva era giusta. Essa partiva dalla necessità di conquistare le masse” (Opere complete, vol. 42, pag. 303).
Qui vediamo la straordinaria abilità di Lenin. In primo luogo, egli condusse una lotta implacabile per i principi, non solo contro i traditori conclamati, ma anche contro coloro che erano disposti a scendere a compromessi o non erano pronti a trarre tutte le conclusioni necessarie dalla rottura politica che aveva avuto luogo.
Non lottò solo contro coloro che si trovavano alla sua destra, ma anche contro coloro che commettevano errori di sinistra, o più precisamente di “ultra-sinistra”. Questo è il caso, ad esempio, della sua critica allo Juniusbroschüre (La crisi della socialdemocrazia, il titolo in italiano, Ndt). Lenin apprezzò il testo come un’importante svolta, in quanto mostrava l’esistenza di un’ala internazionalista e rivoluzionaria nella socialdemocrazia tedesca, dove il tradimento era stato più dannoso. Allo stesso tempo, però, insistette nel sottolineare alcune lacune del documento, che a sua insaputa era stato scritto da Rosa Luxemburg (sotto lo pseudonimo di Junius), sottoponendole a una critica dettagliata. Uno di questi errori riguardava la questione nazionale e la possibilità di guerre nazionali nell’epoca dell’imperialismo, su cui la Luxemburg aveva una posizione diversa da quella di Lenin.
Avendo così definito una posizione di principio attraverso una lotta implacabile con le altre tendenze e avendo conquistato l’avanguardia a una posizione corretta, Lenin, senza cambiare di una virgola i suoi principi, intraprese la seconda parte del compito: quella di conquistare le masse a quella stessa posizione. Ciò richiedeva la capacità di spiegare quelle stesse idee in un modo che la massa degli operai e dei contadini fosse in grado di comprendere e che si collegasse alle loro esperienze e alla loro coscienza.
È in questo contesto che va compresa la critica di Lenin a Trotskij in “La sconfitta del proprio governo nella guerra imperialista”, scritto nel 1915. Trotskij all’epoca dirigeva un quotidiano contro la guerra a Parigi, il Nashe Slovo, e quindi il suo pubblico era diverso da quello a cui si rivolgeva Lenin. Lo slogan “la sconfitta del proprio paese è il male minore” non poteva essere utilizzato in un giornale che mirava a raggiungere settori più ampi.
C’era un accordo politico generale tra Lenin e Trotskij sulla lotta contro la guerra imperialista, come testimoniato dalla loro stretta collaborazione a Zimmerwald e Kienthal, ma Trotskij si illudeva sulla possibilità di ricostituire l’unità del partito, cosa a cui Lenin si opponeva fermamente. Su questo punto Lenin aveva ragione.
I bolscevichi al potere
Un’ultima osservazione. La Rivoluzione russa, come è noto, fu combattuta sulla base dello slogan “Pace, pane e terra”, che i bolscevichi sostenevano potesse essere raggiunto solo attraverso l’ascesa al potere degli operai e dei contadini, da cui lo slogan “Tutto il potere ai soviet”. Una volta giunto al potere dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il Decreto sulla pace fu uno dei primi approvati dal governo sovietico. In questo modo i bolscevichi mantennero le loro promesse, offrendo una vera pace democratica, senza annessioni, a tutti i paesi belligeranti.
Inoltre, i bolscevichi al potere ripudiarono tutti i trattati segreti, che resero pubblici, con grande imbarazzo delle potenze imperialiste. Tra questi, ad esempio, il Trattato di Londra, con il quale Gran Bretagna, Francia e Russia promettevano concessioni territoriali all’Italia ai danni dell’Austria-Ungheria in cambio dell’appoggio italiano alla guerra; e gli accordi di Costantinopoli e Sykes-Picot tra Gran Bretagna, Francia e Russia per la spartizione dell’Impero Ottomano, anche se le stesse potenze avevano promesso agli arabi l’autogoverno in cambio della sollevazione contro i turchi.
Lenin avanzò l’idea che, se questa proposta di pace democratica fosse stata rifiutata, il potere sovietico avrebbe intrapreso una vera e propria guerra difensiva, una guerra rivoluzionaria contro la Germania e le altre potenze imperialiste che minacciavano il nuovo Stato dei lavoratori. Non fu così. Anzi, lo stato di demoralizzazione dell’esercito russo era tale che, con il trionfo della rivoluzione, si manifestò una forte tendenza alla disintegrazione.
Durante i negoziati di pace a Brest-Litovsk, all’inizio del 1918, tra i Soviet, guidati da Trotskij, e le Potenze Centrali, i bolscevichi riuscirono a malapena a tenere la linea del fronte. Temporeggiavano e speravano che la rivoluzione scoppiasse in Germania. La rivoluzione scoppiò in Germania, anche se solo nel novembre di quell’anno. L’alto comando tedesco era pienamente consapevole della situazione disastrosa dell’esercito russo e ottenne dai sovietici una pace onerosa. A partire dal febbraio 1918, dovette essere creato un esercito completamente nuovo, l’Armata Rossa dei lavoratori e dei contadini, con il compito di difendere la Rivoluzione e il potere sovietico. Ma questo esula dallo scopo di questo volume.
Gli scritti di Lenin sulla lotta contro la guerra imperialista costituiscono una fonte inesauribile per i rivoluzionari di oggi. Si può imparare molto da uno studio dettagliato dei principi che egli difese – che erano uno sviluppo di quelli delineati da Marx ed Engels, in nuove condizioni – e anche del modo in cui poi applicò questi principi nella sua agitazione pratica volta a conquistare le masse. Ci auguriamo che questa selezione, per quanto non esaustiva, possa aiutare i comunisti rivoluzionari di oggi in questo sforzo.
settembre 2024