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La depenalizzazione bolscevica dell’omosessualità: una scelta o una svista?

di Fred Weston

 

La Rivoluzione d’Ottobre cambiò radicalmente la situazione degli omosessuali in Russia, così come quella delle donne. Nel 1922 entrò in vigore il primo codice penale della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR). Nel 1918 tutte le vecchie leggi zariste furono sospese e quando finalmente, dopo alcuni anni di dibattito, venne adottata la nuova legislazione, l’omosessualità – o la “sodomia” come allora era chiamata – fu depenalizzata. Questo rappresentò un enorme avanzamento per gli omosessuali, che sotto lo zar potevano essere arrestati e condannati ad anni di prigione o di lavori forzati.

Alcuni storici reazionari, con il chiaro intento di non riconoscere ai bolscevichi il merito di questa legislazione avanzata, pretendono che si sia trattato di una svista piuttosto che di una decisione consapevole. Questa affermazione non regge ad un attento esame del percorso che portò alla redazione del codice penale del 1922, durante il quale si svolse un dibattito sulla questione e ci fu una scelta cosciente di depenalizzare l’omosessualità. Fu così fino al 1933-34, quando il regime stalinista decise di criminalizzare nuovamente l’omosessualità e imporre pene severe agli omosessuali.

D’altro canto è altrettanto vero che tante mistificazioni e mitologie sono contenute anche nei resoconti di sinistra, che dipingono la Russia post-rivoluzionaria come una sorta di paradiso per i gay. Questa riscrittura della storia, attraverso gli occhi della mentalità contemporanea, manca di porre la questione da un punto di vista storico. Cercheremo di delineare invece il contesto reale in cui i bolscevichi depenalizzarono l’omosessualità.

[Nota: i termini “gay” o “omosessuale” vengono qui usati al posto di LGBT, dal momento che questo termine non esisteva all’epoca. Inoltre tratteremo principalmente la specifica discriminazione dei rapporti omosessuali maschili. Le relazioni tra donne non vennero mai criminalizzate e non furono quindi depenalizzate. Affronteremo questo aspetto in un altro articolo.]

L’omosessualità sotto gli zar  

Sotto il regime zarista l’omosessualità fu  considerata un crimine per quasi un secolo. La prima proibizione delle relazioni omosessuali all’interno dell’esercito fu imposta da Pietro il Grande nel 1716. Nel 1835, sotto Nicola I, il divieto fu esteso alla popolazione civile. Le relazioni omosessuali consensuali divennero punibili con l’esilio in Siberia e questa legislazione rimase in vigore fino alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917.

Nonostante gli auspici di Nicola I, l’omosessualità non poté essere abolita per legge. Essendo una variante naturale delle relazioni sessuali umane, poteva essere repressa, ma non rimossa dalla società. Rimase quindi un fenomeno semi-clandestino, che trovava espressione in diversi ambiti, come i bagni pubblici, dove la prostituzione maschile era comune. Per ironia della sorte, molti uomini appartenenti alle classi alte e medie erano omosessuali o bisessuali. Alcuni si sposavano e vivevano una vita famigliare apparentemente “normale”, salvo poi cercare rapporti con altri uomini in posti come i bagni pubblici.

Verso la fine del diciannovesimo secolo, con il capitalismo che iniziava a svilupparsi in Russia, le grandi città cominciarono ad espandersi e su queste basi si sviluppò anche una sottocultura urbana omosessuale. E mentre l’omosessualità continuava ad essere criminalizzata, gli psichiatri cominciarono a guardare al fenomeno da un punto di vista medico e non morale, influenzati dagli sviluppi registrati in questo campo in Europa. Una parte della comunità scientifica riteneva che l’omosessualità dovesse essere trattata come una malattia psicopatologica o biologica piuttosto che come un crimine. L’omosessualità non era ancora considerata una variante naturale dell’attività sessuale umana, ma si trattava comunque di un passo avanti rispetto alla criminalizzazione.

Gli psichiatri cominciarono a sviluppare l’idea che l’omosessualità potesse essere spiegata come una “perversione” dovuta ad uno sviluppo sessuale deviato, provocato da un’educazione inadeguata. Partendo da questo presupposto, si giunse alla conclusione che l’omosessualità potesse essere “curata” con la psicoterapia e persino con l’ipnosi. Corollario di questa teoria era che, prestando la dovuta attenzione allo sviluppo dei bambini, si potesse evitare l’emergere di “deviazioni” omosessuali.

Una piccola minoranza andò oltre e iniziò a vedere l’omosessualità come una variante naturale a tutti gli effetti. Ushakovsky – apparentemente uno pseudonimo – in un testo pubblicato nel 1908, Persone di sesso intermedio, scrisse:

La legge dovrebbe proteggere i bambini e gli infermi di mente e proibire qualsiasi tipo di aggressione. Ma quello che due persone adulte, nella loro camera da letto, fanno coi loro corpi per reciproco consenso e senza provocare alcun danno, non riguarda lo Stato.

Questa idea, che a quel tempo era condivisa solo da una piccola minoranza (come dimostra anche l’anonimato dell’autore, dovuto allo status illegale degli omosessuali di allora), trovò applicazione dopo la Rivoluzione d’Ottobre nella politica bolscevica riguardante le relazioni tra persone dello stesso sesso.

Nell’ultimo periodo del regime zarista ci fu un significativo incremento nel numero di omosessuali condannati dai tribunali. C’era anche molta ipocrisia nell’applicazione della legge, con i membri delle classi più elevate che ricevevano un trattamento più mite. Quelli nelle alte sfere che conoscevano le persone giuste, potevano tirare i fili giusti per far insabbiare i loro casi. Per esempio vennero fermati diversi procedimenti contro omosessuali appartenenti alla famiglia reale.

L’effetto della rivoluzione

La rivoluzione del 1905 ebbe un impatto sul modo in cui l’omosessualità veniva trattata. E nonostante il crescente numero di omosessuali condannati, si verificò un certo ammorbidimento in materia. Ci fu meno censura dopo il 1905 e in queste condizioni poterono emergere figure come quella di Michail Kuzmin (uno scrittore e un poeta apertamente gay). Kuzmin è considerato il primo romanziere a narrare il coming out di un gay nell’opera Kryl’ja [letteralmente “ali”, edito in italiano con il titolo Vanja. Ndt], pubblicata nel 1906. Ci sono anche i diari di Kuzmin che, tra le altre cose, descrivono la vita quotidiana in una coppia gay, sia sotto il regime zarista che poi sotto il governo sovietico. Ci fu di fatto un fiorire di letteratura su tematiche sessuali dopo la rivoluzione del 1905. Nello stesso periodo LidijaZinoveva-Annibal pubblicò Trentatré mostri, in cui viene descritta la storia di un amore lesbico.

Kuzmin guardò alla rivoluzione d’Ottobre con simpatia, come fecero molti scrittori ed artisti. Divenne un membro della direzione dell’Associazione degli Artisti a Pietrogrado, assieme a scrittori come Aleksandr Blok e Vladimir Majakovskij. Lavorò anche come traduttore sotto MaksimGorkij e fu il fondatore di un nuovo quotidiano, La vita dell’arte, di cui fu anche uno dei direttori. Questi sono dettagli significativi. Un gay dichiarato era tenuto in alta considerazione nel primo periodo dell’Unione Sovietica – cioè prima che la controrivoluzione stalinista consolidasse la sua presa sulla società.

Gli storici borghesi: menzogne e distorsioni

Molti storici che hanno scritto sul femminismo e la questione omosessuale, hanno tentato di sminuire le libertà garantite dalla legge sovietica agli omosessuali e alle donne negli anni ‘20. La ragione di questo è abbastanza evidente. Non possono ammettere che la rivoluzione comunista del 1917 in Russia sia stata così progressista su temi come i diritti delle donne e dei gay, perché il loro intento è quello di dipingere la rivoluzione come una mostruosa aberrazione della storia. In questo servono lealmente i loro finanziatori: la classe dei capitalisti che spera di seppellire la verità sulla rivoluzione.

Troviamo un esempio di simili distorsioni nel capitolo Sexualminorities: the status of gays and lesbians in Russian-Soviet society di James Riordan, contenuto nell’antologia Women in Russia and the Ukraine curata da Rosalind Marsh (Cambridge University Press, 1996). Al tema sono dedicate 17 pagine e in soli due brevi paragrafi Riordan affronta un periodo di quasi vent’anni che include la rivoluzione russa, la guerra civile che ne seguì, la stesua dei codici del 1922 e del 1926, il processo di degenerazione burocratica, la battaglia tra la nascente burocrazia stalinista e l’Opposizione di Sinistra, il graduale consolidamento del potere della burocrazia  con la conseguente distruzione della genuina democrazia sovietica nata con la rivoluzione e infine la distruzione di molte delle conquiste rivoluzionarie attraverso le leggi reazionarie promulgate negli anni ‘30.

Questo è un modo molto comodo di osservare un processo storico, perché consente all’autore di confondere il repressivo regime stalinista consolidatosi negli anni ’30 con il primo fiorire della democrazia operaia dopo il 1917 e nei primi anni ’20. Riordan presenta la situazione antecedente al 1917 come se la destra proto-fascista e i rivoluzionari socialisti avessero la stessa posizione, quando sostiene che:

La logica della sinistra e della destra era quindi la stessa: il sesso e l’omosessualità sono pericolosi strumenti con cui il nemico di classe/della nazione mina la salute spirituale e fisica della “nostra parte”. Il nuovo regime dopo il 1917 ereditò entrambe queste radicate convinzioni.”

E’ vero che alcuni nella sinistra di quel tempo consideravano l’omosessualità come una “perversione” o una “depravazione”. Tenendo conto del periodo non è sorprendente. Tuttavia il punto principale che viene omesso è che, qualsiasi fosse il punto di vista di singoli socialisti, il regime sovietico agì consapevolmente per legalizzare l’omosessualità e nessuna dose di revisionismo può negare questo dato di fatto.

Nel capitoletto Le minoranze sessuali dopo il 1917, in cui minimizza il ruolo dei bolscevichi nel depenalizzare l’omosessualità, Riordan afferma:

L’iniziativa per revocare la legislazione zarista contro gli omosessuali venne presa, dopo la rivoluzione di Febbraio del 1917, non dai bolscevichi ma dai  Costituzionali Democratici – abbiamo già visto come uno dei leader dei Cadetti, Vladimir Nabokov, avesse proposto precisamente questo – e dagli anarchici.

Dunque secondo Riordan il merito per la legalizzazione dell’omosessualità dopo la rivoluzione sarebbe di un Cadetto, che allora era in esilio, e degli anarchici, che non erano al potere! Nabokov era un prominente membro del Partito Costituzionale Democratico (o i “Cadetti”, come erano conosciuti): un partito che aveva giocato un ruolo apertamente controrivoluzionario durante il 1917. Servì anche come ministro della Giustizia nel primo governo regionale della Crimea, che fu stabilito nel giugno 1918 sotto la protezione tedesca, e collaborò apertamente con gli eserciti reazionari dei Bianchi.

Presentare questo individuo reazionario come il vero promotore della depenalizzazione dell’omosessualità in Russia lascia è sbalorditivo. Poi, senza un briciolo di imbarazzo, Riordan continua:

Una volta che il vecchio codice penale fu abolito dopo la rivoluzione d’Ottobre, anche l’articolo 516 non fu più in vigore”.

Qui è implicito che, abolendo il vecchio codice zarista, i bolscevichi al potere inavvertitamente abolirono anche l’articolo che proibiva gli atti omosessuali. Ma come era possibile che i Cadetti avessero qualcosa a che fare con la legislazione bolscevica dopo che il potere sovietico era già stato stabilito? E’ davvero un tentativo maldestro di presentare i bolscevichi come se fossero contrari alla depenalizzazione dell’omosessualità, nonostante l’evidenza della loro azione concreata per depenalizzarla.

E’ vero che Nabokov era un liberale in tema di relazioni tra persone dello stesso sesso, ma era un liberale borghese. Questo significa che difendeva i rapporti di proprietà sui quali si basava l’oppressione delle donne e degli omosessuali. Combatté contro la rivoluzione socialista, come la sua posizione in Crimea nel 1918 dimostra ampiamente. Fece anche parte di una commissione istituita dal Governo Provvisorio dopo il Febbraio 1917 per revisionare il codice penale zarista del 1903. Quella commissione non approdò ad alcun risultato sostanziale. Così mentre gli storici reazionari sminuiscono le intenzioni dei bolscevichi di depenalizzare l’omosessualità (che è precisamente quello che fecero nel 1922), attribuiscono ai borghesi liberali, che non fecero nient’altro che chiacchierare, il merito di aver liberato i gay della Russia!

Nonostante i suoi tentativi di distorcere la realtà, Riordan è costretto ad ammettere quanto segue:

Durante gli anni ’20 la situazione per gli omosessuali sovietici fu relativamente sopportabile e numerosi gay e lesbiche (come Kuzmin, Kliuev e Pamok) giocarono un grande ruolo nella cultura sovietica…

Tuttavia, dopo aver fatto una breve concessione alla verità storica, corre avanti molto velocemente fino al 1934:

Il governo [sotto Stalin] promulgò una legge che entrò in vigore il 7 marzo 1934. In base a questa la “sodomia” divenne ancora una volta un crimine e questo articolo fu inserito nei codici penali di tutte le repubbliche sovietiche”.

Qui il metodo è chiaro: menzionare molto brevemente quello che fu ottenuto dopo la presa del potere dei bolscevichi e poi andare altrettanto velocemente al regime repressivo sotto Stalin, in modo da presentarlo come l’autentica politica bolscevica.

In History of homosexuality in Europe and America di Wayne R. Dynes e Stephen Donaldson (Garland Publishing Inc., 1992) c’è un altro tentativo sfacciato di falsificare la storia. Ci viene detto che sì, i bolscevichi abolirono il vecchio codice penale zarista dopo essere saliti al potere nel 1917, abolendo così tutte le vecchie leggi, ma senza avere l’intenzione di rimuovere specificamente la criminalizzazione dell’omosessualità. Siamo indotto a pensare che sulla questione i bolscevichi fossero un tantino sbadati. Con questo piccolo trucco si pretende che i bolscevichi non fossero responsabili per la depenalizzazione dell’omosessualità. Ma nonostante tutti i suoi tentativi, anche questo autore, come Riordan, deve mostrare un po’ di rispetto per la verità storica:

Quando la guerra civile si concluse, un nuovo codice penale sovietico venne promulgato nel 1922 ed emendato nel 1926. Nella sfera sessuale questo codice proibiva il sesso con i minori di sedici anni, la prostituzione maschile e femminile, e il suo sfruttamento. Non faceva menzione di contatti sessuali tra adulti consenzienti, il che significava che l’omosessualità maschile tra adulti era legale”.

Così, dopo aver infangato i bolscevichi, è costretto ad ammettere che durante il loro governo l’omosessualità fu legalizzata.

Simon Karlinsky, un professore di Berkeley morto nel 2009, nella sua opera del 1976 Russia’s gay literature and culture: the impact of the OctoberRevolution, sostiene a sua volta che i bolscevichi semplicemente si dimenticarono di includere il crimine di omosessualità nel codice del 1922. Karlinsky era apertamente anti-comunista, il che spiega la sua incapacità di raccontare la verità su quello che accadde realmente. Minimizza la repressione dei gay sotto il regime zarista nel tentativo di mettere in cattiva luce la situazione esistente dopo la presa del potere dei bolscevichi. Ancora una volta questo viene fatto puntando i riflettori sulla politica del tardo stalinismo sui rapporti omosessuali e tralasciando quello che era stato ottenuto nei primi anni della rivoluzione.

La depenalizzazione: un atto intenzionale

Un lavoro più recente di Dan Healey, Homosexual desire in revolutionary Russia (2001), è basato, oltre che su materiale già disponibile in Occidente, anche su materiale d’archivio reso disponibile dopo il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991. Sulla questione se la depenalizzazione dell’omosessualità del 1922 fu una decisione consapevole o meno, Healey dichiara:

Sebbene questi documenti non entrino nel merito di una normativa dettagliata sulla sodomia, dimostrano una volontà di principio di depenalizzare gli atti tra adulti consenzienti, espressa fin dai primi sforzi di scrivere un codice penale socialista nel 1918 fino all’adozione finale della legislazione nel 1922.

Nella prima elaborazione di un progetto di codice penale nel 1918, molto fu ripreso dal codice del 1903. Ci fu però, in quel progetto, la decisione deliberata di depenalizzare le attività consensuali tra persone dello stesso sesso, laddove allo stesso tempo venivano criminalizzati gli atti omosessuali con minori o compiuti tramite violenza e coercizione. Vennero così gettate le basi per l’elaborazione del codice penale del 1922. Kozlovksy, il Commissario del popolo alla Giustizia nel 1920, fece una serie di commenti alle bozze, che indicano come la sua politica fosse quella di rimuovere dalla normativa le attività consensuali tra adulti dello stesso sesso.

Alla fine il nuovo codice penale entrò in vigore il 1 giugno 1922. Quando nel 1926 il codice fu revisionato, l’omosessualità continuò ad essere legale, il che dimostra che in precedenza non si era trattato di una svista o di una dimenticanza. Questo sta a significare che, tra i paesi principali a livello mondiale, la Russia divenne il secondo a rendere l’omosessualità legale – il primo fu la Francia dopo la rivoluzione del 1789. Ci occuperemo di come la legge fu applicata e di come l’omosessualità veniva vista in Russia negli anni ’20 in un futuro articolo.

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