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La crisi della cosmologia ufficiale, tra vecchi limiti e nuove possibilità

This image of an archetypal spiral galaxy was captured by the NASA/ESA Hubble Space Telescope.  The subject of this image is known as NGC 691, and it can be found some 120 million light-years from Earth. This galaxy was one of thousands of objects discovered by astronomer William Herschel during his prolific decades-long career spent hunting for, characterising, and cataloguing a wide array of the galaxies and nebulae visible throughout the night sky — almost 200 years before Hubble was even launched.  The intricate detail visible in this Picture of the Week would likely be extraordinary to Herschel. Hubble was able to capture an impressive level of structure within NGC 691’s layers of stars and spiralling arms — all courtesy of the telescope’s high-resolution Wide Field Camera 3.

di Massimo Pieri

 

La teoria del Big Bang viene insegnata nelle scuole come un dato di fatto. L’universo è nato con una gigantesca esplosione dal nulla poco meno di 15 miliardi di anni fa. Dalle sue ceneri si sono formate galassie e sistemi stellari. Da allora, l’universo è in espansione. Prima di quel momento non esistevano spazio, tempo e materia.

Secondo la versione maggiormente condivisa della teoria, l’espansione continuerà indefinitamente. Con il tempo le stelle, esaurito il loro combustibile, si raffredderanno, gli stessi buchi neri evaporeranno lentamente a causa di una debole emissione di radiazioni e tutto finirà in una nebbia indistinta di particelle e polvere cosmica, in una sorta di eterna stasi.

In realtà, secondo il principio di conservazione dell’energia, che sta a fondamento della fisica, “nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”. In termini più specifici, in ogni sistema fisico alcune grandezze come la massa/energia (che si equivalgono secondo la formula E=mC2), la carica elettrica e il momento angolare, possono variare nell’interazione tra una particella e l’altra, ma la loro somma totale rimane costante e non si possono né creare dal nulla né distruggere.

Ciò è in contraddizione con la teoria del Big Bang, poiché significa che non ci può essere un momento in cui la materia è comparsa dal nulla e qualcosa come un inizio del tempo.

Per i materialisti non esiste né può esistere uno spazio “vuoto”, e nemmeno un tempo che scorre senza che nulla accada.

Una concezione di questo genere è quella della cosmologia del plasma. Si tratta di un modello cosmologico proposto dagli anni ’60 in poi dal premio Nobel per la fisica Hannes Alfvén, assieme a Oskar Klein e Carl-Gunne Fälthammar. Esso prevede un universo infinito nello spazio, attraversato da immensi filamenti di plasma (gas ionizzato) e campi elettromagnetici, ed infinito nel tempo, senza alcun momento di inizio o di fine. La caratteristica principale del modello è che, su grande scala, i fenomeni elettromagnetici hanno un ruolo altrettanto importante di quelli gravitazionali. Ciò rende inutile e contraddittorio ipotizzare un’esplosione come inizio dell’universo.

Il fatto che lo spazio non sia vuoto è confermato dall’esplorazione: le sonde lanciate dall’uomo, anche le Voyager (1 e 2) che si trovano ormai nelle profondità del cosmo, al di fuori del sistema solare, navigano  in una sorta di oceano di particelle di plasma, gas e polvere attraversate da campi elettromagnetici, chiamato “mezzo interstellare”. Le equazioni che vengono utilizzate per guidarle da terra e determinare il loro percorso sono quelle dell’idrodinamica: le stesse che si usano per le navi[1]. Ed anche per le sonde spaziali si usano gli stessi termini marinareschi, come “onda d’urto di prua”.

Riguardo al tempo, basti pensare che la sua misurazione è sempre presa in riferimento al moto di qualche corpo materiale, dal nostro pianeta intorno al proprio asse e intorno al Sole, agli “orologi biologici” degli organismi viventi, alle vibrazioni dei cristalli di quarzo per gli orologi atomici. Tutta la materia che conosciamo è in movimento. Se non fosse così, su queste basi sarebbe ragionevole pensare che neppure il tempo potrebbe esistere. Spazio e tempo sono quindi le modalità di esistenza della materia. Essi, come la materia stessa, non hanno limiti. Ciò significherebbe che l’universo esiste da sempre ed esisterà per sempre, in un infinito e incessante processo di cambiamento.

Certamente questo punto di vista, che i marxisti sostengono come quello più razionale, è qualcosa di molto diverso da quanto prospetta la teoria del Big Bang.

Quest’ultima però è in discussione da molti decenni: il libro su teoria marxista e scienza moderna La rivolta della ragione di Alan Woods e Ted Grant, del 1997, dedica alla questione l’intero capitolo 9.

Le più recenti scoperte non fanno che sottolineare tutti i limiti della teoria. Per la maggior parte non sono altro che conferme alle obiezioni che da lungo tempo vengono poste.

La resistenza ad abbandonare la teoria è strenua da parte dell’establishment scientifico. Le contraddizioni con i risultati delle osservazioni stanno però raggiungendo un livello significativo. Bastano solo alcuni esempi.

I pilastri della teoria del Big Bang

Tre prove principali vengono portate a sostegno della teoria del Big Bang:
-L’abbondanza di alcuni elementi leggeri come idrogeno ed elio;
-La radiazione cosmica di fondo (CMB) una sorta di “eco” del Big Bang;
-lo spostamento verso il rosso (redshift) degli spettri delle galassie proporzionale alla distanza (da cui si desume l’espansione dell’universo).

Tutte queste “prove”, discusse da sempre, vengono ora messe ulteriormente in forse da alcune recenti osservazioni.

Lo ‘spostamento verso il rosso’ e la costante di Hubble
Nel 1929 l’astronomo statunitense Edwin Hubble enunciò l’omonima legge: tanto maggiore è la distanza tra due galassie, tanto più alta è la loro velocità di allontanamento reciproco.

La legge di Hubble venne ricavata dall’osservazione che la luminosità delle galassie si sposta sempre più verso il rosso, quindi assume una lunghezza d’onda sempre più ampia, all’aumentare della distanza, fenomeno che può essere spiegato anche da un effetto Doppler analogo a quello delle onde sonore prodotte dalla sirena di un’ambulanza che si allontana rispetto all’osservatore. Questo è il fondamento dell’idea che l’intero universo è in espansione.

La costante di Hubble è un parametro che determina la velocità dell’espansione cosmica. Esistono due modi diversi per determinare il valore di questa costante:

-misurarla prendendo punti di riferimento nelle galassie vicine, come ad esempio alcuni tipi di supernova (supernove di tipo Ia) oppure le stelle variabili cefeidi, la distanza delle quali si può determinare in modo molto preciso appunto a causa della loro variazione di luminosità;

-misurarla a partire dalle piccole disomogeneità (anisotropie) della radiazione cosmica di fondo, dalle quali si sarebbero originate le attuali galassie e che rappresenterebbero la condizione dell’universo poco dopo la sua nascita, e proiettando l’evoluzione delle stesse fino alla situazione attuale.

I due metodi, per confermare la teoria, dovrebbero dare lo stesso risultato, però in realtà non è così.

Con il primo sistema si ottiene un valore di circa 74 km/s/Mpsc (chilometri al secondo per Megaparsec) mentre misurando l’espansione a partire dalla radiazione cosmica di fondo  il valore è 67,4 Km/Sec/Mpsc. I due dati non sono compatibili, a meno di ammettere un’espansione che prima rallenta (dopo una fase iniziale di rapidissima crescita, chiamata “inflazione cosmica”, ipotizzata ma anch’essa ora rimessa in discussione) e successivamente, per un qualche misterioso motivo, torna ad accelerare.

Nel tentativo di eliminare la discrepanza, sono state fatte altre misurazioni, con criteri diversi, ma senza successo.

Wendy Freedman della University of Chicago, che ha condotto uno di questi tentativi, ha dichiarato:

“La discrepanza che esisteva tra le misure non è stata abolita, ma questa nuova evidenza suggerisce che non sarebbe un pensiero campato per aria quello di supporre che ci sia qualcosa di fondamentalmente errato nel nostro attuale modello dell’universo” (fonte: Media Inaf – Istituto nazionale di astrofisica)[2].

Il ritorno dell’universo sferico e chiuso

Sempre dall’analisi della radiazione di fondo, alcuni dati trasmessi dal satellite Planck nel 2019, in particolare riguardanti gli effetti di lensing gravitazionale, vale a dire la distorsione della luce proveniente da galassie lontane che viene deviata dalla materia incontrata sul suo percorso, secondo quanto previsto dalla teoria della relatività generale, sembrano far supporre che l’universo sia curvo e chiuso, peraltro in contrasto con tutte le altre osservazioni![3]

Nonostante ciò l’ipotesi è stata comunque presa in considerazione, anche se si tratta di poco più che una speculazione matematica.

La prospettiva di un universo chiuso è una regressione rispetto alla stessa teoria del Big Bang, che comunque prevede la possibilità di un’evoluzione nella natura, come tutto ciò che ci circonda suggerisce.

Si tratta di un’idea comunemente condivisa nel medioevo, prima dell’avvento della scienza moderna, per sottolineare la finitezza del mondo materiale in contrapposizione all’infinita potenza divina. Il fatto che ritorni parzialmente in auge, seppure solo al livello del dibattito teorico, denuncia lo stato di profonda crisi nella quale si trova la cosmologia e più in generale la scienza tutte le volte che tenta di difendere teorie in contrasto con le osservazioni, ma che supportano idee favorevoli alla classe dominante, come la realtà di un essere divino al quale gli oppressi si possono rivolgere con la preghiera sperando di essere esauditi, in luogo di lottare per l’affermazione dei propri diritti.

A partire da un universo chiuso, sarebbe comunque molto difficile spiegare un fenomeno come l’espansione cosmica: come è intuitivo, ciò porterebbe a contraddizioni insanabili.

Bisogna in ogni modo tenere presente che, secondo alcuni fisici, la cosiddetta radiazione di fondo non sarebbe affatto l’eco del Big Bang, ma un fenomeno diffuso, simile ad una sorta di nebbia di particelle, che si produce a partire dalle galassie vicine. Se ciò fosse vero, anche dati apparentemente privi di senso come quelli che sembrerebbero portare all’ipotesi di un universo chiuso, troverebbero una spiegazione diversa e più razionale.

Nubi interstellari e superammassi di galassie subito dopo il Big Bang
Le galassie non fluttuano isolate nell’universo, ma si raggruppano in ammassi a centinaia e migliaia. Gli ammassi a loro volta si riuniscono in superammassi fino a formare strutture gigantesche, dell’ordine delle centinaia di milioni di anni luce.

Fin dalla loro scoperta, questi ultimi  hanno trovato difficoltà ad essere spiegati con una teoria che prevede un tempo relativamente limitato (non più di 13 o 14 miliardi di anni) disponibile per la loro formazione.

Dalle osservazioni che sono state fatte con i telescopi di ultima generazione, nel 2018 si sono trovati superammassi di galassie a circa 2 miliardi di anni luce dal Big Bang, con una complessità paragonabile a quella di strutture analoghe molto più vicine a noi, anche se con caratteristiche diverse. Nessuno sa come si possano essere formati in un tempo così breve.[4] Alla velocità con la quale mediamente si muovono le stelle, ci vorrebbero circa 80 miliardi di anni luce per formare un ammasso[5].

Inoltre, nel 2019, sono stati trovati carbonio ed altri elementi pesanti in una nube interstellare distante circa 13 miliardi di anni luce. Nubi con queste caratteristiche sono prodotte da supernove, cioè esplosioni di stelle che hanno in media un’età di 1 miliardo di anni. In altre parole, dovrebbero essere state generate da stelle con la stessa età del Big Bang, se non addirittura più antiche[6].

Oltre alla tempistica, anche la prima prova della teoria del Big Bang, l’abbondanza di idrogeno ed elio nell’universo antico, è in questo modo messa in discussione.

Questi elementi osservativi costituiscono forse le più importanti evidenze contro la teoria del Big Bang. Per contrastarle, gli scienziati hanno avanzato varie ipotesi, alcune anche fantasiose, come quella che nel passato la velocità di aggregazione di galassie e ammassi fosse molto superiore a quella attuale. Si chiamano “ipotesi ad hoc”: quando i risultati delle osservazioni contrastano con quanto prevede la teoria, si modificano alcuni parametri della teoria stessa per renderla compatibile con le nuove informazioni.

Nella maggior parte dei casi i ricercatori ammettono di non essere in grado di fornire alcuna spiegazione razionale, rifiutandosi semplicemente di abbandonare la teoria. Oppure immaginano la presenza nei superammassi, a compensare la materia mancante, di grandi quantità di un tipo di materia non rilevabile con la radiazione elettromagnetica e quindi non visibile: la materia oscura. Valga come esempio l’intervista a Media Inaf (Istituto Nazionale di astrofisica) di Sandro Bardelli, tra gli scopritori di un superammasso primordiale denominato Hyperion, reperibile anche su YouTube a questo link.

Tale espediente non viene utilizzato solamente per spiegare la formazione dei superammassi di galassie, ma anche in senso molto più generale. Quella della materia oscura è infatti l’ipotesi ad hoc più importante tra quelle riguardanti la teoria del Big Bang.

La caccia alla materia oscura

L’ipotesi del Big Bang ha come presupposto che la gravità sia l’unica forza fondamentale ad operare su larga scala (le altre sono: elettromagnetismo, forza nucleare forte, forza nucleare debole). Su questa base, viene ipotizzata la presenza della materia oscura. L’espansione dell’universo, innescata dall’immane esplosione del Big Bang, deve infatti essere contrastata dalla gravità per permettere alle stelle e alle galassie di formarsi, impedendo alle particelle di materia di disperdersi in tutte le direzioni. Il problema è che la materia visibile non sembra essere sufficiente per rallentare l’espansione. È stato quindi ipotizzato un diverso tipo di materia, appunto “oscura”, per fare tornare i conti della teoria.

La prova principale che viene considerata a favore dell’esistenza della materia oscura è che essa indirettamente spiegherebbe alcune caratteristiche del moto di rotazione delle galassie intorno al proprio centro.

Man mano che ci si allontana dal centro galattico, secondo le leggi della gravitazione newtoniana, considerando solo la materia visibile, la velocità di rotazione delle stelle intorno ad esso dovrebbe diminuire in misura proporzionale alla massa della galassia.

Ma ciò non avviene. La velocità si mantiene costante anche all’aumentare della distanza dal centro.

Per spiegare questo fenomeno solo ricorrendo alla gravità, bisogna supporre che sia presente nella galassia una grande quantità di materia non visibile e che non interagisce con la materia ordinaria: vale a dire la materia oscura.

Nonostante anni di ricerche, nessuna particella di materia oscura è però mai stata individuata direttamente.

Dal punto di vista teorico, sono stati proposti nel corso degli anni molti tipi di particelle, finora senza successo: WIMP, assioni, fotoni dotati di massa (a differenza di quelli conosciuti), gravitini (come si vedrà oltre).

Dispositivi sempre più sofisticati, grandi anche centinaia di metri ed ovviamente molto costosi, vengono messi in opera nei centri di ricerca al fine di rilevare almeno qualcuna di queste entità. L’ultimo in ordine di tempo, significativamente denominato Alps II, acronimo di “Any Light Particle Search”, vale a dire “ricerca di qualsiasi particella leggera”, concepito per trovare assioni, dovrebbe entrare in funzione nel 2021 ad Amburgo, mentre a luglio del 2020 un rivelatore di WIMP dovrebbe partire in un laboratorio sotterraneo del Sud Dakota (USA).

Secondo studi di alcuni fisici che si rifanno alla teoria cosmologica del plasma di Alfvèn, come Lerner e Peratt, (v. il saggio Il Big Bang non c’è mai stato del 1991), basterebbe considerare l’azione della forza elettromagnetica su larga scala per spiegare sia il fatto che la materia si concentri in stelle e galassie invece di disperdersi in mille rivoli, sia i fenomeni legati alla rotazione delle galassie, senza alcun bisogno di introdurre un esotico tipo di materia di fatto non rilevabile con mezzi “comuni”. Ancora una volta, la soluzione più razionale tende a venire scartata.

Un universo al plasma

Fino ad alcuni anni fa si pensava che la forza elettromagnetica non operasse su grande scala. Ora però sono stati scoperti campi magnetici non solo intorno ai pianeti, ma anche intorno alle galassie e nello spazio intergalattico, associati a filamenti di gas.

La sonda Voyager 2 che ha da poco lasciato il sistema solare (novembre 2019) e precedentemente la Voyager 1 nel 2012[7], come accennato sopra, hanno rilevato le caratteristiche del campo magnetico interstellare al confine con il nostro sistema. Si tratta di plasma freddo ad alta densità, attraverso il quale passano immense correnti elettriche[8].

Ad ottobre 2019 sono stati “osservati per la prima volta campi magnetici coerenti, che si estendono al di sopra e al di sotto del disco galattico, nell’alone di una vicina galassia, un po’ più piccola della Via Lattea” (fonte: Media Inaf, Istituto nazionale di astrofisica)[9]. Si tratta della galassia NGC 4631, detta Galassia Balena, scoperta da William Herschel nel 1787. Le osservazioni sono state condotte con il radiotelescopio statunitense VLA (Very Large Array) e “rivelano le linee di forza del campo magnetico galattico che si protendono nello spazio, al di sopra e al di sotto del disco, oltre quello che viene definito alone galattico.”

Ancora dallo stesso articolo:

“L’immagine complessiva ottenuta (…) indica la presenza di un campo magnetico coerente su larga scala, con le linee di campo allineate nella stessa direzione su distanze di migliaia di anni luce. Campo magnetico che viene generato dall’azione della dinamo all’interno della galassia e che si protende molto all’esterno, sotto forma di gigantesche “corde” magnetiche perpendicolari al disco, seguendo l’andamento a spirale che origina i bracci della galassia.”
Quanto ai campi magnetici intergalattici, basti citare un breve estratto dell’interessante articolo di Le scienze intitolato “L’origine dei campi magnetici intergalattici” del 30 giugno 2015[10]:

“Quando gli astronomi hanno iniziato a osservare i campi magnetici nello spazio, hanno notato qualcosa di strano: l’universo è magnetizzato. Gli scienziati si aspettavano di trovare questi campi magnetici nelle regioni attive, dove le correnti di plasma come quelle all’interno delle stelle possono generarli. Ma a quanto pare anche i tratti cosmici più vuoti, dove gli scienziati si attendevano che potesse accadere ben poco, sono intessuti di magnetismo. Poiché i campi magnetici cosmici sono fra i protagonisti principali del movimento e dell’evoluzione di stelle e galassie, gli scienziati sono molto interessati a capire come sono nati e come sono diventati così forti.”

Sempre ad ottobre 2019 è stato scoperto che galassie anche distanti decine di milioni di anni luce si muovono secondo lo stesso verso. Anche se per spiegare tale fenomeno viene ancora una volta scomodata la onnipresente materia oscura; si tratta in realtà di un indizio molto preciso del fatto che le galassie siano controllate da un unico immenso campo magnetico intergalattico[11].

Interessa infine accennare brevemente al fenomeno della riconnessione magnetica: bruschi cambiamenti nelle linee di forza del campo magnetico portano al surriscaldamento (fino a milioni di gradi) le particelle di plasma che lo attraversano, e generano esplosioni improvvise e molto potenti. Il fenomeno è stato di recente osservato sia vicino alla superficie del Sole che su scala galattica. Identica causa è responsabile anche delle aurore boreali nell’atmosfera terrestre, e lo stesso Big Bang potrebbe non essere altro che una delle tante esplosioni dovute a questo tipo di eventi[12].

Come i risultati delle ultime osservazioni suggeriscono, un contrappunto di gravità ed elettromagnetismo sembra definire un universo simile a quello previsto dalla cosmologia del plasma. Ciononostante la teoria dominante del Big Bang viene ancora mantenuta dalla maggioranza degli scienziati, con dubbi e perplessità sempre maggiori, dal momento che essi faticano sempre più a collegarla a questi sviluppi.

La crisi della cosmologia

Le contraddizioni che anno dopo anno si vanno accumulando sotto il guscio della teoria del Big Bang hanno portato ad un salto qualitativo. La maggiore precisione delle misurazioni, ottenuta con lo sviluppo di strumenti tecnologici sempre più raffinati, come i telescopi che utilizzano l’ottica adattiva oppure i telescopi spaziali, invece di risolvere i dubbi, li ha aumentati, a tal punto che ormai gli scienziati ammettono apertamente di trovarsi davanti ad una crisi della cosmologia (ad esempio l’astrofisico Bertone. Cfr. questa intervista rilasciata alla Stampa ). Sia l’espansione dell’universo che la radiazione cosmica di fondo sono messe in discussione come prove del Big Bang, poiché portano a conclusioni tra loro incompatibili.

Assistiamo alla lotta degli opposti e alla polarizzazione tra il ritorno di idee medievali come quella di un universo sferico e chiuso da una parte e dall’altra l’importanza sempre maggiore che viene riconosciuta alla forza elettromagnetica, insieme alla gravità, come componente principale dell’universo, secondo quanto previsto dalla cosmologia del plasma.

Come è stato ampiamente dimostrato da Thomas Kuhn nel suo libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche, del 1962, la conoscenza scientifica non procede in maniera graduale ma per rivoluzioni, o salti di conoscenza successivi. Le teorie dominanti, chiamate “paradigmi”, entrano in crisi a causa delle contraddizioni (gli scienziati le chiamano “tensioni”) che inevitabilmente emergono e si accumulano tra le predizioni della teoria e le osservazioni. Ogni teoria fondamentale sulla natura ha infatti l’ambizione di spiegare tutta la realtà, ma la realtà è molto più complessa di qualunque semplificazione matematica: qualcosa sfugge sempre.

A ciò si aggiunga la considerazione che per ritenere valida una teoria matematica è sufficiente che essa rispetti la propria coerenza logica interna, mentre una teoria fisica, che utilizza la matematica come “linguaggio”, in ultima analisi deve corrispondere alle osservazioni. Ciò crea una contraddizione di fondo che non è chiara anche a molti scienziati.

In fisica, diversamente dalla matematica, quando a causa della mancata corrispondenza alle osservazioni non è più possibile mantenere la coerenza logica della teoria, nemmeno per mezzo di ipotesi ad hoc, questa viene abbandonata e sostituita da un’altra più coerente con i dati reali, che di solito include anche i fenomeni spiegati dalla teoria precedente.

Come in tutte le rivoluzioni, ciò non avviene però senza lotta, senza che i sostenitori della vecchia teoria tentino in ogni modo di difenderla. Questo è ciò che accade anche nell’ambito della cosmologia.

Per qualche dollaro in più

Claudia De Rahms è la principale sostenitrice di una teoria della gravità massiva che potrebbe spiegare l’espansione accelerata del cosmo. Accanto allo spunto interessante di  un nuovo ruolo per la gravità la quale, su larga scala, agirebbe in maniera repulsiva e non soltanto attrattiva come oggi comunemente accettato, eliminando la necessità di ipotizzare una fantomatica energia oscura, la teoria prevede però l’ennesima particella ‘teorica’ da scoprire (il gravitone dotato di massa). In un’intervista al Guardian del 25 gennaio 2020[13], la De Rahms ha posto l’accento anche su un aspetto centrale:

“Le persone hanno il loro ego (…) se dici ‘beh, in realtà quello che hai fatto quaranta anni fa non era del tutto corretto’, non diranno ‘Parliamone’.”  

Non si tratta di una questione puramente psicologica: ci sono anche motivazioni economiche alla base di questi atteggiamenti.

Intere carriere, reputazioni e patrimoni vengono costruiti intorno alle teorie dominanti, che tipicamente esprimono idee che convengono alla classe dominante. Di solito nessuno è disposto a cedere una buona posizione senza combattere, in modo analogo a quanto avviene per il potere politico.

Come abbiamo rilevato più volte, ogni teoria scientifica deve però in ultima istanza essere coerente con le osservazioni. Quando ciò non avviene e si innesca una crisi, anche i metodi più consolidati della borghesia per mantenere il controllo sull’establishment scientifico possono non rivelarsi poi molto efficaci.

Nel 2019 il premio Breakthrough, del valore complessivo di 3 milioni di dollari, assegnato dai noti miliardari e imprenditori Yuri Milner, Sergey Brin (Google), Mark Zuckerberg (Facebook) e Jack Ma (Alibaba), è andato ai fisici Sergio Ferrara, Daniel Freedman e Peter van Nieuwenhuizen per essere stati gli “architetti della supergravità”.

La teoria della supergravità è un’estensione della teoria delle stringhe, della quale non si è mai trovata alcuna prova sperimentale: ma la particella da questa ipotizzata, il “gravitino”, guarda caso “sarebbe il candidato naturale per spiegare la materia oscura, un fenomeno ancora irrisolto”.[14] Per essere più precisi, uno dei tanti candidati!

In quell’occasione Yury Milner ha dichiarato:

“Quando pensiamo alle grandi opere dell’immaginazione umana, spesso ci riferiamo all’arte, alla musica e alla letteratura, ma alcune delle creazioni più profonde e belle sono quelle della scienza”.

È curioso come per definire la scienza ci si riferisca all’immaginazione invece che alla comprensione della realtà: sembra un’idea molto poco scientifica. Ed infatti l’assegnazione di questo premio è stata oggetto di contestazioni e perplessità da parte di alcuni esponenti del mondo della ricerca, a dispetto del potere del danaro. Un articolo di Nature del 6 agosto 2019, tradotto in italiano da Le scienze, titola: “Supergravità: tre milioni di dollari per una teoria speculativa – I tre milioni di dollari del Breakthrough Prize 2019 per la fisica fondamentale sono andati ai tre ideatori della teoria della supergravità: che tuttavia potrebbe non essere una descrizione valida della realtà”[15]. Vale la pena di riportare la conclusione dell’articolo:

“Sabine Hossenfelder, fisico teorico dell’Istituto di studi avanzati di Francoforte, avverte che il fallimento del LHC [uno dei più grandi acceleratori di particelle attualmente in funzione] nel trovare particelle supersimmetriche infligge un colpo quasi fatale alle possibilità che la supergravità sia vera. Dice che i vincitori hanno “fatto un grande lavoro matematico che merita di essere riconosciuto”, e aggiunge: “Ma forse il premio dovrebbe essere per la matematica pura, perché questa non è fisica”.

Di recente James Peebles, citato sia da Lerner ne Il Big Bang non c’è mai stato che da A. Woods ne La rivolta della ragione come uno dei principali sostenitori della teoria del Big Bang a partire dagli anni ‘60, pochi giorni dopo avere vinto il premio Nobel 2019 proprio per le ricerche risalenti a quel periodo, in una dichiarazione all’AFP (Agence France Presse)  ripresa da altri siti e giornali online come “Phys.org” e “Wired”[16], avanza dubbi sulla teoria, riferendosi in particolare all’esplosione iniziale e all’inflazione cosmica, cioè quella fase di rapidissima espansione dell’universo che l’avrebbe immediatamente seguita, ed accorgendosi con decenni di ritardo  che non ci sono prove sperimentali a favore di tali eventi. Dall’articolo di Wired:

“Nonostante, insomma, abbia gettato le basi teoriche anche di quella teoria che chiamiamo teoria inflazionale, vale a dire di un’espansione repentina, in frazioni di frazioni di secondo, a partire da un punto di densità e temperatura elevatissime, Peebels continua a non amare la teoria. Poiché, sostiene, “per quanto bella, conta davvero poche prove dalla sua”. Mancano evidenze sperimentali per dire cosa è accaduto prima di quei primi secondi che sappiamo ricostruire.”

Che tutto ciò avvenga proprio ora è significativo, e delinea la possibilità che una nuova fase di “scienza straordinaria”, per dirla con Kuhn, o in altre parole una rivoluzione scientifica, sia vicina.

Una nuova rivoluzione scientifica è vicina?

Naturalmente la classe dominante non si arrenderà tanto facilmente. Le idee fondamentali che l’umanità elabora sulla natura e la realtà che ci circonda a partire da un determinato grado di sviluppo delle forze produttive, influiscono a loro volta più di quanto si possa pensare sulla coscienza collettiva. L’esaltazione della creatività in senso soggettivistico, l’equivalenza tra l’eleganza o bellezza di una teoria matematica e la sua validità reale nel mondo fisico, il mito scientifico di un inizio dell’universo e di una fine di tutto, possono sottendere l’idea di un “disegno intelligente” o di un pensiero cosciente a fondamento della realtà come la vediamo e viviamo, magari appartenente ad un onnisciente essere divino. Oppure possono essere interpretati in senso pessimistico e nichilistico: in entrambi i casi si pone un limite invalicabile alle capacità dell’essere umano di determinare il proprio destino. Tali prospettive sono funzionali a deviare le aspirazioni delle masse oppresse a una vita migliore verso un indefinito aldilà oppure a spegnerle nella rassegnazione e nella disperazione, al fine di perpetuare il sistema del dominio dell’uomo sull’uomo. Difficile che la borghesia sia disposta a rinunciarvi.

Tuttavia, come si suol dire, i fatti hanno la testa dura.

Quasi ogni articolo divulgativo in astrofisica e cosmologia nell’ultimo periodo termina con affermazioni del tipo “per capire qualcosa di più dobbiamo aspettare le osservazioni della prossima generazione di telescopi”. Ogni volta è citato come futura pietra miliare del progresso scientifico il lancio del James Webb Telescope, il telescopio spaziale che sostituirà Hubble, che dopo molti rinvii è ad oggi previsto per la primavera del 2021.

Vedremo se le nuove osservazioni porteranno evidenze inequivocabili, tali da spazzare via per sempre la teoria del Big Bang con i suoi limiti, i suoi confini, le sue tante contraddizioni. Oppure se i suoi sostenitori si inventeranno nuovi escamotages per continuare a tenerla in vita.

Quello che è certo è che soltanto l’irruzione delle masse oppresse nella storia, milioni di persone che vogliono prendere in mano e determinare il proprio destino come sta avvenendo in questi mesi quasi ovunque nel mondo, potrà consentire anche alla scienza di liberarsi dell’influsso economico e politico del capitalismo e sviluppare fino in fondo le proprie potenzialità al servizio dei bisogni dell’umanità e della natura e non del profitto e della vanagloria di pochi eccentrici miliardari.

Decisamente, anche da questo punto di vista, viviamo in tempi interessanti.

27/02/2020

Note

[1]           V. Jim Bell, “L’era dei viaggi interstellari – i quarant’anni del programma Voyager”, ed. Dedalo, Bari, 2016, pag. 242, dove si riporta una analogia tra il comportamento del vento solare nell’ambiente attraversato dalle sonde Voyager e quello dell’acqua nello scarico di un lavandino.

[2]           Vedi  https://www.media.inaf.it/2019/07/22/altra-misura-costante-hubble/

[3]           https://www.media.inaf.it/2019/11/13/luniverso-piegato-da-alessandro-melchiorri/

                https://www.wired.it/scienza/spazio/2019/11/05/universo-curvo-piatto-dibattito/

                http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2019/11/10/nuova-ipotesi-sulluniverso-potrebbe-essere-chiuso-_e446d644-d4ad-4abe-8f82-ed45d8bbf8ef.html

[4]           https://www.media.inaf.it/2018/10/17/proto-super-ammasso-hyperion/

[5]           v. Eric J. Lerner “Il Big Bang non c’è mai stato” ed. Dedalo, Bari, 1994, pag. 44.

[6]          https://www.media.inaf.it/2019/10/31/quasar-formazione-prime-stelle/

               https://www.reccom.org/2019/10/31/o-luniverso-primordiale-funzionava-diversamente-da-come-crediamo-o-abbiamo-problemi-con-il-calcolo-delle-distanze-nelluniverso/

               https://www.focus.it/scienza/spazio/trovata-polvere-di-stelle-la-dove-e-quando-non-dovrebbe-esistere

[7]           Cfr. Jim Bell, op. cit. pag. 244 e segg.

[8]           https://scienze.fanpage.it/la-sonda-voyager-2-e-entrata-nello-spazio-interstellare-e-ha-fiutato-qualcosa-di-strano/

                https://www.media.inaf.it/2019/11/06/voyager-2-eliosfera/

[9]           https://www.media.inaf.it/2019/11/27/pelliccia-magnetica-galassia-balena/

[10]         http://www.lescienze.it/news/2015/06/30/news/campi_magnetici_cosmo_modello_laser-2672381/

[11]          https://www.wired.it/scienza/spazio/2019/11/13/galassie-in-sincrono/?fbclid=IwAR3oH4Q_6eCspwaKBGexV_gX1q-dHEUCfelfq-z5LGjeOYxEeNrR0sBVoAg. Cfr. E. Lerner, “il Big Bang non c’è mai stato”, cit. in “La Rivolta della Ragione” di A. Woods e T. Grant, AC Editoriale, Milano, 1997, pag. 217.

[12]         https://www.media.inaf.it/2016/11/24/riconnessione-magnetica-rapida-comisso/

[13]         https://www.theguardian.com/science/2020/jan/25/has-physicists-gravity-theory-solved-impossible-dark-energy-riddle

[14]         https://www.repubblica.it/scienze/2019/08/06/news/premio_breakthrough_al_fisico_italiano_sergio_ferrara-232979610/?ref=search

[15]         https://www.lescienze.it/news/2019/08/07/news/supergravita_breakthrough_prize_2019_nature_commenti-4502946/

[16]         https://phys.org/news/2019-11-cosmologist-lonely-big-theory.html

               https://www.wired.it/scienza/spazio/2019/11/15/big-bang-dubbi-nobel-fisica/

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