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Il marxismo e gli Stati Uniti – prima parte

Pubblichiamo, in tre parti, un testo scritto da Alan Woods ai tempi della presidenza di George W. Bush che nel 2005 costituì il materiale di base per la pubblicazione dell’omonimo libro in forma ampliata.

 

di Alan Woods

 

L’intento di questo saggio è quello di combattere l’anti-americanismo senza alcun senso che si incontra troppo spesso nei circoli di sinistra. I marxisti sono internazionalisti e non assumono una posizione negativa nei confronti della gente di nessun paese. Sosteniamo l’unità di tutti i lavoratori contro l’oppressione e lo sfruttamento.

Ciò a cui ci opponiamo non sono gli americani, ma il capitalismo americano e l’imperialismo americano. Il popolo americano, e soprattutto la classe operaia americana, hanno una grande tradizione rivoluzionaria. Sulla base di grandi eventi storici sono destinati a riscoprire queste tradizioni e ad essere di nuovo in prima linea nella rivoluzione, come hanno fatto nel 1776 e nel 1860. Il futuro del mondo intero dipende in definitiva da questa prospettiva. E sebbene oggi possa sembrare molto lontano, non è così incredibile come si potrebbe pensare.

Londra, 24 novembre 2002

 

Introduzione

Il presente lavoro ha avuto inizio come bozza di introduzione all’edizione americana de La Rivolta della Ragione. Partendo dall’idea che alla maggior parte degli americani il marxismo è stato presentato come un’ideologia aliena (“straniera”), ho iniziato a spiegare che la storia degli Stati Uniti presenta una grande tradizione rivoluzionaria, a cominciare dalla guerra di indipendenza che ha fondato gli Stati Uniti.

Tuttavia, approfondendo l’argomento, è emerso che era troppo esteso per l’introduzione di un libro, così l’ho scartata e ne ho scritto un’altra, il cui contenuto era soprattutto di carattere scientifico.

Più tardi, ho mostrato una copia della bozza originale ad un amico americano, che ha suggerito che, opportunamente ampliato, poteva essere pubblicato come un opuscolo, e mi ha gentilmente fornito alcune interessanti informazioni aggiuntive. Di conseguenza, mi sono sentito obbligato a presentare altro materiale su questioni quali la rivoluzione americana, la guerra civile e la storia del sindacalismo negli Stati Uniti. [Nel 2005 Alan Woods ha ampliato ancora questo lavoro con il libro Il marxismo e gli USA ndr]

Il soggetto è affascinante e purtroppo molto poco conosciuto in Europa, ove è diventata un’idea di moda (e abbastanza errata) che gli Stati Uniti, come bastione dell’imperialismo mondiale (che Gore Vidal, il più grande scrittore americano vivente, descrive come l’Impero), non hanno mai prodotto nulla di interessante per socialisti e rivoluzionari. In realtà, è vero il contrario, come spero di dimostrare in questo lungo saggio.

La mia intenzione era in parte combattere quell’ottuso anti-americanismo che spesso si ritrova nei circoli di sinistra. I marxisti sono internazionalisti e non si pongono in modo negativo nei confronti di alcun popolo. Noi siamo per l’unità della classe lavoratrice contro l’oppressione e lo sfruttamento. Non ci opponiamo agli americani ma al capitalismo e all’imperialismo americani.

Il popolo americano, e soprattutto la classe operaia americana, hanno una grande tradizione rivoluzionaria. Sulla base di grandi eventi storici sono destinati a riscoprire queste tradizioni e ad essere di nuovo in prima linea nella rivoluzione, come hanno fatto nel 1776 e nel 1860. Il futuro del mondo intero dipende in definitiva da questa prospettiva. E sebbene oggi possa sembrare molto lontano, non è così incredibile come si potrebbe pensare. Ricordiamo che, prima del 1917, la Russia zarista era il bastione della reazione mondiale, come lo sono oggi gli Stati Uniti. Molte persone erano dell’idea che la rivoluzione socialista in Russia fosse una folle illusione di Lenin e Trotskij. Sì, ne erano nettamente convinte, e sbagliavano nettamente.

L’avidità rapace delle grandi multinazionali e le ambizioni dell’elite dominante nell’Impero stanno trascinando gli Stati Uniti in un’avventura dopo l’altra. Nuovi incubi possono scaturire da tali avventure. Cinquantamila giovani americani sono stati uccisi nel pantano del Vietnam.

Le politiche aggressive della Casa Bianca di Bush minacciano molte più vittime, americane e non. Prima o poi questo avrà un impatto sugli Stati Uniti, producendo una reazione generale contro un sistema in grado di produrre tali mostruosità. La manifestazione di massa di Seattle ha fatto sapere all’establishment che la gioventù americana non sarà pronta a rimanere in silenzio per sempre.

Poiché mi stavo già dilungando molto, sono stato costretto a malincuore ad interrompere la trattazione di questo argomento senza che fosse stato trattato con la necessaria profondità. In futuro dovremo sicuramente ritornare su questo punto. Nel frattempo, spero che serva a correggere alcuni dei pregiudizi della sinistra non americana sull’America e almeno alcuni dei pregiudizi degli americani riguardo al marxismo. Anche se non fossi riuscito in questo intento, spero che almeno la gente cominci a pensare più seriamente a questi temi – da entrambe le parti.

Gli Stati Uniti e il mondo

I terribili eventi dell’11 settembre 2001 hanno segnato una svolta nella storia degli Stati Uniti e del mondo intero. Da un giorno all’altro per i normali cittadini statunitensi è diventato impossibile immaginare che ciò che stava accadendo nel mondo esterno non li riguardasse. Un senso generale di insicurezza e apprensione è dilagato nella psicologia della nazione. Improvvisamente, il mondo è diventato un luogo ostile e pericoloso. A partire dall’11 settembre gli americani hanno cercato il senso di un mondo che possa produrre tali orrori. Molte persone si sono chieste: cosa abbiamo fatto per meritare un tale odio contro di noi? Certo, gli americani comuni non hanno fatto nulla per meritare questo attacco.

E consideriamo come un atto criminale uccidere civili innocenti – di qualsiasi nazione – per portare avanti azioni politiche. Ciò che non è in dubbio, tuttavia, è che le azioni degli Stati Uniti nel mondo – quelle del suo governo, delle sue grandi multinazionali e delle sue forze armate – hanno suscitato sentimenti di profonda antipatia e risentimento, e sarebbe bene che gli americani provassero a capire perché sia così.

Per gran parte della sua storia, l’isolazionismo ha avuto un ruolo centrale nella politica degli Stati Uniti. Ma il fatto è che nel mondo moderno nessun paese, per quanto grande e potente, può isolarsi dal resto del mondo. Oggi il fenomeno più decisivo dei nostri tempi è proprio questo: il dominio schiacciante del mercato mondiale.

È noto con la parola globalizzazione. Ma in realtà non si tratta di un fenomeno nuovo. Già oltre 150 anni fa, nel manifesto del partito comunista, Marx ed Engels predissero che il sistema capitalista, a partire da una serie di stati nazionali, avrebbe creato un mercato mondiale.

La partecipazione degli Stati Uniti all’economia mondiale e alla politica mondiale è cresciuta quasi continuamente nell’ultimo secolo. Tutti i tentativi di trascinare l’America in uno stato di isolamento auto-imposto sono falliti e inevitabilmente falliranno, come George W. Bush ha scoperto molto rapidamente. Gli Stati Uniti hanno ereditato il ruolo precedentemente ricoperto dalla Gran Bretagna, quello del poliziotto mondiale. Ma, mentre il ruolo dominante della Gran Bretagna nel mondo, ha avuto luogo in un momento in cui il sistema capitalista era ancora nella sua fase ascendente, l’America ora si trova a governare su un mondo che è mortalmente malato. La malattia è il prodotto del fatto che il capitalismo su scala mondiale è in uno stato di declino irreversibile. Questo si esprime in una serie di convulsioni di carattere sempre più violento. Il terribile cataclisma dell’11 settembre ne è stato solo una manifestazione.

L’antiamericanismo è purtroppo molto diffuso. Dico sfortunatamente perché l’estensore di questo articolo non nutre sentimenti negativi nei confronti del popolo degli Stati Uniti o di qualsiasi altro paese. Come marxista, sono contrario al nazionalismo e agli atteggiamenti sciovinisti che seminano odio e conflitti tra popoli diversi. Ma ciò non significa che si possano perdonare le azioni di particolari governi, compagnie e forze armate che perseguono azioni deleterie per il resto del mondo. Significa solo che è sbagliato confondere la classe dominante di qualsiasi paese con i lavoratori e i poveri di quel Paese.

Il fenomeno dell’anti-americanismo è più forte nei paesi poveri: in Asia, America Latina e Medio Oriente. Le ragioni di ciò sono legate allo sfruttamento delle risorse di questi paesi da parte delle voraci multinazionali statunitensi, sostenute dall’esercito e dalla CIA, portando all’impoverimento del loro popolo, alla distruzione dell’ambiente, alla destabilizzazione delle loro valute, delle loro economie e persino dei loro governi. Tali azioni non sono progettate per promuovere l’amore e il rispetto per gli Stati Uniti nel mondo.

Un paio di anni fa, l’Economist ha evidenziato come i prezzi delle materie prime avessero toccato il livello più basso da 150 anni a questa parte, cioè da quando si è cominciato a registrarli. Il super-sfruttamento del Terzo Mondo da parte di multinazionali senza scrupoli provoca questi contraccolpi in Africa, Asia e America Latina e può determinare, come risposta istintiva, il rifiuto di tutto ciò che è americano. Questa però in fondo è solo un’espressione di anti-imperialismo.

Il modo migliore per porre fine alla povertà e alla fame nel Terzo mondo, è quello di lottare per l’espropriazione delle grandi multinazionali che sono nemiche dei lavoratori di tutto il mondo, a cominciare dagli operai degli Stati Uniti, come mostreremo.

Europa e America

L’anti-americanismo non si limita ai paesi poveri. Alcuni europei hanno atteggiamenti in qualche modo negativi nei confronti dell’America. Si risentono del ruolo subordinato che sono stati costretti ad accettare sulla scena mondiale e temono le conseguenze del colossale dominio economico e militare del gigante transatlantico. Dietro la facciata pulita della diplomazia tra alleati, troviamo una relazione inquieta e contraddittoria, che si manifesta in periodici conflitti commerciali e diplomatici.

A un livello diverso, molti europei si risentono di ciò che vedono come l’intrusione di una cultura aliena, sfacciata e commercializzata, che minaccia di svalutare e indebolire la loro identità culturale. Dietro i risentimenti culturali degli intellettuali europei, si nasconde un profondo sentimento di inferiorità che cerca di nascondersi dietro una sorta di snobismo culturale. Questo sentimento ha una base materiale e, in effetti, riflette il vero stato delle cose.

È un fatto semplice che la storia degli ultimi cento anni è la storia del declino dell’Europa e dell’ascesa degli Stati Uniti. Come previsto dal rivoluzionario russo Leon Trotskij, il Mediterraneo (che in lingua latina significa il centro del mondo) è diventato via via privo di importanza.

Il centro della storia del mondo è passato prima all’Atlantico e finalmente al Pacifico – due oceani potenti, cavalcati da un colosso come gli Stati Uniti. Il vero rapporto tra Europa e America si riassume nel rapporto tra George W. Bush e Tony Blair. È la relazione tra il padrone e il suo lacchè. E come un buon lacchè inglese, Mr. Blair fa del suo meglio per imitare lo stile e le maniere del suo padrone; nonostante ciò, nessun uomo sano di mente può confondere il vero rapporto tra i due.

Le arie di superiorità che fino a poco tempo fa si davano i membri dell’establishment britannico riguardo ai valori e alla cultura dell’America sono particolarmente comiche. Assomigliano alle arie e agli atteggiamenti affettati dei poveri aristocratici inglesi del XIX secolo alla presenza dei ricchi imprenditori borghesi; un fenomeno ben documentato nei romanzi di Jane Austen e altri. Queste arie e queste smorfiosità, naturalmente, non li hanno convinti a desistere quando si è trattato, alla prima occasione che si è presentata, di far sposare le loro figlie coi figli dei nuovi arrivisti senza scrupoli americani.

L’atteggiamento negativo degli europei nei confronti della cultura americana è il prodotto di un malinteso. Stanno pensando al made in USA, le esportazioni culturali che inondano i mercati del mondo con quella pessima musica che ti rende sordo, abiti griffati così cari prodotti dai lavoratori nei paesi ex-coloniali in condizioni di lavoro medievali che ti fanno indignare e cibo da fast food prodotto da lavoratori in condizioni totalmente asservite che ti fa venire il colesterolo e ti rende obeso. È quel tipo di pessimo commercio a buon mercato che è il segno distintivo del capitalismo nel periodo del suo decadimento senile. Che tali mostruosità producano una sensazione di repulsione in tutti gli esseri umani pensanti e con un minimo di sensibilità è perfettamente naturale.

Tuttavia, il concetto di cultura, soprattutto nel mondo moderno, è molto più ampio della musica pop, della Coca-Cola e di McDonald’s. Comprende anche computer, Internet e molti altri aspetti della scienza e della tecnologia. A questo livello, è impossibile negare i notevoli risultati conseguiti dagli Stati Uniti. Inoltre, sono proprio questi progressi scientifici a gettare le basi per una rivoluzione culturale senza precedenti, una volta che essi saranno correttamente sfruttati da un’economia socialista, pianificata su scala mondiale.

Chi scrive non ha tempo da perdere col rozzo anti-americanismo. Sono profondamente convinto che il potenziale colossale degli Stati Uniti sia destinato a svolgere un ruolo decisivo nel futuro ordine socialista mondiale. Ma bisogna anche ammettere che, nel periodo attuale della storia mondiale, il ruolo degli Stati Uniti su scala internazionale non riflette il loro reale potenziale positivo, ma solo l’avidità rapace delle grandi multinazionali che possiedono l’America e controllano le sue azioni coi loro interessi egoistici. Questo autore è un fervente ammiratore della vera America e un implacabile avversario dell’altra America, l’America delle grandi banche e dei monopoli che rappresentano ovunque i nemici della libertà e del progresso.

Un’idea “non-americana”?

Per comprendere le idee del marxismo, è innanzitutto necessario avvicinarvisi senza pregiudizi. Questo è difficile, perché fino ad ora, la grande maggioranza degli americani ha sentito parlare del marxismo solo in relazione a quella mostruosa caricatura che era la Russia stalinista. Il marxismo (o il comunismo) è quindi associato, nelle menti di molte persone, ad un regime alieno, uno stato totalitario in cui la vita di uomini e donne è dominata da una burocrazia onnipotente e in cui l’iniziativa individuale e la libertà vengono soffocate e negate. Il crollo dell’URSS dimostra apparentemente l’inadeguatezza del socialismo e la superiorità dell’economia del libero mercato. Cos’altro bisogna dire?

Bene, c’è molto altro da dire. Il mostruoso regime burocratico dell’URSS non aveva nulla a che fare con le idee di Marx e Lenin, che sostenevano una società socialista democratica, in cui uomini e donne sarebbero stati liberi di determinare la propria vita, in un modo che non fanno né gli Stati Uniti né qualsiasi altro Paese oggi. Questo argomento è stato molto ben spiegato in un meraviglioso libro scritto dal mio amico e compagno di tutta una vita, Ted Grant (Russia, dalla rivoluzione alla controrivoluzione).

La caduta dello stalinismo in Russia non ha significato il fallimento del socialismo, ma solo di una sua caricatura burocratica. Certamente non significava la fine del marxismo, che oggi è più importante che mai. Sono convinto che solo il marxismo, con il suo metodo scientifico, può fornirci gli strumenti analitici necessari per comprendere i processi che si stanno sviluppando su scala mondiale, compresi gli Stati Uniti.

Qualunque cosa si pensi del marxismo, ha chiaramente avuto un impatto enorme sull’intero corso della storia umana. Oggi è impossibile per qualsiasi uomo o donna affermare di essere adeguatamente istruiti, a meno che non si siano presi la briga di comprendere almeno le idee di base del marxismo. Questo vale tanto per coloro che si oppongono al socialismo quanto per quelli che invece sono a favore.

Un serio ostacolo che si erge di fronte al lettore americano che si avvicina al marxismo è il pensiero che si tratti di una dottrina importata da fuori e che non ha una collocazione precisa nella storia, nella cultura e nelle tradizioni degli Stati Uniti. Anche se il famigerato Comitato delle attività non-americane della Camera e il defunto senatore Joseph McCarthy sono ormai brutti ricordi del passato, l’eredità psicologica tramandata dalle loro concezioni rimane: “che il comunismo e la rivoluzione non fanno per noi americani”. In realtà, questo è un grave fraintendimento della storia americana, che non è difficile da dissipare.

Il comunismo ha radici in America molto più antiche di quante ne abbia il capitalismo, che esiste da meno di due secoli. Ma, molto prima che i primi europei mettessero piede sul suolo del Nuovo Mondo (come lo chiamavano), i nativi americani vivevano in una società comunista da migliaia di anni.

I nativi americani non comprendevano cosa fosse la proprietà privata (almeno, non nel senso moderno della parola). Lo Stato e il denaro non esistevano. Non c’erano né polizia né carceri. L’idea del lavoro salariato e del capitale era così estranea alle loro concezioni che non avrebbero mai potuto essere integrati facilmente nella nuova società capitalista. Società che ha portato alla distruzione del loro vecchio stile di vita, espropriato le loro terre comuni, riducendoli a uno spaventoso stato di miseria e degrado. Tutto in nome della civiltà cristiana.

Questo nuovo stile di vita chiamato capitalismo, con la sua avidità, l’assenza di solidarietà e la moralità della giungla era in realtà un sistema alieno, importato, questo sì, da terre straniere. Si può sostenere – abbastanza correttamente – che questo è precisamente ciò che ha reso possibile l’apertura dell’America, il colossale sviluppo dell’industria, dell’agricoltura, della scienza e della tecnologia che hanno trasformato gli Stati Uniti nella più grande potenza economica che il mondo abbia mai visto. E poiché il marxismo sostiene che la chiave di tutto il progresso umano risiede nello sviluppo delle fonti produttive, ciò ha rappresentato un progresso di enormi dimensioni. Ma c’è stato un prezzo da pagare per i progressi che derivano dall’anarchia del capitalismo e dal gioco cieco delle forze del mercato.

Col passare del tempo, un numero crescente di persone – non necessariamente socialisti – stanno diventando consapevoli della minaccia rappresentata per la specie umana dalla distruzione sistematica dell’ambiente: l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo. Questa apprensione non è diminuita, ma piuttosto aumentata, dal notevole progresso della scienza e della tecnologia, che sono progredite molto più rapidamente negli Stati Uniti che in qualsiasi altro paese del mondo.

Prima che l’uomo bianco arrivasse, l’America era una terra di praterie incontaminate, foreste vergini, cascate e laghi cristallini. Era una terra in cui uomini e donne potevano respirare liberamente. Per gli abitanti nativi americani, la terra era sacra e la natura era rispettata. Ma le grandi aziende che ora dominano l’America non hanno alcun interesse per l’ambiente: il nostro patrimonio comune. Tutto è ridotto a una questione di profitto per pochi (un concetto che i nativi americani avrebbero trovato incomprensibile). L’avvento delle colture geneticamente modificate contiene senza dubbio il potenziale per importanti progressi ma, sotto l’attuale sistema, costituisce una minaccia mortale per il futuro dell’umanità.

C’è stato un tempo in cui i film sul “selvaggio West” presentavano inevitabilmente i nativi americani come individui assetati di sangue e gli uomini bianchi come portatori di civiltà, destinati a conquistare le loro terre, confinandoli in riserve dove avrebbero imparato i benefici della carità cristiana. Al giorno d’oggi, questo non è più considerato accettabile. I nativi americani sono presentati in una luce più positiva. Eppure, in pratica, l’americano medio sa poco della loro cultura e del loro stile di vita.

In realtà, colui che ha fatto più di chiunque altro per scrivere sulla società e la civiltà di questi popoli era il grande antropologo americano, Lewis Henry Morgan. Il suo famoso libro Ancient Society ha rappresentato una nuova rivoluzionaria partenza nello studio dell’antropologia e della storia antica. Diede la prima spiegazione scientifica della gens o del clan come unità base della società umana nella preistoria:

La forma più semplice e più bassa del consiglio era quella della gens. Era un’assemblea democratica perché ogni membro adulto maschio e femmina aveva voce in capitolo su tutte le questioni poste in discussione. Eleggeva e destituiva i suoi capi tribù, eleggeva i Custodi della Fede, condonava o vendicava l’assassinio di un gentilis, e adottava persone nella gens. [… ]… Tutti i membri di una gens iroquese erano personalmente liberi ed erano tenuti a difendere reciprocamente la libertà l’uno dell’altro; erano uguali nei privilegi e nei diritti personali, i capi tribù non rivendicavano alcuna superiorità ed erano stretti in una fratellanza forgiata da legami di parentela. Libertà, uguaglianza e fratellanza, sebbene mai formulate formalmente, erano principi cardinali delle gens.” (Ancient Society, p. 85.)

Ed ancora:

Un potente elemento popolare pervadeva l’intera organizzazione e ne influenzava l’azione. Si vede nel diritto delle gentes di eleggere e deporre i propri capi tribù, nel diritto delle persone di essere ascoltate in consiglio attraverso oratori scelti da loro e nel sistema volontario nel servizio militare. In questo e nel successivo periodo etnico i principi democratici erano l’elemento vitale della società gentile.” (Ancient Society, p. 144.)

Il lavoro di Morgan è stato letto con grande interesse da Marx ed Engels e ha svolto un ruolo importante nello sviluppo delle loro idee sulle società antiche. Gli scritti di Morgan sugli Iroquesi e su altre tribù erano assolutamente centrali nel libro di Engels, L’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, una delle opere fondamentali del marxismo. Questa, a sua volta, era la base del celebre libro di Lenin Stato e Rivoluzione , che fu scritto nel 1917 e presenta il genuino modello leninista di una democrazia socialista, in cui il vecchio Stato burocratico oppressivo sarebbe sciolto e sostituito da una democrazia diretta, basata su:

• Elezioni libere con diritto di revoca di tutti i funzionari statali.

• Nessun funzionario riceve un salario superiore a quello di un lavoratore specializzato.

• Nessun esercito permanente, ma il popolo armato.

• A poco a poco, tutti i compiti di gestione dello Stato devono essere svolti da tutti a turno (quando ognuno è un burocrate, nessuno è un burocrate).

È abbastanza ironico che la fonte di alcuni degli scritti più basilari del marxismo risultino essere gli Stati Uniti. È ancora più ironico che la Costituzione democratica, che Lenin e Trotskijintrodussero nella giovane Repubblica sovietica dopo il novembre 1917, ebbe le sue radici negli scritti di Lewis Morgan e che, in sostanza, sia il ritorno al vecchio ordine comunista dei nativi americani, sebbene ovviamente su basi più elevate, rese possibili dall’industria, dalla scienza e dalla tecnologia moderne. Quindi, in un certo senso, si potrebbe sostenere che fu la Russia a importare una vecchia idea americana, e non il contrario!

Aspetti dimenticati della storia americana

I Padri Pellegrini nel XVII secolo iniziarono a domare il grande deserto americano, mostrando un coraggio indomito nelle condizioni più difficili. Chi erano? Erano rifugiati politici in fuga dal regime oppressivo instauratosi in Gran Bretagna. Regime che fu il risultato della controrivoluzione che si impose dopo la morte di Oliver Cromwell, quando la borghesia inglese scese a compromessi con la reazione e invitò Carlo II a tornare dalla Francia.

Dobbiamo ricordare che allora la politica e la religione erano indissolubilmente legate. Ogni Chiesa o setta diversa rappresentava non solo interpretazioni divergenti dei Vangeli, ma anche un determinato filone di opinione politica e, in ultima analisi, il punto di vista di una classe o di una sottoclasse ben definita nella società. Così i cattolici rappresentavano la reazione feudale aperta e gli Episcopali erano una versione dissimulata della stessa. I Presbiteriani rappresentavano i ricchi mercanti della City di Londra, inclini al compromesso con la monarchia. Gli Indipendenti, di cui Cromwell era un rappresentante, rappresentavano l’ala più radicale della piccola borghesia, e così via.

All’estrema sinistra c’era una massa di sette, che vanno dai democratici rivoluzionari ai comunisti: Quinto-Monarchisti, Anabattisti, Quaccheri e altri avevano una base nei livelli inferiori della piccola borghesia, tra gli artigiani e i semiproletari, i pescivendoli e gli apprendisti; in una parola, le masse. I Livellatori e in particolare gli Scavatori hanno apertamente messo in discussione, già a quel tempo, il diritto alla proprietà privata.

In tutti questi gruppi, vediamo un attaccamento accanito alla democrazia, un odio per i ricchi e i potenti (che essi consideravano i figli di Satana) e un attaccamento altrettanto accanito all’idea di uguaglianza. Questo era lo spirito che ha ispirato la rivoluzione inglese del XVII secolo.

Le masse rivoluzionarie credevano che avrebbero stabilito il regno di Dio su questa terra. Ora sappiamo che questa era un’illusione. Il livello di sviluppo storico a quel tempo non era maturo per la creazione di una società senza classi. La vera funzione della guerra civile inglese (e successivamente di quella americana) fu di sgomberare il campo per lo sviluppo del capitalismo. Ma questo non sarebbe mai stato possibile senza il coinvolgimento attivo delle masse, che erano ispirate da una visione molto diversa.

Giunto al potere basandosi sulle masse rivoluzionarie semiproletarie, Cromwell soppresse brutalmente l’ala sinistra e preparò così la strada per il ritorno dell’odiata monarchia e dei suoi vescovi. I resti della sinistra puritana si trovarono sottoposti a persecuzioni civili e religiose. Per questo i Padri Pellegrini si rifugiarono in America per fondare comunità basate non solo sulla libertà religiosa, ma anche su principi di stretta uguaglianza e democrazia. Come de Tocqueville sottolinea:

Il puritanesimo non era solo una dottrina religiosa, ma corrispondeva in molti punti con le teorie democratiche e repubblicane più genuine” (de Tocqueville, Democrazia in America, p. 35.)

I Padri Pellegrini organizzarono le loro comunità su linee estremamente democratiche ed egualitarie:

In Connecticut il corpo elettorale era costituito, fin dalla sua origine, dall’intera cittadinanza; e questo è facilmente comprensibile, quando ricordiamo che questo popolo godeva di una quasi perfetta uguaglianza di patrimonio e di una ancor maggiore uniformità di opinioni. Nel Connecticut, in questo periodo, tutti i funzionari esecutivi erano eletti, compreso il governatore dello Stato. I cittadini di età superiore ai sedici anni erano obbligati a far parte di una milizia nazionale che eleggeva i propri ufficiali e doveva tenersi in ogni momento pronta a scendere in piazza per la difesa del Paese.” (ibidem., pp. 37-8)

Questo modello di democrazia popolare non è molto diverso da quello messo in pratica dal popolo rivoluzionario di Parigi nella Comune del 1870 che, a sua volta, diede a Marx l’idea di come sarebbe stata una democrazia operaia (la dittatura del proletariato). Fu il modello a cui Lenin fa riferimento nel suo libro Stato e Rivoluzione, che costituì la base della democrazia sovietica più autentica del 1917 in Russia, prima che fosse rovesciata dalla controrivoluzione politica stalinista. Ma questo parallelo storico, per qualche ragione, non è mai venuto in mente agli storici ufficiali degli Stati Uniti!

Per queste signore e signori i Padri Pellegrini erano solo persone religiose, che cercavano la libertà di adorare il loro dio a modo loro. Certo, questo è in parte vero, ma non dice tutta la verità su di loro. Queste persone erano rivoluzionari coraggiosi che fuggivano dalla persecuzione religiosa e politica nel vecchio mondo. Erano molto avanzati sotto diversi aspetti. Ad esempio, hanno introdotto l’istruzione pubblica obbligatoria, che naturalmente giustificavano in termini religiosi: “Essendo uno dei principali progetti del vecchio Satana per tenere lontani gli uomini dalla conoscenza delle Scritture […] persuadendo dall’uso delle lingue, l’apprendimento non può essere sepolto nella tomba dei nostri padri, nella chiesa e nel Commonwealth, il Signore assista i nostri sforzi […]” e così via.

Ma se guardiamo alla sostanza e non alla forma religiosa, questa è stata una riforma estremamente avanzata e illuminata. Le scuole furono stabilite in ogni villaggio e città e gli abitanti erano costretti a sostenerle, pena il pagamento di multe pesanti. Le autorità comunali erano tenute a far rispettare la frequenza scolastica e ad infliggere ammende ai genitori che non lo facessero. Dovettero trascorrere almeno due secoli prima che leggi simili fossero approvate in Europa.

Questa gente praticò la propria versione della democrazia repubblicana in un momento – non dimentichiamolo – l’America era ancora sotto il governo britannico e quindi formalmente una monarchia. Stabilirono una sorta di regime di doppio potere in cui una repubblica e una democrazia dei cittadini, completa di milizia popolare, di elezione di tutti i funzionari e di un’assemblea generale di tutto il popolo, esistevano in ogni città e villaggio. E questo avveniva in un momento in cui monarchie assolute governavano in tutta Europa calpestando i diritti dei popoli.

La rivoluzione e gli Stati Uniti

Quale Paese può conservare le sue libertà se i suoi governanti non sono ammoniti di quando in quando che il loro popolo conserva il suo spirito di resistenza? Che esso prenda le armi… L’albero della libertà dev’essere innaffiato di tanto in tanto con il sangue dei patrioti e dei tiranni. È questo il suo naturale concime.” (Thomas Jefferson, lettera al Col. William S. Smith, 1787)

Questo paese, con le sue istituzioni, appartiene al popolo che lo abita. Ogni volta che si stancheranno del governo esistente, essi possono esercitare il loro diritto costituzionale di modificarlo o il loro diritto rivoluzionario di farlo in mille pezzi o rovesciarlo.” (Abraham Lincoln, 4 aprile 1861)

 

Al giorno d’oggi, i cittadini degli Stati Uniti sono educati a temere e odiare le rivoluzioni. Proprio come il comunismo, sono considerati concetti non americani, qualcosa di alieno: una minaccia dall’esterno. In realtà, l’America si è da sempre nutrita di rivoluzioni straniere, fin dai suoi albori. In ogni caso, le citazioni di cui sopra mostrano chiaramente che la rivoluzione è un’idea che è lungi dall’essere estranea agli Stati Uniti, che debbono la loro stessa esistenza a una rivoluzione.

Quando i coloni americani alzarono la bandiera della rivolta contro la corona inglese, questo fu un atto molto rivoluzionario. Fu questo che servì da fonte di ispirazione per la Rivoluzione francese, che scoppiò poco più di un decennio dopo. Così, la fiamma della rivoluzione in Europa, si accese per la prima volta in America.

Una rivoluzione significa necessariamente l’irruzione delle masse nell’arena della politica e può centrare i suoi obiettivi solo nella misura in cui coinvolge la massa di “gente comune” che fino al giorno prima non si interessava di politica. La rivoluzione americana non ha fatto eccezione a questa regola. Anche se le storie ufficiali sottolineano (ed enfatizzano troppo) il ruolo di uomini come George Washington, ciò che realmente ha garantito il successo della rivoluzione è stato il coinvolgimento attivo delle masse: artigiani, falegnami, apprendisti, piccoli contadini e cacciatori e elementi degli strati inferiori della classe media; avvocati e giornalisti ispirati da idee rivoluzionarie che li spronavano ad agire.

La base di classe della rivoluzione americana era ben compresa dai colonialisti britannici. Il generale Thomas Gage, che era a capo delle truppe britanniche in America, il 21 dicembre 1765 scrisse al Segretario di Stato del Re in tono preoccupato:

Il piano del popolo dei proprietari fu quello di sollevare le classi inferiori per impedire l’esecuzione della Legge […] con la prospettiva di terrorizzare e spaventare il popolo inglese che questa sollevazione potesse portare ad una abrogazione dello Stamp Act. E i mercanti, dopo aver annullato ordini di beni che avevano già predisposto, a meno che la legge non venisse abrogata, non dubitano che molti centri commerciali e i principali mercanti di Londra li aiuteranno a raggiungere i loro fini. Gli avvocati sono l’origine del baccano scoppiato in ogni provincia, dove nulla si negozia senza di loro, ed è auspicabile che anche la Corte sia esente da colpe. Tutti i mercanti, gli uomini dell’Assemblea, i magistrati, ecc., si sono uniti a questa rivolta e senza l’influenza e l’istigazione di questi, gli strati inferiori della società sarebbero rimasti silenti. Grandi tormenti li svegliarono dal torpore prima che iniziassero a sollevarsi. I Marinai sono l’unico gruppo che è completamente al servizio degli ordini dei Commercianti che li assumono.

[Lo Stamp Act (“legge del bollo”) fu una legge approvata dal Parlamento di Londra il 22 marzo del 1765 riguardante i libri, i giornali e gli stampati in genere e imponeva ai cittadini inglesi residenti nelle colonie dell’America Settentrionale di pagare una tassa su ogni foglio stampato, incluse le carte di bordo, i documenti legali, le licenze, i giornali e tutte le altre pubblicazioni. ndt]

Queste righe contengono senza dubbio un errore. È sempre stato un riflesso incondizionato della mentalità poliziesca (o militare) quello di attribuire l’esplosione di scioperi, disordini e rivoluzioni all’opera di singoli “agitatori” così sconsiderati da sollevare le masse, che altrimenti avrebbero continuato a rimanere serenamente sottomesse.

Agitatori ce n’erano di certo, e anche di talento, come Sam Adams. Ma immaginare che da soli possano avere avuto un impatto così forte sulle masse, a meno che queste ultime non fossero già pronte ad ascoltare il loro messaggio rivoluzionario, è una grande sciocchezza.

Il numero relativamente piccolo di sovvertitori rivoluzionari organizzati in società illegali come I Figli della Libertà, ebbe successo solo perché il popolo si stava già preparando a mobilitarsi, dietro la spinta dalla propria esperienza. È sempre così che vanno le cose.

Le storie ufficiali della Rivoluzione, come sempre, minimizzano il ruolo delle masse e si concentrano sugli strati superiori, i ricchi mercanti di Boston e i proprietari terrieri feudali come Washington, che stavano solo perseguendo i propri interessi, come il generale Thomas Gage aveva capito abbastanza bene. Ma, per riuscire nella loro lotta con l’amministrazione coloniale, sono stati costretti ad appoggiarsi sulle masse, che hanno ingaggiato tutta la lotta.

Furono gli operai delle città organizzati nei Figli della Libertà, che distrussero le case degli odiati distributori delle marche da bollo, gettarono i loro mobili sulle strade e li bruciarono.

Furono loro a malmenare e umiliare le spie. Furono loro a tradurre in azione i discorsi dei leader. In seguito, furono i piccoli agricoltori e i cacciatori a svolgere il ruolo decisivo nella sconfitta militare dell’esercito di occupazione inglese. Il fatto è che la rivoluzione americana non sarebbe mai riuscita se le masse non fossero intervenute in modo decisivo.

È un dato di fatto che i ricchi mercanti americani, che avevano dato il via al loro scontro con la City di Londra su questioni commerciali e fiscali, presto si ritirarono dalla Rivoluzione quando videro che i poveri si stavano attivando e prendevano in mano la situazione. I mercanti erano terrorizzati dall’idea che le masse sarebbero andate “troppo in là” e, per evitarlo, provarono a raggiungere un compromesso con il nemico. Nel momento della verità i ricchi “patrioti” americani avevano molto più in comune con i membri della loro stessa classe in Inghilterra che con la classe operaia e i poveri contadini del loro Paese.

La lotta di classe e la rivoluzione americana

Fin dai suoi albori, l’America si trovò di fronte alla stridente contraddizione tra ricchi e poveri, vale a dire con un problema di classe. Fin dall’inizio ci fu una contraddizione tra la teoria e la pratica della democrazia americana, un abisso immenso tra parole e fatti. Mentre la gente stava combattendo per i diritti dell’uomo, i mercanti ed i proprietari terrieri dell’America si preoccupavano realmente soltanto di difendere i diritti dei ricchi.

Il governatore Morris ha espresso tali sentimenti quando scrisse: “I capi della mobilitazione stanno diventando pericolosi per i nobili e il tema è come tenerli a bada.” Già da allora questa è stata la questione per la classe dominante americana.

Già nel 1772 – prima dello scoppio delle ostilità con l’Inghilterra – il grande rivoluzionario americano Sam Adams scrisse sulla Gazzetta di Boston:

Non è ora che il Popolo di questo Paese dichiari esplicitamente se sarà libero o schiavo? […] Cerchiamo […] tranquillamente di guardarci intorno per considerare ciò che è meglio da fare […] Sia l’argomento di conversazione in ogni Club sociale. Che ogni città si riunisca. Che le Associazioni e le Aggregazioni siano ovunque istituite per consultare e recuperare i nostri giusti diritti.

Cos’è questo se non la richiesta di creare quelli che in seguito in Russia si sarebbero chiamati Soviet (che nella lingua russa significa comitato o consiglio)? I rivoluzionari americani crearono qualcosa che si avvicinava ai soviet – cioè ai comitati rivoluzionari – più di cento anni prima che gli operai russi ci avessero pensato. Istituirono i club politici de I figli della libertà e i comitati di corrispondenza che mantenevano i gruppi rivoluzionari di combattimento in contatto tra loro.

Dopo aver incitato le masse a combattere contro la Gran Bretagna, non è stato facile far passare l’idea che dovessero passare sotto il dominio di un’oligarchia privilegiata, una volta che le Giubbe Rosse se ne erano andate.

Nel New Hampshire una folla di diverse centinaia di uomini marciò verso il parlamento con mazze, pietre e pistole per richiedere sussidi: stampare denaro e abbassare le tasse era il loro slogan.

Nel Massachusetts ci furono gravi rivolte contro l’imponente tassazione che gravava in particolare sulle fasce più povere della società. In particolare, vennero presi di mira i tribunali in cui gli usurai ottenevano ordini di sfratto contro i poveri agricoltori indebitati.

Nel New York Picket dell’11 settembre 1786 leggiamo:

Martedì 29 [di Agosto] … il giorno fissato per legge per la seduta della Corte dei Crediti Comuni […] si assembrarono in città quattrocento o cinquecento persone venute da diverse parti della contea,, alcune delle quali erano armate di moschetti, altre di randelli, con l’intenzione dichiarata di impedire al tribunali di procedere nelle sue attività […].

Questo movimento culminò in quella che divenne famosa come la rivolta di Shays, un’insurrezione armata guidata da Daniel Shays, un ex ufficiale dell’esercito rivoluzionario. Circa mille uomini armati di moschetti, spade e mazze, riuscirono a chiudere i tribunali per diversi mesi. Leo Huberman scrive:

“Le élite di tutto il paese erano terrorizzate da questa rivolta armata dei poveri. Non c’era denaro nelle casse del Tesoro per pagare i soldati dello Stato, così un certo numero di persone ricche contribuirono per quanto era necessario. Shays e i suoi seguaci si diressero verso Springfield, dove c’era un deposito pubblico che conteneva 7mila moschetti e 13mila barili di polvere da sparo, fornelli, bollitori e selle. Furono fermati dalle truppe dell’esercito statale, vennero sparati alcuni colpi e la folla fu dispersa.” (Leo Huberman, Noi il popolo, p. 94).

Il vero significato della ribellione di Shays può essere compreso solo in termini di classe. Più tardi il generale Knox scrisse a George Washington per spiegare il carattere pericoloso delle idee dei ribelli. In particolare, Knox disse che i ribelli credevano che “la proprietà degli Stati Uniti fosse stata protetta dalla […] Gran Bretagna grazie agli sforzi congiunti di tutti e quindi dovesse essere considerata proprietà comune di tutti” (enfasi mia, Alan Woods).

Simili accadimenti si sono verificati in ogni rivoluzione della storia. Quando le masse sentono che il potere per cui hanno combattuto, e sono morte, sta scivolando dalle loro mani, cercano disperatamente di prendere di nuovo l’iniziativa.

Ma la natura di classe della rivoluzione americana del XVIII secolo era oggettivamente borghese.

Non poteva andare oltre i limiti imposti dal modo di produzione capitalista. Di conseguenza, il tentativo di Shays era condannato in anticipo al fallimento, così come il tentativo simile dei livellatori inglesi e l’ala sinistra dei puritani era condannato alla sconfitta più di un secolo prima in Inghilterra.

La sfida lanciata da Shays deve aver terrorizzato l’oligarchia che stava tranquillamente concentrando il potere politico ed economico nelle proprie mani. Capirono la necessità di creare immediatamente un forte potere statale come baluardo contro le masse. Allo stesso tempo erano sotto la pressione delle masse. Quando 55 delegati si riunirono nel 1787 per rivedere gli articoli della Confederazione, nessuno di loro apparteneva alla classe operaia o alla classe dei piccoli agricoltori. La classe che aveva fatto tutte le battaglie ed era andata incontro alla morte durante la Rivoluzione, era stata rigorosamente esclusa dal processo decisionale.

Gli uomini che scrissero la Costituzione americana erano tutti usurai, mercanti, industriali, speculatori o possessori di schiavi.

Alcuni hanno tracciato un parallelo tra questa fase della Rivoluzione Americana e la controrivoluzione termidoriana in Francia, cioè l’inizio di una reazione conservatrice contro lo spirito egualitario della Rivoluzione nella sua massima ascesa.

Se il riferimento è alla fase di stabilizzazione, quando i ricchi, i grandi proprietari terrieri e i ricchi mercanti strapparono il potere dalle mani dell’ala più radicale e popolare, sicuramente questo parallelismo è corretto. Gradualmente, la voce degli elementi più radicali è stata coperta dagli uomini che si ergevano a difesa della proprietà privata. I vivaci dibattiti che infuriarono sulla Costituzione furono le stoccate finali di questo conflitto di classe. Le discussioni protrassero per mesi.

Le questioni controverse erano numerose: se i grandi Stati avrebbero dovuto avere più voce in capitolo rispetto ai piccoli Stati nel governo nazionale. Se gli schiavi neri avrebbero dovuto contare come i bianchi. E così via. Ma c’era un argomento su cui tutti erano d’accordo: che quelli con poche o nessuna proprietà non avrebbero dovuto avere troppo potere.

Alla fine, la Costituzione degli Stati Uniti fu approvata solo dopo aspre discussioni e anche a quel punto fu ratificata solo con un voto ristretto, come dimostrano queste cifre:

 

 Favorevoli  Contrari
New York  30  27
 New Hampshire  57  47
 Massachussetts  187 168
 Virginia  89 79

 

Gli ideali espressi nella Costituzione erano estremamente rivoluzionari per il loro tempo, a partire dalle parole iniziali: “Noi riteniamo che queste verità siano auto-evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali.

Questa proclamazione di uguaglianza era come un manifesto rivoluzionario. Nella stesura del testo della famosa Dichiarazione della Repubblica Americana, tuttavia, ci fu un cambiamento significativo. In documenti precedenti, i diritti inalienabili dell’Uomo venivano generalmente sostanziati in “vita, libertà e proprietà”.

L’ultimo punto era di interesse particolare per i mercanti e i ricchi proprietari che ora erano alla testa della Repubblica. Tuttavia, Thomas Jefferson sostituì la frase con “vita, libertà e ricerca della felicità”, tralasciando qualsiasi riferimento alla proprietà.

Si trattava chiaramente di un cambiamento significativo che rappresentava la pressione esercitata dalle classi inferiori. In realtà, il governo rivoluzionario prese misure che violarono i diritti sacri di proprietà quando confiscarono le proprietà dei proprietari terrieri filo-inglesi, i Tories. Le proprietà vennero poi smantellate e vendute ai piccoli agricoltori.

La Repubblica Americana alla sua nascita era una potenza rivoluzionaria che doveva la sua esistenza agli operai e ai piccoli agricoltori ed agiva, almeno all’inizio, sotto la loro spinta. Più tardi, quando il magma della Rivoluzione si raffreddò, prevalsero i grandi interessi terrieri e mercantili. Ma all’inizio, la rivoluzione americana era un faro di speranza per il mondo intero.

Il significato internazionale della rivoluzione americana fu molto più grande di quello che la maggior parte della gente ritiene oggi. Il collegamento tra la rivoluzione americana e quella francese era molto stretto.

Il grande rivoluzionario americano Thomas Paine visse in Francia e sviluppò le idee più radicali. La proclamazione dei diritti dell’uomo è stata un’idea rivoluzionaria per il suo tempo. Persone come Thomas Paine erano i democratici rivoluzionari più avanzati del loro tempo. Le idee di libertà, uguaglianza e fraternità, che loro sostenevano, scossero da cima a fondo le classi dominanti di tutta l’Europa.

Ciò che è ancora meno compreso è l’impatto che queste idee rivoluzionarie provenienti dall’America ebbero sul movimento operaio nascente in Gran Bretagna. Gli scritti di Tom Paine sono stati passati di mano in mano all’interno di gruppi clandestini di lavoratori conosciuti come “corresponding societies”. Al giorno d’oggi, l’establishment britannico ama mostrare le sue credenziali democratiche. Ma si tratta una sfacciata menzogna. La classe dominante britannica ha combattuto con le unghie e con i denti contro la democrazia. Si sono opposti ad ogni tentativo di stabilire il diritto di voto. Questo fu conquistato dalla lotta della classe operaia britannica, che fu ripagata coi martiri, con la prigionia, le deportazioni e persino le condanne a morte.

In quei giorni bui, in cui la classe operaia della Gran Bretagna lottava per ottenere i diritti più elementari, quando i sindacati furono resi illegali dalle famose leggi del governo Pitt per impedire le aggregazioni operaie, la fiamma della libertà fu accesa non solo dall’esempio della Francia rivoluzionaria, ma anche dalle idee rivoluzionarie democratiche di Thomas Paine, che per generazioni è stato l’eroe dei lavoratori britannici.

Ricchi e poveri

La conquista dell’indipendenza per le colonie americane, anche se è stato un grande passo avanti, non ha segnato la vittoria finale della democrazia in America. Il potere era nelle mani di una ricca oligarchia:

Il problema più grave ereditato dalla Rivoluzione fu la sua incapacità di realizzare la sua dichiarazione di uguaglianza di tutti gli uomini. Abbiamo sottolineato che i capi di Stato e di governo del periodo rivoluzionario limitavano consapevolmente l’applicazione della parità a quegli uomini che essi riconoscevano come parti del contratto sociale e membri della comunità politica. Anche tra loro l’uguaglianza non è mai stata rigorosamente affermata. Il requisito della proprietà per poter votare e la rappresentazione disuguale delle sezioni per il parlamento statale hanno dato particolari vantaggi agli uomini più ricchi e alle zone più ricche.

Nel corso degli anni, i test di alfabetizzazione furono sostituiti da quelli sulle proprietà per togliere ai poveri il diritto di voto, con quasi lo stesso effetto. Queste disuguaglianze hanno persistito fino ai giorni nostri, agendo per dare agli uomini bianchi un vantaggio sui neri, e alle aree rurali un vantaggio sulle aree urbane al momento del voto.” (Dan Lacy, Il significato della rivoluzione americana, pp. 282-3.)

La conquista della democrazia formale e la proclamazione dei diritti dell’uomo non hanno impedito la concentrazione del potere economico e politico in poche mani. La posizione della classe operaia non migliorò ma peggiorò, come dimostra il seguente Appello ai Lavoratori di Manayuk al Pubblico, pubblicato in Pennsylvania, il 28 agosto 1833:

Siamo obbligati dai nostri datori di lavoro a lavorare in questa stagione dell’anno, dalle 5 del mattino fino al tramonto, essendo quattordici ore e mezza, con un intervallo di mezz’ora per la colazione, e un’ora per la cena, lasciando tredici ore di duro lavoro, con una malsana occupazione, dove non sentiamo mai una brezza rinfrescante per ritemprarci, surriscaldati e soffocati come siamo, e dove non vediamo mai il sole se non attraverso una finestra, e un’atmosfera densa con la polvere e piccole particelle di cotone, che stiamo costantemente inalando per la distruzione della nostra salute, il nostro appetito e la forza. Spesso ci sentiamo così deboli da non essere in grado di svolgere il nostro lavoro, a causa del tempo troppo lungo e faticoso in cui siamo costretti a lavorare nei lunghi e afosi giorni estivi, nell’aria impura e malsana delle fabbriche, e il breve riposo di cui godiamo durante la notte non è sufficiente per recuperare le nostre energie fisiche esaurite; ritorniamo al nostro lavoro al mattino, stanchi come quando lo abbiamo lasciato; ma comunque dobbiamo lavorare, logori e debilitati come siamo, o le nostre famiglie finiranno presto in una condizione di fame, perché i nostri salari sono appena sufficienti per fornirci quello di cui abbiamo bisogno per vivere. Non possiamo provvedere a circostanze come le malattie o difficoltà di altro tipo, mettendo da parte anche un solo dollaro, perché le nostre esigenze quotidiane ci portano via tutto quel poco che riceviamo come compenso e quando siamo confinati a letto malati, anche se per poco tempo, siamo immersi nella più profonda sofferenza, che spesso finisce in rovina totale, povertà e miseria.

Le nostre spese sono forse superiori di quelle della maggior parte degli altri lavoratori, perché portano via il salario di tutti i componenti della famiglia che sono in grado di lavorare (salvo una sola bambina che si prende cura della casa e provvede ai pasti) per provvedere ai loro bisogni; di conseguenza le donne non hanno tempo né per fare i propri abiti o quelli dei bambini, né per applicarsi ai mestieri necessari per ogni cosa di cui si ha bisogno.” (J. Kuczynski, Una breve storia delle condizioni di lavoro sotto il Capitalismo Industriale, vol.2, p. 25).

La condizione delle lavoratrici venne evidenziata in una relazione del congresso nazionale del sindacato nel settembre 1834:

Il sig. Douglass ha osservato che nel solo villaggio di Lowell, c’erano circa 4mila donne di diverse età, che ora portano avanti una vita di schiavitù e miseria. Ce n’è abbastanza per addolorarsi nel vedere queste donne in condizioni degradate mentre escono dalla fabbrica, le loro sembianze trasfigurate, il loro aspetto segnato dal dolore.”

Un altro rapporto afferma:

È stato dimostrato che il numero di donne impiegate in confronto al lavoro maschile, in tutti gli Stati Uniti, supera le 140mila unità che lavorano in media da 14 a 15 ore al giorno, confinate in fabbrica con conseguente eccesso di fatica e di lavoro, senza quell’aria pura e quel sano esercizio fisico che sono necessari per la salute e per la crescita dell’organismo, distruggendo di fatto le normali energie mentali, e non di rado deformando gli arti.”

Ancora più spaventosa era la condizione dei minori:

“Se i bambini devono essere condannati a quelle prigioni mortali”, hanno detto i delegati di New Haven alla suddetta convenzione, “che la legge li protegga almeno da sforzi eccessivi e getti alcuni raggi di luce sul loro oscuro intelletto. Operai! Amaro deve essere quel pane che i vostri bambini guadagnano con dolore e lacrime, faticando di giorno, dormendo di notte, affondando sotto i colpi dell’oppressione, del deperimento fisico e della precoce vecchiaia, in una tomba precoce, non conoscendo altra vita se non questa, conoscendo questa unica miseria.

La lotta di classe ha accompagnato la Repubblica Americana fin dalla sua nascita. Nel 1778, quando l’inchiostro non era ancora asciutto sulla Dichiarazione di indipendenza, i calzolai (che avevano finito il periodo di apprendistato, ndt) di New York City si unirono per chiedere un aumento dei salari. Il primo sciopero dei salariati ebbe luogo a Filadelfia già nel 1786, quando i tipografi si batterono per un salario minimo settimanale. Il primo sciopero generale, cioè il primo sciopero di un numero considerevole di lavoratori che facevano molti mestieri diversi e si riunirono in un grande movimento di sciopero, ebbe luogo nel 1827, sempre a Philadelphia. In questo periodo, si formarono molti sindacati e ci furono numerosi scioperi.

I padroni si opposero ferocemente al diritto dei lavoratori di organizzarsi nei sindacati e di scendere in sciopero. Nel 1806 i membri dell’associazione dei calzolai di Philadelphia furono processati per associazione a delinquere dopo uno sciopero per avere salari più alti. Le accuse furono quelle di 1) associazione per aumentare i propri salari e 2) associazione a danno di altri. Ridotto alla bancarotta, in conseguenza di questo processo, il sindacato si sciolse.

E non si trattò di un caso isolato. Ovunque possibile i datori di lavoro utilizzarono crumiri per rompere i picchetti degli scioperi e si appellarono ai tribunali per dichiarare i sindacati illegali. Lungi dal riconoscere l’organizzazione sindacale come un diritto democratico, i sindacati venivano portati in tribunale e perseguitati per aver “cospirato ai danni del commercio”, un’espressione presa dal modello di ordinamento giuridico inglese. Per decenni, scioperi, boicottaggi e altre forme di lotta della classe operaia furono oggetto di azioni legali con l’accusa di “cospirazione”.

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