Lenin e l’“oro” del Kaiser: obiettivi e miseria di una calunnia antibolscevica
6 Settembre 2017falcemartello n. 5 – introduzione
6 Settembre 2017di Jacopo Renda
Il movimento anarchico ha una lunga tradizione in Russia, lo testimoniano importanti figure teoriche dell’anarchia come Nikolai Bakunin e Petr Alekseevic Kropotkin.
Non è facile ricostruire i rapporti tra gli anarchici e la rivoluzione russa perché il movimento libertario fin dalle sue origini si divise in molti gruppi e frazioni.
In particolare attorno alla questione della rivoluzione d’ottobre e dello Stato operaio, mentre una parte venne affascinata e conquistata dalla prima rivoluzione operaia vittoriosa, un’altra rimase scettica fin dall’inizio, per passare in aperta opposizione, anche armata, nei mesi successivi alla presa del Palazzo d’Inverno.
In questo articolo proveremo a ricostruire per sommi capi il rapporto tra anarchismo e rivoluzione russa, concentrandoci sugli aspetti principali della critica libertaria al bolscevismo.
L’arretratezza dell’impero zarista, assieme al carattere particolarmente reazionario del regime e al corpo sociale prevalentemente contadino, fornivano una base materiale alla crescita delle idee dei sostenitori di Bakunin.
All’inizio del XX secolo la Russia entrava in una fase di rivolgimento sociale come frutto della miserabile condizione contadina e dell’ascesa della nascente classe operaia.
Gli anni del declino economico aumentavano la rabbia delle masse, dando vita ad una prima ondata di agitazioni che non aveva precedenti in Russia. Anche gli studenti facevano il loro ingresso sulla scena politica.
La repressione alimentava la rabbia e le azioni terroristiche. Il nascente movimento operaio non era ancora sufficientemente maturo per porsi il compito di incanalare questa rabbia in una lotta generale e la combinazione esplosiva di rabbia e frustrazione alimentava soluzioni estreme, quasi sempre di carattere individuale, all’interno delle quali il terrorismo populista e anarchico trovava terreno fertile.
Gli anarchici prima della rivoluzione
Mentre in questi anni la propaganda marxista iniziava il suo lavoro di penetrazione nel movimento operaio e lottava contro la repressione per darsi una struttura organizzativa, arrivando a fondare nel 1898 il Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr), gli anarchici scelsero la via della rivoltella e dell’azione diretta. Per questi ultimi il metodo marxista dell’analisi dei rapporti di forza, della ricerca dei punti di rottura e il paziente lavoro di propaganda tra le masse lasciava il campo all’impazienza.
Alla base di questa scelta c’era l’incomprensione del processo che stava trasformando la Russia attraverso la formazione, all’interno di un paese che rimaneva prevalentemente contadino, di una classe operaia concentrata in alcuni grandi poli industriali.1
Questa analisi, che portava i bolscevichi a comprendere il ruolo chiave della classe operaia nel processo rivoluzionario, diventava un elemento costante di polemica da parte degli anarchici nei confronti del partito di Lenin.
L’accusa rivolta contro i socialdemocratici era di voler rimandare la rivoluzione e di concentrarsi troppo sugli operai, trascurando le masse contadine e i diseredati.
Mentre i marxisti studiavano i mutamenti nella società russa e si dotavano di una tattica e di una struttura organizzativa – adeguata a costruire le forze della rivoluzione alla luce dei mutamenti avvenuti, anche attraverso discussioni e rotture, come quella avvenuta al congresso del Posdr nel 1903 – le deboli forze anarchiche ricorrevano alla vendetta immediata assassinando ministri e nobili.
L’incapacità di leggere i mutamenti della società e il rifiuto di darsi un’organizzazione centralizzata non permisero al movimento anarchico di crescere significativamente, malgrado alcune sue idee circolassero in particolare tra un settore di studenti e di intellettuali. Il movimento anarchico rimase frammentato, privo di un reale coordinamento e di un vero e proprio programma.
La prova del 1905
La guerra scoppiata nel 1904 con il Giappone ravvivava la fiaccola della rivoluzione.
La prima rivoluzione russa con la nascita dei soviet provocava un’esplosione di interesse per la politica e di partecipazione delle masse. In questo clima di entusiasmo e di interesse anche le deboli forze dell’anarchismo si rafforzavano e con esse la diffusione della loro stampa.
Ma la propaganda anarchica più che dal movimento di massa era affascinata dallo spazio che la crisi del regime le forniva per compiere azioni dirette. Molti dei terroristi anarchici erano giovanissimi e venivano dalle file dei delusi tra i socialisti rivoluzionari (Sr). Ritenevano di non avere tempo per seguire gli sviluppi della coscienza di classe e sentivano un immediato bisogno del “qui e ora” per farla pagare agli sfruttatori. Le bombe e gli espropri guidavano la loro azione più degli scioperi e dei cortei.
Come dichiarò al suo processo un militante del gruppo Chernoe Znamia (la Bandiera Nera):“Noi ammettiamo le espropriazioni isolate solo per avere il denaro per le nostre imprese rivoluzionarie. […] Non uccidiamo la persona che abbiamo espropriato […], noi lo incontreremo nei caffè nei ristoranti, nei teatri, alle feste da ballo, ai concerti e così via. In qualsiasi momento, ovunque si trovi, potrà essere raggiunto da una bomba o da un proiettile anarchici”.2
Tra il 1906 e il 1907 gli Sr e gli anarchici sostenevano di aver fatto oltre 4mila vittime subendo perdite di egual misura, in particolare tra gli Sr.
Dopo un attentato alla villa del primo ministro Stolypin, in cui persero la vita 32 persone, una nuova violentissima campagna repressiva di arresti e condanne a morte dello Stato pacificava temporaneamente il paese.
La rivoluzione di febbraio
Nel febbraio del 1917 esplodevano nuovamente a Pietrogrado scioperi, manifestazioni e tumulti per il pane. Le masse riprendevano le strade riannodando, attraverso la comparsa dei soviet, i fili con la rivoluzione del 1905.
La rivoluzione di febbraio diede un nuovo impulso a tutte le forze politiche e anche al movimento anarchico. Alcuni circoli anarchici si formavano a Mosca e Pietrogrado e i minatori del Donetsk adottavano come loro piattaforma il programma del sindacato rivoluzionario americano di matrice anarchica Industrial workers of the world (Iww).3
Il cuore della rivoluzione era Pietrogrado e molti tra coloro che avevano riparato all’estero durante la repressione di Stolypin tornarono nella capitale russa.
Gli anarchici parteciparono attivamente all’insurrezione di febbraio, che ebbe luogo in modo spontaneo e senza che nessuna forza politica ne avesse la direzione completa.
La parola d’ordine dei bakuniani in quel frangente era: “Dalla rivoluzione sociale alla comune anarchica”. Riemergeva il mito della Comune di Parigi del 1871 della quale non avevano compreso le reali motivazioni della sconfitta.
Infatti non solo come aveva spiegato Marx, “La Comune ha fornito la prova che la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per propri fini”,4 ma soprattutto alla Comune mancava quella guida che, come avrebbero dimostrato gli eventi successivi, sarebbe stata decisiva per la vittoria della masse russe.5
Nel febbraio gli anarchici russi non riuscivano a comprendere come la caduta della monarchia e la nascita del governo provvisorio fossero un passaggio essenziale nello sviluppo della coscienza delle masse.
Come spiega lo storico Paul Avrich: “Nella loro delusione alcuni anarchici giunsero a paragonare l’insurrezione di Febbraio a un concerto musicale nel quale un direttore prendeva il posto di un altro. Cosa era successo in Febbraio? Si chiedeva un giornale anarco-comunista di Rostov sul Don: ‘Niente di speciale. Al posto di Nicola il sanguinario è salito sul trono Kerenski il sanguinario’.”6
All’inizio del 1917 i bolscevichi erano una piccola minoranza e la maggioranza del proletariato e dei contadini erano ancora in larghissima parte sotto la direzione dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari. Non tenere conto di questo, come facevano gli anarchici, non permetteva di adottare una tattica e un apparato rivendicativo utili alla conquista della maggioranza della classe. In questa fase infatti l’obiettivo dei rivoluzionari non era ancora la conquista del potere ma la conquista delle masse.
In tutte le complesse tappe del processo rivoluzionario quasi mai gli anarchici saranno in grado di rapportarsi al livello di coscienza delle masse, aiutando la loro crescita e contribuendo a superare le illusioni riformiste con una tattica flessibile. Lo dimostra la loro contrarietà assoluta all’Assemblea costituente che invece i bolscevichi sapranno usare abilmente per superare ogni residuo di illusioni democratiche.
L’impatto delle Tesi di aprile sul movimento anarchico
Il ritorno di Lenin e soprattutto la sua battaglia sulle Tesi di aprile ebbero un ruolo determinante nel cambiare la situazione in Russia.
Le Tesi di aprile, che avevano suscitato perplessità nel gruppo dirigente bolscevico ed erano state apertamente osteggiate da Stalin e Kamenev, destavano grande entusiasmo non solo nella base del Partito bolscevico ma anche tra gli anarchici. Il programma delle tesi, che si richiamava tra l’altro a principi come l’eleggibilità, la revocabilità e la dissoluzione dell’esercito sul modello della Comune di Parigi, era in grado di connettersi con i settori più avanzati e permetteva di riarmare il partito per la nuova fase. Su questo abbiamo una limpida testimonianza di Victor Serge.7
La questione della guerra assumeva un ruolo sempre più importante per la rivoluzione.
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Lenin e i bolscevichi, che a Zimmerwald si erano battuti contro la capitolazione del movimento operaio internazionale alle proprie borghesie, lo sapevano bene.
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Non si può dire lo stesso del teorico anarchico Kropotkin che, sulla base di una presunta battaglia contro il regime reazionario del Kaiser, nel febbraio del 1916 firmava il cosiddetto “Manifesto dei 16” nel quale sosteneva le forze alleate contro la Germania.
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Le forze rivoluzionarie venivano messe ancora una volta alla prova durante le giornate di luglio. Un settore delle masse esasperato dalla fame, dalla guerra e dalle manovre di Kerenskij lanciava un’insurrezione a Pietrogrado. Il movimento non aveva ancora possibilità di vittoria su scala nazionale ma si sviluppava spontaneamente. Mentre i bolscevichi vi partecipavano per evitare che finisse in un bagno di sangue, gli anarchici vi si gettavano con entusiasmo. Se a luglio fosse prevalsa la loro linea avventurista, con ogni probabilità non ci sarebbe mai stata una rivoluzione vittoriosa nell’ottobre.
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La rivoluzione divise profondamente il movimento anarchico, sia in Russia che a livello internazionale. Una parte ne venne conquistata come Victor Serge; altri come Bill Shatov, che occupava un ruolo di rilievo nelle ferrovie, pur non aderendo mai al partito, sostennero la rivoluzione e la lotta contro i bianchi; tuttavia molti tra gli anarcosindacalisti russi guidati da Alexander Shapiro e Volin, rimasero sempre ostili al bolscevismo.
La rivoluzione d’ottobre
Ma fu soprattutto dopo la vittoria della rivoluzione che le divergenze tra bolscevichi e anarchici tornarono a manifestarsi con più forza.
Uno dei più importanti terreni di scontro era la questione del controllo operaio, il ruolo degli specialisti e la necessità di un piano generale per l’economia sovietica.
Su questi aspetti decisivi per il funzionamento dello Stato operaio, in particolare in un paese arretrato come la Russia, emergeva tutto il vizio di formalismo e di astrattismo tipico del pensiero anarchico.
Una parte degli anarchici si era opposta alla parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet”. Due importanti dirigenti anarchici, i fratelli Godin, sostenevano: “Noi siamo contro i soviet, in linea di principio, perché siamo contro ogni Stato.”
Lo scarso peso specifico che avevano i libertari all’interno dei soviet non era quindi solo frutto del loro scarso radicamento ma anche del fatto che una parte significativa non partecipava agli organismi del potere operaio, malgrado fossero revocabili.
Lo testimonia chiaramente il fatto che nel Congresso panrusso dei soviet, svoltosi dopo la presa del Palazzo d’Inverno, gli anarchici erano solamente 5 su 562 delegati al soviet, dei quali 382 erano bolscevichi, 70 socialrivoluzionari di sinistra, 19 Sr di altre tendenze, 21 menscevichi “difensivisti” e 15 menscevichi “internazionalisti”.
Controllo operaio, pianificazione economica e utilizzo degli specialisti
Dopo la presa del potere il ruolo dei soviet, del controllo operaio e della pianificazione diventava sempre più decisivo. L’economia era al collasso in molti settori e il giovane Stato operaio aveva la necessità vitale di far funzionare l’industria.
Gli anarchici si opponevano alla pianificazione in nome della battaglia contro “il centralismo statalista”, riproponendo il modello fallimentare delle comuni indipendenti che sarebbe stato applicato, circa vent’anni più tardi, durante la guerra civile spagnola nella Catalogna diretta dalla Cnt.
In un paese arretrato come la Russia l’utilizzo degli specialisti, tecnici e ingegneri provenienti dal vecchio apparato dello Stato borghese era molto più che necessario. Lenin e Trotskij lo compresero senza indugi.
Il dibattito su questa questione aveva un carattere assolutamente pratico ed era legato al rapporto tra socialismo nascente e la vecchia struttura del capitalismo russo. L’utilizzo degli specialisti non implicava nessun compromesso con la borghesia ma era vincolato all’arretratezza culturale della popolazione russa, oltre che al ritardo della rivoluzione nei paesi capitalisti avanzati.
Tutti i pregiudizi anarchici sullo Stato si fondevano in una visione immaginaria della costruzione del socialismo, in cui alle brillanti teorizzazioni sull’avvenire senza classi faceva da contraltare una organica incapacità di avanzare sul terreno concreto della lotta quotidiana. Come ebbe modo di dire Lenin, “la maggioranza degli anarchici si preoccupa del futuro senza preoccuparsi di capire il presente”. Mentre il gruppo dirigente bolscevico, in particolare Lenin e Trotskij, si poneva l’obiettivo di superare i limiti del contesto, i dirigenti anarchici, che trovavano eco anche in alcuni settori del Partito bolscevico, si abbassavano al livello degli scettici e dei settori più arretrati della società.
Come ricorda lo storico Carr: “Anche in questo caso, l’opinione diffusa era che l’esigenza dell’efficienza economica contrastasse con i principi dell’autogoverno non solo socialista ma democratico. Il problema degli specialisti metteva in causa la stessa dottrina e le stesse concezioni del partito. Essa rinfocolò l’apparente contrasto fra la concezione della distruzione del vecchio apparato amministrativo e dell’estinzione dello Stato […] e la necessità pratica, da Lenin affermata non meno vigorosamente (…) di impossessarsi e di utilizzare l’apparato tecnico del centro economico e finanziario creato e lasciato in eredità dal capitalismo.”8
Mentre gli anarchici gridavano al tradimento della rivoluzione terrorizzati dal fantasma dello Stato, Trotskij considerava che: “Adesso che il potere dei soviet è assicurato, la lotta contro il sabotaggio deve esplicarsi nel trasformare i sabotatori di ieri in servitori, in procuratori e in direttori tecnici là dove il nuovo regime lo esige”,9 e Lenin aggiungeva: “Il socialismo è impossibile se non si utilizzano le conquiste della cultura e della tecnica raggiunte dal grande capitalismo”.10
Il punto di rottura finale: la pace di Brest-Litovsk
Il punto di rottura definitivo tra gli anarchici e la rivoluzione russa fu certamente la pace di Brest-Litovsk.11 Incapaci di comprendere quanto questa fosse importante per le masse e quanto i rapporti di forza imponessero una scelta simile, gli anarchici non solo si univano a coloro che criticavano la pace ma passavano apertamente all’offensiva.
Il 23 febbraio 1918 alla riunione del Comitato esecutivo centrale del soviet, Aleksandr Ge, leader anarco-comunista disse: “Gli anarco-comunisti, proclamano il terrore e la guerra partigiana su due fronti. È meglio morire per la rivoluzione sociale mondiale che vivere sulla base di un accordo con l’imperialismo tedesco”.12
Dopo la firma del trattato, avvenuta il 3 marzo, gli anarchici iniziarono a organizzare distaccamenti di Guardie nere armate, compiendo azioni di guerriglia e provocazione. Ad esempio a Mosca, quando il 9 aprile si impossessarono dell’auto del colonnello americano Raymond Robins che era un intermediario del governo degli Stati Uniti. Questa non fu l’unica azione ma si inserì in una campagna, in cui la parte principale la facevano i socialisti rivoluzionari, che arrivarono ad assassinare l’ambasciatore tedesco al fine di far saltare gli accordi di pace appena raggiunti.
Alcuni importanti dirigenti come Volin partivano addirittura per il fronte nel vano tentativo di costituire dei gruppi partigiani per continuare la guerra. Continuavano ad accusare Lenin di tradimento e arrivarono a sostenere i socialisti rivoluzionari quando assassinarono i dirigenti bolscevichi Volodarskij, il capo della Ceca di Pietrogrado, Uritckij, membro del Comitato Centrale e ferirono lo stesso Lenin.
Il disarmo delle Guardie nere
È in questo quadro che la Ceca decideva di disarmare le Bande nere nelle quali, come poi confermato dal generale bianco Hopper, si erano infiltrati degli agenti dei bianchi per aggiungere caos al caos. Il disarmo del locale occupato dagli anarchici avveniva nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1918.
Le annotazioni di Victor Serge, anarchico convertito al bolscevismo nel corso degli eventi, non solo sfatano il mito della repressione bolscevica ma spiegano le ragioni che imponevano il disarmo di chi non si limitava alla critica nell’ambito del dibattito sulla rivoluzione ma cospirava in modo armato contro la repubblica dei soviet.13 Agli anarchici venne lasciato il diritto di propaganda ma la risposta fu l’attentato a suon di bombe al quartier generale del comitato centrale del Partito comunista di Mosca del 25 settembre 1919, in cui morirono 12 comunisti e 55 rimasero feriti, tra i quali lo stesso Bucharin. Nella loro idea questo attentato doveva inaugurare “l’epoca della dinamite”.
Nel mezzo della guerra civile, con la rivoluzione a rischio, alla fine del 1919 a due gruppi anarchici di Mosca veniva permesso di aprire sedi e pubblicare la loro stampa. Trotskij e Rosmer offrivano al leader anarcosindacalista Schapiro di iniziare un negoziato per il riconoscimento del loro gruppo e per una garanzia della loro stampa a patto che epurassero i terroristi dalle loro file ma egli rifiutò.
La morte di Kropotkin avveniva l’8 febbraio 1921. Malgrado il suo appoggio al governo provvisorio e al fragile regime di Kerenskij il rivoluzionario russo ebbe tutti gli onori del caso da parte dello Stato sovietico.
Il governo dei soviet offrì alla famiglia di Kropotkin i funerali di Stato ma questa rifiutò.
La sua salma fu esposta nella Casa dei sindacati, la stessa in cui fu esposta quella di John Reed, e per il corteo funerario furono liberati dalle prigioni molti anarchici per permettere loro di partecipare alle esequie.
Nella manifestazione, in cui parteciparono oltre 20mila persone, campeggiavano striscioni con scritto “Dove c’è autorità non c’è libertà” e “L’emancipazione della classe operaia sarà opera della classe operaia stessa”.14 “La casa natale di Kropotkin, un grande palazzo nel quartiere aristocratico di Mosca, venne restituita alla vedova e ai suoi compagni per essere trasformata in un museo per i suoi libri, documenti e ricordi personali sotto la supervisione di un comitato di studiosi anarchici.”15 Questo accadeva solo poche settimane prima della rivolta di Kronstadt.
Il mito della rivolta anarchica a Kronstadt
La rivolta di Kronstadt negli anni è stata eretta a monumento della critica anarchica al bolscevismo.
Quasi cento anni dopo quegli avvenimenti non c’è una discussione in cui i seguaci di Bakunin non utilizzino Kronstadt per affermare che “l’avanguardia della rivoluzione è stata tradita e soffocata nel sangue dalla dittatura bolscevica”.
Non si può comprendere ciò che accadde alla flotta sul Baltico esclusivamente sulla base del complotto di qualche anarchico o di qualche bianco. Questa tesi la lasciamo alla Grande Enciclopedia Sovietica del 1953.
La crisi e l’ammutinamento dei marinai può essere compresa solo nell’ambito degli effetti della guerra civile e della miseria crescente. Durante lo scontro tra bianchi e rossi i contadini avevano scelto da che parte stare, tollerando le requisizioni forzate, ma ora che la guerra civile era finita non erano più disposti a sottostare a simili condizioni.
Lo stesso esercito di Machno aveva trovato la sua base sociale proprio su questo punto, ovvero nella contrarietà di un certo settore contadino al “comunismo di guerra”. Molti dei marinai in licenza avevano avuto modo di vedere con i loro occhi la fame che settori crescenti della società sovietica pativano. Avevano maturato l’idea che essendo ormai sconfitti i bianchi fosse necessario voltare pagina.
Non è casuale che il programma degli insorti di Kronstadt combinasse rivendicazioni “democratiche” come la rielezione immediata dei soviet a voto segreto, la libertà di parola, di stampa e di riunione, con rivendicazioni di carattere economico come la libertà di coltivare liberamente la terra per i contadini (senza l’uso di manodopera salariata). Come dirà lo storico P. Avrich questo programma era “un promemoria sulla politica generale del comunismo di guerra, la cui giustificazione, agli occhi dei marinai, e della popolazione in genere, era venuta a mancare”.16
Gli stessi bolscevichi si rendevano conto della crescente esasperazione popolare dopo anni di privazioni e ne avevano discusso più volte già prima della rivolta. L’8 febbraio del 1921 Lenin aveva illustrato all’Ufficio politico un piano per superare il “comunismo di guerra” e il 24 dello stesso mese il Comitato centrale aveva iniziato uno studio da sottoporre al X congresso.
Pur in un simile contesto la tesi della sovrapposizione tra i marinai di Kronstadt, avanguardia della rivoluzione del 1917, e gli insorti del 1921 non trova un riscontro materiale.
In larghissima parte i quadri della guarnigione che erano stati gli eroi della rivoluzione d’ottobre nel 1921 non erano più nella fortezza. I compiti della guerra civile e dell’instaurazione del socialismo li avevano portati ad avere un ruolo di direzione nel paese ma non più a Kronstadt.
La maggioranza dei marinai erano giovani di estrazione contadina, per lo più provenienti dall’Ucraina, nella quale le armate anarchiche e antibolsceviche di Machno avevano avuto un sostegno significativo. Uno dei leader dell’insurrezione del 1921, Petriscenko, lo ricorda in una lettera del 31 maggio 1921 inviata al generale reazionario Vrangel: “La guarnigione di Kronstadt era costituita da tre quarti di nativi dell’Ucraina, da lungo tempo nemici dei bolscevichi, l’ultimo contingente era formato da nativi di Kuban, che prima avevano prestato servizio nell’esercito di Denikin (che combatté la rivoluzione nel sud della Russia fino al marzo 1920, Ndr)”.17
Tra i capi degli insorti figuravano certamente elementi reazionari come l’ex generale bianco Kozlovskij e lo stesso Petriscenko che guidava il Comitato rivoluzionario provvisorio e che in esilio sostenne apertamente le posizione dei bianchi.
Al di là delle intenzioni degli insorti la reazione guardava con grande interesse alla rivolta, per farne una testa di ariete della controrivoluzione e restaurare il capitalismo in Russia.
I recenti studi dello storico P. Avrich hanno messo in luce un Memorandum sulla organizzazione di una rivolta a Kronstadt, redatto probabilmente all’inizio del 1921 che, basandosi su una rivolta che sarebbe dovuta iniziare nella primavera, avrebbe permesso, con l’aiuto del generale Vrangel, di una base logistica nella fortezza e con delle navi francesi, di iniziare una controffensiva sulla terra ferma con l’obiettivo di cancellare la repubblica dei soviet.
In queste circostanze, pur dopo aver tentato per alcuni giorni di convincere i marinai con le armi della propaganda, i bolscevichi furono costretti a soffocare rapidamente la ribellione, prima che i ghiacciai si sciogliessero rendendo la fortezza inespugnabile. Come ha spiegato Trotskij: “Abbiamo atteso sino all’ultimo che i nostri compagni marinai fuorviati si rendessero conto da soli dove li stava conducendo l’ammutinamento.Ma ci siamo trovati di fronte al pericolo del disgelo e siamo stati costretti a colpire con decisione”.18
Molto si è parlato della repressione contro i marinai di Kronstadt. I piagnistei di certi commentatori anarchici descrivono gli insorti come una pacifica vittima sacrificale che perì inerme sotto i colpi della repressione rossa. Questa descrizione non risponde a come realmente si svolsero i fatti.
Le truppe bolsceviche che diedero l’assalto alla fortezza, alle quali si unirono anche 300 delegati provenienti dal X congresso, compresi quelli delle due opposizioni interne Centralismo democratico e Opposizione operaia, furono cannoneggiate costantemente dagli insorti. Dopo il primo assalto senza successo, il 16 marzo ebbe luogo un secondo assalto nel quale i rossi, che avanzavano sul ghiaccio protetti solo da un mantello bianco, subirono perdite durissime quantificabili in circa un quinto degli assalitori, ovvero circa 10mila morti.
“Le perdite dei ribelli furono ovviamente assai minori, e la maggior parte delle vittime furono dovute ai massacri perpetrati dai vincitori sopravvissuti all’assalto. (…) 600 uccisi, più di 1000 feriti e 2.500 prigionieri. Più di 8.000 ammutinati, tra i quali Kozlovskij e Petriscenko, e la maggior parte dei capi dell’insurrezione, riuscirono a fuggire in Finlandia.”19
Certamente gli eventi della repressione di Kronstadt sono drammatici ma nella loro tragica dinamica inevitabili.
Non troviamo una definizione migliore di quella che ha dato Pierre Brouè quando ha affermato: “Se nel 1917 i marinai erano stati il ferro di lancia della rivoluzione (…), ora, nel 1921, essi riflettevano tragicamente, tra i primi, la stanchezza profonda del popolo russo e il desiderio di farla finita con la miseria materiale”.20
Dopo questa vicenda Lenin e il partito chiudevano la fase del “comunismo di guerra” e inauguravano la Nuova politica economica (Nep). Gli anarchici antibolscevichi hanno parlato di una terza rivoluzione repressa nel sangue da parte della dittatura bolscevica, ma la loro versione non regge alla prova dei fatti, come ha ammesso lo stesso storico dell’anarchismo Paul Avrich quando ha scritto:“Kronstadt presenta una situazione in cui lo storico può simpatizzare con i ribelli, ma ammettere che i bolscevichi non avevano torto ad affrontarli”.21
Note
1. Un processo che da un punto di vista marxista viene spiegato dalla “legge dello sviluppo diseguale e combinato”, che Trotskij descriverà come “ravvicinamento delle varie tappe, combinazione di forme distinte, amalgama di forme arcaiche con le più moderne”.
2. L’altra anima della Rivoluzione, P. Avrich, Edizioni Antistato, Milano, 1978, p. 64.
3. Dallo Statuto degli Iww: “La classe operaia e la classe degli imprenditori non hanno niente in comune. Non può esserci pace finché la fame e il bisogno dominano tra milioni di operai e i pochi individui che compongono la classe imprenditoriale possiedono tutti i beni dell’esistenza. Tra queste classi la lotta deve continuare finché gli operai del mondo, organizzati in classe, non si impadroniranno della terra e dell’apparato produttivo abolendo il sistema dei salari” (dal sito Iww.org). Per un approfondimento sugli Iww si veda Dagli Iww al Cio, il sindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti tra radicalità e fenomeni di massa, di Serena Capodicasa, falcemartello n. 1, disponibile su marxismo.net.
4. Laguerra civile in Francia di K. Marx, Editori riuniti, Roma, 1990, p. 31.
5. “A Parigi,