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falcemartello n. 9 – introduzione

La nostra rivista teorica sulla Terza internazionale

Il numero 9 di falcemartello non presenta la sua veste consueta, con la suddivisione tra articoli di attualità, teoria e arte. è invece un numero monografico interamente dedicato alla storia della Terza Internazionale, della cui nascita ricorre quest’anno il centesimo anniversario (il primo congresso si svolse nel marzo del 1919). Siamo infatti convinti che il tema dell’internazionalismo rivoluzionario non rivesta solo un’importanza di carattere storico, ma sia la chiave indispensabile per comprendere i processi della nostra epoca e intervenire attivamente al loro interno.

Da una parte il capitalismo è un sistema economico globale, in cui le diverse economie nazionali sono sempre più intrecciate tra loro, incomparabilmente di più di quanto lo fossero un secolo fa; proprio per questo è impossibile condurre una lotta contro il capitalismo su basi meramente nazionali. Dall’altra parte assistiamo ad uno scontro sempre più acceso per il predominio tra le diverse potenze capitaliste – basti pensare alla guerra commerciale Usa-Cina o alle lotte interne tra i diversi Stati dell’Unione europea – e, senza un punto di vista internazionalista, la classe lavoratrice finisce inevitabilmente per restare agganciata al carro della propria borghesia nazionale.

In quest’ottica l’Internazionale Comunista dei primi anni, sotto la direzione di Lenin e Trotskij, rappresenta una vera e propria miniera di insegnamenti su una serie di temi centrali: il potere dei lavoratori e la funzione dello Stato, il problema del radicamento nel movimento operaio e il ruolo dei sindacati, l’atteggiamento nei confronti dei partiti riformisti e delle istituzioni borghesi, la questione nazionale e quella femminile… Lezioni tanto più preziose, in quanto completamente dimenticate dalla sinistra di oggi, combattuta tra le vecchie illusioni del riformismo “europeista” e le nuove suggestioni del sovranismo “di sinistra”.

Nel primo articolo, Una bandiera pulita: la nascita della Terza Internazionale, Vittorio Saldutti descrive come l’Internazionale comunista nacque a partire da piccoli gruppi che si opponevano alla deriva “social-patriottica” dei partiti socialisti della Seconda Internazionale, che in gran parte avevano votato a favore della partecipazione dei loro paesi alla prima guerra mondiale. L’articolo si sofferma anche sui primi quattro congressi del Comintern (1919-1922), che rappresentano un esempio insuperato di dibattito democratico tra rivoluzionari.

Le discussioni nell’Internazionale non erano affatto accademiche. Alla fine della prima guerra mondiale e a seguito della rivoluzione d’Ottobre, l’Europa fu attraversata da un’ondata rivoluzionaria che colpì un paese dopo l’altro: Germania, Austria, Ungheria, Italia… a quel tempo la rivoluzione mondiale era una prospettiva tutt’altro che astratta. Come spiega Ion Udroiu in L’Internazionale comunista e la Germania, l’appuntamento mancato con la rivoluzione, il dibattito più importante riguardò la politica del giovane partito comunista tedesco nei primi anni ’20. Se infatti la rivoluzione avesse vinto in un paese economicamente avanzato come la Germania, l’Urss sarebbe potuta uscire dal suo isolamento e una federazione socialista russo-tedesca sarebbe stata uno straordinario polo d’attrazione: probabilmente la storia mondiale avrebbe preso un corso del tutto diverso e non avrebbe conosciuto né il nazismo né lo stalinismo.

Il rapporto tra l’Internazionale comunista e il movimento operaio italiano è invece affrontato dall’articolo di Andrea Davolo, Le battaglie dell’Internazionale per la costruzione di un partito rivoluzionario in Italia, in cui viene illustrato il ruolo del Comintern negli eventi che portarono alla fondazione del Partito comunista d’Italia (1921).

La seconda parte della rivista si concentra sul periodo della degenerazione stalinista dell’Internazionale comunista. Con l’ascesa di Stalin in Urss, la politica di internazionalismo proletario venne sostituita dalla teoria del “socialismo in un paese solo”, secondo la quale una società socialista poteva essere costruita all’interno dei confini di un singolo Stato, senza la necessità di estendere la rivoluzione ad altri paesi. Questa nuova dottrina rappresentò un enorme passo indietro per il movimento comunista mondiale, all’interno del quale ciascun partito iniziò a vedere i problemi del proprio paese con un approccio meramente “nazionale”, un’impostazione che ritroviamo tuttora nelle formazioni politiche che si richiamano allo stalinismo e al sovranismo di sinistra.

Trotskij condusse una battaglia politica contro questa deriva e abbiamo quindi deciso di pubblicare un estratto del suo scritto Programma della rivoluzione internazionale o del socialismo in un paese solo? (la versione integrale è disponibile qui). Si tratta di un testo nel 1928 in preparazione del VI congresso dell’Internazionale, in cui viene richiamata la tradizione internazionalista di Lenin e del Partito bolscevico in contrapposizione alle concezioni di Stalin.

Il nuovo corso stalinista produsse conseguenze nefaste anche nel mondo coloniale. Nell’articolo di Franco Bavila Stalin, l’organizzatore di sconfitte: la rivoluzione cinese del 1925-1927, si ripercorre la vicenda del Partito comunista cinese che, seguendo le direttive di Mosca, si subordinò politicamente al nazionalismo borghese, andando incontro ad una disfatta epocale nel 1927.

L’ultimo contributo che proponiamo è Ascesa e caduta dell’Internazionale comunista, scritto da Ted Grant nel 1943, all’indomani dello scioglimento del Comintern, decretato da Stalin come concessione ai suoi alleati anglo-americani. Nel testo vengono analizzate le ragioni della parabola della Terza Internazionale, che da organizzazione della rivoluzione mondiale venne trasformata in un mero strumento della politica estera dell’Urss, pronta a sacrificare il movimento rivoluzionario nei diversi paesi in base alle esigenze diplomatiche di Mosca. Un’analisi che ancora oggi è un presupposto imprescindibile per chiunque cerchi un’alternativa al vicolo cieco del capitalismo, senza per questo far proprie le aberrazioni dello stalinismo.

 

La redazione, giugno 2019

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