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Chaplin, La critica silenziosa di un genio

Rendiamo omaggio a Charles Chaplin, l’artista che rivoluzionò il cinema e seppe fare della sua opera un poderoso strumento di critica della società moderna e del suo modo di produzione con un’enorme sensibilità e senso dell’umorismo.

 

di Alex Minoru
(Esquerda Marxista – sezione brasiliana della Tendenza marxista internazionale)

Rendiamo omaggio a Charles Chaplin, l’artista che rivoluzionò il cinema e seppe fare della sua opera un poderoso strumento di critica della società moderna e del suo modo di produzione con un’enorme sensibilità e senso dell’umorismo.

Il fantasma della povertà

Charles Spencer Chaplin, il geniale creatore del personaggio Charlot e di opere classiche del cinema, nacque il 16 aprile 1889.

C’erano tutte le premesse perché fosse uno dei tanti ragazzi dalle enormi potenzialità e talento che veniva inghiottito dal capitalismo nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. Parlando della sua infanzia a Londra, dichiarerà anni dopo:

Durante l’infanzia, la fame e la paura del domani sono state due costanti della mia esistenza. Per quanto ricco possa diventare, non riuscirò mai a liberarmi da questa paura. Mi sento come un uomo inseguito da un fantasma, il fantasma della povertà.

I suoi genitori erano artisti di Music Hall, una specie di teatro di varietà molto popolare nell’Inghilterra vittoriana. La vita agiata iniziò a declinare quando il padre di Chaplin si arrese all’alcolismo e si separò da sua madre, Hannah Hill. Lei dovette prendersi cura da sola dei suoi due figli, Charles e Sydney. La voce di Hannah iniziò ad affievolirsi e lei dovette lasciare il palco. Senza lavoro e senza un soldo, fece sforzi sovrumani per tenere i suoi figli puliti, protetti e al caldo, arrivando ad usare il tessuto dei suoi vestiti per cucire loro degli indumenti. La fame li attanagliava costantemente, si trasferivano continuamente in una casa peggiore della precedente. Senza fissa dimora finirono in un ospizio per poveri. In quel periodo Charles e Sydney furono costretti a stare lontani dalla madre e poche settimane dopo se ne allontanarono ulteriormente, quando furono trasferiti in un orfanotrofio.

Nel film Il monello c’è una scena memorabile: i dipendenti di un orfanotrofio, con l’aiuto di un poliziotto, cercano di separare Charlot dal bambino di cui si era preso cura fin da piccolo. La disperazione del Vagabondo e del ragazzino per questa separazione, la lotta per rimanere insieme nonostante tutta la povertà che li circonda, è senza dubbio un’allusione al periodo in cui Chaplin fu costretto a separarsi da sua madre.

Hannah iniziò ad avere problemi mentali, questo provocò nuovi periodi di separazione dai bambini durante i suoi ricoveri. Con la morte per cirrosi del padre di Chaplin, la situazione economica peggiorò. Lei lavorava intensamente, trascorrendo le notti sveglia sulla macchina da cucire. Chaplin ebbe il suo primo lavoro come ballerino nel gruppo “The Boys of Lancashire”, ma aveva lavorato anche come venditore di fiori, fattorino, receptionist di uno studio medico, fattorino, soffiatore di vetro, tipografo, ecc.

Quando Charles aveva quattordici anni, sua madre ebbe una grave crisi. Secondo i medici, era pazza, oltre ad essere molto debole a causa della malnutrizione– finì dunque per essere ricoverata in una clinica. Lui, che non voleva tornare in un orfanotrofio, mentì dicendo che sarebbe andato a vivere con una zia, in realtà tornò nell’appartamento e trascorse settimane da solo, poiché suo fratello in quel momento era partito per lavorare come marinaio. Solo all’arrivo di suo fratello, i due poterono fare visita alla madre. Chaplin, con l’aiuto del fratello, che era entrato per primo nel mondo dello spettacolo, compì in questo periodo i passi decisivi nella sua carriera artistica. Le cose migliorarono e presto la povertà e la miseria sarebbero state lasciate alle spalle.

Il successo di Charlot

Prima di arrivare al cinema e a Hollywood, Chaplin passò per il teatro facendo spettacoli comici. Durante un tour negli Stati Uniti nel 1913, fu scoperto dalla compagnia cinematografica Keystone e nel febbraio 1914 apparve nel suo primo film: Charlot giornalista. Nel secondo film, Charlot ingombrante, Chaplin appare con i costumi del personaggio che avrebbe conquistato il mondo: il Vagabondo, noto anche come Charlot.

Il successo di Charlot fu fulmineo. I distributori chiedevano sempre più film con Chaplin. Il successo gli permise di assumere la direzione delle produzioni.

Il ritmo era frenetico, nel 1914 partecipò a 35 film. Questo infastidiva Chaplin, un perfezionista. I suoi primi film erano più una commedia farsesca, lontani dai capolavori che avrebbe prodotto, ma il cinema era agli esordi e Chaplin stava muovendo i suoi primi passi in questo nuovo linguaggio che avrebbe aiutato a rivoluzionare.

Charlot e la lotta di classe

Chaplin aveva creato un eroe, ma quell’eroe non era un principe, un re, un guerriero, un borghese, tanto meno un supereroe con superpoteri. Il nostro eroe era un lavoratore, il vetraio de Il monello, il muratore di Giorno di paga, il cercatore d’oro di La febbre dell’oro, l’operaio e tante altre cose di Tempi moderni, il barbiere de Il grande dittatore, ecc. La sua esperienza personale, che lo aveva fatto passare per diverse professioni per sopravvivere, lo aveva sicuramente aiutato a impersonare i diversi mestieri di Charlot.

Chaplin una volta disse, parlando del suo metodo:

Un fatto, per esempio, su cui baso sempre i miei film, è quello di presentare al pubblico qualcuno che si trova in una situazione ridicola e imbarazzante. Hai mai notato cosa succede quando un poliziotto in uniforme scivola per strada e cade rovinosamente? Tutti ridono. Perché? Perché il poliziotto e il suo manganello incarnano l’autorità. Tutte le persone umili hanno una nascosta antipatia per i pubblici ufficiali e ridono quando uno di loro cade a terra.

Immaginate un orgoglioso capitalista, con il suo viso solenne, i pantaloni a righe, la redingote, le ghette, il cappello a cilindro: tutte le caratteristiche del milionario. Anche il più innocuo di noi ha avuto l’idea assurda di tirarlo per la barba. E se un ometto come me tira la barba a un capitalista, il pubblico scoppia a ridere, deliziato. Ci saranno sempre degli spettatori che troveranno un atto del genere scandaloso e rivoluzionario, ma sono una minoranza. Il novanta per cento degli spettatori si rallegra nel vedere i propri desideri diventare realtà”.

In questa semplice concezione c’è una buona dose di lotta di classe. Probabilmente il novanta per cento o più delle persone ride di scene di questo tipo, poiché la stragrande maggioranza della società è costituita da lavoratori, che nella dura realtà quotidiana sono oppressi dallo Stato con i suoi poliziotti e dai padroni sul posto di lavoro. Che gioia vederli cadere a gambe all’aria, prendere calci nel sedere o una torta in faccia! Charlot offriva quel tipo di piacere.

La ridicolizzazione del potere raggiunse il suo apice nel film Il grande dittatore: per coincidenza o per imitazione, Adolf Hitler portava dei baffetti uguali a quelli del Vagabondo. Nel film, Chaplin interpreta due personaggi: Charlot, il barbiere ebreo, e il dittatore Adenoid Hynkel, una parodia di Hitler. La sua interpretazione di Hynkel esplora tutte le caratteristiche ridicole del dittatore, l’eloquenza nei discorsi, il desiderio di potere quando balla e gioca con il mappamondo, la demagogia e le manie di grandezza.

Chaplin, nonostante tutti i soldi e la fama guadagnati, non ha mai dimenticato il suo passato e la sua classe di origine. Paradossalmente, la stessa povertà che aveva causato tanta sofferenza, è stata l’essenza per la creazione dei suoi bellissimi film. Sapeva, come pochi altri, attrarre, divertire ed emozionare i lavoratori, dipingendo la loro sofferta quotidianità.

Un esempio di questo è il film Vita da cani. Già il titolo ci pone la domanda: chi fa questa vita da cani? Solo il cane che compare nel film, o anche Charlot, disoccupato e rifiutato dalla società? O il cantante che viene sfruttato dal proprietario del bar? Certamente il parallelo tra la vita del cane randagio e del Vagabondo, è inevitabile. In una delle scene, Charlot entra in un’agenzia di collocamento, è il primo candidato ad arrivare. Quando apre il primo sportello, lui si dirige verso di esso ma il secondo candidato si avvicina e gli passa davanti. Apre il secondo sportello, lui si muove in quella direzione, ma il terzo candidato gli passa davanti. E così va avanti in una rapida sequenza, lui che va da uno sportello all’altro, sempre superato da qualcuno che gli passa avanti. Quando finalmente arriva per primo ad uno sportello, questo viene chiuso: non ci sono più lavori disponibili. Sì, la vita della classe operaia sotto il capitalismo è davvero una “vita da cani”.

Tempi moderni

Il film Tempi moderni uscì nel 1936, dopo 4 anni di lavoro. Con il perfezionismo di Chaplin, le stesse scene venivano girate più e più volte finché non risultavano soddisfacenti. Inoltre molte idee e scene venivano filmate e poi tagliate nel montaggio finale. Per questo film furono filmati 75mila metri di pellicola, ma nella versione finale ne rimasero solo 2.300. Il cinema sonoro (parlato) era già un successo, ma Chaplin mantenne questo film quasi totalmente muto.

Tempi moderni è una visione del capitalismo e delle sofferenze che questo sistema comporta. Chaplin non era un marxista, ma probabilmente doveva aver letto qualcosa di Marx: il suo spirito curioso non gli avrebbe permesso di rimanere senza conoscere minimamente ciò che in tanti lo accusavano di essere.

Nella scena iniziale del film, l’immagine di un gregge di pecore si sovrappone a quella di operai che escono da una stazione ferroviaria. È una bella metafora di come il capitalismo tratta gli operai: bestiame al servizio del profitto del padrone.

Il padrone della fabbrica, molto impegnato tra la lettura di fumetti e giochi di enigmistica, ordina di accelerare la produzione. L’operaio Charlot non riesce ad adattarsi a questo processo disumano, con azioni e ritmo dettati dalla macchina. Il padrone lo controlla con una videocamera anche all’interno del bagno e gli ordina di tornare al lavoro.

In una scena molto divertente, il proprietario della fabbrica, con l’obiettivo di controllare ogni secondo del lavoro dei suoi operai, si reca sulla linea di produzione per testare su Charlot una macchina innovativa che alimenta l’operaio senza che questo debba interrompere il suo lavoro. Il meccanismo si rompe e sottopone Charlot a una piccola seduta di tortura. Il padrone valuta saggiamente: “Non va bene, non è pratico”.

In un’altra scena geniale, Charlot, già un po’ sconvolto dal lavoro ripetitivo, corre a stringere le viti di un pezzo sul nastro traportatore e poi viene inghiottito dalla macchina, incastrato nei suoi ingranaggi; dopodiché continua a stringere tutte le viti che si trova davanti.

Charlot viene ricoverato e, quando esce e torna in fabbrica, scopre che è stata chiusa: erano gli anni della Grande Depressione dopo la crisi del 1929. Mentre vaga per la strada, una bandiera rossa cade da un camion, la raccoglie e corre dietro al camion gridando per avvisare l’autista che la bandiera è caduta; proprio dietro di lui spunta una manifestazione e di fronte arriva la polizia; Charlot si ritrova incastrato nel mezzo e il nostro comunista involontario viene arrestato. Ma questo finisce per piacergli: quando viene rilasciato, non vuole uscire di prigione, preferendo stare in galera piuttosto che essere “libero” in questo mondo.
Il nostro eroe incontra una ragazza, sognatrice e spirito libero, che lo riporta alla vita. I due combattono, sognano, fuggono dalla polizia. E proseguono nella lotta alla ricerca della felicità.

Il discorso finale de Il grande dittatore

Il primo e unico film in cui Charlot parla, è Il grande dittatore, uscito nel 1940. È un altro film delizioso da non perdere. È l’addio di Charlot, l’ultimo film del personaggio. Ma che belle parole ci lascia nel finale!

Charlot viene scambiato per il dittatore Hynkel e viene portato su un palco, dove è costretto a fare un discorso ai soldati e al popolo di un paese conquistato. è impossibile non commuoversi per le sue parole, ecco alcuni estratti:

[…] La vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotto al passo dell’oca tra le cose più abbiette. […]

Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente. A coloro che mi odono, io dico: non disperate! L’avidità che ci comanda è solamente un male passeggero, l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano. […]

Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi disprezzano e vi sfruttano, che vi dicono come vivere, cosa fare, cosa dire, cosa pensare, che vi irreggimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie. […] Voi non siete macchine, voi non siete bestie, siete uomini! Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore, voi non odiate […]

[…] combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati, nel nome della democrazia, siate tutti uniti!

Persecuzione politica

Nonostante non si considerasse comunista, i film di Chaplin, in particolare Tempi moderni e Il grande dittatore, presentavano una critica feroce al sistema esistente. Il suo primo film senza Charlot, Monsieur Verdoux (1946), si scontrò con la censura che voleva bloccarlo e, anche dopo essere uscito a livello nazionale, venne vietato in diverse città degli Stati Uniti.

Alla fine della guerra, la persecuzione dei comunisti negli Stati Uniti crebbe. Chaplin fu sistematicamente accusato di essere comunista. Affermò di non esserlo, ma disse anche che ammirava il coraggio dei russi nella seconda guerra mondiale ed era orgoglioso della sua amicizia con l’attore nero Paul Robeson e con il drammaturgo e poeta Bertolt Brecht, entrambi comunisti.

Negli Stati Uniti si instaurò una campagna isterica e ossessiva contro il comunismo. Il senatore Joseph McCarthy guidò un processo noto come maccartismo, in cui un elenco di comunisti determinava chi doveva o non doveva essere perseguitato. I cittadini furono sottoposti a interrogatori pubblici nei quali venivano accusati di essere coinvolti in attività anti-americane. Molti, con questa ondata, persero il lavoro e ebbero la reputazione distrutta, altri furono arrestati per essersi rifiutati di rispondere alle domande, invocando la Costituzione.

Fu stilata una lista nera di Hollywood. Anche Chaplin ne faceva parte, molti artisti persero tutto e non lavorarono mai più nell’industria cinematografica.

L’FBI, guidato da J. Edgar Hoover, portò avanti una lunga indagine su Chaplin, che fu anche chiamato ad essere interrogato dalla Commissione sulle attività anti-americane, ma dopo diversi rinvii fu infine prosciolto.

Nel 1952, Chaplin si recò in Europa per promuovere il suo nuovo film: il bellissimo e commovente Luci della ribalta. Sulla nave, poco dopo aver lasciato gli Stati Uniti, ricevette la notizia che gli era stato revocato il visto, e gli veniva quindi impedito di rientrare nel paese. Chaplin rinunciò al suo ritorno in America e dichiarò:

[…] Dalla fine dell’ultima guerra mondiale, sono stato bersaglio di menzogne e propaganda di potenti gruppi reazionari che, attraverso la loro influenza e con l’aiuto della stampa senza scrupoli, hanno creato un ambiente malsano in cui persone di mentalità liberale possono essere schedate e perseguitate. In queste condizioni, credo sia praticamente impossibile continuare il mio lavoro nell’industria cinematografica e, quindi, ho abbandonato la mia residenza negli Stati Uniti”.

Si stabilì a Vevey, in Svizzera, e non smise di lavorare. Realizzò altri due film, Un re a New York (1957) e La contessa di Hong Kong (1967). Ricevette numerosi riconoscimenti e premi in tutto il mondo. Charles Spencer Chaplin morì il 25 gennaio 1977. Tuttavia, il suo lavoro rimane vivo e riesce ad incantare il pubblico di diverse età e in diversi paesi. Questi classici continueranno sicuramente ad entusiasmarci per molti, molti anni ancora.

Futuro

Ne Il grande dittatore, il nostro caro amico Charlot fa un appello:

Voi, voi il popolo, avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità. Voi il popolo avete la forza di fare che la vita sia bella e libera, di fare di questa vita una splendida avventura. Quindi in nome della democrazia usiamo questa forza, uniamoci tutti! Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia a tutti gli uomini lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza.

Combattiamo, sì, con buon umore e ottimismo, per un mondo nuovo! Un mondo che sarà possibile solo seppellendo una volta per tutte il vecchio e malato capitalismo, facendo fiorire una società in cui la felicità e il benessere delle persone siano al di sopra del profitto di una manciata di capitalisti: un mondo socialista!

 

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