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Illusioni verdi in Germania

Annalena Baerbock e Robert Habeck

L’inasprirsi negli ultimi anni delle problematiche ambientali e l’aumentata sensibilità nei loro confronti soprattutto tra larghe fasce di giovani, ha prodotto tra gli effetti politici la crescita dei partiti verdi in molti paesi europei. Sul terreno elettorale questo fenomeno si è espresso ad esempio nelle ultime elezioni europee (maggio 2019) con risultati a doppia cifra in numerosi paesi, ma anche a livello di elezioni amministrative e politiche. Attualmente partiti verdi sono al governo in Austria, Irlanda, Finlandia e Svezia, partecipando a coalizioni sia con partiti di destra che di sinistra; formalmente la giustificazione a questa ampia disponibilità ad allearsi con chicchessia sarebbe la scelta di anteporre l’obiettivo di perseguire politiche ambientali a tutto il resto, ma i fatti sembrano indicare l’esatto contrario: è all’obiettivo di entrare in qualche modo nelle stanze dei bottoni che vengono subordinati programmi e alleanze.

L’articolo che segue è stato scritto nel febbraio 2021 e, sebbene l’andamento delle elezioni di settembre abbia delineato uno scenario parlamentare in parte diverso, mantiene la sua validità nell’analizzare il percorso politico e l’evoluzione dei Verdi tedeschi. Quest’ultimi rappresentano un caso particolarmente significativo non solo per la centralità del paese a livello europeo e mondiale e per il fatto che giocano un ruolo decisivo nello scenario politico tedesco, ma anche perché la loro storia è uno spaccato emblematico della parabola assunta dalle posizioni ambientaliste che, emerse in un contesto di radicalizzazione della lotta di classe, nel corso dei decenni hanno via via abbracciato prima posizioni piccolo-borghesi per poi finire tra le braccia della classe dominante.

La redazione

 

di Christian Andrasev e Hans-Gerd Öfinger

Con le prossime elezioni del parlamento federale il 26 settembre, i Verdi tedeschi si preparano ad un possibile ritorno al governo nazionale e ad una coalizione con la Cdu/Csu, il partito della cancelliera Merkel. Nati 41 anni fa dai movimenti ambientalisti, delle donne e pacifisti, da allora il partito è diventato un moderno partito borghese liberale del XXI secolo, eclissando il tradizionale partito borghese liberale Fdp.

Negli ultimi anni i Verdi anno acquisito un peso significativo nella politica tedesca. Mentre gli altri partiti arretrano o sono stagnanti, continuano a godere di un afflusso di nuovi iscritti e hanno da poco superato per la prima volta i 100mila membri. Secondo i sondaggi sono il secondo partito a livello nazionale, e puntano ad entrare nel governo federale dopo quasi 16 anni passati all’opposizione. Quelli più recenti (febbraio 2021, Ndt) li danno tra il 17 e il 20%, mentre la Spd si aggira tra il 15 e il 17%. La Cdu/Csu della Merkel al momento è tra il 27 e il 33%. Quindi, con il sistema proporzionale tedesco, una coalizione “nero-verde” sarebbe l’opzione più stabile dal punto di vista dei numeri. Ovviamente tutte queste previsioni sono condizionali.

Non è solo per queste ragioni che i marxisti devono osservare più da vicino cosa rappresentano i Verdi: questo partito e la sua organizzazione giovanile giocano un ruolo importante, un ruolo spesso dirigente, nei movimenti ambientalisti come i Fridays for future. Dobbiamo prestare attenzione a questo partito per poter definire il suo ruolo nella politica tedesca in futuro.

Da dove arrivano i Verdi?

I Verdi (Die Grünen) furono fondati nel 1980 da attivisti ambientalisti borghesi e del movimento studentesco, tra cui ex-maoisti, ex-mandelisti e cosiddetti “Spontis” (estremisti di sinistra che enfatizzavano “i movimenti spontanei delle masse”). Un impulso arrivò anche dalle politiche dell’allora coalizione tra la Spd e il partito liberale Fdp. Il cancelliere Helmut Schmidt, della destra socialdemocratica, sosteneva convintamente gli impianti nucleari e i missili nucleari a medio raggio nelle basi militari Usa in Germania, che all’epoca scatenarono un massiccio movimento di protesta.

Nel primo periodo dopo la fondazione, i Verdi erano attraversati da aspri conflitti tra i membri dell’ala sinistra e quelli dell’ala conservatrice degli ecologisti borghesi. Nel congresso fondativo del 1980 gli “ecosocialisti” ebbero la maggioranza. Ciò portò ad una piccola scissione e alla nascita dell’Ödp, un partito conservatore che è ancora presente a livello municipale in alcuni centri della Baviera.

Nonostante l’iniziale prevalenza di forze che si definivano socialiste, i Verdi adottarono nel 1980 un programma piccolo-borghese dal carattere radical-democratico. I punti principali che lo distinguevano dalla socialdemocrazia e dai partiti del campo borghese riguardavano la tutela delle piccole imprese, il movimento pacifista, le questioni ambientali.

Col passare del tempo, un’ala moderata cosiddetta “realo” prevalse su quella in qualche modo più radicale, chiamata “fondamentalista” (“fundi”). Molto presto i Verdi aprirono a coalizioni, a livello municipale, regionale e federale, inizialmente soprattutto con la Spd. La prima coalizione “rosso-verde” nel 1985 in Assia rappresentò un punto di svolta. La corrente di sinistra, attorno a dirigenti come Jutta Ditfurth, nel 1987, anno della rottura di questa coalizione (a cui si opponeva), pose la necessità di iniziare una politica di classe e avanzò nella competizione con i realo. Di fronte alla presentazione della Ditfurth come candidata verde di punta alle elezioni federali, il candidato socialdemocratico Johannes Rau appariva insulso. Ma all’inizio degli anni ‘90 la Ditfurth guidò una scissione e i dirigenti della corrente “realo” riuscirono alla fine a conquistare il dominio sul partito.

1998-2005, al governo federale

Dal 1998 al 2005 i Verdi hanno fatto parte di un governo di coalizione con la Spd con Gerhard Schröder come cancelliere e Joschka Fischer come vice-cancelliere per due mandati. In questo modo si sono resi complici degli attacchi alle pensioni statali (le cosiddette pensioni Riester), dell’Agenda 2010 con la famigerata legge Hartz IV (che prevedeva tagli allo stato sociale e forma di precarizzazione del lavoro, Ndt), delle pressioni per tagliare e privatizzare il sistema sanitario e di una politica estera più aggressiva da parte della Germania con la partecipazione attiva dell’esercito federale in guerre internazionali.

Dopo l’11 settembre 2001 il governo Schröder-Fischer ha partecipato alle operazioni militari in Afghanistan e nel Corno d’Africa. Inoltre la Germania ha partecipato ai bombardamenti Nato in Yugoslavia nel 1999 con pesanti conseguenze sulla popolazione civile.

Per ragioni tattiche, Schröder e Fischer nel 2002, anno delle elezioni, invocarono una “via tedesca” come alternativa al “bellicismo americano” in Iraq e definirono la Germania una “potenza di pace”. Questo però non impediva il fatto che la Germania appoggiasse indirettamente la guerra in Iraq nel 2003 concedendo spazio aereo e supporto logistico. Alla fine di questi anni al governo, all’interno dei Verdi era stata neutralizzata qualsiasi forma di opposizione di un qualche peso ai tagli allo stato sociale e al militarismo.

Il manifesto del 1980 escludeva qualsivoglia intervento militare e rivendicava la dissoluzione della Nato. Tuttavia nel 2020, i Verdi hanno adottato per la terza volta un nuovo manifesto nel quale le operazioni militari vengono definite “mezzi estremi” che possono essere necessari, l’esercito federale è visto come uno “strumento necessario alle politiche di sicurezza nazionale e internazionale” e si dice che la Germania deve essere un partner “affidabile” all’interno di un’alleanza internazionale. Al di là delle critiche, i Verdi ora considerano la Nato come un “soggetto indispensabile per garantire la sicurezza dell’Europa”.

Ancora oggi, i Verdi alimentano la loro reputazione di “partito progressista difensore dei diritti civili” per il fatto di essersi espressi a favore dei diritti civili ed elettorali degli immigrati e della semplificazione dei processi di naturalizzazione negli anni ‘80, ben prima della Spd. I Verdi sono stati capaci di distinguersi come partito “anti-Afd” e si sono costruiti una reputazione come “partito coerentemente pro-rifugiati”. Questo, insieme alla loro forte adesione alle politiche femministe fa sì che vengano visti dalle forze dell’estrema destra come principale nemico, cosa che li aiuta ad avere un’immagine “progressista” e “cosmopolita”.

In modo simile, i Verdi godono della crescente importanza tributata alle questioni ambientali. Ad esempio, il disastro nucleare di Fukushima in Giappone nel marzo del 2011, rappresentò un forte impulso a favore dei Verdi nelle elezioni che ci furono quell’anno in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Assia. Nel Baden-Württemberg il folle progetto immobiliare e ferroviario “Stoccarda 21” diede loro una spinta ulteriore. E con il loro massiccio intervento nel movimento Fridays for future, sono riusciti ad accrescere enormemente la loro popolarità tra i giovani.

Aumento degli iscritti e afflusso di carrieristi

Tutti questi fattori hanno portato ad un aumento degli iscritti a partire dal 2017, che ha fatto dei Verdi il secondo partito sul piano elettorale. I Verdi hanno quasi raddoppiato le loro tessere rispetto al 2015. Qualsiasi partito in ascesa diventa appetibile per i carrieristi, per la possibilità di accedere a cariche ben remunerate e a posti nell’apparato statale in tempi abbastanza brevi. Anche se non si possono tacciare in alcun modo di carrierismo tutti gli iscritti ai Verdi, la storia ha mostrato più volte come anche le convinzioni più forti non sono immuni da ambizioni carrieristiche e opportunismo che subentrano successivamente.

Secondo i sociologhi, i Verdi sono considerati il partito degli accademici liberali di sinistra. Sono di gran lunga il partito con la più alta percentuale di laureati tra iscritti ed elettori. Il 72% degli iscritti hanno un diploma di laurea.

Luisa Neubauer, membro del partito e della sua organizzazione giovanile, è emersa nei media come il volto attuale dei Fridays for future in Germania. Non si tratta di una coincidenza o di un caso isolato, dal momento che i Verdi stanno provando con tutte le loro forze ad appropriarsi del movimento principalmente come bacino elettorale e terreno di reclutamento. La direzione dei Verdi sta provando in tutti i modi a far fuori sistematicamente tutte le forze anti-capitaliste. I compagni della Tendenza marxista internazionale nell’Alta Baviera hanno sperimentato come la sezione regionale del partito è disposta a spaccare le manifestazioni dei FFF piuttosto che permettere che vengano avanzati slogan anti-capitalisti.

Nel 2011, l’ex maoista Winfried Kretschmann è diventato il primo presidente verde in uno dei 16 governi regionali: il land sud-occidentale del Baden-Württemberg, dove è in carica da allora. In tutto questo periodo Kretschmann è venuto molto bene a patti con la grande borghesia del land, dominata da grandi compagnie come Daimler, Porsche, Audi e Bosch. L’associazione padronale regionale Südwestmetall è stata uno dei primi gruppi del grande capitale a versare regolarmente laute donazioni ai Verdi.

In ogni caso, la lobby capitalista più importante a premere sui Verdi è la Federazione industriale dell’energia rinnovabile, una lobby che coordina diverse associazioni e accorda un enorme sostegno finanziario ai Verdi. Molti ex esponenti politici verdi stanno già lavorando come consulenti o dipendenti per questa associazione.

La nuova posizione dei Verdi nel land del Baden-Württemberg, con la sua forte industria automobilistica, ha reso il partito sempre più attraente per il grande capitale. Lo si può vedere nelle grosse donazioni e nelle somme sempre più alte pagate sotto forma di sponsorizzazioni ai congressi del partito.

Sponsorizzazioni di eventi:
Congresso federale dei Verdi 2013 – 82.800 euro
Congresso federale dei Verdi 2018 – 173.513,85 euro
Congresso federale dei Verdi 2019 – 277.482,97 euro

Principali donazioni:
2013 – 60.000 euro solo dalla Südwestmetall
2018 – 258.501 euro
2019 – 335.001 euro

Si può vedere molto chiaramente un netto aumento dei finanziamenti da parte del grande capitale nei confronti dei Verdi tra il 2018 e il 2019.

Secondo pilastro della classe dominante

Attualmente i Verdi sono chiaramente promossi dalla borghesia come indispensabile secondo pilastro dei partiti borghesi. I segnali puntano chiaramente verso un’alleanza “nero-verde” tra i Verdi e la Cdu/Csu post Merkel. I presunti “partiti popolari” e pilastri della “grande” coalizione, Cdu/Csu e Spd insieme non hanno più una maggioranza stabile, secondo i sondaggi. Allo stesso modo, la Spd è anemica e riesce a malapena a mobilitare le persone. Persino la classica alleanza delle classi medie tra Cdu/Csu e Fdp, che è stata in carica per 33 dei 72 anni di Repubblica federale tedesca, non ha i numeri per prendere la maggioranza alle prossime elezioni. Dall’altra parte, i Verdi sono una forza in ascesa, proprio ciò di cui la Cdu/Csu ha bisogno.

La direzione dei Verdi è pronta per questo. Mentre l’ala destra della Linke sogna una coalizione con Spd e Verdi, il leader verde Robert Habeck ha chiaramente soffocato le speranze di una combinazione “verde-rosso-rossa”. Nel suo libro “Von hier an anders” (“da qui in avanti diversamente”) lo giustifica con la “deriva degli ambienti sociali”, spiegando che una coalizione “verde-rosso-rossa” allenterebbe ulteriormente la coesione sociale. Invece di una “rivoluzione”, è necessaria “un nuovo rapporto di fiducia”, dice Habeck.

Per tutti questi motivi, un governo federale “nero-verde” è altamente probabile come risultato delle elezioni parlamentari di settembre. I Verdi non sono al governo federale da quasi 16 anni e nella loro propaganda si presentano come una forza “fresca”, “progressista”, “ecologica” e “anti-razzista”. I giovani al di sotto dei trent’anni in genere non possono ricordare il ruolo dei Verdi nel governo Schröder-Fischer e spesso nutrono illusioni nei loro confronti.

Il modello per un’alleanza nero-verde a livello federale è il land dell’Assia, dove una Cdu pienamente fedele alla tradizione nazionalista di destra del partito governa pacificamente e tranquillamente con i Verdi da sette anni. Il vice primo ministro e ministro dei trasporti regionale Tarek Al-Wazir (dei Verdi) sta attualmente mostrando alla classe dominante di essere un rappresentante affidabile degli interessi del capitale come sgherro della deforestazione della foresta di Dannenröder (“Danni”), che è anche una riserva acquifera per una vasta area, per la realizzazione del progetto di un’autostrada finanziato da privati; cosa che ha scatenato un forte movimento di protesta.

Come partito di governo, i Verdi cercheranno senz’altro di distinguersi con gesti simbolici e progetti di bandiera che impressionino una parte della loro base e di promuovere capitalisti “verdi”, eco-agricoltori, costruzione di piste ciclabili, associazioni di ciclisti e politiche femministe. Ma il fu eco-partito ancora una volta si dimostrerà un grande traditore dei suoi stessi ideali ecologici una volta al governo. Una protezione efficace del clima e gli interessi capitalisti sono agli antipodi e incompatibili.

Quando i dirigenti verdi raggiungono lucrose posizioni governative, conoscono solo una morale: mantenere i posti e i privilegi. Se appoggiano senza scrupoli gli interessi capitalisti in scontri come quello sulla “Danni” e dimostrano di essere resistenti e immuni alle pressioni dal basso, allora ci sarà una posizione redditizia in una grande compagnia o in un’associazione lobbistica ad aspettarli quando avranno lasciato le loro alte cariche politiche. è quello che è successo nelle carriere di ex ministri e sottosegretari verdi come Joschka Fischer, Rezzo Schlauch, Margareta Wolf, Matthias Berninger. Tutti successivamente sono diventati lobbisti ben pagati da gruppi capitalisti e compagnie internazionali.

Annalena Baerbock, l’attuale co-presidente del partito, ha avuto più applausi degli altri leader di partito al congresso della Federazione delle industrie tedesche (Bdi) nel giugno 2019. Tuttavia, dal momento che non bastano gli applausi dei capitalisti per vincere le elezioni, i responsabili della comunicazione del partito ex-ecologico si stanno attivamente cimentando con un’immagine “socialdemocratica” nella incipiente campagna elettorale.

La rivendicazione di abolire le sanzioni della Hartz IV, per esempio, è concepita per rivolgersi alle persone che, in conseguenza del lockdown, si sono improvvisamente ritrovate con la minaccia di essere inghiottite dall’incubo burocratico degli uffici dei servizi sociali e dei centri per l’impiego. Dal punto di vista della burocrazia dei Verdi, questi settori comprendono lavoratori autonomi e commercianti che sono stati colpiti duramente dal lockdown, che non saranno in grado di accedere alle indennità per orario di lavoro ridotto perché non risultano come lavoratori dipendenti, e che quindi potrebbero trovarsi sull’orlo del tracollo finanziario. La Hartz IV fu il pezzo forte delle controriforme del governo Schröder-Fischer e ha portato ad un profondo impoverimento dei disoccupati e al dilagare del lavoro precario.

Immagine “socialdemocratica”

Di certo, i Verdi non rappresentano altro che un partito borghese liberale del XXI secolo. Ma per nascondere la loro complicità con i tagli allo stato sociale portati avanti durante i sette anni di governo federale “rosso-verde” tra il 1998 e il 2005, che affiora in qualche misura nella percezione pubblica, i responsabili della comunicazione e delle campagne elettorali dei Verdi ora puntano ad una presunta “vicinanza con i sindacati” e il movimento operaio, cercando in questo modo di conquistare consenso nella base della Spd in crisi, dato che la direzione socialdemocratica si è sempre fatta vanto di essere un moderatore e un mediatore nei confronti dell’apparato sindacale.

All’inizio del 2021, il dirigente verde Robert Habeck e Rainer Hoffmann, presidente della confederazione sindacale Dgb, hanno scritto un articolo a quattro mani intitolato: “La sinistra rischia di contorcersi nelle contraddizioni”, nel quale rigettano l’idea di una tassa patrimoniale e rivendicano più debito pubblico in tempi di crisi.

C’è un’altra questione che potrebbe essere usata dai Verdi come specchietto per le allodole nella campagna elettorale per rivendicare una presunta “vicinanza ai sindacati”. Frank Bsirske, ex dirigente del secondo principale sindacato tedesco, Ver.di, e che è iscritto al partito dagli anni ‘80, si è candidato al parlamento per i Verdi nel collegio del Wolfsburg-Helmstedt (in Bassa Sassonia), in cui si trova il grande impianto della Volkswagen di Wolfsburg. Punta a vincere il seggio direttamente e per questo vuole una posizione sicura in testa di lista tra i candidati della Bassa Sassonia.

Si vocifera che Bsirske voglia farsi una seconda carriera in tarda età – non tanto come deputato ma come ministro del lavoro a livello federale. In quasi due decenni passati come dirigente del Ver.di, non si è risparmiato nel presentarsi ai capitalisti come un fedele “compagno di brigata”. Il suo ruolo nell’apparato sindacale nelle trattative sui contratti nazionali e in molti comitati di vigilanza di importanti compagnie (comitati con funzioni di controllo e consulenza nei confronti dei cda delle aziende, eletti dagli stessi cda e, nel caso di grandi compagnie, anche dai dipendenti, Ndt) è stato di mantenere lo status quo, allo stesso modo di altri alti dirigenti dell’aristocrazia operaia.

Ma Bsirske ha anche fiuto per le tendenze. Nel settembre del 2019 ad esempio ha invitato gli iscritti del suo sindacato a partecipare agli scioperi per il clima del movimento Fridays for future, ma sottolineando di farlo “solo al di fuori dell’orario di lavoro”. Lungi da lui le discussioni che ci sono state su come trovare modi creativi per contribuire allo sciopero per il clima nelle fabbriche sfruttando tutte le possibilità legali, ad esempio con assemblee in orario di lavoro.

I Verdi a favore del modello britannico di privatizzazione delle ferrovie

I Verdi godono ancora di una reputazione come presunti fautori coerenti di un cambiamento radicale nelle politiche sui trasporti e come campioni delle piste ciclabili e del trasporto pubblico. Tuttavia, le loro politiche concrete in Assia e Baden-Württemberg e in altri Stati dove sono coinvolti nei governi regionali hanno un carattere piuttosto diverso.

Il fatto che i Verdi non sono coerenti con i loro slogan è esemplificato nel nuovo giornale edito dal gruppo parlamentare dove si affronta il futuro delle ferrovie tedesche (Deutsche Bahn, Db). A parole, si rifiuta la privatizzazione delle ferrovie che sono ancora possedute al 100% dallo Stato. Il tentativo di venderne delle quote nell’ottobre 2008 attraverso un’offerta pubblica iniziale (ipo) fallì a causa della crisi globale del capitalismo. Da allora, nessun soggetto politico serio osa scottarsi le dita con un argomento così scivoloso. Inoltre gli investitori privati non sono interessati a pacchetti di azioni, ma ai profitti e ad accaparrarsi solo i servizi più redditizi. Le compagnie come Siemens, Knorr-Bremse, Stadler e le ferrovie private che operano internazionalmente come la National Express, GoAhead e altre, hanno puntato gli occhi sulle manutenzioni e altre attività ausiliarie e dell’indotto del trasporto pubblico.

Ma immergendosi più approfonditamente nella questione e nella lettura del giornale dei Verdi, si arriva presto alla strategia di far rientrare la privatizzazione dalla finestra, come chiedono da anni Bdi, Cdu/Csu e Fdp. Le Db, ferrovie di proprietà statale, dovrebbero essere spezzettate in tante compagnie. La rete ferroviaria e le infrastrutture sarebbero trasferite ad un ente di diritto pubblico massicciamente finanziato da fondi pubblici, mentre i servizi del trasporto merci e passeggeri verrebbero organizzati in una società a responsabilità limitata (srl). Questo faciliterebbe una privatizzazione nei fatti. Appoggiandosi sul parco macchine pubblico, compagnie di capitale privato sarebbero sempre più coinvolte nel trasporto passeggeri a lunga distanza attraverso gare d’appalto.

Questo avviene già nel trasporto regionale, dove la quota di mercato delle Db si è quasi dimezzata in due decenni a favore di gruppi privati. Nelle ferrovie suburbane di Berlino (S-Bahn) e negli Stati regionali, i Verdi sono pionieri nell’apertura delle gare d’appalto e quindi di una privatizzazione strisciante. Le tante esperienze negative non sono affrontate da nessuna parte nella rivista dei Verdi.

Il loro modello si basa di fatto sull’attuale situazione delle ferrovie britanniche, pioniere delle privatizzazioni nel settore ferroviario, dove la rete in perdita è effettivamente pubblica, mentre le principali attività nel settore dei trasporti e dei servizi sono controllate da compagnie private. Questo pone i Verdi perfettamente in linea con le associazioni imprenditoriali e gli altri partiti borghesi. Con un possibile governo nero-verde, la prospettiva di una seria spinta nella direzione dello spezzettamento, smantellamento e privatizzazione delle ferrovie sul modello inglese si avvicina.

Così facendo, i Verdi tradiscono la loro propria (ex) aspirazione ecologica. Un sistema ferroviario basato sul profitto privato, smantellato e frammentato in molteplici compagnie di servizi non potrebbe mai sfruttare i vantaggi ambientali del trasporto ferroviario, sarebbe invece destinato a perdere nella competizione con altre forme di trasporto.

Questo esempio smentisce anche la speranza riformista che con la pandemia del coronavirus e la crisi economica si possa arrivare ad un’inversione di tendenza rispetto alle politiche economiche “neoliberali” e alle privatizzazioni. è vero che ci sono chiare tendenze verso l’intervento statale in questa crisi, ma in molti settori continuano le privatizzazioni striscianti e non c’è all’ordine del giorno un abbandono di queste operazioni.

D’altra parte tutto questo offre nuove opportunità di radicalizzazione per i giovani attorno ai Fridays for future. Le pretese di essere alla testa del movimento da parte dei Verdi sono state fortemente criticate da più parti. Nel prossimo periodo ci sono buone possibilità per l’intervento dei marxisti con le idee socialiste.
Qui e là ci sarà un afflusso di attivisti ambientalisti nel bacino elettorale dei Verdi nelle elezioni locali, ma non c’è da aspettarsi uno sfondamento decisivo.

Una parte dei giovani che si sono radicalizzati sulle questioni ambientali trarranno presto conclusioni socialiste sulla base dell’esperienza e capiranno che si tratta di una questione di classe. Per rivolgerci a loro non dobbiamo perseguire una scorciatoia “ecosocialista”. Marx, Engels, Bebel e altri pionieri hanno spiegato la stretta relazione tra la distruzione ambientale e il modo di produzione capitalista già nel XIX secolo. Solo un’economia socialista pianificata in modo democratico a livello mondiale e controllata dai lavoratori può fermare la catastrofe dei cambiamenti climatici e invertirne gradualmente gli effetti.

Febbraio 2021

 

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