Muggia (TS): I comunisti sotto attacco! No alle intimidazioni!
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25 Gennaio 2024di Tom Trottier (da socialistrevolution.org)
Il caucus dell’Iowa ha dato il via a una nuova elezione per la presidenza degli Stati Uniti. Ancora una volta, i media di proprietà dei miliardari ci dicono che si tratterà di “elezioni storiche” che determineranno il futuro del paese e del mondo. Nella misura in cui la campagna elettorale sta già accelerando l’instabilità del governo borghese nel Paese più potente del mondo, non hanno tutti i torti.
Ma la realtà è che, chiunque vinca, a perdere sarà la classe operaia. La stragrande maggioranza dei problemi che la classe operaia deve affrontare non sarà risolta da queste elezioni, indipendentemente da chi vincerà.
Gli Stati Uniti sono una democrazia borghese, cioè una democrazia per la classe capitalista e per nessun altro. Il 10% più ricco della popolazione possiede il 70% della ricchezza, mentre più di 120 milioni di lavoratori non hanno un proprio partito politico che lotti in difesa dei loro interessi di classe. Marx spiegava che al momento delle elezioni i lavoratori scelgono semplicemente chi li governerà e li sfrutterà. Questo accadrà fino a quando la classe lavoratrice non costruirà un partito comunista di massa e non istituirà un governo dei lavoratori che rappresenti effettivamente la grande maggioranza.
Per vanificare l’unità di cui i lavoratori hanno bisogno per costruire un partito di questo tipo e per istituire un governo dei lavoratori, la classe dominante si fa in quattro per dividere la popolazione in una vasta gamma di “identità”, mettendo in secondo piano le questione di classe – e per una buona ragione. Se le vere divisioni di classe nella società fossero messe in primo piano, sarebbe chiaro che i ricchi rappresentano una minoranza minuscola e che non ha senso che continuino a governare sul resto della società.
Il capitalismo americano in declino
Decenni di crisi hanno generato una tremenda instabilità sociale e politica. Nel 2016, la classe dominante ha perso il controllo del Partito Repubblicano a favore di Donald Trump e dei suoi sostenitori. Trump stesso è un borghese, ma è anche un egocentrico imprevedibile di cui non ci si può fidare per ciò che riguarda la salvaguardia degli interessi generali della classe dominante. Gli eventi del 6 gennaio 2021 hanno dimostrato che il trasferimento pacifico del potere da un presidente all’altro non può più essere dato per scontato. L’anno scorso, ci sono voluti 15 scrutini perché Kevin McCarthy fosse eletto Presidente della Camera dei Rappresentanti. Alla fine dopo aver conquistato la carica, è stato rimosso dopo soli dieci mesi. Il suo successore, Mike Johnson, lo ha sostituito dopo giorni di votazioni controverse e il suo mandato potrebbe non durare nemmeno per tutto l’anno in corso.
L’instabilità della politica statunitense è un grande esempio di dialettica. Tutti i fattori che hanno mantenuto gli Stati Uniti relativamente stabili per tanto tempo – la Costituzione con i suoi “pesi e contrappesi” e un sistema bipartitico fuso con l’apparato statale – si sono ora trasformati nel loro opposto. Mentre alcuni a sinistra temono l’arrivo di un presunto “fascismo” all’orizzonte, la realtà è che Trump è un sintomo della crescente polarizzazione. Insieme alla crescita del trumpismo, si aprono contemporaneamente enormi opportunità per la sinistra e il movimento operaio.
L’instabilità politica è radicata nell’incapacità del sistema capitalistico di continuare a sviluppare le forze produttive. Ampie fasce della popolazione hanno visto diminuire il proprio tenore di vita, mentre altre hanno assistito a decenni di redditi stagnanti. Non c’è da stupirsi che un sondaggio del marzo 2023 abbia rilevato che una maggioranza schiacciante del 78% degli americani non si sente sicura che la vita dei propri figli sarà migliore della propria. Questo colpisce il cuore della propaganda imperialista statunitense e la falsa idea dell'”eccezione americana”.
Nel tentativo di gestire il proprio sistema in declino, la classe dominante desidera un presidente competente al timone. Volevano un “ritorno alla normalità”: 1) assicurando a Joe Biden una presidenza stabile e di successo; 2) lanciando una serie di attacchi legali contro Donald Trump per screditarlo ed estrometterlo dalla politica; 3) su questa base, indebolire la presa di Trump sul Partito Repubblicano per riportarlo in mani sicure. La strategia ha funzionato?
La presidenza Biden
La vittoria risicata di Biden su Trump nel 2020 avrebbe dovuto segnare un ritorno allo status quo ante. Ma il prolungarsi della pandemia, l’aumento dell’inflazione, i disastri climatici senza fine, la crisi dei rifugiati, la guerra in Ucraina e ora l’assalto omicida di Israele a Gaza hanno reso chiaro che questa è la “nuova normalità” – e milioni di lavoratori e giovani sono semplicemente furiosi.
La crescente rabbia di classe si è espressa in un aumento degli scioperi e delle iniziative di sindacalizzazione, insieme alle grandi manifestazioni degli ultimi mesi contro l’imperialismo statunitense e lo Stato sionista di Israele. Queste lotte hanno il potenziale per assumere un carattere ancora più ampio, ma non esiste un partito comunista di massa né dei vertici sindacali combattivi all’altezza del compito. Certo, ci sono stati alcuni cambiamenti ai vertici sindacali, tra cui l’elezione di Shawn Fain a presidente dell’UAW, che riflette la rabbia della classe operaia e sta creando interessanti opportunità per le lotte future. Ma per il momento non viene fornita ai lavoratori una direzione che si basi sull’indipendenza di classe.
Per quanto riguarda Trump, ora deve affrontare un totale di 91 incriminazioni in tribunali federali e statali. Inoltre, in alcuni Stati si sta cercando di escluderlo dalle primarie, sulla base del 14° emendamento della Costituzione statunitense e del suo ruolo nei disordini del 6 gennaio 2021. La classe dominante vuole punire Trump per le sue gesta e inviare un avvertimento a coloro che superano i limiti accettabili della politica capitalista tradizionale. Tuttavia, Trump non fa alcun passo indietro e si oppone a tutte le accuse. Ha usato questi attacchi per atteggiarsi a martire e per raccogliere finanziamenti per la sua campagna – e questa strategia sta chiaramente dando i suoi frutti.
Poi c’è Joe Biden, che viene giustamente percepito come un ottuagenario debole e imbranato. La sua incapacità di mantenere le promesse elettorali sull’economia, sul cambiamento climatico, sul diritto all’aborto o su qualsiasi altra cosa ha alienato milioni di persone che lo hanno sostenuto per sbarazzarsi di Trump nel 2020. Per molti, l’appoggio convinto di Biden alla guerra criminale di Netanyahu contro Gaza è stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ogni residua illusione che potevano nutrire nei confronti dei Democratici è stata spazzata via osservando le campagne di bombardamento sostenute dagli Stati Uniti in Medio Oriente, non solo a Gaza, ma anche in Iraq, Siria e Yemen.
L’Iowa e la battaglia per il Partito Repubblicano
In teoria, sono in programma tutta una serie di primarie e caucus per scegliere i delegati alle convention repubblicana e democratica. Ma con i Democratici in corsa con il loro presidente in carica, quest’anno solo i Repubblicani sono impegnati in una “vera” gara per la nomination. E dopo l’Iowa, sembrerebbe che il GOP (Grand Old Party, come è comunemente chiamato il Partito Repubblicano, ndt) abbia già le idee chiare.
L’Iowa è uno dei cinquanta Stati dell’Unione, ma ha solo 3,2 milioni di abitanti – meno dell’1% della popolazione nazionale – ed è uno stato prevalentemente rurale. Non è certo un indicatore per l’intero paese. Ciononostante, la prima competizione in un anno di elezioni presidenziali è molto importante e l’opinione di questo Stato tradizionalmente conservatore viene utilizzata dai media per definire il tono dell’intera campagna.
Nel 2016, il caucus repubblicano dell’Iowa ha attirato 187mila partecipanti. Nel 2024, l’affluenza è stata di circa 110mila persone, appena il 15% dei repubblicani registrati nello Stato. Un sondaggio d’ingresso tra i partecipanti al caucus ha rilevato che quasi la metà di loro dichiara di far parte del movimento MAGA di Trump. Il 64% di questi si identifica come cristiano evangelico. Trump è il chiaro favorito in questa platea, nonostante il suo stile di vita laico. Ancora una volta, questo dato non è certo rappresentativo dello Stato o del paese nel suo complesso.
Il governatore della Florida Ron DeSantis ha lanciato la sua candidatura alle presidenziali con grandi aspettative e finanziamenti all’altezza della situazione. Il suo slogan è stato quello di candidarsi come “Trumpismo senza Trump”. Ma alla base del GOP non sembra piacere molto, così la classe dominante – tra cui l’amministratore delegato di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, e i fratelli Koch – ha spostato i propri soldi sull’ex ambasciatrice di Trump alle Nazioni Unite, Nikki Haley.
Con le primarie repubblicane del New Hampshire che si avvicinano rapidamente il 23 gennaio, l’establishment sperava chiaramente che Haley potesse piazzarsi in maniera netta al secondo posto in Iowa, estromettendo DeSantis e tenendo Trump al di sotto del 50%. Poi, se fosse riuscita a vincere o a fare ancora meglio in New Hampshire – dove al momento i suoi sondaggi sono relativamente buoni – le primarie successive sarebbero state in South Carolina, lo Stato di origine di Haley, e avrebbe potuto essere in grado di imprimere uno slancio alla propria campagna e conquistare alcuni dei sostenitori più pragmatici di Trump.
Inutile dire che non è andata così. Trump ha ottenuto il 51% in Iowa, con un vantaggio di 30 punti su DeSantis e 32 punti su Haley. Trump ha vinto in 98 contee su 99, mentre Haley ha vinto in una sola contea e per un solo voto. DeSantis sostiene che verrà fuori sulla lunga distanza, ma la sua spavalderia probabilmente finirà presto. Ha perso lo slancio e continuerà ad avere problemi a raccogliere fondi.
Quanto a Vivek Ramaswamy, si è ritirato dalla corsa e ha appoggiato entusiasticamente Trump dopo una brutta figura in Iowa; è chiaro che punta a una posizione di vertice in una seconda amministrazione Trump.
A meno che Trump non venga condannato e messo in prigione prima della convention del partito, è difficile vedere come qualcuno nel Partito Repubblicano possa fermare la corsa di Trump, il che non fa presagire nulla di buono per il presidente in carica, profondamente impopolare.
Una settimana è un periodo lungo in politica. Le elezioni si terranno a novembre, e qualsiasi colpo di scena può sconvolgere la corsa da qui ad allora. Tuttavia, è evidente che se le presidenziali diventano un semplice referendum a favore o contro Biden, i repubblicani vinceranno. La strategia di Biden è quella di trasformarle in un referendum su Trump, ammesso che sia lui il candidato del GOP.
Tutto questo ci ricorda l’epoca di lotta di classe e di rivoluzione in cui stiamo entrando. Sì, dobbiamo combattere il trumpismo, ma non ci facciamo illusioni sulla farsa della democrazia borghese o sui partiti della classe dominante.
Solo un programma comunista coraggioso che enfatizzi le questioni di classe condivise dalla stragrande maggioranza degli americani può distruggere il trumpismo. Il nostro compito immediato è quello di organizzare le decine e centinaia di migliaia di comunisti che ancora non lo sono che porranno fine all’incubo del capitalismo nel prossimo periodo storico.
Restate sintonizzati per un’analisi costantemente aggiornata delle elezioni del 2024 e, se non siete ancora organizzati nelle fila della TMI, unitevi ai comunisti oggi stesso!
18 gennaio 2024