Un 25 Aprile per la Resistenza in Palestina!

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Un 25 Aprile per la Resistenza in Palestina!

di Francesco Giliani

Fedeli alla linea che seguono sin dall’immediato dopoguerra, anche quest’anno le istituzioni proveranno a spoliticizzare i cortei del 25 Aprile. Il primo comandamento sarà quello di evitare qualsiasi collegamento tra la lotta antifascista del 1943-1945 e la resistenza del popolo palestinese contro le forze di occupazione sioniste dello Stato di Israele.

Il governo aggiungerà del suo e rilancerà qualche panzana revisionista. Dato il tema, Fratelli d’Italia farà la parte del leone. Mentre l’anno scorso il presidente del Senato La Russa cadde nel grottesco definendo un reggimento di SS come una banda di musicanti, quest’anno ad aprire le danze è stata Giorgia Meloni, dichiarando che il massacro delle Fosse Ardeatine del 1944 (335 antifascisti ed ebrei fucilati) fu opera dei nazisti, “dimenticando” convenientemente di aggiungere che ad esso collaborarono attivamente anche degli “italianissimi” rastrellatori fascisti. Salvini, pateticamente, ha promesso di riunire i giovani del suo partito per una “festa della libertà” che, in realtà, sarà un profluvio di nazionalismo e retorica razzista contro gli immigrati.

Per noi, comunisti rivoluzionari, questo 25 Aprile sarà invece un’occasione per affermare che quella lotta contro il regime fascista fu fatta di scioperi operai, sabotaggi della produzione bellica, azioni armate contro gli aguzzini del regime e contro l’esercito occupante ed infine una serie di insurrezioni di massa che, per alcuni giorni, lasciarono il potere nelle mani dei lavoratori e dei partigiani insorti. Il mondo per il quale quei milioni di giovani, operai e contadini lottarono non era basato sul mero ripristino del parlamento e di altre formalità della democrazia borghese, quella in cui comandano i grandi capitalisti: la prospettiva per la quale visse, disposta a morire, la gran parte dei partigiani era una società senza sfruttati e sfruttatori, il socialismo.

Per questa precisa ragione, il 25 Aprile deve essere ancora oggi una data di riscatto per tutti gli oppressi, di qualsiasi nazionalità essi siano – e non certo per “tutti gli italiani”. Per questa ragione, in questo 25 Aprile, scenderemo in piazza con le nostre bandiere rosse e le intrecceremo con quelle della Palestina, un popolo che subisce (e resiste) da più di un secolo l’oppressione imperialista, prima ai tempi del protettorato della Gran Bretagna e poi, dal 1948, quella del sionismo, sostenuto politicamente e armato fino ai denti dalla maggiore potenza militare al mondo, gli Stati Uniti d’America. Nella sua battaglia, riconosciamo al popolo palestinese il diritto di impiegare tutto il ventaglio di mezzi che furono costretti a mettere in campo i “nostri” partigiani, a partire da una valutazione sulla loro efficacia politica e non da considerazioni di tipo morale.

Sono, dunque, risibili e da benpensanti le prese di posizione di chi, come il presidente dimissionario dell’ANPI di Milano, Roberto Cenati, ritiene che per parlare di quanto sta accadendo a Gaza il termine “genocidio” non si debba utilizzare. Dietro una disputa lessicale, in realtà Cenati e quelli come lui pretenderebbero di zittire chiunque critichi la politica del governo israeliano di Netanyahu ma, più in generale, il sionismo. Infatti, in occasione delle sue dimissioni, Cenati ha affermato che si dovrebbe assumere la consapevolezza “di come l’antisemitismo sappia abilmente travestirsi da antisionismo”… Non ci sfugge, d’altra parte, che i vertici della Comunità ebraica di Milano hanno immediatamente colto l’occasione per accusare l’ANPI di una “deriva” e per bacchettare ANPI, ARCI e Camera del Lavoro perché “tutto dovrebbero fare fuorché politica”! Noi non ci faremo imbavagliare.

Tuttavia, l’alternativa a chi vuole “sterilizzare” il 25 Aprile non può essere quella di chi rivendica, con formule generiche e separate dalla realtà viva, “diritti, pace e lavoro” come nell’appello lanciato dal quotidiano Il manifesto. Non si tratta nemmeno, come sostiene il presidente nazionale dell’ARCI, di “costruire un percorso di alternativa al neoliberismo degli ultimi 30 anni”. Il capitalismo, qui come in Medio Oriente e ovunque, è da abbattere e non da riformare, rendendolo un po’ meno liberista. Soltanto attraverso un processo rivoluzionario di rovesciamento della classe dominante potremo conquistare una pace giusta, in Palestina e non solo, dei diritti effettivi e la fine dello sfruttamento del lavoro. Questo insegna la Resistenza.

 

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