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11 Dicembre 2023di Claudio Bellotti
Il tempo della propaganda è definitivamente scaduto: la Russia è agli sgoccioli, l’economia crolla, ha finito le munizioni, i soldati sono ridotti a combattere con le vanghe, il suo esercito sta per liquefarsi, Putin è moribondo… La realtà sul campo ha ormai fatto piazza pulita e i fatti appaiono per quello che sono. La celebre “controffensiva” ucraina si è consumata in una serie di attacchi sparsi senza criterio lungo i 1.200 km del fronte e non ha portato a risultati apprezzabili se non al massacro di numerose unità. Gli attacchi in profondità coi droni e i nuovi missili con maggiore gittata forniti dagli USA, o qualche azione di commando, servono a fare titoli a sensazione sui telegiornali per 24 ore, ma non cambiano l’equilibrio delle forze.
Crollo del morale
La sintesi della situazione l’ha fatta nientemeno che il comandante in capo delle forze ucraine, il generale Valery Zaluzhny, che in una intervista pubblicata dall’Economist (1 novembre) ha dichiarato senza mezzi termini che in 5 mesi l’avanzata è stata di soli 17 chilometri. Alla Crimea, obiettivo principale, non si sono neanche avvicinati. La situazione è uno stallo assoluto, paragonabile ai campi di battaglia della Prima guerra mondiale, dal quale muoversi è pressoché impossibile.
La fine del “pensiero magico sulla vittoria Ucraina” (l’espressione è del Wall Street Journal) sta aprendo spaccature crescenti nel regime ucraino e i conflitti sono sempre più difficili da contenere e dissimulare sotto la propaganda patriottica.
Già nei mesi scorsi Zelensky ha silurato una serie di ufficiali. Particolare importanza riveste la rimozione dei capi di 11 distretti regionali di reclutamento. Sarebbero migliaia i giovani che hanno evaso la leva pagando tangenti tra 2mila e 10mila dollari. Il capo dell’ufficio di reclutamento di Odessa è sotto processo con l’accusa di avere incassato 5 milioni di dollari con queste pratiche.
Emerge non solo la corruzione del regime, ma anche il crollo del morale. Le autorità dichiarano di avere fermato oltre 20mila persone che tentavano di lasciare il paese clandestinamente o con documenti falsi per sottrarsi al rischio di essere arruolati. Molti di più sono quelli che sono riusciti a fuggire. Se ne stimano oltre 80mila solo in Polonia.
Gli stessi giornali che incensavano la resistenza ucraina oggi ci dipingono uno Zelensky isolato, che rifiuta di ascoltare i suoi stessi capi militari, ostinatamente chiuso nell’illusione di una vittoria nella quale ormai nessuno realmente crede.
Non stupisce quindi che l’idea di tenere elezioni presidenziali nella primavera del 2024 sia stata rapidamente accantonata. È interessante però segnalare come alcuni candidati si fossero fatti avanti. Uno è l’ex consigliere di Zelensky, Oleksij Arestovyc. Avventuriero spregiudicato che ha avuto tutti i possibili legami politici, Arestovyc era caduto in disgrazia a gennaio e ora si trova all’estero. La sua posizione è che la guerra è stata un fallimento e che si deve trattare per entrare nelle NATO, ma rinunciando alla riconquista dei territori occupati dalla Russia.
Divisioni politiche
Più consistente era la candidatura dello stesso Zaluzhny: per Zelensky trovarsi a competere con il primo soldato del suo esercito non sarebbe stata una passeggiata. Guarda caso uno dei principali aiutanti di Zaluzhny, il maggiore Hennadiy Chastyakov, il 6 novembre è saltato in aria aprendo un regalo di compleanno… Zelensky, o chi per lui, avrà voluto rinforzare il messaggio già espresso col rinvio delle elezioni presidenziali: i concorrenti non sono graditi.
Secondo indiscrezioni della stampa, dietro a Zaluzhny ci sarebbero anche il peso politico e i capitali di Petro Poroshenko, grosso capitalista ed ex presidente ucraino tra il 2014 e il 2019, quando venne sonoramente sconfitto alle elezioni proprio da Zelensky.
Si colga l’ironia per cui Poroshenko, all’epoca zelante nazionalista, venne sconfitto da Zelensky che inizialmente proponeva una linea di pacificazione con la Russia. La spiegazione tuttavia è semplice, basta non guardare alle maschere politiche e mediatiche e considerare gli interessi reali in campo. L’Ucraina è un paese distrutto, che ha perso quasi il 20% del suo territorio, con 7-8 milioni di emigrati, 1 milione di uomini sotto le armi e le infrastrutture pesantemente danneggiate. Il sostegno internazionale si riduce, il conflitto in Palestina peggiora ulteriormente lo scenario, e per quanto la borghesia si professi patriottica (col sangue dei lavoratori e dei giovani ucraini, che chi ha i soldi ha ben saputo sottrarsi agli orrori della guerra), deve cercare un modo per evitare una catastrofe definitiva. Su questa strada obbligata Zelensky potrebbe scoprire ben presto di essere più utile ai suoi padroni come “glorioso ricordo” del passato che non come presidente in carica…
Tra guerra e trattativa?
Una trattativa nel 2024 potrebbe anche aprirsi, dato lo stallo generale.
L’ex segretario generale della NATO Rasmussen ha di recente espresso un’ipotesi di congelamento del conflitto: lasciare alla Russia i territori conquistati, in cambio dell’entrata nella NATO del troncone di Ucraina che rimane.
Ma tanto in guerra come nei negoziati, è essenziale capire per cosa si batte ciascuno dei contendenti. Per la Russia ci sono due aspetti decisivi. Il primo è la assoluta sicurezza della sua posizione in Crimea e nel Mar Nero. Questo pone sul tavolo la questione di ulteriori conquiste territoriali a sud e forse dello status di Odessa. Il secondo è che l’Ucraina non diventi una base per le truppe NATO. Potrebbe accettare delle garanzie di sicurezza da parte dell’Occidente, ma solo nei confronti di un’Ucraina pressoché disarmata.
Certo, anche la Russia ha i suoi problemi e difficilmente può arrivare ai suoi obiettivi conquistandoli sul campo. Tuttavia manterrà e incrementerà la pressione militare nei prossimi mesi.
La guerra quindi entra in una nuova fase, il cui obiettivo non è la “vittoria finale” per nessuno dei contendenti, ma i tempi e le condizioni per una spartizione dell’Ucraina, spartizione di territorio e di influenza politica.
Questo non significa che la NATO possa semplicemente disimpegnarsi: il rischio di un crollo di Kiev imporrà comunque di mantenere un cospicuo impegno militare e diplomatico, con i relativi e crescenti costi, tanto economici che politici.