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14 Novembre 2016Lunedì 24 ottobre un imponente assemblea di massa si è svolta nella piazza centrale nella piccola cittadina dell’oasi di Jemnah (Tunisia del sud). Ciò che ha scatenato la rabbia e la mobilitazione della popolazione locale è il congelamento dei beni dell’Associazione in difesa dell’oasi di Jemnah, associazione che gestisce le terre e i palmeti di datteri dell’oasi i cui rappresentanti sono eletti democraticamente dalla popolazione locale.
Il palmeto di Jemnah fa parte delle così dette “terre demaniali” che furono nazionalizzate dallo stato nel 1964 dopo aver espropriato i coloni che le gestivano, le terre non furono mai redistribuite e all’inizio si cercò di perseguire il modello burocratico dei Kolkhoz attuando una politica incentrata sulle “cooperative”. Dopo gli anni ‘70 su pressione della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale iniziarono le prime liberalizzazioni, tutte le terre demaniali furono privatizzate o date in affitto a investitori privati solitamente vicini ai circoli del potere. Nel 2011 “il Comitato rivoluzionario di Jemnah” si riappropria del palmeto estromettendo i vecchi locatari, sin da subito si forma un’Associazione che non ha mai ottenuto uno statuto ufficiale e un’esistenza legale per le istituzioni, si fa avanti una gestione democratica ed efficiente dell’oasi e i miglioramenti non si sono fatti attendere. Inizialmente l’Associazione contava pochi lavoratori mentre adesso sono più di 130, la coltivazione delle terre si è estesa e intensificata e dati i cospicui risparmi si sono intrapresi percorsi progettuali per la costruzione di una scuola e di una struttura ospedaliera di base. La gestione è andata avanti in maniera eccellente, l’associazione gode di un buono stato di salute economica e ciò ha attirato le mire del governo di Tunisi. Nel mese di settembre del 2016 si era tenuta una riunione in cui si erano incontrati i rappresentanti dell’associazione e gli alti responsabili del segretariato preposto ai possedimenti demaniali e delle questioni fondiarie, in tale occasione lo stato non intendeva assolutamente mettere in discussione la proprietà dei terreni ma intendeva solo disciplinare le relazioni con l’associazione, la proposta dello stato si incentrava su due punti i quali vanno accettati pena l’intervento di forza statale, le condizioni sono:
1. L’Associazione consegna il prossimo raccolto allo stato il quale provvederà a risarcire le spese effettuate.
2. L’Associazione si trasforma in società per la messa in valore e lo sviluppo agricolo che stando allo statuto del 1990 incoraggia l’investimento privato e perciò rinuncia a qualsiasi rivendicazione di carattere socialista. Lo stato da parte sua s’impegna ad affittare il palmeto alla società per un lungo periodo.
In un contesto generale dove non è mai stata messa in campo una riforma agraria risolutiva, l‘agricoltura tunisina soffre di gravi carenze strutturali, la classe contadina rappresenta il 20% della popolazione totale e la maggioranza dei contadini versa in condizioni di povertà, il 54% più povero possiede soltanto l’11 % della superficie agricola totale mentre il 3% più ricco ne possiede il 34%. La produzione agricola è rivolta soprattutto verso le esportazioni avvantaggiandosi di un forte aiuto statale, gli investimenti privati sono di tipo speculativo date le difficoltà nel turismo e nell’industria perciò un investimento nell’agricoltura viene ritenuto più sicuro per il capitale. Con un settore agricolo in crisi e con la ferita aperta delle “terre demaniali” mai redistribuite alle comunità locali, l’esperienza più che positiva di Jemnah rappresenta una fonte di grave pericolo per la classe dominante tunisina, non è la situazione particolare in sé che spinge il governo a tanti rischi con la repressione ma è il pericolo che un modello di gestione del territorio democratico e popolare si propaghi e diventi fonte d’ispirazione per le masse diseredate e sfruttate in Tunisia.
La vicenda di Jemnah ha avuto un eco profondo nell’opinione pubblica tunisina, tutti i partiti ad eccezione del Fronte popolare (che invece l’ha difesa) hanno attaccato l’associazione, per la sinistra tunisina questa vicenda assume caratteristiche peculiari, da una parte rappresenta una ghiotta occasione per chiarire le vere posizioni di classe e acquisire più autorità di fronte alle masse e in futuro rovesciare definitivamente la borghesia tunisina corrotta e asservita al capitale estero, d’altro canto rappresenta un bivio da cui i vertici sindacali e della sinistra non possono sfuggire: schierarsi con gli abitanti di Jemnah sino alle estreme conseguenze o cercare di sabotare con il tipico modello burocratico e concertativo una delle esperienze più significative degli ultimi anni. Solo estendendo la lotta a tutti i settori dei giovani, dei disoccupati e dei lavoratori si può fronteggiare l’arroganza e la repressione dell’apparato statale. La realtà mostra chiaramente come nessuna delle rivendicazioni sociali della rivolta del 2011 sia stata ottenuta, i circoli del potere del capitalismo sono rimasti integri e l’insoddisfazione regna sovrana, è compito del Fronte popolare e dei sindacati in particolare l’Ugtt estendere la lotta e proporre un programma rivoluzionario e socialista per cambiamento radicale dell’assetto sociale.