La Rivolta della Ragione – Capitolo 7 La teoria della relatività – Tempo, spazio e moto

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La Rivolta della Ragione – Capitolo 7 La teoria della relatività – Tempo, spazio e moto

di Alan Woods e Ted Grant

 

Che cos’è il tempo?

Poche idee sono penetrate nella coscienza umana così profondamente come quella del tempo. L’idea di spazio e di tempo ha occupato il pensiero umano per migliaia di anni. Queste cose a prima vista sembrano semplici e facili da afferrare, perché fanno parte dell’esperienza quotidiana. Tutto esiste nel tempo e nello spazio e per questo essi appaiono come concetti familiari. Tuttavia, quello che è familiare non necessariamente si comprende; a un’analisi più profonda, tempo e spazio non sono così facili da afferrare.
Nel V secolo Sant’Agostino notava: “Che cosa, dunque, è il tempo? Se nessuno me lo domanda, io so cos’è il tempo. Se invece desiderassi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo saprei.” Certi dizionari non ci aiutano molto, in quanto definiscono il tempo come “un periodo” e un periodo come “tempo”. Con ciò non andiamo molto lontano! In realtà, la natura di spazio e tempo è un problema filosofico piuttosto complesso.
Gli uomini distinguono chiaramente tra passato e futuro. Un senso del tempo non è comunque prerogativa degli uomini e nemmeno degli animali. Gli organismi hanno spesso una specie di “orologio interno”, come le piante che si voltano da una parte di giorno e dall’altra di notte. Il tempo è un’espressione oggettiva dello stato mutevole della materia.
Questo aspetto emerge anche nel modo in cui ne parliamo. Si usa dire che il tempo “scorre”, ma in effetti scorrono solo i fluidi. La scelta stessa di questa metafora mostra che il tempo è inseparabile dalla materia. Non è solo una questione soggettiva; è il modo con cui esprimiamo un processo reale che esiste nel mondo fisico. Il tempo è così solo un’espressione del fatto che tutta la materia esiste in uno stato di incessante cambiamento. Il destino e la necessità di tutte le cose è quello di cambiare in qualcos’altro rispetto a ciò che sono. “Tutto quello che esiste è destinato a perire”.
Un senso del ritmo pervade ogni cosa: il battito cardiaco degli uomini, i ritmi del discorso, il movimento di stelle e pianeti, l’alzarsi e l’abbassarsi delle maree, l’alternarsi delle stagioni. Tutte queste cose sono impresse profondamente nella coscienza umana, non come immagini arbitrarie, ma come fenomeni reali che esprimono una profonda verità sull’universo. Qui l’intuizione non sbaglia; il tempo è il modo di esprimere cambiamenti di stato e moto che sono caratteristiche inseparabili della materia in tutte le sue forme. Nel linguaggio abbiamo passato, presente e futuro. Questa formidabile conquista della mente ha permesso all’umanità di liberarsi dalla schiavitù della contingenza e di trascendere i limiti della situazione concreta in modo da essere “presente” non solo qui e ora, ma anche nel passato e nel futuro, almeno col pensiero.
Tempo e moto sono concetti inseparabili ed essenziali per ogni forma di vita e per ogni tipo di conoscenza del mondo, compresa la manifestazione del pensiero e dell’immaginazione. La misura, chiave di volta di ogni scienza, sarebbe impossibile senza spazio e tempo. La musica e la danza sono basate sul tempo. L’arte stessa tenta di esprimere un senso di tempo e movimento, che sono presenti non solo in rappresentazioni di energia fisica, ma anche nei disegni. I colori, le forme, le linee di un quadro guidano l’occhio lungo la superficie, con un ritmo e una cadenza determinati. È questo che permette a un certo stato d’animo, idea o emozione di essere espressi per mezzo di una particolare forma d’arte. L’espressione “senza tempo” è spesso associata alle opere d’arte, anche se con tale espressione s’intende proprio l’opposto di quanto appaia, dato che l’assenza del tempo non è di per sé concepibile; il tempo è presente in ogni cosa.
C’è una differenza tra tempo e spazio. Lo spazio può esprimere anche un cambiamento, inteso come cambiamento di posizione. La materia esiste e si muove nello spazio, ma le modalità con cui ciò si verifica sono innumerevoli: avanti, indietro, sopra e sotto, senza limiti di misura. Mentre il movimento nello spazio è reversibile, il movimento nel tempo è irreversibile. Sono due modi diversi (e in effetti contraddittori) di esprimere la stessa fondamentale proprietà della materia, il cambiamento. Ciò rappresenta in effetti l’unico “Assoluto” che esiste.
Lo spazio è la “alterità” della materia, per usare la terminologia di Hegel, mentre il tempo è il processo per il quale la materia (e l’energia, che è la stessa cosa) costantemente si trasforma in qualcos’altro. Il tempo, il “fuoco nel quale tutti noi veniamo consumati”, viene visto comunemente come un agente distruttivo, ma esso è parimenti l’espressione di un permanente processo di autocreazione per cui la materia si trasforma costantemente in un’infinità di forme. Questo processo si riscontra facilmente nella materia inorganica, specialmente a livello subatomico.
La nozione di cambiamento, espressa dal trascorrere del tempo, permea profondamente la coscienza umana tanto che è alla base dell’elemento tragico in letteratura, il sentimento di tristezza per il consumarsi della vita, che raggiunge la sua espressione più bella nei sonetti di Shakespeare, che in modo fulgido ci comunicano un senso dell’incessante scorrere del tempo:
Like as the waves make toward the pebbled shore,
So do our minutes hasten to their end;
Each changing place with that which goes before,
In sequent toil all forwards do contend”*
L’irreversibilità del tempo non vale solo per gli esseri viventi. Non solo gli esseri umani, ma anche le stelle e le galassie nascono e muoiono. Tutto è soggetto al cambiamento, ma non solo in senso negativo; legato alla morte c’è la vita, un ordine sorge spontaneamente dal caos. I due lati della contraddizione sono inseparabili. Senza la morte, la vita stessa sarebbe impossibile. Ogni uomo e donna sono non solo coscienti di se stessi, ma anche della negazione di sé, dei propri limiti. Nasciamo dalla natura e alla natura torneremo.
Gli esseri mortali comprendono che in quanto esseri finiti la loro vita dovrà avere termine con la morte. Come ci ricorda il libro di Giobbe:
L’uomo nato di donna,
breve di giorni e sazio di inquietudine,
come un fiore spunta e avvizzisce,
fugge come l’ombra e mai si ferma”.1
Gli animali non temono la morte nello stesso modo perché non ne hanno consapevolezza. Gli esseri umani hanno tentato di sfuggire al proprio destino stabilendo una comunione privilegiata con un’esistenza sovrannaturale immaginaria dopo la morte. L’idea di una vita eterna è presente in qualche forma in quasi tutte le religioni e rappresenta la forza che si cela dietro alla brama egoistica di un’immortalità immaginaria in un paradiso inesistente, che dovrebbe compensare l’esistenza in questa “valle di lacrime”, la Terra del peccato. Così, per secoli innumerevoli gli uomini sono stati condizionati a sottomettersi umilmente alle sofferenze e alle privazioni su questa Terra in attesa di una vita felice… da morti.
Che ogni individuo sia di passaggio è ben noto. Nel futuro, la vita umana verrà prolungata ben oltre la sua durata “naturale”; ma anche allora la fine arriverà comunque. Però quello che vale per un singolo uomo non vale per la specie. Viviamo nei nostri figli, nei ricordi dei nostri amici e nel contributo che abbiamo dato per il bene dell’umanità. Questa è l’unica immortalità a cui ci è lecito aspirare. Una generazione passa, ma viene sostituita da altre, che sviluppano e arricchiscono l’attività e la conoscenza dell’uomo. L’umanità può conquistare la Terra e protendere le sue mani al cielo. La vera ricerca dell’immortalità si realizza in questo processo infinito dello sviluppo e del perfezionamento della specie, in cui uomini e donne si rinnovano su basi sempre più elevate. Lo scopo più alto che possiamo porci non è dunque desiderare ardentemente un paradiso immaginario nell’aldilà, ma lottare per realizzare le condizioni sociali reali per costruire un paradiso in questo mondo.
Fin dalle nostre prime esperienze, sviluppiamo una comprensione dell’importanza del tempo; perciò sorprende che qualcuno abbia potuto sostenere che il tempo è un’illusione, una mera invenzione della mente; questa idea è sopravvissuta fino ai giorni nostri. In realtà, l’idea che tempo e cambiamento siano una semplice illusione non è nuova; è stata proposta in vecchie religioni come il buddismo, e anche in filosofie idealiste come quelle di Pitagora, Platone e Plotino. L’aspirazione del buddismo è raggiungere il Nirvana, uno stato dove il tempo non esiste più. Fu Eraclito, il padre della dialettica, a comprendere correttamente la natura del tempo e del cambiamento, quando scrisse “ogni cosa è e non è perché tutto scorre” e “noi ci immergiamo e non ci immergiamo nello stesso fiume, siamo e non siamo.”
L’idea del cambiamento come ciclo è il prodotto di una società agricola strettamente basata sull’alternarsi delle stagioni. Il modo di vivere statico radicato nel sistema di produzione delle antiche società trova la sua espressione in filosofie altrettanto statiche; la Chiesa cattolica non poteva accettare la cosmologia di Copernico e Galileo perché sfidava la visione dominante del mondo e della società. Solo nella società capitalistica lo sviluppo dell’industria ha spazzato via i vecchi, lenti ritmi della vita contadina. La produzione non solo abolisce la differenza tra le stagioni, ma anche la differenza fra giorno e notte, dato che le macchine possono funzionare 24 ore al giorno, sette giorni su sette, 52 settimane l’anno, sotto il bagliore delle luci artificiali. Il capitalismo ha rivoluzionato i mezzi di produzione e con essi il pensiero degli uomini. Tuttavia, il progresso di quest’ultimo si è di mostrato molto più lento di quello dei primi. Il conservatorismo della mente si rivela nel tentativo costante di aggrapparsi a idee superate, vecchie certezze che hanno fatto il loro tempo e, alla fine, alla secolare speranza di una vita dopo la morte.
L’idea che l’universo debba avere un inizio e una fine è stata riportata in auge negli ultimi decenni dalle teorie cosmologiche del Big Bang. Ciò inevitabilmente implica un essere sovrannaturale che crea il mondo dal nulla seguendo un piano insondabile e permette ad esso di esistere finché lo considera necessario. La vecchia cosmologia religiosa di Mosè, Isaia, Tertulliano e del Timeo di Platone riemerge in modo soprendente negli scritti di alcuni cosmologi e fisici teorici moderni (vedi il capitolo 9). Non c’è niente di nuovo in questo. Ogni sistema sociale che entra in una fase di declino irreversibile presenta sempre la propria distruzione come la fine del mondo o, ancora peggio, dell’universo. Ma l’universo va avanti, indifferente al destino di questa o quella formazione sociale temporanea sulla Terra. L’umanità continua a vivere, a lottare e, nonostante tutte le battute d’arresto, a svilupparsi e a progredire, così che ogni periodo riparte da un livello più elevato del precedente. Né vi sono, in linea di principio, limiti a questo processo.

Tempo e filosofia

Gli antichi greci avevano in realtà una visione molto più profonda del significato di tempo, spazio e movimento dei loro omologhi moderni. Non solo Eraclito, il più grande dialettico dell’antichità, ma anche i filosofi eleatici (Parmenide, Zenone) approdarono a una concezione puramente scientifica di questi fenomeni. Già gli atomisti greci svilupparono un’immagine di universo che non implicasse l’esistenza di un un creatore, né un inizio o una fine. Spazio e materia sono generalmente concepiti come opposti, come espressione delle idee di “pieno” e “vuoto”. In pratica, però, l’uno non può esistere senza l’altro; l’uno presuppone l’altra, la determina, la limita, la definisce. L’unità di spazio e materia è la più elementare unità degli opposti. Questo veniva già compreso dagli atomisti greci i quali concepivano un universo composto da sole due cose: gli “atomi” e il “vuoto”. Nella sostanza questa visione dell’universo è corretta.
Il relativismo si osserva in modo ricorrente nella storia della filosofia. I sofisti sostenevano che “l’uomo è la misura di tutte le cose”. Erano relativisti per eccellenza. Negando la possibilità della verità assoluta, erano propensi a un soggettivismo estremo. I sofisti hanno oggi una cattiva reputazione, ma in realtà rappresentarono un passo avanti nella storia della filosofia; sebbene tra loro vi fossero molti ciarlatani, vi erano anche dei dialettici di talento come Protagora. La dialettica del sofisma era basata sull’idea corretta che la verità ha molte facce. Una cosa può essere dotata di molte proprietà; è necessario avere la capacità di valutare un dato fenomeno da differenti punti di vista. Per il pensatore non dialettico, il mondo è un posto molto semplice, fatto da cose che esistono separatamente, una accanto all’altra. Ogni “cosa” gode di una solida esistenza nel tempo e nello spazio; è davanti a me “qui” e “ora”. Tuttavia, un’osservazione più profonda rivela queste parole semplici e familiari come astratte e parziali.
Aristotele trattò spazio, tempo e moto con gran rigore e profondità, come fece in molti altri campi. Scrisse che ci sono solo due cose imperiture: il tempo e il cambiamento, che correttamente considerava la stessa cosa:

È impossibile che il movimento vada soggetto alla generazione e alla corruzione (abbiamo detto, infatti che esso è eterno), e lo stesso dicasi anche per il tempo, giacché il prima e il poi non potrebbero esistere se non esistesse il tempo; ragion per cui, come è continuo il tempo, così è continuo anche il movimento, dato che il tempo si identifica col movimento o, per meglio dire, è un’affezione di questo. Ma non esiste movimento continuo tranne quello locale e l’unico movimento locale continuo è quello circolare.”

In un altro passo dice: “Né il movimento né il tempo possono nascere o perire.2

Quanto più saggi erano i grandi pensatori dell’antichità rispetto a quelli che ora scrivono in tutta serietà dell’“inizio del tempo”!
Il filosofo idealista tedesco Immanuel Kant fu colui che, dopo Aristotele, affrontò la questione della natura dello spazio e del tempo nel modo più completo, anche se la sua soluzione fu in ultima analisi insoddisfacente. Ogni cosa materiale è un insieme di molte proprietà. Se mettiamo da parte tutte queste proprietà concrete, restiamo con solo due astrazioni: tempo e spazio. L’idea di tempo e spazio come entità metafisiche realmente esistente venne fornita di una base filosofica da Kant, il quale sostenne che spazio e tempo erano “fenomeni reali”, ma non potevano essere conosciuti “in sé”.
Tempo e spazio sono proprietà della materia e non possono essere concepiti separatamente da essa. Nel suo libro Critica della ragion pura, Kant affermò che tempo e spazio non erano concetti oggettivi tratti dalle osservazioni del mondo reale, bensì qualcosa di innato. In realtà tutti i concetti della geometria derivano dall’osservazione di oggetti materiali. Uno dei risultati della teoria della relatività generale di Einstein fu proprio sviluppare la geometria come una scienza empirica, i cui assiomi vengono desunti da misurazioni reali, e differiscono dagli assiomi della geometria classica euclidea, che (scorrettamente) venivano considerati prodotto della pura ragione, dedotti per via puramente logica.
Kant tentò di giustificare la sua posizione nella famosa sezione della sua Critica della ragion pura nota come Antinomie, che tratta i fenomeni contraddittori del mondo naturale, inclusi spazio e tempo. Le prime quattro antinomie (cosmologiche) di Kant trattano questa questione. Kant ebbe il merito di evidenziare l’esistenza di tali contraddizioni, ma la sua spiegazione fu nel migliore dei casi incompleta. Toccò al grande dialettico Hegel risolvere tale contraddizione nella sua opera Scienza della logica.
Per tutto il Settecento, la scienza fu dominata dalle teorie della meccanica classica e un uomo in particolare impresse il suo marchio su tutta l’epoca. Il poeta Alexander Pope riassunse l’atteggiamento adulatorio dei contemporanei verso Newton in questi versi:
La Natura e le sue leggi stavano nascoste nella notte.
Dio disse «E sia Newton» e la luce fu.
Newton immaginava che il tempo scorresse ovunque in linea retta e che, anche nel caso ipotetico in cui non esistesse la materia, lo spazio sarebbe dotato di una propria struttura “attraverso” cui il tempo potrebbe scorrere. La struttura assoluta newtoniana dello spazio doveva essere riempita dall’ipotetico “etere” attraverso il quale si muovevano le onde luminose. Newton era persuaso che il tempo fosse come un gigantesco “contenitore” entro cui ogni cosa esiste e muta, come se il tempo avesse un’esistenza separata dall’universo naturale e potesse esistere anche se non ci fosse l’universo. Una tale concezione è caratteristica del metodo meccanico (e idealistico) per cui tempo, spazio, materia e moto sono considerati del tutto separati. La realtà contraddice clamorosamente tale convinzione.
La fisica newtoniana era condizionata dalla meccanica che nel Settecento era la scienza più sviluppata e ciò conveniva anche alla nuova classe dominante britannica perché presentava una visione dell’universo statica, senza tempo, immutevole, in cui tutte le contraddizioni venivano accantonate, niente salti improvvisi, niente rivoluzioni, ma una perfetta armonia in cui ogni cosa prima o poi tornava al suo equilibrio, così come il parlamento britannico aveva trovato un equilibrio soddisfacente con la monarchia sotto Guglielmo d’Orange. Il ventesimo secolo ha distrutto impietosamente questa visione del mondo. Uno dopo l’altro, i vecchi rigidi meccanismi statici sono stati sostituiti. La nuova scienza è stata caratterizzata da incessanti cambiamenti, fantastiche velocità, contraddizioni e paradossi a tutti i livelli.
Newton distingueva tra tempo assoluto e “tempo relativo, apparente, comune”, come appare negli orologi collocati sulla terra. Per questo propose la nozione di tempo assoluto, una scala temporale ideale che semplificava le leggi della meccanica. Queste astrazioni di tempo e spazio si sono mostrate idee potenti capaci di far progredire enormemente la nostra comprensione dell’universo. Per questo vennero considerate “verità assolute” per molto tempo. Tuttavia, ad un’analisi più attenta, le “verità assolute” della meccanica newtoniana risultarono relative, cioè erano valide solo entro certi limiti.

Newton e Hegel

Le teorie meccanicistiche che dominarono la scienza per due secoli dopo Newton vennero sfidate seriamente per la prima volta nel campo della biologia dalle scoperte rivoluzionarie di Charles Darwin. La teoria dell’evoluzione di Darwin dimostrò che la vita poteva originarsi e svilupparsi sulla base delle leggi della natura e senza bisogno dell’intervento divino. Alla fine dell’Ottocento, nell’ambito della Seconda legge della termodinamica venne sviluppata da Ludwig Boltzmann l’idea di una “freccia del tempo”. Questa immagine suggestiva presenta il tempo non più come un ciclo senza fine, bensì come una freccia che si muove in una sola direzione, partendo dall’assunto che il tempo è reale e che l’universo è soggetto a un continuo processo di cambiamento, come già aveva anticipato il vecchio Eraclito secoli prima.
Quasi mezzo secolo prima, Hegel aveva anticipato non solo il lavoro epocale di Darwin, ma molte altre scoperte della scienza moderna; sfidando coraggiosamente gli assiomi della meccanica newtoniana prevalente, egli propose una visione dinamica del mondo, basata su processi di cambiamento attraverso contraddizione. Le brillanti intuizioni di Eraclito vennero trasformate da Hegel in un sistema coerente di pensiero dialettico. Non c’è dubbio che se Hegel fosse stato considerato più seriamente, il progresso scientifico sarebbe stato molto più rapido.
La grandezza di Einstein fu di andare oltre queste astrazioni e dimostrare il loro carattere relativo. Tuttavia anche l’aspetto relativo del tempo non era nuovo, dato che era già stato analizzato a fondo da Hegel che, in una delle sue prime opere, La fenomenologia dello spirito, spiegò il contenuto relativo di parole come “qui” e “ora”. Queste idee, che possono apparire molto semplici e chiare, si dimostrano invece complesse e contraddittorie.

Alla domanda, Cosa significa Adesso? noi rispondiamo, per esempio, adesso è notte. Per verificare la validità di questa certezza di significato, occorre solo un semplice esperimento: scrivere quella verità. Una verità non può perdere nulla per il fatto di essere scritta, né tantomeno per il fatto che la conserviamo. Se poi guardiamo quella verità che avevamo scritto, la guardiamo ora, al suo mezzogiorno, dobbiamo riconscere che è diventata stantia e superata.3

È molto facile ignorare Hegel (o Engels) nascondendosi dietro al fatto che i loro scritti sulla scienza erano necessariamente limitati dalle condizioni della scienza della loro epoca. Quello che tuttavia è notevole è quanto la visione della scienza di Hegel fosse avanzata. Nel loro libro Order out of Chaos, Man’s new dialogue with nature, (L’ordine dal caos, il nuovo dialogo dell’uomo con la natura), Prigogine e Stengers notano che Hegel rifiutò il metodo meccanicistico della fisica classica newtoniana proprio nel momento in cui le idee di Newton erano universalmente considerate sacre:

La filosofia della natura di Hegel incorpora sistematicamente tutto quello che la scienza newtoniana nega. In particolare essa si basa su differenze qualitative tra comportamenti semplici descritti dalla meccanica e quelli di entità più complesse come gli esseri viventi. Essa nega la possibilità di ridurre questi livelli, rifiutando l’idea che le differenze siano mere apparenze e che la natura sia fondamentalmente omogenea e semplice. Essa afferma l’esistenza di una gerarchia, in cui ogni livello presuppone quelli che lo precedono.4

Hegel scrisse con tono sprezzante sulla pretesa verità assoluta della meccanica newtoniana. Fu il primo a sottoporre l’approccio meccanicistico del Settecento a una critica completa, sebbene i limiti della scienza del suo tempo non gli permettessero di proporre un’alternativa complessiva. Per Hegel, ogni cosa finita era mediata, ovvero relativa a qualcos’altro. Inoltre, questa connessione non era una semplice giustapposizione formale, ma un processo vivente: ogni cosa era limitata, condizionata e determinata da qualcos’altro. Così, causa ed effetto mantengono validità solo rispetto a relazioni isolate (come troviamo nella meccanica classica), ma non se consideriamo le cose come processi in cui ogni fenomeno è il risultato di interrelazioni e interazioni universali.
Il tempo è la forma di esistenza della materia. La matematica e la logica formale non possono avere un approccio completo al fenomeno del tempo poiché lo considerano semplicemente come una relazione quantitativa. Ovviamente non c’è da dubitare dell’importanza delle relazioni quantitative per comprendere la realtà, dato che ogni cosa finita può essere analizzata da un punto di vista quantitativo; se non si considerassero i rapporti quantitativi, la scienza sarebbe impossibile. Tuttavia, in sé non possono adeguatamente esprimere la complessità della vita e del movimento, il processo senza sosta di cambiamento in cui sviluppi lenti e graduali improvvisamente danno luogo a trasformazioni caotiche.
I rapporti puramente quantitativi, per usare la terminologia di Hegel, presentano i processi naturali reali “solo in una forma statica e congelata.”5
L’universo è un insieme infinito, dotato di moto proprio, che si genera in se stesso e contiene in sé la vita. Il movimento è un fenomeno contraddittorio, che racchiude positivo e negativo. Questa è una delle proposizioni fondamentali della dialettica, le quali sono più vicine alla vera natura delle cose che gli assiomi della matematica classica.
Solo nell’ambito della geometria classica è possibile concepire uno spazio completamente vuoto, un’altra di quelle astrazioni matematiche di grande rilevanza, ma che rappresentano solo in modo approssimativo la realtà. La geometria, essenzialmente, confronta grandezze spaziali diverse. Contrariamente a quanto pensava Kant, le astrazioni della matematica non sono “a priori” e innate, ma derivano da osservazioni del mondo materiale. Hegel pone l’accento sul fatto che i Greci avevano già capito la limitatezza delle descrizioni puramente quantitative della natura, e commenta:

Quanto più lungi erano andati essi, nelle loro meditazioni, che non quelli i quali oggigiorno stimano di nuovo lodevole, anzi solido e profondo, il ritornare a quella inetta infanzia, mettendo in luogo delle determinazioni di pensiero i numeri stessi e le determinazioni numeriche, come le potenze, poi l’infinitamente grande, l’infinitamente piccolo, l’uno diviso per l’infinito, ed altrettali determinazioni, che sono spesso esse stesse nient’altro che un pervertito formalismo matematico.6

Queste frasi sono ancor più appropriate oggi di quando furono scritte. È veramente stupefacente che certi cosmologi e matematici facciano le più assurde dichiarazioni sulla natura dell’universo senza il minimo tentativo di provarle sulla base delle osservazioni e quindi si appellino alla presunta bellezza e semplicità delle loro equazioni come suprema autorità. Il culto della matematica è oggi più radicato che in qualsiasi altro periodo dopo Pitagora, che dichiarava che “tutte le cose sono numeri” e, alla stregua di Pitagora, ritroviamo oggi gli stessi toni mistici. La matematica trascura tutti gli aspetti qualitativi eccetto i numeri. Ignora i contenuti reali e applica le sue regole alle cose dall’esterno. Nessuna di queste astrazioni è dotata di un’esistenza reale; solo il mondo materiale esiste. Questo semplice fatto viene trascurato fin troppo frequentemente, con risultati disastrosi (vedi il capitolo 16).

Relatività

Albert Einstein fu senza dubbio uno dei grandi geni del nostro tempo. Tra i ventuno e i trentotto anni aveva portato a compimento una rivoluzione nella scienza con profonde ripercussioni a molti livelli. Le sue principali scoperte furono sistematizzate nella teoria della relatività speciale (1905) e nella teoria della relatività generale (1915); la prima si occupa delle alte velocità, mentre la seconda tratta della gravità. Nonostante il loro carattere estremamente astratto, le teorie di Einstein derivavano in definitiva dalla sperimentazione e furono applicate con successo, confermando a più riprese la loro correttezza. Einstein partì dal famoso esperimento Michelson-Morley, “il più grande esperimento negativo della storia della scienza” (Bernal), che aveva posto in evidenza una contraddizione interna alla fisica dell’Ottocento. Questo esperimento aveva tentato di generalizzare la teoria elettromagnetica della luce dimostrando che la sua apparente velocità doveva dipendere dalla velocità con la quale l’osservatore viaggiava attraverso l’etere, supposto “fisso”. Alla fine, non fu riscontrata alcuna differenza nella velocità della luce, indipendentemente dalla direzione in cui l’osservatore stesse viaggiando.
J. J. Thomson successivamente dimostrò che la velocità degli elettroni in un campo elettrico elevato era inferiore rispetto a quanto previsto dalla fisica classica newtoniana. Queste contraddizioni nella fisica dell’Ottocento vennero risolte dalla teoria della relatività speciale. La vecchia fisica era incapace di spiegare il fenomeno della radioattività, che invece Einstein spiegò come il rilascio di una piccola parte di un’enorme quantità di energia intrappolata nella materia “inerte”.
Nel 1905, Einstein sviluppò la sua teoria della relatività speciale nel tempo libero, mentre lavorava come impiegato all’ufficio dei brevetti svizzero. Partendo dalle scoperte della nuova meccanica quantistica, dimostrò che la luce viaggia nello spazio in forma di quanti (paragonabili a “pacchetti” di energia). Questo era chiaramente in contraddizione con la teoria ondulatoria della luce fino ad allora accettata. In pratica Einstein riprese la vecchia teoria corpuscolare della luce, ma in forma completamente diversa. Qui la luce veniva considerata come un nuovo tipo di particella dal carattere contraddittorio, che presenta contemporaneamente le proprietà di una particella e di un’onda. Questa teoria sorprendente, che non contraddiceva le grandi scoperte dell’ottica dell’Ottocento, inclusa la spettroscopia così come le equazioni di Maxwell, annientò invece la vecchia idea che la luce richiede un mezzo speciale, l’“etere”, per viaggiare nello spazio. La relatività speciale parte dal presupposto che la velocità della luce nel vuoto avrà sempre lo stesso valore, indipendente dalla velocità della sorgente luminosa relativamente all’osservatore. Da ciò si deduce che la velocità della luce rappresenta la velocità limite per ogni cosa nell’universo. Inoltre, la relatività speciale sostiene che massa ed energia sono in realtà equivalenti. Questa è una decisiva conferma del postulato filosofico fondamentale del materialismo dialettico che afferma il carattere inseparabile di materia ed energia e l’idea che il moto (“energia”) è il modo di esistere della materia.
La scoperta di Einstein della legge di equivalenza di massa ed energia è espressa nella sua famosa equazione E=mc2, che esprime l’energia rinchiusa nella materia. Questa è la fonte di tutta l’energia concentrata nell’universo. Il simbolo E rappresenta l’energia (in joule), m sta per massa (in chilogrammi) e c è la velocità della luce (in metri al secondo). Il valore preciso di c2 è 90 milioni di miliardi. Vale a dire che la conversione in energia di un chilo di materia produrrà l’incredibile quantità di energia pari a 90 milioni di miliardi di joule. Per dare un esempio concreto di cosa ciò significhi, l’energia contenuta in un singolo grammo di materia equivale all’energia prodotta bruciando duemila tonnellate di petrolio.
Massa ed energia non sono solo “intercambiabili”, come i dollari possono essere cambiati in marchi, ma rappresentano una sola sostanza, che Einstein definisce “massa-energia”. Questa idea va molto più a fondo ed è molto più precisa del vecchio concetto meccanicistico per cui, per esempio, l’attrito si trasforma in calore. Qui la materia è solo una particolare forma legata di energia, e allo stesso tempo ogni altra forma di energia (inclusa la luce) è associata a una massa. Per questa ragione è errato dire che la materia “scompare” quando si trasforma in energia.
La legge di Einstein sostituì la vecchia legge della conservazione della massa, definita da Lavoisier, che dice che la materia, concepita come massa, non può mai essere creata né distrutta. In realtà, ogni reazione chimica che rilasci energia converte una piccola quantità di massa in energia. Questo non si poteva misurare nel tipo di reazioni chimiche note nell’Ottocento, come la combustione di carbone, le reazioni nucleari invece rilasciano energia sufficiente a rivelare una perdita di massa misurabile. Tutta la materia, anche quando è in “quiete”, contiene incredibili quantità di energia ma, dato che ciò non si può osservare, questo aspetto non venne compreso fino all’accetazione delle teorie di Einstein.

Lungi dal sotterrare il materialismo, la teoria di Einstein fornisce per esso una solida base. Al posto della vecchia legge meccanicistica della “conservazione della massa”, è subentrata la legge molto più scientifica e di validità più generale, quella della conservazione della massa-energia, che esprime la prima legge della termodinamica in una forma universale e inattaccabile. La massa non “scompare” affatto, ma si trasforma in energia; la quantità totale di massa-energia rimane la stessa. Neppure una sola particella di materia può essere creata o distrutta. Una seconda idea è rappresentata dal carattere speciale di limite conferita alla velocità della luce: nessuna particella può muoversi più velocemente della luce, dato che quando essa si avvicina a tale velocità critica, la sua massa si avvicina all’infinito, rendendo sempre più ardua l’accelerazione*. Queste idee sembrano astratte e difficili da comprendere e sfidano le più elementari assunzioni del “senso comune”. La relazione tra “senso comune” e scienza è stata sintetizzata dallo scienziato sovietico L. Landau:

Il cosiddetto senso comune o buon senso non è altro che una semplice generalizzazione delle nozioni e delle abitudini che abbiamo accumulato durante la vita di ogni giorno. È un livello ben definito di conoscenza che riflette un particolare livello di esperienza.” 

Egli aggiunge: 

“La scienza non ha paura degli scontri con il cosiddetto senso comune. Essa teme soltanto che le idee esistenti e i nuovi fatti sperimentali non vadano d’accordo e, quando si rivela questo disaccordo, senza esitazione distrugge i concetti che aveva precedentemente costruito e innalza la nostra conoscenza a un livello più elevato“.7

Come può un oggetto in movimento aumentare la propria massa? Una tale nozione contraddice la nostra esperienza quotidiana. Una trottola che gira non aumenta la propria massa in modo percettibile, ma in effetti essa aumenta, tuttavia l’aumento è così infinitesimale che si può tralasciare per qualsiasi scopo pratico. Gli effetti descritti nella teoria della relatività speciale non si possono osservare a livello dei fenomeni quotidiani. Tuttavia, in condizioni estreme, per esempio a velocità elevatissime che si avvicinino a quelle della luce, gli effetti relativistici cominciano a manifestarsi.
Einstein previde che la massa di un oggetto in movimento sarebbe aumentata a velocità molto elevate. Questa legge può essere ignorata quando abbiamo a che fare con velocità analoghe a quelle della vita quotidiana. Però le particelle subatomiche si muovono a velocità prossime a 15mila Km al secondo o anche più e, a tali velocità, gli effetti relativistici diventano evidenti. Le scoperte della meccanica quantistica hanno dimostrato la correttezza della teoria della relatività speciale, non solo qualitativamente, ma anche da un punto di vista quantitativo. Un elettrone (o qualsiasi corpo) aumenta di massa quando la sua velocità si avvicina a quella della luce; inoltre a 9/10 della velocità della luce la sua massa risulta moltiplicata per un fattore di 2,2942…, esattamente come aveva previsto la teoria di Einstein. Da allora, la relatività speciale è stata verificata molte volte e finora ha sempre dato risultati corretti. Gli elettroni emergono da un potente acceleratore di particelle circa 40mila volte più pesanti di quando erano entrati; questo aumento di massa è dovuto all’energia cinetica. A velocità molto maggiori l’aumento della massa diventa percepibile, e la fisica moderna si occupa proprio di tali alte velocità, come la velocità delle particelle subatomiche, che si avvicinano alla velocità della luce. In tal caso le leggi della meccanica classica che servono per descrivere adeguatamente i fenomeni della vita comune non si possono applicare.
Come abbiamo visto, per il senso comune la massa di un oggetto non cambia mai; su queste basi fu formulata la legge che sostiene che la massa sia costante indipendentemente dalla velocità. Successivamente questa legge si mostrò scorretta. Si scoprì che la massa aumenta con la velocità, ma dato che l’aumento è percepibile soltanto vicino alla velocità della luce, la consideriamo costante. Tale legge, per essere corretta, dovrebbe essere riformulata, così da definire il suo campo di applicazione, in questo modo: “Se un oggetto si muove ad una velocità inferiore a 160 Km al secondo, la massa è costante con un errore massimo di una parte ogni milione”. Risulta chiaro che un tale errore può essere trascurato ai fini dei compiti pratici posti dalla vita di ogni giorno; ancora una volta una teoria fondamentalmente errata viene comunemente accettata per scopi pratici così come comunemente succede con il pensiero basato sulla logica formale.
A questo proposito Feynman commenta:

Da un punto di vista filosofico siamo completamente in errore con la legge approssimata. Anche se la massa cambia soltanto di pochissimo, l’intera nostra rappresentazione del mondo deve essere alterata. Questo è un fatto caratteristico relativo alla filosofia, ossia alle idee che stanno dietro alle leggi. Anche un effetto molto piccolo richiede talvolta profondi cambiamenti nei nostri concetti.8
Le previsioni della relatività speciale hanno dimostrato la loro corrispondenza con i fatti osservati. Gli scienziati hanno scoperto attraverso esperimenti che i raggi gamma possono produrre particelle atomiche, trasformando l’energia della luce in materia. Hanno anche rilevato che la quantità minima di energia richiesta per creare una particella dipende dalla sua energia di riposo, come previsto da Einstein. Di fatto vengono prodotte non una, ma due particelle: una particella e il suo opposto, l’“antiparticella”. Negli esperimenti sui raggi gamma, otteniamo un elettrone e un antielettrone (positrone), ma può avere luogo anche il processo inverso, ad esempio, quando un positrone si scontra con un elettrone essi si annientano a vicenda producendo raggi gamma. L’energia si trasforma in materia e la materia in energia. La scoperta di Einstein fornì la base per una comprensione molto più profonda del funzionamento dell’universo. Servì per esempio ad individuare la fonte dell’energia solare, che era stata un mistero per secoli. Dagli studi condotti alla luce della nuova ipotesi risultò che la materia stessa è un’immensa riserva di energia. Questa enorme verità venne rivelata al mondo intero nell’agosto del 1945 a Hiroshima e Nagasaki. Tutto ciò è contenuto nella formula, apparentemente semplice, E=mc2.

La teoria della relatività generale

La relatività speciale è un valido strumento di conoscenza quando ci si occupa di oggetti che si muovono a velocità e direzione costanti rispetto all’osservatore. Ma nella pratica il moto non è mai costante, in quanto sono sempre presenti forze che causano variazioni nella velocità e nella direzione degli oggetti in movimento. Dato che le particelle subatomiche si muovono a velocità immense per distanze brevi, esse non hanno tempo di accelerare molto e dunque si può loro applicare la relatività speciale; al contrario nello studio del movimento di pianeti e stelle la relatività speciale si è dimostrata insufficiente proprio a causa delle forti accelerazioni causate dai potenti campi gravitazionali. Ancora una volta si tratta di una questione di quantità e di qualità. A livello subatomico la gravitazione è insignificante rispetto ad altre forze e può essere ignorata, mentre nella realtà da noi percepibile quotidianamente avviene che possiamo trascurare tutte le altre forze tranne la gravità.
Einstein tentò di applicare la relatività al moto in generale, non solo al moto costante; il risultato fu la teoria della relatività generale, che si occupa della gravità. Essa segna una rottura, non solo rispetto alla fisica classica di Newton, con il suo universo meccanicistico assoluto, ma anche con l’altrettanto assoluta geometria classica di Euclide. Einstein dimostrò che la geometria euclidea valeva solo per lo “spazio vuoto”, un’astrazione concepibile solo idealmente. In realtà, lo spazio non è “vuoto”; lo spazio è inseparabile dalla materia. Einstein sosteneva che lo stesso spazio è condizionato dalla presenza dei corpi materiali e, nella sua teoria generale, questa idea è implicita nell’asserzione apparentemente paradossale per cui, vicino ai corpi pesanti, “lo spazio si curva”.
Il vero universo, cioè quello materiale, non assomiglia al mondo della geometria euclidea, con i suoi cerchi perfetti, le sue linee assolutamente rette e così via. Il mondo reale è pieno di irregolarità; non è rettilineo bensì, più precisamente, “curvo”. Lo spazio non è qualcosa che esiste separato, staccato dalla materia. La curvatura dello spazio è semplicemente un altro modo di rappresentare la curvatura della materia che “riempie” lo spazio. Per esempio, è stato dimostrato che sotto l’influenza dei campi gravitazionali dei corpi nello spazio la luce percorre traiettorie curve.
La teoria generale della relatività è essenzialmente di carattere geometrico, ma questa geometria è completamente diversa da quella classica euclidea dove le linee parallele non si incontrano né divergono e la somma degli angoli di un triangolo è sempre 180°. Lo spazio-tempo di Einstein (in realtà sviluppato per la prima volta nel 1907 dal matematico russo-tedesco Hermann Minkowski, uno degli insegnanti di Einstein) rappresenta una sintesi dello spazio tridimensionale (altezza, lunghezza, profondità) con il tempo. Questa geometria quadridimensionale si occupa di superfici curve (“spazio-tempo curvo”). Qui la somma degli angoli di un triangolo potrebbe non risultare 180° e le linee parallele possono incrociarsi o divergere.
Nella geometria euclidea, come notava Engels, troviamo tutta una serie di astrazioni che non corrispondono affatto al mondo reale: un punto senza dimensione che diventa una linea retta che, successivamente, diventa una superficie perfettamente piana e così via. Tra queste astrazioni abbiamo la più inconsistente di tutte, quella dello “spazio vuoto”. Lo spazio, al contrario di quanto pensava Kant, non può esistere senza qualcosa che lo riempia, e questo qualcosa è appunto la materia (e l’energia, che è la stessa cosa). La geometria dello spazio è determinata dalla materia che contiene: questo è il vero significato dello “spazio curvo”; è semplicemente un modo di esprimere le vere proprietà della materia. L’argomento è reso confuso solo dalla metafora inappropriata contenuta nella volgarizzazione di Einstein: “pensa allo spazio come a un foglio di gomma”, o “pensa allo spazio come vetro”, ecc. In realtà l’idea che si deve tener presente in ogni momento è l’unità indissolubile di tempo, spazio, materia e moto. Ogni volta che viene dimenticata questa unità, si cade immediatamente in mistificazioni idealiste.
Se concepiamo lo spazio come una cosa in sé – lo spazio vuoto, come in Euclide – chiaramente esso non potrà essere curvo, poiché è “niente”. Ma, usando le parole di Hegel, non c’è nulla nell’universo che non contenga sia essere che non essere. Spazio e materia non sono diametralmente opposti, fenomeni che si escludono a vicenda. Lo spazio contiene la materia e la materia contiene lo spazio; sono assolutamente inseparabili. L’unità dialettica di materia e spazio è proprio l’essenza dell’universo. In modo molto profondo, la teoria generale della relatività comunica questa idea dialettica dell’unità di spazio e materia. Allo stesso modo in matematica lo zero non è “niente”, ma esprime una quantità reale e gioca un ruolo determinante.
Einstein presenta la gravitazione come una proprietà dello spazio piuttosto che come una “forza” che agisce sui corpi. Secondo questa visione lo spazio stesso è curvo come risultato della presenza della materia. Questo è un modo davvero singolare di esprimere l’unità di spazio e materia e si presta a gravi fraintendimenti. Lo stesso spazio, naturalmente, non può curvarsi se è concepito come “spazio vuoto”. Il punto è che è impossibile concepire lo spazio senza la materia; è un’unità inseparabile. Quello che stiamo considerando è una ben precisa e concreta relazione tra lo spazio e la materia. Gli atomisti greci notarono molto tempo fa che gli atomi esistono nel “vuoto”. Le due cose non possono esistere l’una senza l’altra. La materia senza lo spazio è come lo spazio senza la materia. Uno spazio totalmente vuoto non è niente. Lo stesso vale per la materia senza dei confini definiti. Spazio e materia, dunque, sono opposti che si presuppongono, si definiscono, si limitano l’un l’altro e non possono esistere che insieme.
La teoria generale servì a spiegare almeno la natura di un fenomeno che non poteva essere spiegato con la teoria classica di Newton. Quando il pianeta Mercurio si avvicina al punto più vicino al Sole, la sua orbita mostra una strana irregolarità, che veniva inizialmente attribuita alle perturbazioni causate dall’attrazione gravitazionale degli altri pianeti. Ma anche quando tale influsso venne quantificato, non fu sufficiente a spiegare il fenomeno. La deviazione dell’orbita di Mercurio intorno al Sole (perielio) è molto ridotta, ma sufficiente per rendere imprecisi i calcoli degli astronomi. La teoria generale di Einstein prevedeva che il perielio di ogni corpo rotante avrebbe dovuto avere un movimento oltre a quello prescritto dalla legge di Newton. Questo si dimostrò corretto per Mercurio e successivamente per Venere. Einstein aveva previsto che un campo gravitazionale avrebbe deviato i raggi di luce. Così, egli dichiarava, un raggio di luce che passa vicino alla superficie del Sole verrebbe deviato dalla linea retta di 1,75 secondi di arco. Nel 1919 un’osservazione astronomica durante un’eclisse solare dimostrò che questo dato era esatto; così la brillante teoria di Einstein era stata confermata nella pratica. Essa fu in grado di spiegare l’apparente spostamento della posizione delle stelle vicino al Sole dalla deviazione dei loro raggi e anche il moto irregolare del pianeta Mercurio, che non poteva essere spiegato con le teorie di Newton.
Newton elaborò le leggi che governano il movimento dei corpi, secondo le quali la forza di attrazione gravitazionale dipende dalla massa. Egli sostenne anche che ogni forza esercitata su un corpo produce un’accelerazione in proporzione inversa alla massa del corpo stesso. La resistenza all’accelerazione è detta inerzia. Tutte le masse sono misurate sia attraverso effetti gravitazionali, sia attraverso effetti inerziali. L’osservazione diretta ha dimostrato che massa inerziale e massa gravitazionale sono, in realtà, identiche con un errore di una parte ogni mille miliardi. Einstein, per la sua teoria della relatività generale, partì dal presupposto che massa inerziale e massa gravitazionale sono esattamente uguali, perché esse sono essenzialmente la stessa cosa. Le stelle, apparentemente immobili, si muovono a velocità strabilianti. L’equazione cosmica di Einstein del 1917 implicava che lo stesso universo non fosse fermo dall’inizio del tempo, ma poteva essere in espansione. Le galassie si allontanano da noi a velocità dell’ordine di 1100 Km al secondo. Stelle e galassie si trasformano continuamente, nascendo e scomparendo. L’intero universo è una vasta arena dove il dramma della vita e della morte di stelle e galassie si svolge per l’eternità. Questi sono eventi di portata davvero rivoluzionari! Galassie che esplodono, supernovae, collisioni catastrofiche tra stelle, buchi neri con una densità miliardi di volte maggiore del nostro Sole che divorano avidamente interi ammassi di stelle. Ciò che realmente accade nell’universo può mettere a dura prova perfino l’immaginazione dei poeti.

Relazioni tra le cose

Molte nozioni hanno un carattere puramente relativo. Per esempio, se ci viene chiesto di dire se la strada è a destra o a sinistra di una casa, è impossibile rispondere senza stabilire la direzione in cui ci stiamo muovendo rispetto alla casa. D’altronde è possibile parlare della riva destra di un fiume perché la corrente ne determina il verso. Allo stesso modo, possiamo dire che le auto tengono la destra (ma non in Gran Bretagna!) perché il movimento delle auto è determinato rispetto alle due possibili direzioni della strada. In tutti questi esempi, i concetti di “sinistra” e “destra” risultano relativi, dato che acquistano significato solo dopo avere indicato la direzione in base alla quale sono definite.
Allo stesso modo, se chiediamo “È notte o giorno?” la risposta che possiamo dare dipende da dove siamo. Se a Londra o a Roma è giorno, in Australia potrà essere notte. Giorno e notte sono nozioni relative e dipendono dalla nostra posizione geografica. Un oggetto apparirà piccolo o grande a seconda della sua distanza dal punto di osservazione. Anche “diritto” e “rovesciato” sono nozioni relative, almeno da quando è diventato noto che il mondo non è piatto, bensì rotondo; ancora oggi è difficile per il “buon senso” accettare che chi abita in Australia può camminare “a testa in giù”. Ma non c’è contraddizione se comprendiamo che il concetto di verticale non è assoluto ma relativo. Per scopi pratici possiamo considerare la superficie terrestre come “piatta” e dunque tutte le verticali come linee parallele, quando ragioniamo per esempio di due case in una città, ma quando ci occupiamo di distanze molto maggiori, che comprendono l’intera superficie terrestre, scopriamo che il tentativo di utilizzare una verticale assoluta ci porterebbe ad assurde contraddizioni.
A maggior ragione, la posizione di un corpo planetario è necessariamente relativa alla posizione degli altri. È dunque impossibile fissare la posizione di un oggetto senza riferimento agli altri. La nozione di “spostamento” di un corpo nello spazio implica semplicemente che esso ha cambiato posizione rispetto agli altri corpi. Molte leggi fondamentali della natura hanno un carattere relativo come, per esempio, il principio della relatività di moto e la legge di inerzia. Quest’ultima sostiene che un oggetto su cui non agisce nessuna forza esterna può mantenere non solo uno stato di quiete ma anche di moto rettilineo uniforme. Questa legge fondamentale della fisica fu scoperta dal Galileo.
L’esperienza ci dice invece che oggetti a cui non vengono applicate forze esterne tendono a fermarsi, almeno nell’esperienza comune; questo perché nel mondo reale non possono sussistere le condizioni per cui valga la legge di inerzia, ovvero la totale assenza di forze esterne che agiscano sul corpo. Forze come l’attrito esercitano la loro azione sul corpo sino a fermarlo. Tuttavia, migliorando continuamente le condizioni sperimentali, è possibile approssimarsi sempre più alle condizioni ideali ipotizzate dalla legge d’inerzia, e dimostrare così che essa è valida anche per i moti che osserviamo nell’esperienza quotidiana. L’aspetto relativo (quantitativo) del tempo è stato espresso perfettamente nelle teorie di Einstein e in modo molto più profondo rispetto alle classiche teorie newtoniane.
La gravità non è una “forza”, quanto una relazione tra oggetti reali. A un uomo che sta precipitando da un palazzo sembra che il terreno “gli stia correndo incontro” e, dal punto di vista della relatività, l’osservazione non è sbagliata. Solo se adottiamo il concetto meccanicistico e unilaterale di “forza” noi possiamo descrivere questo processo come risultato della gravità terrestre che attrae l’uomo verso il suolo e non riconosciamo in esso un’interazione tra i due corpi. In condizioni “normali”, la teoria della gravitazione di Newton concorda pienamente con quella di Einstein, ma, in condizioni estreme, esse divergono radicalmente. La teoria di Newton è contraddetta dalla teoria generale della relatività allo stesso modo in cui la logica formale è contraddetta dalla dialettica. E, fino ad ora, l’esperienza dimostra che tanto la relatività quanto la dialettica sono corrette.
Come spiegava Hegel, misurare non è altro che stabilire un rapporto. Tuttavia, dato che ogni misurazione è praticamente un confronto, ci deve essere un’unità di misura standard che non può essere comparata altro che con se stessa. In generale possiamo capire le cose solo confrontandole con altre cose e ciò è in completa sintonia con il concetto dialettico delle interconnessioni universali: analizzare le cose nel loro movimento, sviluppo e relazioni è precisamente l’essenza del metodo dialettico. Si colloca proprio all’antitesi del modo meccanicistico di pensare (il metodo “metafisico”, come lo definivano Marx e Engels) che considera le cose come statiche e assolute. Questo era precisamente il difetto della vecchia concezione newtoniana dell’universo che, nonostante gli avanzamenti che ha permesso di compiere nella conoscenza del cosmo, non si liberò mai dall’unilateralità di una visione meccanicistica del mondo.
Le proprietà di una cosa non sono il risultato delle relazioni con altre cose, eppure possono manifestarsi solo in relazione con esse. Hegel si riferisce a queste relazioni in generale come “categorie della riflessione”. Il concetto di relatività ne è un esempio importante, già completamente sviluppato da Hegel nel primo volume del suo capolavoro La scienza della logica.
Nella pratica possiamo rilevare tale relazione, per esempio, nelle istituzioni sociali come il potere monarchico.

Gli spiriti semplici – osservava Trotskij nel suo scritto Che cos’è il nazionalsocialismo? – credono che la condizione regale consista nella persona del re, nel suo mantello di ermellino e nella sua corona, nella sua carne e nel suo sangue. In realtà, questa condizione regale è un rapporto tra uomini. Il re è re solo perché nella sua persona si riflettono gli interessi e i pregiudizi di milioni di uomini. Quando questi rapporti sono ripudiati dal corso della storia, il re diviene un personaggio consunto, dal labbro pendente. Si potrebbe chiedere a colui che una volta era chiamato Alfonso XIII di renderci partecipi delle sue fresche esperienze in materia.
Il capo per grazia del popolo si distingue dal capo per grazia di dio in quanto è costretto, se non proprio ad aprirsi la strada, ad aiutare le circostanze ad aprirgliela. Ma il capo resta sempre tale in base ad un rapporto tra uomini, un’offerta individuale in risposta ad una domanda collettiva. Le discussioni sulla personalità di Hitler sono tanto più vivaci quanto più si ricerca in lui il segreto della sua vittoria. Sarebbe, tuttavia, difficile trovare un’altra figura politica che sia in eguale misura un nodo di forze storiche impersonali. Non era dato a un qualsiasi piccolo borghese diventare Hitler, ma una particella di Hitler si trova in qualsiasi piccolo borghese esasperato“.9

Nel Capitale, Marx dimostrò come il lavoro umano concreto diventi il mezzo per esprimere il lavoro astratto; è la forma in cui il suo opposto, il lavoro astratto, si manifesta. Il valore non è una cosa materiale che può derivare dalle proprietà fisiche di una merce; in realtà è un’astrazione mentale, ma non viene considerato tale in modo arbitrario. Il valore è l’espressione di un processo oggettivo ed è determinato dalla quantità di lavoro socialmente necessario speso nella produzione. Allo stesso modo il tempo è un’astrazione e, sebbene non possa essere visto, sentito o toccato e si possa esprimere solo in termini relativi come misurazione, denota comunque un processo fisico oggettivo.
Spazio e tempo sono astrazioni che ci permettono di misurare e comprendere il mondo materiale. Tutte le misurazioni si pongono in relazione con lo spazio e il tempo. La gravità, le proprietà chimiche, il suono, la luce sono tutti analizzati da questi due punti di vista. Così, la velocità della luce è circa 300mila km al secondo, mentre il suono è quantificato dal numero di vibrazioni per secondo. Il suono di uno strumento a corda, per esempio, è determinato dal tempo in cui si verifica un certo numero di vibrazioni e dagli elementi spaziali (lunghezza e spessore) del corpo che vibra. Quell’armonia che colpisce il senso estetico della mente è un’altra manifestazione di un rapporto, di una misurazione e dunque del tempo.
Il tempo non può essere espresso che in forma relativa, allo stesso modo in cui il valore di una merce può essere espresso solo relativamente alle altre. Ma il valore è intrinseco alle merci e il tempo è una caratteristica oggettiva della materia in generale. L’idea che il tempo stesso sia puramente soggettivo, ovvero un’illusione della mente umana, può essere accostata al pregiudizio che la moneta sia solo un simbolo privo di significato oggettivo. Ogni tentativo di “demonetizzare” l’oro, in base a questo falso presupposto, ha portato sempre all’inflazione. Nell’Impero romano, il valore della moneta veniva fissato per decreto imperiale ed era vietato trattare la moneta come una merce. Il risultato fu una continua svalutazione della moneta. Un fenomeno simile ha avuto luogo nel capitalismo moderno, particolarmente dopo la Seconda guerra mondiale. Nella scienza economica, come nella cosmologia, confondere la misurazione con la natura delle cose stesse porta nella pratica al disastro.

La misurazione del tempo

Se è difficile definire che cosa sia il tempo, misurarlo non lo è. Gli scienziati stessi non spiegano cosa sia il tempo, ma si limitano alla sua misurazione. Dalla confusione fra questi due concetti sorgono equivoci senza fine. Così, Feynman:

Forse è il caso di accettare il fatto che il tempo è una delle cose che probabilmente non possiamo definire (nel senso di una definizione da dizionario), e diciamo allora che d’altra parte il tempo è quello che già sappiamo: è quanto aspettiamo! Ciò che importa in ogni modo non è come definiamo il tempo ma come lo misuriamo“.10

La misurazione del tempo richiede necessariamente un sistema di riferimento, un qualsiasi fenomeno che comporti cambiamenti attraverso il tempo, come la rotazione della Terra o l’oscillazione di un pendolo. La rotazione sul proprio asse che la Terra compie ogni giorno fornisce una scala temporale. Per misurare intervalli di tempo molto lunghi si può fare riferimento al decadimento di elementi radioattivi. La misurazione del tempo comporta un elemento soggettivo; gli Egizi dividevano giorno e notte in dodicesimi, i Sumeri avevano un sistema numerico a base sessagesimale e così dividevano l’ora in sessanta minuti e i minuti in sessanta secondi. Il metro venne definito come un decimilionesimo della distanza tra un polo terrestre e l’equatore (anche se questa misura non è proprio precisa); il centimetro è un centesimo del metro e così via. All’inizio del secolo, lo studio del mondo subatomico portò alla scoperta di due unità di misura naturali: la velocità della luce, c, e la costante di Planck, h. Entrambe non rappresentano univocamente massa, lunghezza o tempo, ma sono risultanti dalla combinazione di queste tre dimensioni.
In base a un accordo internazionale, il metro è definito come la distanza tra due tacche incise su una sbarra conservata in un laboratorio francese (nel museo di Sèvres). Di recente si è capito che questa definizione non è né precisa quanto servirebbe, né permanente o universale come si vorrebbe; per tale motivo nel 1961 è stata adottata una nuova definizione basata su un determinato numero di lunghezze d’onda di una riga dello spettro atomico di un isotopo del cripto (1.650.763,73 lunghezze d’onda della riga rossa dello spettro atomico dell’isotopo 86Kr). D’altro canto, la misurazione del tempo varia secondo la scala e la durata degli oggetti considerati.
È chiaro che il concetto di tempo varierà secondo lo schema di riferimento: un anno sulla Terra non dura come un anno su Giove. Né l’idea di tempo e spazio di un essere umano è la stessa di quella di una zanzara che vive qualche giorno, o di una particella subatomica con una vita di un trilionesimo di secondo (ammesso che queste entità possano sviluppare un proprio “punto di vista”). Qui stiamo parlando del modo in cui il tempo è percepito nei differenti contesti. Se accettiamo un determinato contesto è diverso anche il modo in cui il tempo viene percepito; ciò, in qualche misura, può essere constatato anche nella pratica, considerando che i metodi comuni di misurazione del tempo non sono applicabili alla durata delle particelle subatomiche, e standard diversi devono essere usati anche per misurare il “tempo geologico”.
Da questo punto di vista, il tempo può dirsi relativo. La misurazione implica necessariamente dei rapporti. Il pensiero umano sviluppa molti concetti che sono essenzialmente relativi, per esempio dimensioni relative, come “grande” e “piccolo”: un uomo è piccolo rispetto a un elefante, ma è grande rispetto a una formica. Grandezza e piccolezza, in sé, non hanno un significato autonomo. Un milionesimo di secondo, in termini ordinari, sembra un lasso di tempo brevissimo, ma a livello subatomico rappresenta un’eternità. All’altro estremo, un milione di anni è un tempo molto breve nella scala temporale cosmologica.
Tutte le idee di spazio, tempo e moto dipendono dalle nostre osservazioni delle relazioni e delle mutazioni nel mondo materiale. Tuttavia, la misurazione del tempo varia considerevolmente quando si considerino differenti tipi di materia. La misurazione dello spazio e del tempo è inevitabilmente relativa rispetto a un certo quadro di riferimento, la Terra, il Sole, o qualsiasi altro punto fermo, a cui gli eventi dell’universo possano relazionarsi. Ora, è chiaro che la materia subisce ogni tipo di cambiamento: di posizione, che a loro volta induce cambiamenti di velocità, di stato, che coinvolge differenti stati energetici, nascita, decadimento e morte, organizzazione e disorganizzazione e molte altre trasformazioni, le quali possono tutte essere espresse e misurate in termini di tempo.
In Einstein, tempo e spazio non sono considerati fenomeni isolati e infatti è impossibile considerarli come “cose in sé”. Per Einstein il tempo dipende dal movimento di un sistema e gli intervalli del tempo cambiano in modo tale che la velocità della luce nel sistema dato non vari in funzione del movimento. Le scale spaziali sono anch’esse soggette al cambiamento. Le vecchie teorie classiche di Newton sono ancora valide per scopi comuni e rappresentano anche una buona approssimazione del modo di operare generale dell’universo. La meccanica newtoniana trova ancora applicazione in importanti settori della scienza, in astronomia e nelle scienze applicate come l’ingegneria. A basse velocità, gli effetti della relatività speciale si possono trascurare; per esempio, l’errore che si evidenzia considerando il comportamento di un aereo che si muova a 400 km all’ora sarebbe dell’ordine di circa dieci miliardesimi di punto percentuale. Considerando invece velocità quali quelle delle particelle subatomiche, per esempio, è necessario considerare la previsione di Einstein che la massa non è costante ma aumenta con la velocità.
Nella nostra scala temporale quotidiana, la vita estremamente breve di certe particelle subatomiche non si può esprimere adeguatamente. Un mesone π, per esempio, ha una vita media di solo 10-16 secondi, prima di decadere; il periodo di una vibrazione nucleare o la vita di una particella di risonanza strana è 10-24 secondi, un tempo equivalente a quello che impiega la luce ad attraversare il nucleo di un atomo di idrogeno. Si rende quindi necessaria un’altra scala di misurazione. Tempi molto brevi, come 10-12 secondi, sono misurati da un oscilloscopio a raggi di elettroni. Tempi anche minori si possono calibrare per mezzo di tecniche laser. All’altro estremo della scala periodi molto lunghi possono essere misurati da un “orologio” radioattivo.
Ogni atomo dell’universo è per certi versi un orologio perché assorbe luce (ovvero raggi elettromagnetici) e la emette a frequenze definite con precisione. Dal 1967, lo standard del tempo ufficiale riconosciuto a livello internazionale si basa sull’orologio atomico (al cesio). Un secondo è definito pari a 9.192.631.770 vibrazioni delle radiazioni a microonde emesse da un atomo di cesio 133 nel corso di uno specifico riassestamento atomico.
Tuttavia anche un orologio così preciso non è del tutto perfetto, così vengono rilevate le misurazioni di vari orologi atomici distribuiti in circa 80 diversi paesi e, viene elaborata una media “ponderando” il tempo a favore degli orologi più stabili, conseguendo una misurazione precisa del tempo con un errore massimo di un milionesimo di secondo al giorno, o anche meno.
Per scopi comuni, la registrazione “normale” del tempo, basata sulla rotazione della Terra e sull’apparente movimento del Sole e delle stelle, è pienamente sufficiente ma diventa inadeguata e rischierebbe di causare gravi errori se impiegata in tutta una serie di operazioni nel campo delle moderne tecnologie, come gli strumenti radionautici delle navi e degli aerei. È a questi livelli che gli effetti della relatività cominciano a farsi sentire. Prove sperimentali hanno dimostrato che gli orologi atomici vanno più piano se situati a livello del suolo piuttosto che ad alta quota, dove l’effetto gravitazionale è più debole. Orologi atomici in volo a circa 10mila metri di quota andavano avanti di circa tre miliardesimi di secondo l’ora. Questa osservazione sperimentale si conforma alle previsioni di Einstein con meno dell’1% di errore.

Problema non risolto

La teoria della relatività speciale fu una delle più grandi conquiste della scienza. Ha rivoluzionato il modo in cui concepiamo l’universo a tal punto che è stata paragonata alla scoperta della rotondità della Terra. Giganteschi progressi sono stati resi possibili dal fatto che la relatività ha fondato un metodo di misurazione molto più preciso di quello legato alle vecchie leggi newtoniane che ha parzialmente sostituito. La questione filosofica del tempo non è tuttavia stata rimossa dalla teoria della relatività di Einstein, è anzi oggi più acuta che mai. Che ci sia qualcosa di soggettivo e anche di arbitrario nella misurazione del tempo è ovvio, come abbiamo già sostenuto. Ma questo non implica la conclusione che il tempo sia una cosa puramente soggettiva. Einstein dedicò tutta la sua vita alla ricerca delle leggi oggettive della natura. La questione è se le leggi della natura, incluso il tempo, sono le stesse per tutti, indipendentemente dal posto in cui si è e dalla velocità con cui ci si sta muovendo. Su questo tema Einstein vacillò; a volte sembrò accettarne tutte le implicazioni, altre volte le negò.
I processi oggettivi della natura non sono determinati a seconda di chi li osservi; esistono di per sé. L’universo, e perciò il tempo, esisteva prima che gli esseri umani lo osservassero e continuerà a esistere ben oltre il momento in cui non ci saranno uomini a farsi domande su di esso. L’universo materiale è eterno, infinito e in continuo cambiamento. Tuttavia, affinché la mente umana possa concepire l’universo infinito, è necessario tradurlo in termini finiti per analizzarlo e quantificarlo, cosicché possa divenire una realtà per noi. Il modo in cui osserviamo l’universo non lo cambia (a meno che non comporti processi fisici che interferiscano con ciò che viene osservato), ma il modo in cui ci appare può invece cambiare. Dal nostro punto di vista, la Terra appare immobile; agli occhi di un astronauta che passasse vicino al nostro pianeta, esso parrebbe allontanarsi a grande velocità. Einstein, che a quanto pare aveva uno spiccato senso dell’umorismo, avrebbe chiesto una volta a un attonito bigliettaio: “A che ora si ferma Oxford a questo treno?”
Einstein era determinato a riscrivere le leggi della fisica in tal modo che le previsioni fossero sempre corrette, a prescindere dai movimenti dei diversi corpi, o dei diversi “punti di vista” che ne derivano. Secondo la relatività il movimento rettilineo uniforme non si distingue dal riposo. Quando due oggetti passano uno accanto all’altro a velocità costante, è ugualmente possibile dire che A stia oltrepassando B o che B stia oltrepassando A. Così giungiamo all’apparente contraddizione che la Terra possa essere contemporaneamente a riposo e in movimento. Ritornando all’esempio dell’astronauta,

deve essere simultaneamente giusto sia affermare che la Terra ha una grande energia di moto sia affermare l’opposto. Il punto di vista dell’astronauta deve essere altrettanto valido di quello dello scienziato confinato sulla Terra“.11

Sebbene sembri una cosa semplice, la misurazione del tempo presenta un problema perché il tasso di cambiamento del tempo deve essere comparato a qualcos’altro. Se c’è un tempo assoluto, esso deve a sua volta scorrere e dunque deve essere misurato rispetto a qualche altro evento temporale, e così via all’infinito. È importante capire, tuttavia, che questo problema si presenta solo in relazione alla misurazione del tempo. La questione filosofica della natura del tempo in sé non c’entra. Per scopi pratici di calcolo e misurazione è essenziale che si definisca un sistema di riferimento specifico. Dobbiamo conoscere la posizione dell’osservatore relativamente ai fenomeni osservati. La teoria della relatività dimostra che asserzioni come “nello stesso posto” e “allo stesso tempo”, sono di fatto prive di senso.
La teoria della relatività comporta una contraddizione. Implica che la simultaneità è relativa ad uno schema di assi: se un asse si sta muovendo rispetto a un altro, eventi che sono simultanei rispetto al primo non sono simultanei rispetto al secondo e viceversa. Questo fatto, che fa a pugni con le basi stesse del senso comune, è stato dimostrato sperimentalmente. Purtroppo può condurre a un’interpretazione idealistica del tempo, all’asserzione che ci possano essere molti “presenti”, oppure all’idea che il futuro possa essere dipinto come cose e processi “che vengono in essere”, come solidi quadridimensionali dotati di “dimensione temporale”.
A meno che questo interrogativo non sia risolto, può generare ogni sorta di errore, per esempio l’idea che il futuro già esista, e improvvisamente si materializzi nell’“adesso”, come una roccia sommersa improvvisamente spunta quando un’onda le va contro. In realtà, passato e futuro sono uniti nel presente. Il futuro è l’essere potenziale; il passato è quello che è stato. L’“adesso” è l’unità dei due; è l’essere reale rispetto all’essere potenziale. Proprio per questo è normale sentire rimpianto per il passato e paura per il futuro e non viceversa. Il sentimento di rimpianto viene dalla comprensione, confermata da tutta l’esperienza umana, che il passato è perso per sempre, mentre il futuro è incerto, in quanto è formato da un gran numero di stati potenziali.
Benjamin Franklin una volta osservò che ci sono solo due cose certe nella vita: la morte e le tasse; i tedeschi hanno il proverbio: “Man muß nur sterben” (“l’unico obbligo dell’uomo è morire”), ovvero tutto il resto è facoltativo. Naturalmente, non è proprio così. Molte altre cose sono inevitabili oltre la morte, o le tasse. Da un numero sterminato di stati potenziali, in pratica sappiamo che solo alcuni sono veramente possibili. Di questi una proporzione ancora minore è probabile in un dato momento e infine solo uno tra di essi avrà veramente corso. Scoprire il modo esatto in cui il processo si svolge è compito delle varie scienze. Ma questo risulterà impossibile se non accettiamo che eventi e processi si svolgono nel tempo e che il tempo è un fenomeno oggettivo che esprime il fatto fondamentale che tutte le forme di materia ed energia si trasformano.
Il mondo materiale è in uno stato di continuo cambiamento e quindi “è e non è”. Questa è la proposizione fondamentale della dialettica. Filosofi come Alfred North Whitehead e l’intuizionista francese Henri Bergson credevano che lo scorrere del tempo fosse un fatto metafisico comprensibile solo per mezzo di intuizioni non scientifiche. I “filosofi del processo” come questi, nonostante le connotazioni mistiche, almeno avevano ragione nell’affermare che il futuro è aperto e indeterminato mentre il passato è immodificabile, fissato e determinato. È “tempo coagulato”. Dall’altra parte abbiamo i “filosofi del molteplice” che si aggrappano all’idea che gli eventi futuri possono esistere ma non essere connessi in modo sufficientemente comprensibile agli eventi passati. Facendoci suggestionare da una visione filosofica scorretta del tempo scadiamo nel più completo misticismo, come appare evidente analizzando il concetto di “multiverso”: un numero infinito di universi “paralleli” (ammesso che questa parola sia giusta, dato che non possono esistere nello spazio “così come lo conosciamo”) che esistono simultaneamente (ma non esistono nel tempo “come lo conosciamo”), ecco la confusione che nasce dall’interpretazione idealistica della relatività.

Interpretazioni idealistiche

There was a young lady named Bright
Whose speed was faster than light;
She set out one day
In a relative way
And returned home the previous night.
(A. Buller, Punch, 19 dicembre 1923)**

Come per la meccanica quantistica, quanti volevano introdurre il misticismo nella scienza si sono prontamente appropriati della relatività. Facendo ricorso alla “relatività” si vuole sottintendere che non possiamo conoscere veramente il mondo. Come sottolinea J. D. Bernal:

È tuttavia altrettanto vero che l’effetto del lavoro di Einstein, fuori dai ristretti campi specialistici dove si può applicare, fu una generale mistificazione. Vi si aggrapparono avidamente gli intellettuali disillusi dopo la Prima guerra mondiale per aiutarli nel loro rifiuto di affrontare la realtà. Avevano solo bisogno di usare la parola ‘relatività’ e dire ‘Tutto è relativo’ o ‘dipende da cosa vuoi dire’.12

Quest’ultima è un’interpretazione completamente falsata delle idee di Einstein; lo stesso termine “relatività” è improprio. Einstein, da parte sua, preferiva infatti il nome di teoria dell’invarianza che dà un’idea molto più accurata di cosa egli intendesse, cioè esattamente l’opposto dell’interpretazione volgare della teoria della relatività.

Si dice spesso che Einstein sostenne che “tutto è relativo”. Non è vero. In effetti “Relatività” è un pessimo nome per la teoria, Einstein pensò dichiamarla all’opposto: “teoria dell’invarianza”. Egli scoprì ciò che era “assoluto” e sicuro nonostante l’apparente confusione, le illusioni e le contraddizioni generate dai moti relativi o dall’azione della gravità“.13

L’universo esiste in uno stato di continuo mutamento. In questo senso niente è “assoluto” o eterno. L’unico assoluto è il moto, il cambiamento, il modo basilare di esistenza della materia, qualcosa che Einstein dimostrò in modo conclusivo nel 1905. Tempo e spazio, come modi di esistere della materia, sono fenomeni oggettivi. Non solo semplici astrazioni o idee arbitrarie inventate dagli uomini (o dagli dèi) per propria convenienza, ma sono proprietà fondamentali della materia ed esprimono la sua universalità.
Lo spazio ha tre dimensioni, ma il tempo ne ha solo una. Con buona pace degli ideatori di film in cui sia ammesso un “ritorno al futuro”, è possibile viaggiare solo in una direzione nel tempo, dal passato al futuro. La probabilità che un astronauta torni sulla Terra prima della sua nascita, o che un uomo sposi la propria nonna, non è maggiore di quanto sia possibile che si verifichino altre tra le sciocche fantasie hollywoodiane. Il tempo è irreversibile, il che significa che ogni processo materiale si sviluppa in una direzione sola, dal passato al futuro, esso è semplicemente un modo di esprimere il movimento reale e lo stato di cambiamento della materia. Materia, moto, tempo e spazio sono inseparabili.
Il difetto della teoria di Newton fu di considerare spazio e tempo come entità separate, una vicina all’altra, indipendenti da materia e movimento. Fino al ventesimo secolo gli scienziati identificavano lo spazio con il vuoto (un “nulla”), concepito come qualcosa di assoluto, sempre e ovunque identico a se stesso e immutabile. Queste vuote astrazioni sono state screditate dalla fisica moderna, che ha dimostrato la profonda relazione esistente tra tempo, spazio, materia e moto. La teoria della relatività di Einstein stabilisce rigorosamente che tempo e spazio non esistono di per sé, isolati dalla materia, ma sono parte di un’interazione universale tra fenomeni. Ciò viene sintetizzato dal concetto integrale e indivisibile di “spazio-tempo”, del quale spazio e tempo devono essere considerati aspetti relativi. Un’idea controversa a tale riguardo è la previsione che un orologio in movimento dovrebbe segnare il tempo più lentamente di un orologio fermo. Tuttavia è importante capire che tale effetto diviene percepibile solo a velocità straordinarie, prossime alla velocità della luce.
Se la teoria della relatività generale di Einstein fosse corretta, esisterebbe in futuro la possibilità teorica di viaggiare per distanze inimmaginabili attraverso lo spazio. In teoria sarebbe possibile per un essere umano sopravvivere migliaia di anni nel futuro. L’intera questione poggia però sulla supposizione che i cambiamenti osservati nei rapporti tra orologi atomici siano applicabili anche allo sviluppo della vita stessa. Gli orologi atomici rallentano, se sottoposti ad una forte gravità, rispetto a quando si trovano in assenza di gravità. La questione è se le complesse interrelazioni di molecole che costituiscono la vita possano comportarsi allo stesso modo. Isaac Asimov, che non era del tutto digiuno di fantascienza, scrisse:

Secondo questa ipotesi della dilatazione del tempo con il moto, si potrebbe addirittura fare un viaggio fino a una stella lontana durante l’arco di una vita umana; ma naturalmente chi intraprendesse tale viaggio dovrebbe dire addio per sempre alla propria generazione e al mondo che conosce, perché ritornerebbe nel mondo del futuro“.14

L’argomento a favore di questa teoria è che i ritmi dei processi vitali sono determinati dal ritmo delle azioni atomiche. Così, in presenza di forte gravità, il cuore batterà più lentamente e rallenterà anche l’attività neuronica. In effetti tutta l’energia diminuisce in presenza di gravità. Se i processi rallentano, hanno anche una durata maggiore. Se un’astronave potesse viaggiare ad una velocità prossima a quella della luce, l’universo verrebbe visto schizzare indietro, mentre per un osservatore posto all’interno, il tempo continuerebbe a scorrere “normalmente”, ovvero molto più lentamente. Egli avrebbe l’impressione che il tempo fuori scorra più rapidamente. È giusto? Rispetto agli abitanti della Terra, starebbe costui di fatto vivendo nel futuro, oppure no? Einstein a quanto pare avrebbe risposto affermativamente.
Questa speculazione ha generato ogni sorta di misticismo, come l’idea che, se ci tuffiamo in un buco nero entriamo in un altro universo. Ammesso che esistano i buchi neri, poiché ciò è ancora da dimostrare definitivamente, quanto troveremmo nel loro centro sarebbe ciò che rimane di una grande stella collassata e non un altro universo. Chiunque vi entrasse verrebbe istantaneamente fatto a pezzi e trasformato in pura energia. Se ciò significa andare in un altro universo, invitiamo caldamente i fautori di tali idee a fare la prima prova! In realtà tutto ciò, per quanto possa essere divertente, non è altro che pura speculazione. L’intero concetto di “viaggio nel tempo” porta inevitabilmente ad una massa di contraddizioni, che non hanno a che fare con la dialettica e ma con l’assurdo. Einstein sarebbe rimasto esterrefatto dalle interpretazioni mistiche delle sue teorie che implichino nozioni quali viaggiare nel tempo, alterare il futuro o simili insensatezze. Ma egli stesso ha una certa responsabilità per questa situazione a causa degli elementi idealistici insiti nella sua prospettiva, particolarmente riguardo alla questione del tempo.
Ammettiamo che un orologio atomico ad alta quota sia più rapido che al livello del suolo a causa degli effetti gravitazionali. Ammettiamo pure che, quando questo orologio torna sulla terra, si riscontri essere, diciamo, 50 miliardesimi di secondo più vecchio dell’orologio uguale che non ha mai lasciato la terra. Ciò significa che un uomo che ha intrapreso lo stesso viaggio sia anch’egli più vecchio? Il processo di invecchiamento dipende dal metabolismo. Questo è in parte influenzato dalla gravità, ma anche da molti altri fattori. È un processo biologico complesso e non è facile quantificare in che misura potrebbe essere radicalmente influenzato sia dalla velocità che dalla gravità, se non per il fatto che velocità o gravità estreme causano danni materiali agli organismi viventi.
Se fosse possibile rallentare il metabolismo al punto che, per esempio, la frequenza cardiaca giunga a un battito ogni venti minuti, il processo di invecchiamento rallenterebbe di conseguenza. Ciò è in effetti possibile, per esempio, con l’ibernazione. Se sia questo l’effetto del viaggiare ad alte velocità, senza uccidere l’organismo, è un quesito aperto. Secondo la ben nota teoria, se un’astronauta relativistico potesse far ritorno al suo pianeta dopo, diciamo, 10mila anni, per la solita analogia, potrebbe presumibilmente sposare una sua lontana discendente, ma non potrebbe mai tornare nel “proprio” tempo.
Gli esperimenti condotti con particelle subatomiche (muoni) indicano che le particelle che viaggiano al 99,94% della velocità della luce prolungano la propria durata di quasi trenta volte, proprio come previsto da Einstein. Tuttavia, rimane aperta la questione se questi risultati possano applicarsi alla materia di maggiori dimensioni e in particolare alla materia organica. Sono stati commessi molti gravi errori tentando di applicare i risultati che derivano da un ambito ad un altro completamente diverso. Nel futuro diverranno possibili viaggi spaziali ad altissime velocità, forse a un decimo della velocità della luce; a tali velocità, un viaggio di cinque anni luce durerebbe cinquant’anni (anche se, secondo la teoria di Einstein, durerebbe tre mesi in meno per chi viaggia). Sarà anche possibile viaggiare alla velocità della luce, permettendo così agli uomini di raggiungere le stelle? Al momento tale prospettiva pare remota, ma solo un secolo fa, un istante in termini storici, l’idea di andare sulla Luna era ancora confinata nei racconti di Jules Verne.

Mach e il positivismo

L’oggetto, però, è l’autentica verità, è la realtà essenziale;
per esso è alquanto indifferente se sia noto o meno;
esso rimane ed esiste sebbene non sia noto,
mentre la conoscenza non esiste se l’oggetto non c’è
(Hegel).15

L’esistenza di passato, presente e futuro è profondamente impressa nella coscienza umana. Viviamo nel presente, ma possiamo ricordare gli eventi passati e, in qualche misura, prevedere quelli futuri. C’è un “prima” e un “dopo”, eppure alcuni filosofi e scienziati lo contestano. Essi considerano il tempo come un prodotto della mente, un’illusione; in assenza di osservatori umani, non ci sarebbe tempo, né passato né presente né futuro.
Questo è il punto di vista dell’idealismo soggettivo, un’idea irrazionale e antiscientifica che comunque ha tentato nell’ultimo secolo di basarsi sulle scoperte della fisica per conferire rispettabilità a quella che è essenzialmente una visione mistica del mondo. Sembra un’ironia che la scuola filosofica che ha avuto l’impatto maggiore sulla scienza nel ventesimo secolo, il positivismo logico, derivi proprio dall’idealismo soggettivo.
Il positivismo è una visione ristretta che ritiene che la scienza debba limitarsi ai “fatti osservati”. I fondatori di questa scuola erano riluttanti a definire le teorie come vere o false, ma preferivano piuttosto descriverle come più o meno “utili”. È interessante notare che Ernst Mach, il vero padre spirituale del neopositivismo, si opponeva alla teoria atomista in fisica e in chimica. Questa era la naturale conseguenza del piatto empirismo che caratterizzava la prospettiva positivista. Dato che l’atomo non si può vedere, come può esistere? Essi lo consideravano tuttalpiù un’utile finzione e, nel peggiore dei casi un’inaccettabile ipotesi costruita ad hoc. Wilhelm Ostwald, appartenente alla stessa scuola di pensiero di Mach, tentò addirittura di derivare le leggi fondamentali della chimica senza ricorrere all’ipotesi atomica!
Boltzmann criticò aspramente Mach e i positivisti, e lo stesso fece Max Planck, padre della meccanica quantistica. Lenin sottopose a una critica spietata la visione di Mach e di Richard Avenarius, il fondatore dell’empiriocriticismo, nel suo libro Materialismo ed empiriocriticismo (1908). Ciò nonostante, le idee di Mach ebbero un grande impatto e, tra gli altri, influenzarono il giovane Albert Einstein. Partendo dal presupposto che tutte le idee debbano derivare da “ciò che è dato”, cioè dalle informazioni che ci vengono fornite con immediatezza dai nostri sensi, essi giunsero a negare l’esistenza del mondo naturale come realtà indipendente dalla percezione sensoriale umana. Mach e Avenarius si riferivano agli oggetti fisici come a “complessi di sensazioni”. Così, per esempio, un tavolo non è che un insieme di impressioni sensoriali come durezza, colore, massa, ecc. Senza le percezioni sensoriali, sostenevano, non rimarrebbe niente. Perciò dichiararono che il concetto di materia in senso filosofico (cioè il mondo oggettivo accessibile alle nostre percezioni sensoriali) era privo di significato.
Come abbiamo già osservato, queste concezioni portano direttamente al solipsismo, l’idea che solo “Io” esisto: se chiudo gli occhi, il mondo cessa di esistere. Mach attaccava la posizione di Newton in base alla quale spazio e tempo sono entità assolute e reali, ma lo faceva dal punto di vista dell’idealismo soggettivo. È appunto sorprendente che la scuola più influente della filosofia moderna (e quella che ebbe l’influenza più grande sugli scienziati) derivò dall’idealismo soggettivo di Mach e Avenarius.
L’ossessione per l’osservatore, il perno attorno al quale ruota tutta la fisica teorica del ventesimo secolo deriva dalla filosofia soggettivista di Ernst Mach. Partendo dall’argomento empirista che “tutta la nostra conoscenza deriva dalle percezioni sensoriali”, Mach sosteneva che gli oggetti non possono esistere indipendentemente dalla nostra coscienza. Portato alle sue logiche conclusioni, ciò vorrebbe dire che, per esempio, il mondo non avrebbe potuto esistere prima che ci fossero persone ad osservarlo. Di fatto, non poteva esistere prima che “io” nascessi, dato che posso conoscere solo le mie sensazioni, e non posso perciò essere sicuro che altre coscienze esistano.
La cosa importante è che lo stesso Einstein inizialmente fu colpito da questi argomenti, che segnarono i suoi primi scritti sulla relatività. Questo ha senza dubbio esercitato la più nefasta influenza sulla scienza moderna. Mentre Einstein cercò di capire i propri errori, e tentò di correggerli, coloro che avevano servilmente seguito il maestro furono incapaci di discernimento. Come spesso accade, discepoli troppo zelanti diventano dogmatici; sono più realisti del re! Nella sua autobiografia Karl Popper dimostra chiaramente che nei suoi ultimi anni Einstein si rammaricò del suo precedente idealismo soggettivo, o “operazionismo” che richiedeva la presenza di un osservatore per determinare i processi naturali:

È interessante il fatto che lo stesso Einstein sia stato per anni un positivista ed operazionista dogmatico. Più tardi egli ricusò questa interpretazione: nel 1950 mi disse che di nessun altro sbaglio che avesse mai commesso si rammaricava più di questo. Questo errore prese una forma veramente grave nel suo libro molto diffuso “La relatività: la teoria generale e speciale”. Scrisse: «Vorrei chiedere al lettore di non andare avanti finché non sia pienamente convinto di questo punto». Il punto è, in breve, che la «simultaneità» deve essere definita – e definita in termini operazionali -, ché altrimenti «io mi metto in condizione di essere ingannato[…] quando immagino di essere in grado di annettere un significato all’enunciato della simultaneità». Ciò significa, in altre parole, che un termine deve essere definito operazionisticamente, o altrimenti è senza senso (sta qui in nuce quel positivismo che è stato successivamente sviluppato dal Circolo di Vienna sotto l’influenza del Tractatus di Wittgenstein, e in una forma assai dogmatica)“.

Questo è importante, perché mostra che Einstein alla fine rifiutò l’interpretazione soggettivista della teoria della relatività. Tutte le assurdità sull’“osservatore” come fattore determinante non erano parti essenziali della teoria, ma riflettevano semplicemente un errore filosofico, come Einstein confermò con franchezza.
Questo purtroppo non evitò che i seguaci di Einstein facessero proprio l’errore e lo sviluppassero al punto da farlo apparire come la chiave di volta della relatività. È qui che troviamo la vera origine dell’idealismo soggettivo di Heisenberg:

Ma molti eminenti fisici furono assai attratti dall’operazionismo di Einstein, che consideravano (come fece lo stesso Einstein per lungo tempo) come parte integrante della relatività. E fu così che l’operazionismo diede a Heisenberg l’ispirazione per il suo saggio del 1925 e per la sua opinione, largamente condivisa, che il concetto dell’orbita di un elettrone, o della sua classica posizione-cum-momento, è senza senso.16
Il fatto che il tempo sia un fenomeno oggettivo, che riflette processi reali in natura, venne dimostrato per la prima volta dalle leggi della termodinamica che furono sviluppate nell’Ottocento e che svolgono ancora un ruolo centrale nella fisica moderna. Queste leggi, in particolare nella formulazione di Boltzmann, stabiliscono rigorosamente non solo l’idea che il tempo esiste oggettivamente, ma che scorre in una sola direzione, dal passato al futuro. Il tempo non può essere invertito né dipende da qualsiasi ‘osservatore’”.

Boltzmann e il tempo

La domanda fondamentale che dobbiamo porci è: il tempo è una caratteristica oggettiva dell’universo fisico o è invece qualcosa di puramente soggettivo, un’illusione della mente, o semplicemente un modo utile di descrivere cose con cui essa non ha un rapporto reale? Quest’ultima posizione è stata sostenuta, con diverse sfumature, da varie scuole di pensiero, tutte strettamente legate alla filosofia dell’idealismo soggettivo. Mach, come abbiamo visto, introdusse questo soggettivismo nella scienza. Una risposta decisa al soggettivismo venne invece data da Ludwig Boltzmann, pioniere della termodinamica, verso la fine del secolo scorso.
Einstein, sotto l’influenza di Ernst Mach, trattò il tempo come qualcosa di soggettivo che dipende dall’osservatore, almeno all’inizio, prima di comprendere le nefaste conseguenze di tale approccio. Nel 1905 il suo scritto sulla teoria speciale della relatività introduceva la nozione di “tempo locale” associata a ogni singolo osservatore. Il concetto di tempo in questo scritto contiene un’idea ereditata dalla fisica classica, cioè che il tempo è reversibile. Questa è veramente un’idea straordinaria, che si scontra con tutta l’esperienza. I registi possono far ricorso di tanto in tanto a un trucco proiettando al contrario le immagini per mostrare, ad esempio, il latte che ritorna dal bicchiere alla bottiglia, auto e camion che viaggiano all’indietro, uova rotte che si ricompongono e così via. La nostra reazione a un tale spettacolo può essere una risata, reazione ricercata appunto dagli autori di questi effetti sorprendenti. Ridiamo perché sappiamo che quello che stiamo osservando non è solo impossibile, ma lo è in modo assurdo. Sappiamo che i processi che stiamo vedendo non possono essere invertiti.
Boltzmann comprese ciò e il concetto di tempo irreversibile è il nocciolo della sua famosa teoria della freccia del tempo. Le leggi della termodinamica rappresentavano un progresso di primaria importanza nella scienza, erano però controverse, in quanto non si potevano conciliare con le leggi della fisica vigenti alla fine dell’Ottocento. La seconda legge della termodinamica non si può ricavare dalle leggi della meccanica o della meccanica quantistica e segna a tutti gli effetti una brusca rottura con le teorie della scienza fisica dell’epoca. Essa afferma che l’entropia aumenta in direzione del futuro, non del passato. Essa denota un cambiamento di stato nel tempo che è irreversibile. Il concetto stesso di una tendenza alla dissipazione si scontrò con l’idea, allora corrente, che lo scopo essenziale della fisica era di ridurre la complessità della natura a semplici leggi di movimento.
L’idea dell’entropia, comunemente intesa come una tendenza delle cose verso una maggiore disorganizzazione e decadimento al passare del tempo, conferma completamente quello che le persone hanno sempre creduto: che il tempo esiste oggettivamente e che è un processo a senso unico. Le due leggi della termodinamica implicano l’esistenza del fenomeno chiamato entropia, che è un fattore presente in tutti i processi irreversibili. La sua definizione si basa su un’altra proprietà chiamata energia disponibile. L’entropia di un sistema isolato può rimanere costante o aumentare ma non può diminuire. Una delle conseguenze di ciò è l’impossibilità di una “macchina del moto perpetuo”.
Einstein considerava l’idea dell’irreversibilità del tempo come un’illusione che non aveva posto nella fisica. Per Max Planck, la seconda legge della termodinamica esprime l’idea che esiste in natura una quantità che si modifica sempre nella stessa direzione in tutti i processi naturali e che l’esito di questo processo non dipende dall’osservatore; si tratta di un processo oggettivo. L’opinione di Planck era però estremamente minoritaria, dato che la grande maggioranza degli scienziati, compreso Einstein, attribuivano questo processo a fattori soggettivi. La posizione presa da Einstein a questo riguardo pone in risalto la principale debolezza del suo punto di vista che consiste nel far dipendere i processi oggettivi da un presunto “osservatore”. Questo era senza dubbio l’elemento più debole in tutta la sua visione e proprio per questa ragione è la parte che si è dimostrata più popolare tra i suoi discepoli, che non sembrano rendersi conto del fatto che lo stesso Einstein verso la fine della sua vita aveva cambiato idea in proposito.
Nella fisica e nella matematica l’espressione del tempo è reversibile. L’invarianza per “time reversal” implica che le stesse leggi della fisica valgano altrettanto bene in entrambe le situazioni (ovvero le direzioni). Il secondo evento è indistinguibile dal primo e il flusso del tempo non ha una direzione preferenziale nel caso di interazioni fondamentali. Per esempio, un filmato di due palline da biliardo che collidono può essere proiettato in avanti o al contrario, senza fornire alcun indizio sulla originale sequenza temporale degli eventi. Si riteneva che lo stesso fosse vero per le interazioni a livello subatomico, ma uno studio condotto nel 1964 sull’interazione nucleare debole smentì questa tesi. Per molto tempo si ritenne che le leggi fondamentali della natura fossero “simmetriche rispetto alla carica”. Per esempio, un antiprotone e un positrone si comportano rispettivamente come un protone e un elettrone. Gli esperimenti hanno ora dimostrato che le leggi della natura sono simmetriche se si combinano tre elementi fondamentali: carica, parità e tempo. Tale simmetria è nota come “specchio CPT”.
Nella dinamica, la direzione di una data traiettoria era irrilevante. Per esempio una palla che rimbalzi al suolo tornerebbe alla posizione iniziale. In questo modo, se tutti i punti di un sistema fossero reversibili, esso potrebbe tornare indietro nel tempo, semplicemente ripercorrendo tutti gli stati per i quali era passato in precedenza. Nella dinamica classica, cambiamenti come l’inversione del tempo (t –> –t) e la reversibilità della velocità (v –> –v) sono trattati come equivalenti matematici. Questo tipo di calcolo funziona bene per sistemi semplici chiusi, dove non ci sono interazioni. In realtà, però, ogni sistema è soggetto a molteplici interazioni. Uno dei problemi più importanti in fisica è quello dei “tre corpi”; per esempio, il moto lunare è influenzato dal Sole e dalla Terra. Nella dinamica classica, un sistema cambia secondo una traiettoria che è data una volta per sempre, il cui punto di partenza è fondamentale in quanto la condizione iniziale determina la traiettoria per tutto il tempo. Le traiettorie della fisica classica sono semplici e deterministiche, ma vi sono traiettorie che non sono così facili da fissare, per esempio quella di un pendolo rigido, dove un infinitesimo disturbo potrebbe essere sufficiente per metterlo in rotazione o in oscillazione.
L’importanza del lavoro di Boltzmann stava nel fatto che si occupava della fisica dei processi, piuttosto che delle cose. Il suo più grande risultato fu di dimostrare come le proprietà degli atomi (massa, carica elettrica, struttura) determinano le proprietà visibili della materia (viscosità, diffusione, conduttività termica, ecc.). Le sue idee furono attaccate duramente durante la sua vita, ma ebbero infine un riconoscimento con le scoperte della fisica atomica intorno al 1900 e in base alla constatazione che i movimenti caotici delle particelle microscopiche sospese in un fluido (“moto browniano”) potevano essere spiegati solo nei termini della meccanica statistica ideata da Boltzmann.
La curva gaussiana a forma di campana descrive il moto caotico delle molecole di un gas. Un aumento di temperatura porta ad una crescita della velocità media delle molecole e dell’energia associata al loro movimento. Mentre Clausius e Maxwell consideravano il problema dal punto di vista della traiettoria delle singole molecole, Boltzmann considerava il complesso delle molecole. Le sue equazioni cinetiche svolgono un ruolo importante nella fisica dei gas e i suoi studi hanno rappresentato un importante progresso della fisica dei processi. Boltzmann è stato un grande pioniere ma fu trattato da pazzo dalla comunità scientifica e fu infine spinto al suicidio nel 1906, dopo essere stato obbligato a interrompere i suoi tentativi di stabilire la natura irreversibile del tempo come una caratteristica oggettiva della natura.
Mentre nell’ambito della teoria della meccanica classica gli eventi del processo precedentemente descritto sono perfettamente possibili, nella pratica non lo sono. La teoria della dinamica, per esempio, ipotizza un mondo ideale privo di attrito, collisioni e altri simili fenomeni, nelle cui condizioni ideali tutte le costanti che interessano un determinato moto sono prefissate e nulla può modificare il suo corso. Da ciò risulta una visione dell’universo completamente statica, in cui tutto viene ridotto a equazioni piane e lineari. Nonostante i rivoluzionari progressi resi possibili dalla teoria della relatività, Einstein in cuor suo rimase legato all’idea di un universo statico e armonioso, proprio come Newton.
Le equazioni del moto della meccanica newtoniana e anche di quella quantistica non tengono conto dell’irreversibilità. È possibile proiettare un filmato avanti o indietro, ma per la natura ciò non è possibile. La seconda legge della termodinamica prevede una tendenza irreversibile verso il disordine e afferma che la disorganizzazione aumenta nel tempo. Fino a poco tempo fa si pensava che le leggi fondamentali della natura fossero simmetriche rispetto al tempo, ma il tempo stesso è asimmetrico e si muove solo in una direzione, dal passato al futuro. Possiamo osservare fossili, impronte e fotografie e possiamo ascoltare registrazioni del passato, ma mai del futuro. È facile mescolare le uova per fare una frittata o mettere latte e zucchero in un caffè, ma non è affatto semplice invertire questi processi. L’acqua nella vasca da bagno cede il suo calore all’aria circostante, ma non avviene mai il processo opposto.
La seconda legge della termodinamica descrive la cosiddetta “freccia del tempo”. I soggettivisti obiettarono che processi irreversibili come l’affinità chimica, la conduzione del calore, la viscosità, ecc., dipendevano dall’”osservatore” ma, nonostante la pervicacia di tali teorie, è chiaro a chiunque che questi sono processi oggettivi che avvengono in natura come lo sono la vita e la morte. Un pendolo (almeno in condizioni ideali) può tornare alla posizione iniziale, ma tutti sanno che la vita di un individuo si sviluppa in una sola direzione: dalla culla alla tomba; è un processo irreversibile. Ilya Prigogine, uno dei principali teorici del caos, ha prestato particolare attenzione alla questione del tempo. Egli ricorda che, quando iniziò a studiare fisica a Bruxelles, rimase “stupito dal fatto che la scienza avesse così poco da dire riguardo al tempo”, anche considerando che la sua formazione precedente era centrata particolarmente intorno alla storia e all’archeologia. In relazione al conflitto tra meccanica classica (dinamica) e termodinamica, Prigogine e Stengers scrivono:

In una certa misura esiste un’analogia tra questo conflitto e quello da cui nacque il materialismo dialettico. Abbiamo descritto […] una natura che si potrebbe chiamare «storica», cioè capace di sviluppo e innovazione. L’idea della storia della natura come parte integrante del materialismo fu asserita da Marx e, più approfonditamente, da Engels. Gli sviluppi odierni in fisica, la scoperta del ruolo costruttivo giocato dall’irreversibilità, hanno fatto nascere nelle scienze naturali delle questioni che da tempo si ponevano i materialisti. Per loro, comprendere la natura significava comprenderla in quanto capace di produrre l’uomo e la sua società.
Inoltre, al tempo in cui Engels scrisse la sua Dialettica della natura, le scienze fisiche sembravano aver confutato la visione meccanica del mondo, avvicinandosi all’idea di uno sviluppo storico della natura. Engels parla di tre fondamentali scoperte: l’energia e le leggi che determinano le sue trasformazioni qualitative, la cellula come costituente basilare della vita e la scoperta di Darwin sull’evoluzione della specie. In base a queste tre importanti scoperte, Engels arrivò alla conclusione che la visione meccanica del mondo era morta.”
Contro la interpretazione soggettiva del tempo, gli autori concludono:
“Il tempo fluisce in una sola direzione, dal passato al futuro. Non possiamo manipolare il tempo, non possiamo viaggiare indietro nel tempo“.17

Relatività e buchi neri

Secondo il punto di vista di Einstein, che differisce da quello di Newton, la gravità influisce sul tempo perché influisce sulla luce. Se proviamo ad immaginare una particella di luce posta sull’orlo di un buco nero, questa può restare sospesa per un tempo indefinito, senza andare avanti né tornare indietro, senza perdita né guadagno energetico. In tale stato è possibile sostenere che il “tempo è fermo”. Questa è la tesi dei relativisti riguardo il buco nero e le sue proprietà. Ciò essenzialmente implica che, cessando tutti i moti, non potrebbero esservi cambiamenti di stato o di posizione, e dunque il tempo non esisterebbe in alcun senso del termine. Una tale situazione si creerebbe, appunto, sull’orlo di un buco nero, ma ciò rappresenta un’interpretazione altamente speculativa e mistica di un fenomeno la cui esistenza non è stata dimostrata.
Tutta la materia esiste in un continuo stato di cambiamento e movimento e dunque quello che si sta affermando qui è che, se materia e movimento non esistono, non esiste neppure il tempo, il che è una pura tautologia. È come dire che se non c’è materia non c’è materia, o se non c’è tempo non c’è tempo, poiché entrambe le frasi indicano la stessa cosa.
Stranamente, si cercherebbe invano nella teoria della relatività una definizione di cosa siano il tempo e lo spazio; Einstein certamente trovò difficile darne una spiegazione. Tuttavia, si avvicinò molto a tale fine quando spiegò la differenza tra la sua geometria e quella classica di Euclide. Egli commentò che si potrebbe immaginare un universo in cui lo spazio non è curvo, ma questo sarebbe caratterizzato dalla completa assenza di materia. Tale considerazione punta chiaramente nella direzione giusta. Dopo tutto il trambusto sui buchi neri, potrebbe sorprendere il fatto che di questo argomento Einstein non parli neppure. Egli manteneva un approccio rigoroso, basato su una matematica molto complessa, e formulò delle previsioni verificabili con l’osservazione e la sperimentazione. La fisica dei buchi neri, in assenza di dati empirici chiari, ha un carattere estremamente speculativo.
Nonostante il generale consenso che ha conquistato, è comunque possibile che la teoria della relatività generale sia scorretta. A differenza della relatività speciale, gli esperimenti su di essa non sono numerosi. Non ci sono prove conclusive e, sebbene finora non siano emersi conflitti tra la teoria e i fatti osservati, non si può nemmeno escludere che l’affermazione della relatività speciale per cui nulla può muoversi più velocemente della luce risulti in futuro errata.***
Sono state avanzate teorie alternative alla relatività, per esempio, da parte di Robert Dicke. La teoria di Dicke prevedeva una deviazione dell’orbita lunare di qualche metro verso il Sole. L’osservatorio McDonald in Texas, usando un’avanzata tecnologia laser, non ha trovato alcuna traccia di tale deviazione. Tuttavia non c’è ragione di pensare che la questione sia definitivamente chiusa. Fino a questo momento le teorie di Einstein sono state confermate da numerosi esperimenti ma, nella misura in cui ci si addentri in condizioni estreme, prima o poi potrebbe presentarsi un insieme di circostanze che valichino i confini delle equazioni note, preparando la strada a nuove scoperte di straordinaria importanza. La teoria della relatività non può comunque rappresentare qualcosa di conclusivo, come non lo sono state la meccanica di Newton, l’elettromagnetismo di Maxwell o qualsiasi altra teoria precedente.
Per oltre 200 anni le teorie di Newton furono considerate assolutamente valide e la sua autorità era incontestabile. Dopo la sua morte, Laplace e altri svilupparono queste teorie ad estremi tali da renderle assurde. La radicale rottura nei confronti dei vecchi Assoluti meccanicisti rappresentava la condizione necessaria per i successivi progressi della fisica nel XX secolo. La nuova fisica proclamava orgogliosa di aver ucciso per sempre l’orco dell’Assoluto, lasciando libero improvvisamente il pensiero di muoversi in regni fino ad allora neppure immaginati. Erano tempi inebrianti! Purtroppo tale felicità non può durare per sempre, come emerge dalle parole di Robert Burns:

But pleasures are like poppies spread;
You seize the flow’r, its bloom is shed.”****

La nuova fisica ha risolto molti problemi, ma solo al costo di creare nuove contraddizioni, che rimangono irrisolte a tutt’oggi. Per gran parte del nostro secolo, la fisica è stata dominata da due teorie fondamentali: la meccanica quantistica e la teoria generale della relatività di Einstein. Quello che spesso non viene capito è che le due teorie sono incompatibili.
Mentre la quantistica è stata facilmente estesa includendo la relatività speciale, nel secondo caso non esiste tuttora una teoria quantistica soddisfacente che includa anche l’interazione gravitazionale. Dall’epoca di Einstein a oggi centinaia di scienziati sono al lavoro nel tentativo di associare gli effetti quantistici alla gravità, ma con successi molto limitati e per lo più di natura speculativa. Inoltre la teoria della relatività generale non tiene conto del principio dell’indeterminazione. Einstein trascorse gli ultimi anni della sua vita cercando di risolvere questa contraddizione, ma senza successo.
La teoria della relatività è stata una grande teoria rivoluzionaria, così come la meccanica di Newton ai suoi tempi. Ma è destino di tutte queste teorie trasformarsi in ortodossia, subire una sorta di involuzione senile, fino a non essere più in grado di rispondere ai quesiti posti dal progresso della scienza. Per lungo tempo i fisici teorici si sono accontentati di aggrapparsi alle scoperte di Einstein, così come in precedenza una intera generazione si era a sua volta appoggiata su quelle di Newton. E, similmente, essi sono colpevoli di screditare la relatività generale attingendo da essa le più assurde e fantastiche nozioni, idee che l’autore stesso non ha neppure sognato.
Singolarità, buchi neri nei quali il tempo è fermo, multiversi, un tempo anteriore all’inizio del tempo, fenomeni sui quali non è lecito interrogarsi… non è difficile immaginare il povero Einstein che osserva, perplesso, il tutto! Tutte queste idee, a quanto pare, sorgerebbero “inevitabilmente” dalla relatività generale e a chi pone il minimo dubbio in proposito viene opposta l’autorità del grande Einstein. La situazione non è migliore di quella che esisteva prima della relatività, quando allo stesso modo l’autorità di Newton veniva brandita in difesa dell’ortodossia dell’epoca. L’unica differenza è che i concetti fantastici di Laplace appaiono estremamente sensati se paragonati al mistico farfugliare di certi fisici d’oggi. E ancora meno che a Newton si potrebbe dare ad Einstein la colpa delle bizzarre fantasticherie dei suoi successori, le quali rappresentano la reductio ad absurdum della teoria originale.
Queste speculazioni arbitrarie e prive di senso sono la miglior prova del fatto che il tessuto teorico della fisica moderna ha bisogno di una completa revisione, poiché il problema è di metodo. Il fatto non è solo che questi studiosi non offrono risposte, il problema è che essi non sanno neppure porsi la domanda giusta. È un problema non tanto scientifico quanto filosofico. Se tutto è possibile, allora una teoria arbitraria (o meglio, una congettura) vale come un’altra. Tutto il sistema è stato spinto vicino al suo punto di rottura, e per celare questo fatto si ricorre ad un linguaggio di tipo mistico, in cui però l’oscurità d’espressione non riesce a mascherare la totale mancanza di contenuto.
Questo stato di cose è chiaramente intollerabile e ha indotto una parte degli scienziati ad iniziare a mettere in discussione gli assunti di base su cui sta operando la scienza. Le investigazioni di David Bohm sulla teoria della meccanica quantistica, la nuova interpretazione della seconda legge della termodinamica da parte di Ilya Prigogine, il tentativo di Hannes Alfvén di elaborare un’alternativa all’ortodossia cosmologica del Big Bang e soprattutto l’ascesa spettacolare della teorie del caos e della complessità, tutto questo indica l’esistenza di un fermento nella scienza. È troppo presto per prevedere l’esito esatto di tutto ciò, ma sembra probabile che stiamo entrando in uno di quei periodi entusiasmanti della storia della scienza da cui emergono teorie e interpretazioni del tutto nuove.
Ci sono tutti i motivi per supporre che col tempo le teorie di Einstein saranno sorpassate da una teoria nuova e più globale che, pur conservando tutto quello che è valido nella relatività, la correggerà e la amplierà. Nel corso di tale processo arriveremo sicuramente ad una comprensione più profonda e più equilibrata del tempo, dello spazio e della causalità. Questo non significa un ritorno alla vecchia fisica meccanicista, così come il fatto che oggi possiamo realizzare la trasformazione degli elementi non significa il ritorno alle idee degli alchimisti. La storia della scienza molto sovente porta a un apparente ritorno sulle posizioni precedenti, ma ad un livello qualitativamente più alto.
Una cosa possiamo prevedere con assoluta sicurezza: quando la nuova fisica emergerà dal caos attuale, non ci sarà posto in essa per viaggi nel tempo, multiversi, o singolarità che comprimono la totalità dell’universo in un singolo punto sulla natura del quale non è concesso porre domande. Certo diventerà molto più difficile esercitare la remunerativa professione di chi fornisce credenziali scientifiche all’Onnipotente, il che può dispiacere a qualcuno, ma a lungo termine ciò gioverà al progresso della scienza!

Capitolo 8 La freccia del tempo

Indice dei Capitoli

Note

*Così come le onde avanzano verso la ciottolosa riva,
Così i nostri minuti si affrettano verso la loro fine;
Ognuno cambiando posto con quello che lo precede
In una faticosa sequenza tutti si battono in avanti.. (Sonetto LX)

**C’era una volta una giovincella di nome Bright
Che era più veloce della luce;
Un giorno è partita
In maniera relativa
Ed è tornata la sera prima.

*** Questa previsione ha forse avuto conferma prima di quanto avessimo previsto. Prima che questo libro andasse in stampa, sono stati pubblicati rapporti su un esperimento condotto da scienziati americani, il quale sembra indicare che i fotoni possono viaggiare più velocemente della luce. Si tratta di un esperimento complicato, basato su un singolare fenomeno chiamato “quantum tunnelling”. Se risulterà corretto, imporrà un fondamentale ripensamento su tutto il concetto della relatività .

****Ma i piaceri sono come i papaveri in fila,
Cogli il fiore e il suo splendore è perso.

Giobbe 14:1.

2. Aristotele, Metafisica pag. 351, III.

3. Hegel, La fenomenologia dello spirito.

4. I. Prigogine e I. Stengers, La nuova alleanza, metamorfosi della scienza.

5. Hegel, La fenomenologia dello spirito.

6. Hegel, Scienza della logica, pag. 232, I.

7. Landau e Rumer, Che cos’è la relatività?, pagg. 46 e 48.

8. Feynman, La fisica di Feynman, Vol I, Capitolo 1, pag. 2.

9. Trotskij, I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali 1924-1940, pag. 414.

10. Feynman, op. cit. Vol. I, cap.5, pag. 2.

11. N. Calder, L’Universo di Einstein, pag. 9-10.

12. J. D. Bernal, Science in History, pagg. 527-8.

13. N. Calder, op. cit., pag. 23

14. Asimov Isaac , Il libro della fisica, pag. 422.

15. Hegel, La fenomenologia dello spirito.

16. K. Popper, La ricerca non ha fine, pagg. 100-101.

17. Prigogine e Stengers, op. cit., pagg. 10, 252-3 e 277.

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