Giù le mani dalla rivoluzione in Kazakhstan!
9 Gennaio 2022
Il messaggio di Alan Woods per il 2022: l’ho visto in un film
12 Gennaio 2022
Giù le mani dalla rivoluzione in Kazakhstan!
9 Gennaio 2022
Il messaggio di Alan Woods per il 2022: l’ho visto in un film
12 Gennaio 2022
Mostra tutto

Socialismo utopistico e socialismo scientifico – Rileggere oggi Engels

di Antonio Erpice

 

I tre capitoli dell’Antidühring che compongono L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza furono pubblicati per la prima volta in Francia nel 1880. Il testo ebbe un grande successo e fu insieme al Manifesto del partito comunista il principale strumento per la formazione dei giovani e degli operai socialdemocratici. Affrontando punto per punto le teorie del professore Dühring al fine di debellare l’influenza delle sue idee tra le file della socialdemocrazia tedesca, Engels aveva fornito per la prima volta una spiegazione generale della concezione sua e di Marx: la critica negativa si era trasformata in critica positiva, e ora L’evoluzione riassumeva in poche pagine e con una chiarezza cristallina i concetti fondamentali del socialismo scientifico. L’eclettismo di Dühring veniva ricondotto alla sua matrice utopistica e il marxismo emergeva nell’ambito del pensiero teorico socialista come un nuovo inizio.

Il socialismo utopistico

Engels scrive: “Il socialismo moderno, considerato nel suo contenuto, è anzitutto il risultato della visione, da una parte degli antagonismi di classe, dominanti nella società moderna, tra possidenti e non possidenti, salariati e capitalisti; dall’altra, dell’anarchia dominante nella produzione. Considerato invece nella sua forma teorica, esso appare all’inizio come una continuazione più radicale, che vuol essere più conseguente, dei principi sostenuti dai grandi illuministi francesi del XVIII secolo”.

L’illuminismo rivendicava la piena autonomia della ragione dalle forze che volevano tenere l’uomo avvolto nelle tenebre e in uno stato di “minorità”. Ogni ambito della vita umana e della società doveva essere sottoposto al tribunale della ragione: dalla religione alla concezione della natura, dalla società all’ordinamento dello Stato. La ragione stava finalmente plasmando il mondo; la verità eterna, la giustizia eterna, l’uguaglianza fondata sulla natura e i diritti inalienabili dell’uomo si sarebbero sostituiti alla superstizione, all’ingiustizia e all’oppressione. Il sogno illuminista non poteva realizzarsi, tuttavia preparò la rivoluzione francese e il suo programma teorico. Attraverso le verità astratte e universali la borghesia costruiva in realtà il proprio dominio.

Noi sappiamo ora – commenta Engels – che questo regno della ragione non fu altro che il regno della borghesia realizzato, che la giustizia eterna trovò la sua realizzazione nella giustizia borghese; che l’eguaglianza andò a finire nella borghese eguaglianza davanti alla legge; che la proprietà fu proclamata proprio come uno dei più essenziali diritti dell’uomo; e che lo Stato conforme a ragione, il contratto sociale di Rousseau, si realizzò, e solo così poteva realizzarsi, come repubblica democratica borghese.”

Nella lotta contro la nobiltà feudale la borghesia ergeva i suoi interessi particolari a interessi generali, ma in ogni grande movimento borghese scoppiavano moti autonomi che erano l’espressione delle classi più povere, precorritrici del proletariato (Müntzer ai tempi della Riforma protestante, i livellatori nella rivoluzione inglese e Babeuf in quella francese).

Erano fenomeni immaturi che producevano teorie immature, come le descrizioni utopistiche nei secoli XVI e XVII di regimi sociali ideali e le teorie comuniste del secolo XVIII, fino ad arrivare ai tre grandi utopisti presi in esame da Engels: Saint-Simon, Fourier e Owen. Tutti e tre, al pari degli illuministi, volevano emancipare l’intera umanità in un colpo solo. La società prodotta dalla rivoluzione francese e dominata dalla borghesia evidentemente non sembrava essere modellata secondo ragione.

Gli utopisti percepivano il mondo come irrazionale e ingiusto ma, scrive Engels, “se la ragione e la giustizia effettive non hanno sino ad ora regnato nel mondo, ciò proviene solo dal fatto che non se ne è avuta sino ad ora una giusta conoscenza. Mancava proprio quel singolo uomo geniale che ora è apparso e ha riconosciuto la verità; che esso sia comparso ora, che proprio ora sia stata riconosciuta la verità, non è un avvenimento inevitabile che consegua necessariamente dal nesso dello sviluppo storico, ma un puro caso fortunato”.

Per gli utopisti “si trattava di inventare un nuovo e più perfetto sistema di ordinamento sociale e di elargirlo alla società dall’esterno, con la propaganda e, dove fosse possibile, con l’esempio di esperimenti modello”.

Engels riconosce agli utopisti alcune anticipazioni geniali; come abbiamo ricordato, le loro idee erano espressione dello scarso sviluppo delle forze produttive, ma il loro modo di vedere influenzò il pensiero socialista ben oltre quella fase storica al punto da produrre “una specie di socialismo medio eclettico, quale effettivamente regna sino ad oggi nella testa della maggior parte degli operai socialisti in Francia e Inghilterra […]. Per fare del socialismo una scienza, bisognava anzitutto farlo poggiare su una base reale”.

Materialismo e socialismo

Nella prefazione all’edizione inglese del 1892 a L’evoluzione, Engels rievoca la nascita del materialismo moderno, la cui culla è l’Inghilterra. Per sviluppare la produzione, la borghesia aveva bisogno di una scienza in grado di comprendere il modo di agire delle forze della natura, e questo poteva avvenire solo svincolandosi dalla morsa della Chiesa e utilizzando un metodo materialista. Bacone, con le sue riflessioni sulla scienza sperimentale, e dopo di lui Hobbes e Locke furono i padri dei materialisti francesi del secolo XVIII. Anche i più coerenti tra questi però nella loro concezione della storia non andavano oltre le idee che erano proprie dell’idealismo pre-hegeliano, per cui la storia evolve attraverso lo sviluppo della mente umana e della ragione. Questa concezione fu assorbita in gran parte anche dagli utopisti, i quali se da un lato sperimentavano modelli di vita e di produzione alternativi, dall’altra si appellavano, è il caso di Owen, ai potenti della terra affinché realizzassero il loro ordine sociale razionale; in sostanza non riuscirono mai a concepire le loro idee come frutto dello sviluppo sociale, né come oggettivamente necessarie.

Plekhanov, in polemica con Eduard Bernstein e con la sua tesi che il socialismo al pari di qualsiasi altro “ismo” non poteva essere considerato una scienza – quanti diritti d’autore gli opportunisti di tutti i paesi e di tutte le epoche dovrebbero pagare al vecchio Eduard! – sottolineò che anche se gli utopisti ebbero il merito di riconoscere almeno parzialmente il ruolo avuto dalla lotta di classe nei processi storici, non avrebbero mai potuto sviluppare una concezione scientifica sulla base della “tirannia del caso” (Fourier).

Se la Francia era la patria delle dottrine politiche socialiste, le conseguenze più profonde sul piano teorico della rivoluzione francese vennero tratte in Germania. Fu qui che il socialismo, passando per la critica della filosofia hegeliana, si incamminò verso una visione scientifica. Furono gli idealisti tedeschi a porre su basi nuove il rapporto tra caso e necessità. Engels scrive che il merito maggiore di Hegel “fu la riassunzione della dialettica come forma più alta del pensiero”. Nella concezione dialettica tutta la realtà veniva letta come un processo continuo basato sulla contraddizione di cui era possibile scoprire l’intimo movimento, i nessi e le leggi. La storia non era più il frutto del caso o della libera volontà: la libertà, nella misura in cui era in grado di conoscere le leggi oggettive del processo storico, non era altro che la coscienza della necessità. “Mettendosi da questo punto di vista, la storia dell’umanità appariva non più come un groviglio confuso di violenze insensate che sono tutte ugualmente condannabili davanti al tribunale della ragione filosofica, […] ma come il processo di sviluppo dell’umanità stessa”.

In Hegel però i fenomeni reali erano il riflesso dell’evoluzione dell’Idea: lo sviluppo storico era spiegato con le leggi del pensiero, in altre parole la storia era spiegata con la logica, col paradosso che il movimento dello spirito culminava nello stesso sistema hegeliano. Il vicolo cieco dell’hegelismo riaprì le porte al materialismo, non più al materialismo meccanicistico del secolo XVIII ma alla dialettica materialista applicata alla storia. Tanto le dottrine socialiste quanto quelle dell’economia borghese
(con le loro teorie basate sulla identità di interessi tra capitale e lavoro) non erano in grado di dar conto dello scontro che si andava intensificando tra proletari e borghesi, salito alla ribalta con la rivolta degli operai di Lione del 1831 o la nascita del movimento cartista in Gran Bretagna.

I nuovi fatti costrinsero a sottoporre ad una nuova indagine tutta la storia precedente e si vide allora che tutta la storia precedente, ad eccezione delle età primitive, era la storia delle lotte delle classi, che queste classi sociali che si combattono vicendevolmente sono di volta in volta risultati dei rapporti di produzione e di scambio, in una parola dei rapporti economici della loro epoca; che quindi di volta in volta la struttura economica della società costituisce il fondamento reale partendo dal quale si deve spiegare in ultima analisi tutta la sovrastruttura delle istituzioni giuridiche e politiche, così come delle ideologia religiose, filosofiche e di altro genere di ogni periodo storico”.

La concezione materialistica della storia non era compatibile con le vecchie teorie socialiste perché queste non erano in grado di spiegare le basi economiche dello sfruttamento. La scoperta del ruolo del plusvalore per opera di Marx svelava finalmente il meccanismo fin lì oscuro della produzione capitalistica: il socialismo poteva nascere come scienza, i mezzi per rovesciare il capitalismo andavano trovati non nelle invenzioni di un uomo di genio ma nella realtà materiale della produzione. Come sottolineerà Lenin, il marxismo raccoglieva l’eredità di quanto di meglio l’umanità aveva creato durante il secolo XIX: la filosofia tedesca, l’economia politica inglese e il socialismo francese; le tre fonti e le tre parti integranti del marxismo.

I presupposti economici del socialismo

Nell’ultima parte de L’evoluzione Engels sintetizza in modo efficacissimo come l’affermarsi del modo di produzione capitalistico prepari le condizioni per il socialismo. La borghesia ha reso possibile lo sviluppo delle forze produttive e nel farlo ha dovuto trasformare i mezzi di produzione individuali in mezzi di produzione sociali, allargando sempre più la base della classe operaia e dei salariati. Quanto più il modo di produzione capitalistico si imponeva, “tanto più crudelmente doveva apparire anche l’inconciliabilità della produzione sociale e dell’appropriazione capitalista”. In questa contraddizione fondamentale vi è in nuce la leva per la rivoluzione sociale oggi. Engels descrive l’antagonismo tra l’anarchia della produzione sociale e la crescente organizzazione della produzione nella singola fabbrica; i passaggi sul rapporto tra le macchine e il lavoro umano sono illuminanti, così come quelli sulla dinamica delle crisi nel capitalismo, nelle quali “il modo della produzione si ribella contro il modo dello scambio”. Viene ricostruita la formazione e lo sviluppo dei trust e la trasformazione della libera concorrenza in monopolio, così come la logica delle nazionalizzazioni nel sistema capitalistico. “La proprietà statale delle forze produttive non è la soluzione del conflitto, ma racchiude in sé il mezzo formale, la chiave della soluzione”, che avverrà solo se il proletariato si impadronirà delle forze produttive e dello Stato, fino a renderne superfluo il ruolo di strumento di dominio di una classe sull’altra.

A leggerlo oggi, L’evoluzione conserva tutto il suo smalto, la chiarezza e la profondità. La storia ha dato ragione a Marx ed Engels più che a qualsiasi altro pensatore socialista. Questo piccolo libro è del resto un antidoto a due tendenze opposte che si sono prodotte nel tempo che ci separa dalla sua pubblicazione. Da un lato, l’elaborazione, in forme sempre più sbiadite, di teorie che ripropongono modelli utopistici ideali. Chi nel proprio circolo ristretto pensa di costruire in questo sistema delle isole felici, spazi sottratti al mercato, e via discorrendo, probabilmente senza saperlo non fa che riproporre degli elementi – nemmeno i più avanzati – del socialismo premarxista. Dall’altro lato, L’evoluzione è la miglior risposta a quanti accusano il marxismo di essere utopico. La tesi accomuna riformisti e “innovatori del marxismo” che con l’ascesa e il crollo dello stalinismo si sono profusi in dotte spiegazioni volte a dimostrare che la rivoluzione inevitabilmente tradisce sé stessa. Non ci dilunghiamo sul loro scetticismo, né sull’utopismo di chi pensa di salvare questo sistema moribondo, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza non è stato scritto per loro ma per chi cerca idee rivoluzionarie per il futuro che incombe.

Condividi sui social