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Si scrive rave, si legge dissenso

Quando lo scorso ottobre il presidente Meloni ha annunciato che il suo primo atto di governo sarebbe stato un decreto contro i rave party, a molti è venuto da ridere. Ma ovviamente i rave sono solo un pretesto grossolano per creare nuovi strumenti di repressione da utilizzarsi in modo generalizzato.

Il decreto infatti introduce il nuovo reato di “invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Le sanzioni per gli organizzatori sono la reclusione da 3 a 6 anni e la multa fino a 10.000 euro, per giunta con l’applicazione della misura preventiva della sorveglianza speciale – come per i mafiosi.

È evidente che i rave sono l’ultima preoccupazione del governo e della classe padronale. La loro prima preoccupazione invece sono le mobilitazioni dei lavoratori e dei giovani in una stagione che si preannuncia caldissima.

Non a caso negli stessi giorni in cui i notiziari ci mostravano la polizia intenta a sgomberare pacificamente il party di Modena, ma sotto molti meno riflettori, le manganellate di quella stessa polizia spingevano gli studenti a occupare la facoltà di Scienze Politiche nell’università La Sapienza di Roma.

Occupazioni, picchetti e blocchi stradali da parte di studenti e lavoratori – tutti potenzialmente nel mirino della nuova norma – non saranno episodi isolati nel prossimo periodo.

Dietro la propaganda puerile sui rave party, si nasconde così la volontà del governo di portare in dote ai (suoi) padroni un ulteriore strumento di repressione della lotta di classe, peraltro perfettamente in linea con quelli creati dai governi precedenti allo stesso identico scopo: si veda in particolare il Decreto Sicurezza emanato da Giuseppe Conte, oggi per alcuni paladino della sinistra, quando governava con la Lega.

È palese in effetti come non ci sia nessuna differenza sostanziale, su questo tema, tra tutte le forze dell’arco parlamentare. Lo stesso Presidente della Repubblica Mattarella, da sempre dipinto come un faro di saggezza e moderazione, ha firmato anche quest’ultimo decreto senza fiatare, certificando così anche l’urgenza della norma.

Ma la repressione funziona sempre in due sensi: se da un lato serve a contenere le lotte più timide, dall’altro ha l’effetto di radicalizzare quelle più determinate. Probabilmente è per questo motivo che, praticamente già all’indomani della pubblicazione del decreto, dalla stessa maggioranza di governo è trapelata l’intenzione di smussare gli angoli della norma, diminuendo le pene, eliminando le misure preventive e, forse, circoscrivendo il suo perimetro di applicazione.

Questo è un ulteriore segnale della debolezza della classe dominante e della fragilità di questo governo. Nessuna forma di repressione potrà fermare i lavoratori e i giovani quando si renderanno conto di questa debolezza e della propria forza. Il nostro compito oggi è lottare in ogni contesto per elevare questa consapevolezza, anche a partire dalla lotta contro ogni strumento di repressione.

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