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14 Dicembre 2015Dopo tre mesi di mobilitazioni e diverse settimane di occupazioni scolastiche, gli studenti dello Stato di San Paolo (Brasile) sono riusciti a respingere il piano di “riorganizzazione scolastica” presentato dal governo statale del Psdb, partito della borghesia brasiliana, guidato dal governatore Alckmin.
Il piano, con la scusa di evitare che le singole scuole potessero ospitare studenti di diversi cicli formativi, e prevedendo una redistribuzione degli studenti, prevedeva inizialmente la chiusura di 188 scuole. Una misura dettata in realtà dalla volontà di tagliare la spesa per far pagare il debito pubblico ai figli dei lavoratori, con aule sovraffollate, più difficoltà a raggiungere le scuole e un peggioramento delle condizioni di lavoro.
Già da settembre gli studenti hanno organizzato manifestazioni contro la “riorganizzazione”, prima con alcune centinaia di persone, poi con migliaia, fino al 29 ottobre, quando sono scese in piazza 50mila persone. A quel punto il governo statale ha tentato di trovare un compromesso, riducendo a 94 le scuole da chiudere. Anche così, però, sarebbero stati colpiti dalla “riorganizzazione” 711mila studenti e 74mila professori.
A quel punto gli studenti hanno deciso di occupare le scuole, partendo il 9 novembre con la Scuola Statale Diadema, il 10 con la Fernao Dias, per arrivare nelle settimane successive a occupare più di 220 scuole. Davanti a un governo che cercava di deridere le occupazioni, il movimento si è generalizzato e ha dato prova di maturità organizzando servizi d’ordine, cucina, pulizia, comunicazione e turni per le notti; le occupazioni sono andate avanti anche nei giorni festivi. Questa gestione ha aiutato a rafforzare l’appoggio al movimento anche fra i genitori e i professori.
Il governo a quel punto ha tentato l’arma della repressione, usando la polizia militare, una forza temuta e odiata in Brasile per l’estrema ferocia con cui reprime le lotte sociali ma anche semplicemente i giovani e i più poveri, con migliaia di morti ogni anno. La polizia è entrata in diverse scuole, in alcuni casi armi alla mano. Le manifestazioni sono state attaccate con massiccio uso di lacrimogeni, granate stordenti e spray al peperoncino. Solo l’ultimo giorno di manifestazioni ci sono stati 33 arresti. I video della repressione sono visibili su internet e parlano da soli.
Anche questo non ha però piegato il movimento. Il governo era d’altronde consapevole di rischiare molto intensificando il livello dello scontro, in un paese che nell’estate 2013 ha visto mobilitazioni esplosive, anche se politicamente confuse, che vede peggiorare la situazione economica e aumentare le tensioni sociali. Nell’ultimo anno c’è stato un aumento degli scioperi, che spesso hanno scavalcato la volontà delle direzioni sindacali stesse. L’arma della repressione, giocata in questo contesto contro studenti minorenni che godono di appoggio popolare, rischiava insomma di trasformarsi in un terribile boomerang per il governo statale. Un settore dell’apparato statale si stava peraltro rendendo conto di questo, e infatti nei giorni precedenti il rinvio della misura erano stati presentati ricorsi per la sospensione della “riorganizzazione” da parte di alcune istituzioni giuridiche dello stato di San Paolo.
Il 4 dicembre, con 200 scuole occupate e una popolarità del governo statale crollata al 28%, Alckmin ha deciso una (parziale) ritirata, annunciando che per il 2016 non ci sarà alcuna “riorganizzazione”, e che sarà invece un anno di “confronto”, mentre i cambiamenti sono rinviati di un anno. Poco prima sono arrivate le dimissioni del Segretario statale all’educazione, Herman Voorwald. Questo passo è un’evidente vittoria per il movimento studentesco. Al tempo stesso, non ci può essere alcuna fiducia verso Alckmin, che rinvia lo scontro perché si è sentito in una situazione di debolezza. Il confronto sarà con ogni probabilità una farsa (chi si ricorda la fase di confronto di Renzi sulla Buona scuola, dopo le minacce dei sindacati nell’estate 2014?). L’obiettivo del movimento deve essere il ritiro completo del piano di Alckmin, e semmai una riorganizzazione che metta un limite al numero massimo di alunni per aula, che preveda non la chiusura, ma l’apertura di nuove scuole.
Con questo obiettivo, il movimento dovrà trovare i giusti metodi per andare avanti. Se da un lato c’è una spinta alla prosecuzione a oltranza delle occupazioni, c’è il rischio che questo porti sul medio periodo a uno svuotamento delle occupazioni, il che permetterebbe ad Alckmin di delegittimare il movimento e tornare all’offensiva. Più probabilmente, come sollevano i compagni di Esquerda Marxista, sezione brasiliana della Tmi, intervenuti attivamente nelle occupazioni, oggi è il momento di portare a casa la vittoria parziale e riorganizzare le forze, attraverso una discussione unificata e democratica, che abbracci tutti gli studenti coinvolti, sviluppi dei punti chiari e una organizzazione che permetta di respingere definitivamente altri tentativi del governo statale e che avanzi con forza le rivendicazioni per migliorare l’istruzione pubblica nello Stato di San Paolo e in tutto il Brasile.
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