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Russia: la natura del regime di Putin

Quest’articolo è stato pubblicato originariamente in russo il 23 Aprile 2019 su 1917.com. Descrive il regime di Putin in Russia: la sua nascita, le sue caratteristiche principali e le sue differenze fondamentali con i regimi borghesi tradizionali così come li conosciamo nei paesi occidentali.

La redazione

di Ivan Loh

È impossibile combattere contro il capitalismo russo moderno senza comprendere la sua struttura interna e le forze che lo guidano. Comprendendo i suoi punti deboli, possiamo sviluppare le tattiche che ci aiuteranno a guidare la classe lavoratrice alla vittoria.

Il capitalismo russo è un capitalismo monopolistico. Negli anni ‘90 il capitale industriale e quello bancario si sono fusi, trasformandosi in capitale finanziario, con enormi società che controllano l’economia nazionale. Oggi esiste esattamente la stessa situazione in tutti i paesi a capitalismo avanzato. Tuttavia, se guardiamo le cose più da vicino, vedremo che, nonostante una base economica simile, la sovrastruttura (cioè i sistemi politici) di Russia e Stati Uniti, Corea del Sud, Francia, Turchia, Grecia, Germania, Cina differiscono profondamente.

I politologi cercano di spiegare queste differenze usando termini senza senso come la “maturità della democrazia” o riducendo tutto al carattere nazionale. I marxisti, d’altro canto, cercano una risposta nei rapporti di produzione, osservandoli nel loro sviluppo storico.

Lo Stato borghese

Il capitalismo nella sua giovinezza, quando era appena entrato nell’arena della storia, spesso si affidava a milizie organizzate democraticamente della propria classe sociale – la Guardia Nazionale – per difendere i propri interessi. A livello locale le funzioni repressive erano affidate a giudici e sceriffi eletti. Escludendo elementi proletari e semi-proletari attraverso soglie minime di proprietà o altre qualifiche, la borghesia creò il proprio Stato “relativamente a buon mercato”. Gli Stati Uniti possono essere citati come un esempio di tale sistema statale fino alla fine del diciannovesimo secolo. La stabilità di uno Stato di questo tipo è possibile solo quando la piccola e media borghesia sono numerose.

La concentrazione di capitale, tuttavia, conduce inevitabilmente ad un incremento del peso dei settori proletari e sotto-proletari nella popolazione complessiva. Ovviamente i rappresentanti di questi settori saranno poco propensi a proteggere la proprietà dei capitalisti contro i poveri o i capitalisti stranieri, per lo meno non volontariamente o gratuitamente. Ogni sistema di sfruttamento maturo necessita non solo di corpi di uomini armati, ma anche di carceri e carcerieri, polizia, gendarmi, investigatori e infine di un sistema fiscale, che prenda il denaro dai cittadini di tutte le classi per sorreggere l’intera economia. Anche l’esercito è professionale e, sia che le truppe vengano reclutate su base volontaria sia che esista la leva obbligatoria, il corpo ufficiali è sempre composto da professionisti.

Le istituzioni

A questo punto sorge per la prima volta un problema. La borghesia delega il compito di proteggere le sue proprietà ad un particolare gruppo sociale: ufficiali e funzionari. Ma da dove vengono reclutate queste persone? E come viene garantita la loro lealtà al capitalismo? Inizialmente erano per lo più aristocratici che provenivano dalla classe in declino dei proprietari terrieri, ma anche figli di capitalisti, che vedevano l’ammissione fra i ranghi d’élite dell’esercito o dello Stato come un onore. Provenendo dalle classi proprietarie, erano legati ai capitalisti da un comune stile di vita, dalla stessa educazione e da relazioni famigliari.

Va detto che questi legami in gran parte storici tendono a essere distrutti man mano che il capitalismo si sviluppa, dimostrando sempre di più il suo carattere parassitario. I rampolli dei grandi capitalisti non hanno più molta voglia di svolgere un servizio pubblico o militare. Gradualmente, attraverso il processo di selezione delle accademie militari e delle università elitarie, sempre più elementi provenienti dalle classi inferiori e dalle minoranze nazionali sono penetrati in queste istituzioni statali e sono stati assimilati con successo dal sistema.

La democrazia borghese

Ad un certo punto dello sviluppo storico, la pressione della classe lavoratrice costringe la borghesia ad accettare la sua partecipazione alle elezioni. Da questo momento in avanti, la maggior parte degli elettori sono proletari o piccoli borghesi dalle città e dai villaggi, professionisti e contadini. Ora nelle elezioni a tutti i livelli, i vari candidati non possono basarsi solo sui voti della borghesia. L’inganno sistematico dell’elettorato è un lavoro che richiede molto tempo e non può sempre essere coniugato con la gestione dei propri affari. La politica diventa quindi una professione. Il processo inizia con la formazione di partiti borghesi.

I politici borghesi ricevono denaro, individualmente o collettivamente, in modo organizzato dai capitalisti attraverso i fondi elettorali e, se vincono le elezioni, agiscono come una lobby per gli interessi di un particolare capitalista e, allo stesso tempo, dei capitalisti nel loro insieme. I media borghesi e gli “esperti di politica” svolgono il ruolo principale nel trasformare i soldi dei loro sponsor capitalisti in voti. Naturalmente un politico che non ripaga la fiducia riposta dal capitale nei suoi confronti, viene immediatamente privato dei fondi e, di conseguenza, dell’accesso ai media.

La soluzione ideale per la borghesia è un sistema basato su due partiti, in cui gli elettori, delusi dalle politiche contro i lavoratori di un partito borghese, possono votare per l’altro, e, dopo qualche anno, di nuovo per il primo. Un sistema di questo tipo esiste negli Stati Uniti.

Se invece in un paese nasce un partito di massa dei lavoratori, allora la borghesia si trova di fronte alla necessità di incorporare i suoi dirigenti nell’establishment. Questo è facilitato dal sistema a livelli della democrazia borghese, dove gli ex dirigenti dei lavoratori, passando per i consigli locali e regionali, vengono gradualmente corrotti, sia direttamente che indirettamente, e legati alla classe dominante e al suo establishment.

La Russia

Bisogna evidenziare che un vero establishment, come fenomeno storico, sociale e anche culturale, non esiste in Russia. Certamente alcuni ex generali sovietici hanno rubato e venduto mezzi e materiali delle unità militari stanziate in Germania. Tuttavia nemmeno la sistematica partecipazione dei funzionari statali alle privatizzazioni ha portato alla formazione di un establishment in quanto tale. Privatizzando le aziende che dirigevano, i dirigenti statali sono semplicemente diventati capitalisti, formando una nuova classe capitalista. In seguito molti di loro, sia volontariamente che sotto la pressione di una nuova generazione di burocrati, hanno venduto le loro proprietà in Russia e sono emigrati, andandosi ad unire alle fila degli speculatori occidentali.

Qui, proprio come in Occidente, c’è un collegamento fra il capitalismo e la burocrazia statale, ma è un diverso tipo di collegamento, che trasforma i dirigenti statali in capitalisti. Significativamente il processo è molto spesso violento, accompagnato da un esproprio totale o parziale di singoli capitalisti. Basta aprire un qualunque numero della Novaya Gazeta per leggere storie strappalacrime sulla dura vita di uomini d’affari eccessivamente avidi che languono nelle prigioni o nelle colonie penali russe. Ovviamente, questo avviene perché la classe dominante non ha modo di controllare i livelli più alti della burocrazia. Ma come si è venuta a creare questa situazione?

Privatizzazioni

A differenza di molti paesi dell’Europa dell’Est, dove la capitolazione delle masse all’imperialismo occidentale rese possibile privatizzare l’industria nell’interesse delle multinazionali occidentali, i maggiori beneficiari delle privatizzazioni in Russia furono i direttori d’azienda, i funzionari e i dirigenti di partito di alto livello. La burocrazia stalinista, o “la nomenklatura” come era anche conosciuta, privatizzò le fabbriche nel proprio interesse. Una parte più piccola della proprietà fu distribuita, attraverso azioni, ai dipendenti delle stesse aziende.

Divenne presto chiaro che l’estrema frammentazione del capitale non corrispondeva affatto all’alto livello di sviluppo economico. Per esempio, l’Aeroflot fu divisa in varie centinaia di imprese regionali, la maggior parte delle quali possedeva due o tre aerei. In assenza di investimenti di capitale e data l’arretratezza del sistema bancario, il valore del patrimonio era in caduta costante. I successivi oligarchi comprarono azioni con denaro ricevuto dalla vendita di rottami metallici o attraverso piramidi finanziarie. Tutte queste attività sarebbero state impossibili senza un legame con la burocrazia. Alla fine risorse chiave furono messe all’asta e privatizzate in favore degli oligarchi, che le pagavano con denaro prestato dallo Stato.

“I sette banchieri”

Durante gli ultimi anni del governo Eltsin, i grandi capitalisti iniziarono a prendere il controllo del sistema politico del paese. Gli oligarchi usarono diversi metodi per ottenere questo risultato: Gusinsky attraverso il controllo dei media, Khodorkovsky attraverso le classiche attività lobbistiche in parlamento (trasversali a tutti i gruppi parlamentari) e Berezovsky attraverso il controllo dei “siloviki” (politici provenienti dall’apparato militare) e delle élite regionali. Il problema fu che i banchieri stavano letteralmente rosicchiando lo Stato dall’interno, costringendolo ad emettere GKO (titoli di Stato) a tassi di interesse sempre più alti.

L’agosto del 1998 si concluse con il default dello Stato. Avendo mandato le loro banche in bancarotta, gli oligarchi “cancellarono” i loro debiti con lo Stato, diventando ancora più ricchi. Le imprese di medie dimensioni subirono una perdita di liquidità nei conti bancari, il rublo crollò, la domanda precipitò e anche le piccole imprese fallirono. Questo pregiudicò completamente il sostegno al regime di Eltsin, non solo fra la classe lavoratrice, ma anche fra la maggior parte della borghesia. Riluttante, Eltsin dovette rassegnarsi a un compromesso, accettando il governo tecnico Primakov-Maslyukov.  Gli oligarchi controllavano il presidente, che però non controllava il governo. Allo stesso tempo gli oligarchi necessitavano di un governo liberale che consentisse loro di fare l’ultimo passo sulla strada della trasformazione da banditi con eserciti e sicari privati a rispettabili miliardari, di scambiare capitali con le multinazionali occidentali garantendo così la propria integrità.

Il passaggio del potere a Putin

In questa situazione Berezovsky e compagnia svilupparono un piano per trasferire il potere a un liberale “forte”. Berezovsky, comunque, commise un errore: non lesse la dissertazione di Putin dell’anno precedente. Putin si rivelò veramente un liberale, ma non come Pinochet, più come Chung Doo-hwan (un ex generale dell’esercito della Corea del Sud che fu presidente dal 1980 al 1988). Non era un caso. Putin, come altri funzionari del FSB (ex KGB, Ndt), vedeva come erano fragili i rapporti di proprietà in Russia, quindi capì che avrebbe potuto giocare un ruolo ben più importante di quello di una semplice marionetta, con Berezovsky a tirare i fili.

Questa non è la sede per discutere come Berezovsky e Putin riuscirono a scatenare una “piccola guerra vittoriosa” in Cecenia. Comunque, il consolidamento dello Stato ebbe conseguenze completamente diverse da quelle che si aspettavano gli oligarchi. Chi non accettò le nuove regole del gioco, o ritirandosi completamente dalla politica o seguendo i diktat di Putin in ogni dettaglio, fu sconfitto e le sue proprietà furono confiscate. L’esempio più famoso è quello di Khodorkovsky e della sua Yukos, ma molti altri oligarchi soffrirono lo stesso destino.

Il settore pubblico e la “re-nazionalizzazione”

Le aziende associate prevalentemente alla produzione di idrocarburi tornarono in gran parte sotto il controllo dello Stato. Le aziende statali e a partecipazione statale (un pacchetto di controllo noto come “golden share”) operano alle condizioni del mercato. Questo è fatto formalmente nell’interesse degli azionisti, ma nei fatti è nell’interesse dei top manager, le cui nomine sono nelle mani dello Stato, non in quelle degli azionisti di minoranza. Nazionalizzazioni di questo tipo non hanno niente a che vedere  con un’economia pianificata.

La proprietà statale qui serve prevalentemente al controllo diretto o indiretto da parte del grande capitale privato (per esempio, attraverso le tariffe sull’energia elettrica per l’industria metallurgica e le ferrovie). È solo secondariamente uno strumento per la gestione statale dell’economia, lo sviluppo delle sue aree prioritarie e così via.

Bonapartismo

Una situazione dove la classe dominante perde il controllo dello Stato e diventa dipendente da esso, è ben nota nella storia. Il concetto di bonapartismo borghese fu introdotto da Marx nel suo 18 brumaio per descrivere il regime politico del Secondo Impero francese, quando funzionari e governatori erano nominati dall’imperatore, ma i candidati ufficiali dell’imperatore ed altri candidati partecipavano alle elezioni parlamentari. La classe capitalista dominante manteneva la proprietà, ma per difendere i propri interessi era costretta ad affidarsi totalmente all’imperatore.

La ragion d’essere per l’instaurazione del regime bonapartista consisteva nell’incapacità della borghesia di mantenere il controllo sul proletariato (e quindi di garantire l’inviolabilità della proprietà privata) dopo la vittoria della rivoluzione del 1848 e il collasso della limitata democrazia borghese della Seconda Repubblica. La borghesia acconsentì in silenzio alla restrizione della libertà di agitazione, riunione e associazione, solo in quanto comprendeva che era l’unico modo per impedire la presa del potere da parte del proletariato a Parigi e Lione, dove esso costituiva la maggioranza della popolazione.

Essendosi impegnato a preservare l’esistente società classista, Luigi Bonaparte unì la repressione politica contro i comunisti alla legalizzazione dei sindacati (nella seconda metà del suo regno) e al riconoscimento del diritto di sciopero per i lavoratori per la prima volta nell’era moderna. Cercando di apparire come un politico forte, l’imperatore perseguì una politica estera attiva, il cui gioiello della corona fu “una piccola guerra vittoriosa” con la Prussia, che portò alla sconfitta dell’esercito francese e alla Comune di Parigi.

Struttura e sovrastruttura

Lo Stato è uno strumento nelle mani della classe dominante. Questa frase è senza dubbio vera in generale. Tuttavia, se guardiamo alla storia delle società divise in classi sociali, troveremo intere epoche in cui lo Stato, cioè la burocrazia, riuscì a soggiogare la classe dominante, paralizzare la sua volontà e governare il paese senza la sua effettiva partecipazione. Un esempio è il tardo impero romano, quando il Senato, l’autorità democratica della classe schiavista, quasi giocò il ruolo di buffone sotto gli imperatori, che erano elevati al potere e deposti dalla guardia pretoriana.

Un altro esempio è l’assolutismo europeo con il suo “Re Sole”, che grazie alla burocrazia si elevò al di sopra dei baroni, privò questi ultimi non solo del diritto di raccogliere le tasse e giudicare gli imputati, ma anche – che vergogna! – di combattere duelli! Se guardiamo alla storia del ventesimo secolo, possiamo citare Chiang Kai-Shek, che unì un’economia capitalista basata sul mercato con un sistema politico in cui tutto il potere era nelle mani della burocrazia del partito Kuomintang.

I regimi bonapartisti possono sembrare estremamente stabili, ma dietro al loro apparentemente solido sostegno politico, sono inevitabilmente attraversati da contraddizioni interne. Da una parte ci sono aperta corruzione e la confisca delle proprietà da parte di dirigenti statali, con la borghesia che non ha altro modo di limitare il loro dispotismo se non attraverso “petizioni a Bonaparte”. Dall’altra, “Bonaparte” si pone davanti alle classi oppresse come la figura politica responsabile di tutto. Diversamente dal capitalismo liberale, la responsabilità non è individuale. Il capo deve assicurare, se non la prosperità, almeno alcuni elementi di stato sociale. Se il trono di marzapane crolla, allora devi sederti sulle baionette! In condizioni di prolungata crescita economica, i regimi bonapartisti possono trasformarsi pacificamente in democrazie liberali, ma nel corso di una crisi, il crollo è più probabile.

Di nuovo su Putin

Abbiamo visto come i grandi capitalisti si sono affidati a Putin, pensando che dopo la crisi si sarebbe trovato in condizioni di completo isolamento politico e circondato dall’ostilità delle masse. Spostando l’attenzione delle masse sulla Cecenia, Putin stabilizzò la situazione politica e poi la caduta dei salari reali e la disponibilità di investimenti nella produzione portarono alla crescita economica, che fu anche aiutata dall’alto prezzo del petrolio. Comunque questo periodo di crescita fu interrotto dalla crisi economica globale, che colpì anche l’economia russa.

Da una parte questo rese la piccola e media borghesia molto scettica e delusa nei confronti di Putin. Dall’altra, le autorità compresero quanto l’economia russa fosse dipendente dal mercato mondiale. Le conseguenze di ciò furono le proteste di massa del 2011-12 e la ricerca da parte di Putin di una nuova base sociale – e nuovamente di una “piccola guerra vittoriosa”.

La Crimea e le sanzioni

Dal punto di vista del grande capitale russo, che perse molti dei suoi investimenti in Ucraina nel 2004, l’annessione della Crimea fu una folle avventura, che ebbe come conseguenza le sanzioni economiche cui seguì la stagnazione dell’economia. Putin probabilmente aveva previsto tutto questo e di conseguenza fu in grado di prendere due piccioni con una fava: innanzitutto riconquistare un appoggio di massa da parte dei russi, spaventati dal Maidan e ispirati dal referendum in Crimea, e poi iniziare il rimpatrio di capitali in Russia, dato che le sanzioni limitavano l’accesso a capitale straniero a buon mercato, assumendo così il controllo delle ultime grandi aziende indipendenti nella vendita al dettaglio (per esempio, Magnit) e nelle comunicazioni (Tele2).

La crescita della base sociale del regime ha avuto come conseguenza la creazione di un certo numero di movimenti di massa a sostegno del presidente, ma è chiaro che Putin non cerca di utilizzare nemmeno il 10 percento delle capacità di questi movimenti. Putin non vuole creare un distaccamento armato dei suoi sostenitori, preferisce rinforzare la Guardia russa.

Bonapartismo e fascismo

Come fece notare Trotskij, il fascismo inizia come movimento di protesta di massa della piccola borghesia, che in una crisi si trova fra il proletariato rivoluzionario e il grande capitale e cerca una via d’uscita radicale con la creazione di squadracce fasciste, composte soprattutto da elementi sottoproletari. Non essendo in grado di arrivare al potere con le loro forze, i fascisti cercano l’opportunità di fare un accordo col grande capitale. Per quest’ultimo si tratta di una misura estrema; per quanto possibile, i grandi capitalisti cercano di limitarsi al classico tipo di bonapartismo Papen-Schleicher (dal nome dei cancellieri che governarono in maniera autoritaria in Germania all’inizio degli anni ‘30, NdT) e solo nella situazione disperata di una minaccia comunista accettano il rischio di affidarsi alle squadre d’assalto fasciste. Nel suo ultimo articolo, Trotsky spiegò che, sebbene il fascismo avesse elementi di bonapartismo, non poteva essere ridotto ad esso.

Quello cui Putin guarda oggi come ad uno strumento per sopprimere un potenziale movimento della classe lavoratrice, non è il Movimento di Liberazione Nazionale [NLM, partito di estrema destra, NdT], ma alla Guardia Nazionale (Rosguard) [una forza militare interna che riferisce direttamente al presidente in qualità di comandante supremo del Consiglio di sicurezza, NdT]. Il suo regime è più simile a quello di von Schleicher che ad un regime fascista. Il movimento di massa della classe lavoratrice non ha ancora posto la questione del potere e così Putin può ancora contare pienamente sulla macchina dello Stato borghese.

Topi in trappola

Quindi cosa sta minacciando il regime? Innanzitutto, la “guerra dei poliziotti”, ovvero le lotte tra dipartimenti e clan nel contesto di una riduzione della “miniera d’oro”. Ci sono sempre meno aziende di medie dimensioni e questo rende sempre più difficile il ricorso alla corruzione. Tentativi di appropriazione “non in base al proprio rango” ora finiscono con condanne al carcere. Ogni anno vengono aperte nuove colonie penali per quanti sono coinvolti nei casi di corruzione, ma i posti ancora non bastano. In tali circostanze, è particolarmente difficile preparare la successione a Putin e un passaggio dei poteri.

La necessità di un successore potrebbe sorgere per varie ragioni: una nuova piccola guerra potrebbe non essere vittoriosa, ci potrebbe essere un crollo dell’economa, oppure la salute di Putin potrebbe guastarsi. È per questo che i “veri” politici russi non si stanno concentrando su Putin, ma sulla figura del suo possibile successore. È qui che si stanno creando coalizioni e si conduce una guerra basata su “materiali compromettenti”.

La classe lavoratrice

L’economia mondiale si sta muovendo verso un’altra crisi, la quale porterà rapidamente ad un crollo del prezzo del petrolio e ad una crisi dell’economia russa. La crescita della disoccupazione e la caduta del tenore di vita porteranno gli abitanti delle zone rurali a scendere in piazza, ma poi il movimento raggiungerà i centri industriali. Senza sostegno dal basso, il regime sarà costretto ad affidarsi alla forza bruta, cioè alla Rosguard.

A quel punto, non solo ogni ufficiale, ma anche ogni soldato si troverà di fronte ad una scelta. A quel punto quanto abbiamo precedentemente affermato, e cioè l’assenza in Russia di un legame fra il corpo ufficiali e la borghesia, diventerà evidente. La precondizione perché questo avvenga è un movimento della classe lavoratrice, socialmente e culturalmente vicino alle truppe di origine proletaria, che saranno pronte ad unirsi ai loro fratelli di classe nella lotta per una rivoluzione sociale.

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