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Rivoluzione e vita quotidiana – 3.

Rivoluzione e vita quotidiana è un libro che  raccoglie una serie di articoli di Lev Trotskij apparsi sulla Pravda nel 1923 e che si basavano su quanto emerso durante alcune discussioni tenute con propagandisti nel corso di riunioni organizzate a Mosca; tali articoli furono poi pubblicati nel 1924 in una edizione inglese dal titolo Problems of Life. A quelli apparsi sulla Pravda sono stati aggiunti ulteriori tre articoli: I compiti dell’educazione comunista e La trasformazione della morale, tratti dal bollettino in lingua inglese Inprecorr, edito a cura dell’Internazionale Comunista, e Cultura e Socialismo, dal Novij Mir del gennaio 1927.Rivoluzione e vita quotidiana  rappresenta una preziosa testimonianza dei compiti storici che la rivoluzione vittoriosa mise di fronte al potere sovietico e dello sforzo che i bolscevichi misero in atto per corrispondervi.

di Lev Trotskij

Indice

Nota introduttiva

Non si vive solo di politica

Usi, costumi, abitudini

Vodka, Chiesa e cinema

Dalla vecchia alla nuova famiglia

Famiglie e cerimonie religiose

Un comportamento civile e gentile è l’indispensabile lubrificante dei rapporti quotidiani

La battaglia per un linguaggio colto

Contro la burocrazia di ogni genere

Come iniziare

I compiti dell’educazione comunista

La trasformazione della morale

Cultura e socialismo

 

Come iniziare

I problemi della vita operaia, specialmente quelli relativi alla vita familiare, hanno cominciato a interessare, se non addirittura ad assorbire; i corrispondenti dei giornali operai. Questo interesse è in larga misura giunto inaspettato.

Il corrispondente medio del giornale operaio incontra grandi difficoltà nei suoi tentativi di descrivere la vita operaia. Come affrontare il problema? Come iniziare? Su cosa richiamare l’attenzione? Le difficoltà non riguardano lo stile letterario, che costituisce un problema a sé, ma sorgono dal fatto che il partito non ha ancora preso in considerazione in modo specifico i problemi della vita quotidiana delle masse operaie. Non abbiamo mai trattato questi problemi in modo concreto come abbiamo fatto per quelli relativi ai salari, alle multe, alla durata della giornata lavorativa, alla persecuzione poliziesca, alla costituzione dello Stato, alla proprietà terriera, e così via. Non abbiamo ancora fatto nulla del genere per ciò che riguarda la famiglia e la vita privata del singolo operaio.

Nello stesso tempo è indispensabile rilevare che il problema in sé è estremamente vasto non fosse che per il fatto di riguardare due terzi della vita, cioè sedici delle ventiquattro ore della giornata. Abbiamo già osservato l’esistenza del pericolo di un tentativo di interferenza grossolana e quasi brutale nella vita privata dell’individuo. In alcune occasioni – fortunatamente rare – corrispondenti di giornali operai hanno trattato le questioni della vita familiare nello stesso modo in cui si occupano di quelle relative alla produzione e alla fabbrica, cioè hanno scritto articoli sulla vita di questa o quella famiglia facendo il nome di ogni suo componente. Si tratta di un’abitudine sbagliata, pericolosa e ingiustificabile. I direttori di fabbrica e i componenti di comitati operai svolgono funzioni pubbliche, sono continuamente di fronte all’opinione pubblica e sono esposti a critiche che debbono essere manifestate liberamente. La vita familiare è tutt’altra cosa.

Ovviamente anche la famiglia svolge funzioni pubbliche in quanto assicura la continuazione della popolazione e in parte educa le nuove generazioni. Da questo punto di vista lo Stato operaio ha perfettamente ragione di tenere in mano le redini del controllo e della regolazione della vita familiare nel campo dell’igiene e dell’istruzione. Ma lo Stato deve essere assai cauto quando fa incursioni nella vita familiare; deve adoperare grande tatto e moderazione; le sue interferenze debbono tendere solamente ad assicurare alla famiglia condizioni di vita più normali e dignitose; deve tutelare l’igiene ed occuparsi di altri problemi della vita degli operai e così gettare le fondamenta per la formazione di generazioni più felici in condizioni sanitarie e igieniche migliori.

Per ciò che riguarda la stampa, si debbono condannare le sue incursioni casuali e arbitrarie nella vita familiare quando la famiglia stessa non le desidera.

Nella vita privata della gente che è legata da vincoli familiari nuocciono enormemente, se non vengono attentamente spiegate, le maldestre e inopportune interferenze della stampa che possono solamente aumentare il numero delle perplessità. Va inoltre aggiunto che la mancanza di qualsiasi possibilità di controllo su informazioni del genere, a causa del carattere estremamente privato della vita familiare, può far sì che corrispondenze di questo tipo, cadute in mani senza scrupoli, possano diventare mezzi per la regolazione di conti privati, per ridicolizzare, ricattare, compiere vendette e così via.

In alcuni dei numerosi articoli che sono stati pubblicati di recente su questioni relative alla vita familiare ho notato la ripetizione del concetto secondo cui per il partito è importante non solo l’attività pubblica, ma anche la vita privata dell’individuo. Si tratta di un’affermazione di innegabile giustezza, tanto più che le condizioni della vita individuale si riflettono sulle attività pubbliche dello stesso individuo. Il problema consiste nel come reagire nei riguardi della vita individuale. Se le condizioni materiali, il livello culturale, la situazione internazionale impediscono di mutare radicalmente la vita, ne consegue che la trattazione pubblica di problemi riguardanti singole famiglie e loro componenti non porterà a nessun risultato pratico e minaccerà di far penetrare nel partito tutta una serie di frasi fatte e di luoghi comuni che costituiscono una malattia da cui dobbiamo ben guardarci.

Questa malattia, come tante altre, si presenta sotto forme diverse. I luoghi comuni a volte sorgono da motivi elevati e da una sollecitudine sincera, ma sbagliata, verso gli interessi del partito; ma a volte succede invece che gli interessi del partito vengano adoperati per coprire quelli personali, di gruppo, o di settori della burocrazia. Suscitare interesse nell’opinione pubblica sulle questioni della vita familiare attraverso un’attività da predicatore non serve che a intossicare il movimento attraverso la somministrazione del veleno letale dei luoghi comuni. Un’attenta indagine nel campo delle consuetudini familiari deve avere come scopo l’informazione e l’aggiornamento del partito, deve migliorare dal punto di vista psicologico l’individuo e aprire la strada a un nuovo orientamento nelle istituzioni statali, nei sindacati e nelle cooperative. Per nessuna ragione si deve incoraggiare un’attività basata su luoghi comuni.

In queste circostanze, cosa dobbiamo fare per illuminare e migliorare la famiglia? Come dobbiamo iniziare il nostro lavoro? Essenzialmente le strade sono due. La prima è quella degli articoli o dei racconti a carattere popolare. Ogni operaio maturo e pensante ha immagazzinato nella memoria una serie di impressioni di vita familiare che vengono rinfrescate dalle osservazioni che egli fa quotidianamente. Prendendo come base questo materiale, possiamo elaborare articoli che trattino della vita familiare nel suo complesso e che si occupino dei suoi mutamenti e dei suoi aspetti particolari, dando esempi significativi senza tuttavia fare nomi di persone o di famiglie. Nel caso si debbano fare nomi, si dovrà ricorrere a pseudonimi in modo da non rivelare il vero nome delle persone o delle famiglie di cui ci si sta occupando. La Pravda, nelle sue edizioni provinciali, ha pubblicato molti articoli interessanti e validi da questo punto di vista.

La seconda strada consiste nell’occuparsi di una famiglia, e questa volta facendone il nome, così come viene presentata all’opinione pubblica. Una catastrofe familiare porta una determinata famiglia di fronte all’opinione pubblica e al suo giudizio; ciò accade nel caso di omicidi, suicidi, processi, atti derivanti dalla gelosia, dalla crudeltà; dal dispotismo dei genitori e così via. Gli strati di una montagna possono essere meglio visti dopo una frana; nello stesso modo le catastrofi familiari mettono in maggior risalto le caratteristiche comuni a migliaia di famiglie che sono sinora riuscite a sfuggire a queste catastrofi.

In passato abbiamo già accennato al fatto che la nostra stampa non ha il diritto di ignorare i fatti e gli episodi che giustamente provocano agitazione nell’alveare umano. Quando una moglie abbandonata si rivolge al tribunale per costringere il marito a contribuire al sostegno dei bambini; quando la moglie cerca protezione pubblica dalla crudeltà e dalla violenza del marito; quando la crudeltà dei genitori verso i figli diventa una questione che si pone all’attenzione del pubblico o, viceversa, quando genitori malati e sofferenti lamentano la crudeltà dei figli, la stampa non solo ha il diritto ma anche il dovere di occuparsi di tali questioni e di far luce sugli aspetti di cui il tribunale o altri istituti pubblici non si occupano sufficientemente.

I fatti emersi durante le udienze di un tribunale non vengono sufficientemente utilizzati per trattare i problemi della vita; meriterebbero invece una collocazione importante. In un periodo di ascesa e di ricostruzione dei rapporti della vita quotidiana, il tribunale sovietico dovrebbe divenire un fattore importante nell’organizzazione di nuove forme di vita, nell’evoluzione di nuove concezioni a proposito di ciò che è giusto o sbagliato, di ciò che è vero o falso. La stampa deve seguire l’attività dei tribunali, fiancheggiarne il lavoro e in un certo senso dirigerlo, aiutando a chiarirne alcuni aspetti. Iniziative del genere forniscono un campo vasto ad attività educative. I nostri giornalisti migliori dovrebbero creare una specie di rubrica che si occupa delle udienze dei tribunali. E’ ovvio che in ciò debbono essere evitati i metodi del giornalismo tradizionale: ciò di cui abbiamo bisogno è immaginazione e coscienza. Trattare pubblicamente, in modo ampio e rivoluzionario, cioè in modo comunista, le questioni della famiglia non significa escludere gli aspetti psicologici e non considerare l’individuo e il suo mondo interno.

Citerò ora un piccolo esempio di cui sono venuto a conoscenza di recente. A Piatigorsk una giovane di diciassette anni si è uccisa perché la madre rifiutava il consenso al matrimonio con un comandante dell’Armata Rossa. Nel commentare questo episodio, il giornale locale Terek ha finito inopinatamente col rimproverare al comandante dell’Armata Rossa di aver consentito di unirsi con una ragazza proveniente da una famiglia così arretrata! Avrei voluto scrivere una lettera al direttore di questo giornale per esprimere la mia indignazione non solo in difesa del comandante dell’ Armata Rossa, che non conoscevo, ma per chiedere la pubblicazione di una valutazione esatta del caso. Non è stato necessario questo mio intervento perché due o tre giorni dopo sullo stesso giornale è apparso un articolo che si occupava della questione in un modo assai più corretto. Si debbono instaurare nuovi rapporti con il materiale umano di cui disponiamo; il comandante dell’Armata Rossa non fa eccezione a questa regola; naturalmente i genitori hanno il diritto di interessarsi del destino dei loro figli e di influenzarlo con la loro esperienza e con il loro consiglio, ma i giovani non sono affatto obbligati a sottomettersi ai genitori, specialmente per ciò che riguarda la scelta di un amico o di un compagno di vita; il dispotismo dei genitori non deve essere combattuto con il suicidio, ma con l’unione dei giovani, con l’appoggio reciproco e così via. Tutto ciò è assai elementare ma assolutamente vero. Non c’è dubbio che un articolo di questo genere, pubblicato subito dopo un episodio commovente di cui si è occupata tutta la cittadina, abbia contribuito a far riflettere il lettore, specialmente il lettore giovane, più di quanto non possono fare le frasi irritanti a proposito degli elementi piccolo borghesi, ecc.

Si sbagliano profondamente i compagni che sostengono che non sia utile “chiarificare” le questioni della vita familiare in quanto “noi” le conosciamo e le abbiamo già risolte molto tempo fa. Essi dimenticano semplicemente che dal punto di vista politico abbiamo ancora da fare moltissima strada! Se la vecchia generazione, le cui file si restringono sempre più, ha appreso il comunismo dai fatti della lotta di classe, la nuova generazione è destinata ad apprenderlo dagli elementi della costruzione della vita quotidiana. Le formule del nostro programma sono, in linea di principio, vere. Dobbiamo però in continuazione verificarle, rinnovarle, renderle concrete nell’esperienza viva e diffonderle in settori sempre più vasti.

Ci vorrà molto tempo, grande concretezza e specializzazione per gettare le nuove fondamenta dei costumi. Dobbiamo formare nostri propagandisti e agitatori specializzati nelle questioni dei costumi, così come abbiamo preparato i nostri agitatori per l’esercito, per i settori industriali, per la propaganda antireligiosa. Poiché le donne sono in condizioni di inferiorità per i limiti di cui soffrono attualmente, e i costumi costituiscono una pressione maggiore nei loro riguardi, possiamo presupporre che gli agitatori più adatti in questo campo dovrebbero provenire dalle loro file. Noi non vogliamo entusiasti e fanatici, vogliamo gente che abbia un’apertura mentale sufficientemente ampia, che sappia come comportarsi nei riguardi della tenacità che presentano i costumi, che introducano considerazioni creative in ogni peculiarità, in ogni dettaglio dei vincoli familiari invisibili ad occhio nudo. E’ indispensabile avere gente del genere, e l’avremo, perché le esigenze e le questioni attuali sono troppo pressanti e brucianti. Ciò non significa ovviamente che svuoteremo subito le montagne in quanto non si può sfuggire al peso delle condizioni materiali. Tuttavia avremo tutto ciò che sarà possibile ottenere tenendo conto dei limiti attuali quando saremo riusciti a rompere il silenzio di tomba che circonda i nostri attuali costumi.

Dobbiamo accelerare l’educazione degli agitatori contro i costumi e render loro più facile il lavoro. Dobbiamo creare biblioteche dove si possa radunare tutto il materiale disponibile relativo ai costumi quotidiani – opere classiche sull’evoluzione della famiglia e scritti popolari sulla storia dei costumi – per condurre un’indagine sui vari aspetti della nostra vita quotidiana. Dobbiamo tradurre tutte le opere di valore che siano state recentemente pubblicate in lingua straniera su tale argomento. Più tardi potremo sviluppare dei settori della nostra stampa dedicati a questi problemi. Chissà? Forse in uno o due anni saremo capaci di organizzare corsi e conferenze sulle questioni relative ai costumi e alle abitudini della vita quotidiana.

Ma tutto ciò che ho detto si limita a toccare il campo dell’educazione, della propaganda, della stampa, dei libri. Che cosa dobbiamo fare per ciò che riguarda l’aspetto pratico? Alcuni compagni sostengono la necessità della formazione immediata di una lega per l’introduzione di nuove forme di vita. Questa proposta mi sembra piuttosto prematura perché il terreno non è stato sufficientemente preparato e le condizioni generali non sono abbastanza propizie. In linea di massima la formazione di uno strumento organizzativo del genere sarà inevitabile prima o poi. Non possiamo permetterci di attendere che tutto ci venga dato dall’alto, su iniziativa governativa. Le nuove strutture sociali debbono svilupparsi simultaneamente su tutti i lati. Lo Stato proletario è l’impalcatura, non la struttura stessa. L’importanza di un governo rivoluzionario in un periodo di transizione è enorme; anche il settore migliore degli anarchici internazionalisti ha cominciato a comprendere questa verità, proprio per la loro esperienza. Ciò non significa quindi che tutto il lavoro di costruzione sarà affidato dallo Stato. Il feticcio dello Stato, anche quando si tratta di uno Stato proletario, non è degno di noi marxisti. Anche nel campo degli armamenti, che costituisce un settore tipico dell’attività dello Stato, abbiamo dovuto – e con successo – fare ricorso all’iniziativa volontaria dell’operaio e del contadino. Il lavoro preliminare dello sviluppo dell’aviazione è stato condotto anch’esso su questa base. Non c’è dubbio che l’Associazione degli amici dell’aereo abbia un brillante avvenire. Gruppi e associazioni a carattere volontario, siano essi locali o federali, in campo industriale, in quello dell’economia nazionale, e particolarmente in quello degli usi e costumi quotidiani, sono destinati a giocare un grosso ruolo. Possiamo già distinguere una tendenza verso la libera cooperazione, da parte dei direttori rossi, dei corrispondenti operai, degli scrittori proletari e contadini, ecc. Si è recentemente formata una lega con lo scopo di studiare l’Unione Sovietica per influenzarne ulteriormente ciò che noi chiamiamo il carattere nazionale. Si pensa ad esempio che prima o poi – direi più prima che poi – il dipartimento statale che si occupa del cinema verrà aiutato dall’Associazione degli amici del cinema rosso, di recente costituzione, associazione che è destinata a diventare una poderosa istituzione rivoluzionaria.

Associazioni volontarie del genere non possono che essere salutate con gioia e interesse. Esse contraddistinguono il risveglio delle attività pubbliche nei vari settori della comunità. Naturalmente la struttura socialista è innanzitutto basata sul piano, non su un piano precostituito, onniveggente e onnisciente, che precisi tutti i particolari prima che si cominci il lavoro, ma un piano che, pur essendo stato preparato nelle sue linee fondamentali, venga verificato e migliorato nel corso della sua applicazione e diventi sempre più vitale e concreto nella misura in cui l’iniziativa pubblica si diriga verso la sua evoluzione e la sua formulazione. Nell’ambito della pianificazione statale esistono ampie possibilità per le attività di associazioni volontarie e di organizzazioni a carattere cooperativistico. Fra i molti milioni di individui che formano la nostra popolazione esistono innumerevoli interessi, forze, energie, di cui tramite lo Stato non riusciamo a utilizzare la centesima parte. ma che possono essere portate a fare un lavoro eccellente, a fianco dello Stato, se riescono a trovare la formula organizzativa adatta. La direzione reale dell’organizzazione creativa, specialmente nel nostro periodo di sviluppo culturale, deve mirare alla scoperta di modi capaci di utilizzare le energie costruttive di gruppi, di singole persone e di organizzazioni a carattere cooperativistico, e deve fondarsi sull’incremento delle attività indipendenti di massa.

Molte di queste associazioni a carattere volontario si dissolveranno o cambieranno di natura ma nel loro complesso aumenteranno di numero via via che il nostro lavoro si approfondisce e si allarga. La lega che si occuperà dell’introduzione di nuove forme di vita indubbiamente avrà un posto di maggior rilievo fra tutte le altre, lavorerà in stretto collegamento con lo Stato, con i soviet locali, con i sindacati e in particolare con le cooperative. Al momento è prematura la formazione di un’organizzazione centrale di questo tipo. E’ assai meglio limitarsi a costituire gruppi locali nelle fabbriche per studiare le questioni operative della vita operaia; le attività di questi gruppi dovrebbero avere un carattere eminentemente volontario.

Si deve prestare un’attenzione maggiore ai fatti della vita quotidiana. Si devono condurre sperimentazioni centralizzate laddove le condizioni materiali e ideali potranno contribuire al loro successo. L’ampliamento dei confini di un gruppo di fabbricati, di un gruppo di case, di un quartiere, contribuirà al progresso pratico. Inizialmente le associazioni dovranno avere carattere locale e dovranno porsi compiti ben delimitati come la creazione di nidi, di lavanderie comuni, di cucine comunitarie, per gruppi di case. L’allargamento del campo della loro attività sarà la conseguenza dell’acquisizione di una maggiore esperienza nel miglioramento delle condizioni materiali. Per concludere, ciò di cui abbiamo bisogno è iniziativa, competizione ed efficienza!

Il compito principale, quello più grave ed urgente, è la rottura del silenzio che circonda i problemi della vita quotidiana.

I compiti dell’educazione comunista 1

Si afferma spesso che il comunismo deve svolgere la sua funzione educatrice principalmente verso l’uomo nuovo. Si tratta di un’affermazione alquanto generica e patetica: dobbiamo fare particolarmente attenzione a non consentire interpretazioni astrattamente umanitarie del concetto di “uomo nuovo” o dei compiti dell’educazione comunista. Non c’è alcun dubbio che l’uomo del futuro, il cittadino della comune, sarà un essere estremamente interessante e attraente e che la sua psicologia (i futuristi mi perdoneranno, ma io ritengo che l’uomo del futuro possiederà una psicologia) sarà estremamente diversa dalla nostra.

Sfortunatamente il nostro compito attuale non può consistere nell’educazione dell’essere umano del futuro. Il carattere utopistico e psicologico-umanitaristico di questa concezione risiede nell’affermazione che si debba innanzitutto formare l’uomo nuovo, che creerà poi le nuove condizioni. Non possiamo essere d’accordo poiché sappiamo che l’uomo è il prodotto delle condizioni sociali. Tuttavia sappiamo anche che fra esseri umani e condizioni esiste un rapporto reciproco complesso che opera in modo costante. L’uomo stesso è uno strumento, e non il meno importante, di questo sviluppo storico e in questa complessa interazione storica che riflette le condizioni degli esseri umani attivi non creiamo cittadini della comune perfetti e astrattamente armoniosi, ma esseri umani concreti del nostro tempo che debbono ancora battersi per la creazione delle condizioni da cui possono emergere i cittadini della comune. Si tratta ovviamente di un compito assai diverso per la semplice ragione che i nostri nipoti, cittadini della comune, non saranno dei rivoluzionari.

L’«uomo nuovo» e il rivoluzionario

Questa affermazione a prima vista sembra sbagliata e anche offensiva, ma non lo è. Il concetto di “rivoluzionario” è permeato da elevati ideali e principi morali che sono stati recepiti durante tutto un periodo di evoluzione culturale. Potrebbe sembrare calunnioso verso i nostri posteri il non pensare a loro come rivoluzionari, ma non dobbiamo dimenticare che il rivoluzionario è il prodotto di condizioni storiche ben precise, di una società classista. Il rivoluzionario non è una astrazione psicologica: la rivoluzione in sé non è un principio astratto, ma un fatto storico materiale che cresce dagli antagonismi di classe e dalla sottomissione violenta di una classe all’altra. Così il rivoluzionario è un tipo storico completo e di conseguenza contemporaneo.

Siamo orgogliosi di appartenere a questa categoria, ma con il nostro lavoro creiamo le condizioni per l’affermazione di un ordine sociale in cui non esisteranno antagonismi di classe, non ci saranno rivoluzioni e quindi non ci sarà più bisogno di rivoluzionari. E’ vero che possiamo estendere il significato del termine “rivoluzionario” fino a comprendervi tutta l’attività cosciente dell’uomo diretta alla sottomissione della natura all’espansione delle conquiste tecniche e culturali. Tuttavia non abbiamo il diritto di fare un’astrazione del genere estendendo illimitatamente il concetto di “rivoluzionario”, poiché non abbiamo ancora realizzato il nostro fine storico concreto e rivoluzionario: il rovesciamento della società classista. Di conseguenza siamo lungi dall’essere adatti all’educazione del cittadino della comune, e neppure alla sua formazione, che nella fase attuale non potrebbe essere che un’attività da laboratorio, in un’epoca di transizione sociale che è anche assai poco armoniosa. Un compito del genere costituirebbe un’utopia puerile. Ciò che noi intendiamo fare è formare rivoluzionari, quadri che ereditino e completino le nostre tradizioni storiche e che realizzino i compiti che abbiamo ancora di fronte.

Rivoluzione e misticismo

Quali sono le caratteristiche principali del rivoluzionario? Si deve innanzitutto sottolineare che non abbiamo il diritto di separare il rivoluzionario dalla sua base di classe senza la quale egli non è nulla. Il rivoluzionario dei nostri tempi, che può essere collegato solamente con la classe operaia, possiede particolari caratteristiche nel campo della psicologia, dell’intelletto e della volontà. Laddove è necessario e possibile, il rivoluzionario abbatte gli ostacoli storici ricorrendo alla forza. Ove ciò non sia possibile, cerca di aggirare questi ostacoli, di minarli e di abbatterli con pazienza e decisione. Egli è un rivoluzionario perché non teme di eliminare gli ostacoli e di impiegare inesorabilmente la forza; nello stesso tempo è cosciente dei valori storici di questi ostacoli. La sua attività costante mantiene la sua opera distruttiva e creativa ad un alto livello di attività, cioè riesce a sfruttare al massimo le condizioni storiche a beneficio del movimento rivoluzionario di classe.

Il rivoluzionario conosce solo ostacoli esterni alla sua attività. Ciò vuol dire che egli deve sviluppare in se stesso la capacità di valutare il campo della sua attività in tutta la sua concretezza, con tutti i suoi aspetti negativi e positivi, e di raggiungere un giusto equilibrio politico. Nello stesso tempo egli è nel suo interno impedito nell’azione da remore soggettive se gli manca la comprensione o la forza di volontà, se è paralizzato da conflitti interni, da pregiudizi religiosi, nazionali o corporativistici; in questo caso egli è, al massimo, un rivoluzionario a metà. Esistono già troppi ostacoli nelle condizioni oggettive: il rivoluzionario non può permettersi il lusso di moltiplicare gli ostacoli e le contraddizioni obiettive aggiungendone altre di carattere soggettivo. Quindi l’educazione del rivoluzionario deve innanzitutto consistere nella sua emancipazione dai residui di ignoranza e di superstizione che si trovano di frequente in coscienze assai “sensibili”. Dobbiamo quindi avere un atteggiamento duro e senza compromessi verso chiunque spenda una sola parola per affermare che il misticismo o il sentimentalismo religioso possa essere unito al comunismo. La religione è irreconciliabile con la concezione marxista. Siamo dell’opinione che l’ateismo, in quanto elemento inseparabile di una concezione materialista della vita, sia una condizione necessaria per l’educazione teorica del rivoluzionario. Chi crede in un altro mondo non è capace di concentrare tutta la sua passione nella trasformazione del mondo attuale.

Darwinismo e marxismo

Anche se Darwin, come egli stesso affermò, non avesse perso la sua fede in Dio avendo respinto la concezione biblica della creazione, il darwinismo sarebbe in ogni caso irreconciliabile con questa fede. In ciò, e in altri aspetti, il darwinismo rappresenta un precursore, una concezione preparatoria del marxismo. Considerato in senso ampiamente materialistico e dialettico, il marxismo costituisce l’applicazione del darwinismo alla società. Il liberalismo manchesteriano ha cercato di introdurre meccanicamente il darwinismo nella sociologia. Tentativi del genere rappresentano puerili analogie che tradiscono il loro carattere apologetico borghese: il concetto marxista di concorrenza era spiegato come la legge “eterna” della lotta per l’esistenza. Si tratta di assurdità. Solo l’intima connessione fra darwinismo e marxismo rende possibile la comprensione dello sviluppo dell’essere nel suo collegamento primordiale con la natura inorganica; nella sua ulteriore evoluzione e specificazione; nella sua dinamica; nella distinzione fra regno vegetale e animale, per ciò che riguarda la necessità di vita delle prime varietà elementari; nelle sue lotte; nell’apparizione del “primo” uomo o della prima creatura umana, che comincia a servirsi dei primi strumenti; nello sviluppo della cooperazione primitiva, attraverso organi associativi; nell’ulteriore stratificazione sociale conseguente allo sviluppo dei mezzi di produzione, cioè dei mezzi per sottomettere la natura; nella lotta di classe e, infine, nella lotta per l’eliminazione delle classi.

Per arrivare a una comprensione più ampia e approfondita della realtà mondiale si deve far sì che la coscienza dell’uomo si liberi finalmente dei residui di misticismo e si assicuri una base solida. Ciò significa essere estremamente chiari sul fatto che nel futuro non ci saranno impedimenti soggettivi alla lotta; i soli ostacoli e le sole reazioni saranno esterni e debbono essere superati in vari modi, a seconda delle condizioni del conflitto.

Quante volte abbiamo detto: “La pratica finisce col prevalere”. Ciò è giusto nel senso che l’esperienza collettiva di una classe e di tutta l’umanità spazza via gradualmente le illusioni e le false teorie fondate su generalizzazioni frettolose. Ma si deve anche dire con la stessa convinzione: “Alla fine prevale la teoria”, quando vogliamo dire che la teoria in realtà comprende tutta l’esperienza dell’umanità. Considerata da questo punto di vista, l’opposizione fra teoria e pratica scompare, poiché la teoria non è null’altro che pratica considerata correttamente e generalizzata. La teoria non sconfigge la pratica, ma l’atteggiamento improvvisato, empirico e irriflessivo verso di essa. Per poter vagliare esattamente le condizioni della lotta, la situazione della nostra classe, dobbiamo impossessarci di un metodo valido di orientamento politico e storico. Questo metodo è il marxismo o, per ciò che riguarda il periodo più recente, il leninismo.

Marx e Lenin: ecco i due teorici principali nel campo della ricerca sociale. Per la nuova generazione la strada per Marx passa per Lenin. Una strada diversa diventerebbe sempre più difficile, per il periodo abbastanza lungo che separa la nuova generazione dal genio dei fondatori del socialismo scientifico, Marx ed Engels. Il leninismo costituisce la personificazione e la condensazione del marxismo al livello più alto, per l’azione rivoluzionaria diretta nel periodo dell’agonia mortale della società borghese e dell’imperialismo. L’Istituto Lenin di Mosca deve diventare un’accademia di strategia rivoluzionaria. Il nostro partito comunista è permeato del potente spirito di Lenin. Il suo genio rivoluzionario è con noi. Noi respiriamo l’atmosfera di una dottrina che è il prodotto dello sviluppo precedente del pensiero umano. Ecco perché siamo così profondamente convinti che il domani è nostro.

 

La trasformazione della morale 2

La teoria comunista è in anticipo di alcune decine di anni, e in alcuni campi anche di un secolo, rispetto alla realtà della Russia di oggi. Se non fosse così, il partito comunista non sarebbe la forza rivoluzionaria più grande della storia. La teoria comunista, per mezzo del suo realismo e della sua acutezza dialettica, trova i mezzi politici per assicurare l’influenza del partito in ogni situazione. Tuttavia le idee politiche sono una cosa, la concezione popolare della morale è un’altra. La politica muta rapidamente mentre la morale si afferra tenacemente al passato.

Perché è fallito l’illuminismo borghese

Ciò spiega molti dei conflitti in seno alla classe operaia, in cui elementi nuovi di conoscenza lottano contro la tradizione. Questi conflitti sono tanto più aspri quanto più non trovano il modo di esprimersi pubblicamente nella vita sociale. La stampa e la letteratura non si occupano di essi. Le nuove tendenze letterarie, ansiose di tenere il passo con la rivoluzione, non si occupano delle abitudini e delle usanze basate sulle attuali concezioni morali, in quanto vogliono trasformare, e non descrivere, la vita! Ma la nuova morale non può essere prodotta dal nulla; si deve arrivare ad essa con l’aiuto di elementi già esistenti e capaci di svilupparsi. E’ quindi necessario reperire questi elementi e riconoscerli. Questo discorso va fatto non solo nei riguardi della trasformazione della morale, ma di ogni forma di attività cosciente. E’ quindi necessario prima conoscere ciò che già esiste e in che modo si sta attuando la trasformazione di ciò che esiste, se vogliamo collaborare a creare una nuova morale.

Dobbiamo innanzitutto vedere ciò che accade nelle fabbriche, fra gli operai, nelle cooperative, nei circoli, nella scuola, nei locali pubblici e nelle strade. Dobbiamo cercare di comprendere tutto ciò, vale a dire dobbiamo riconoscere i residui del passato e i germi del futuro. Dobbiamo richiedere ai nostri autori e giornalisti di lavorare in questa direzione. Essi debbono descriverci la vita così come sgorga dalla tempesta della rivoluzione. Lo studio della morale dei lavoratori deve diventare uno dei compiti principali dei nostri giornalisti, o almeno di quelli che hanno occhi e orecchie. La nostra stampa deve fare in modo di scrivere la storia della morale rivoluzionaria richiamando l’attenzione dei suoi collaboratori operai su tali questioni. La maggioranza dei nostri giornali potrebbe fare molto di più e molto meglio al riguardo.

Per raggiungere un livello culturale più elevato, la classe operaia – e soprattutto la sua avanguardia – deve alterare coscientemente la sua morale lavorando in questa direzione. Prima di conquistare il potere, la borghesia aveva assolto a questo compito in larga misura tramite i suoi intellettuali. Quando questa classe era ancora all’opposizione, c’erano poeti, pittori e scrittori che già pensavano per lei.

Osserviamo la vita così come si presenta

In Francia il XVIII secolo, che è stato chiamato secolo dell’Illuminismo, era esattamente il periodo in cui i filosofi borghesi stavano trasformando la concezione della morale sociale e privata e si sforzavano di subordinare la morale al dominio della ragione. Essi si occupavano di questioni politiche, della chiesa, dei rapporti tra uomini e donne, dell’istruzione, ecc. Non c’è dubbio che per il semplice fatto di discutere questi problemi si contribuiva largamente all’elevazione del livello culturale fra la borghesia. Ma tutti gli sforzi fatti dai filosofi del XVIII secolo in direzione della subordinazione dei rapporti sociali e privati al dominio della ragione furono annullati da un semplice fatto: che i mezzi di produzione erano nelle mani dei privati e ciò costituiva la base su cui si doveva costruire la società secondo i principi della ragione. Proprietà privata significa infatti libero gioco delle forze economiche, che non sono affatto controllate dalla ragione; le condizioni economiche determinano la morale e, finché le esigenze del mercato dominano la società, è impossibile subordinare la morale popolare alla ragione. Ciò spiega i grossi limiti dei risultati pratici delle idee dei filosofi del XVIII secolo, malgrado l’ingegno e l’audacia delle loro conclusioni.

«La Giovane Germania»

In Germania il periodo dell’illuminismo e della critica si sviluppò intorno alla metà del secolo scorso. La Giovane Germania, sotto la direzione di Heine e Boerne, si mise alla testa del movimento. Assistiamo quindi al lavoro critico realizzato dall’ala sinistra della borghesia che dichiara guerra al servilismo, alla educazione borghese anti-illuminista e ai pregiudizi della guerra, pensando di instaurare il dominio della ragione con uno scetticismo ancora più grande di quello dei predecessori francesi. Questo movimento più tardi si fuse con la rivoluzione piccolo-borghese del 1848 che, non solo non riuscì a tra-sformare la vita dell’umanità, ma non fu neanche capace di spazzar via le molte piccole dinastie tedesche.

Nella nostra Russia arretrata, l’illuminismo e la critica della società non ha mai raggiunto un livello di una certa importanza fino alla seconda metà del XIX secolo. Cerniscevskij, Pisarev e Dobrolubov, che avevano studiato alla scuola di Belinskij, diressero i loro strali critici assai più contro l’arretratezza e il carattere reazionario asiatico della morale che contro le condizioni economiche. Essi contrapposero al tipo tradizionale di uomo il nuovo essere umano realistico, un essere umano deciso a vivere secondo ragione e che diventa personalità fornita dell’arma del pensiero critico. Questo movimento, collegato ai cosiddetti evoluzionisti “populisti” (narodniki), aveva scarso significato culturale. Infatti, se i pensatori francesi del XVIII secolo furono capaci di conquistare solo una leggera influenza sulla morale – in quanto furono dominati dalle condizioni economiche e non dalla filosofia – e se l’influenza culturale immediata dei critici tedeschi sulla società fu ancora minore, l’influenza diretta del movimento russo sulla morale popolare fu insignificante. Il ruolo storico di questi pensatori russi, compresi i narodniki, si riduceva alla preparazione della formazione del partito del proletariato rivoluzionario.

Premesse per la trasformazione della morale

Solo la conquista del potere da parte della classe operaia crea le premesse per la trasformazione completa della morale. La morale non può essere razionalizzata, cioè adattata alle esigenze della ragione, se nello stesso tempo non si razionalizza la produzione, poiché le radici della morale vanno ricercate nella produzione. Il socialismo mira a sottomettere tutta la produzione alla ragione umana. Anche i pensatori borghesi più avanzati si sono limitati a idee relative alla tecnica razionalizzatrice da un lato (mediante l’applicazione della scienza naturale, della tecnologia, della chimica, dell’invenzione, delle macchine) e alla politica dall’altro (mediante il parlamentarismo); tuttavia non hanno cercato di razionalizzare l’economia, che è rimasta preda della concorrenza cieca. Così la morale della società borghese resta dipendente da un elemento cieco e non razionale.

Quando la classe operaia assume il potere, essa si pone il compito di sottoporre i principi economici delle condizioni sociali al controllo e a un ordinamento cosciente. Nel far ciò, e solo con quèsto atto, realizza la possibilità della trasformazione cosciente della morale. I successi che otteniamo in questa direzione dipendono dai nostri successi in campo economico. Ma anche nella nostra attuale situazione saremmo in grado di introdurre un maggiore spirito critico, una maggiore iniziativa e razionalità nella morale. Questo è uno dei compiti del nostro tempo. E’ ovvio naturalmente che un mutamento profondo della morale – l’emancipazione della donna dalla schiavitù dei lavori domestici, l’educazione sociale dei ragazzi, l’emancipazione del matrimonio da tutti gli elementi di costrizione economica, ecc. – potrà seguire solo in un lungo periodo di sviluppo e sarà realizzato nella misura in cui le forze economiche del socialismo prevarranno sulle forze del capitalismo. La trasformazione critica della morale è necessaria per impedire che continuino a riprodursi le forme tradizionali conservatrici della vita malgrado le possibilità di progresso che ci sono offerte già oggi dalle nostre fonti economiche attuali o che almeno ci saranno offerte domani.

D’altro canto successi anche minimi nel campo della morale, ottenuti attraverso l’elevamento del livello culturale dell’operaio e dell’operaia, aumentano la nostra capacità di produzione razionalizzante e di promozione dell’accumulazione socialista. Ciò ci ridà la possibilità di realizzare nuove conquiste nel campo della morale. Fra i due campi esiste quindi una dipendenza dialettica. E’ vero che le condizioni economiche costituiscono il fattore fondamentale della storia, ma è anche vero che, in quanto partito comunista e Stato operaio, possiamo influenzare l’economia solo con l’aiuto della classe operaia e per far ciò dobbiamo lavorare incessantemente per promuovere la capacità tecnica e culturale dei singoli componenti della classe operaia. Nello Stato operaio la cultura lavora per il socialismo e il socialismo offre nuove possibilità di creare una nuova cultura per l’umanità, una cultura che non conosce differenze di classe.

Cultura e socialismo 3

Ricordiamo innanzitutto che cultura significò originariamente campo arato e coltivato, distinto dalla foresta vergine e dal suolo vergine. La cultura si contrapponeva alla natura; in altri termini, quello che era conquistato dagli sforzi dell’uomo si contrapponeva a quello che era dato dalla natura. Questa antitesi conserva ancora il suo valore sostanziale.

Cultura è tutto quello che è stato creato, costruito, appreso, conquistato dall’uomo nel corso di tutta la sua storia, in contrapposizione a quanto ha dato la natura, compresa la storia naturale dell’uomo come specie animale. La scienza che studia l’uomo come prodotto dell’evoluzione animale è l’antropologia (fisica). Ma dal momento in cui l’uomo si separò dal regno animale – e questo accadde quando afferrò per la prima volta gli strumenti primitivi della pietra e del legno e ne armò gli organi del suo corpo – da quel mo-mento cominciò la creazione e l’accumulazione della cultura, cioè di conoscenze e di capacità di tutti i tipi nella lotta con la natura e per il soggiogamento della natura.

Quando parliamo della cultura accumulata dalle generazioni passate, pensiamo in primo luogo e soprattutto alle prime realizzazioni materiali sotto forma di strumenti, di macchine, di costruzioni, di monumenti e così via. E’ questa la cultura? Senza dubbio si tratta delle forme materiali in cui la cultura si è depositata, della cultura materializzata. Questa cultura crea, sulla base fornita dalla natura, l’assetto di fondo delle nostre vite, dal nostro modo di vivere quotidiano, del nostro lavoro creativo. Ma la parte più preziosa della cultura è quello che deposita nella coscienza dell’uomo stesso: i metodi, gli usi, le capacità, le abilità che abbiamo acquisito e che si sono sviluppati partendo da tutta la cultura materiale preesistente e che, pure prendendo da questa, la fa contemporaneamente progredire. Considereremo, quindi, come acquisito che la cultura si è sviluppata grazie alla lotta dell’uomo contro la natura per la sua esistenza, per il miglioramento delle sue condizioni di vita. Ma partendo da questa stessa base si sono sviluppate anche le classi. Nel processo di adattamento alla natura, in conflitto con le forze ostili della natura, la società umana si è venuta delineando come una complessa organizzazione di classi. La struttura classista della società ha determinato in misura decisiva il contenuto e la forma della storia umana, cioè i rapporti materiali e i loro riflessi ideologici. Ciò significa che la cultura storica ha assunto un carattere di classe.

La società dei proprietari di schiavi, la società feudale dei proprietari di servi, la società capitalista hanno prodotto ciascuna una cultura corrispondente, diversa nelle diverse fasi e con una molteplicità di forme transitorie. Una società di sfruttatori ha dato origine a una cultura di sfruttatori. Ma significa questo che siamo contro tutta la cultura del passato?

Qui c’è effettivamente una profonda contraddizione. Tutto quello che è stato conquistato, creato, costruito dagli sforzi dell’uomo e che serve ad accrescere il potere dell’uomo è cultura. Ma siccome non si tratta dell’uomo considerato individualmente, ma dell’uomo considerato socialmente, siccome la cultura è un fenomeno socio-storico per la sua natura, e siccome la società storica è stata e continua a essere una società di classe, la cultura si è trovata a essere lo strumento fondamentale dell’oppressione di classe. Marx diceva: “Le idee dominanti in una data epoca sono essenzialmente le idee della classe dominante di quell’epoca“. Questo vale anche per la cultura nel suo insieme. Eppure noi diciamo alla classe operaia: impadronisciti di tutta la cultura del passato, altrimenti non costruirai il socialismo. Qual è la spiegazione?

Molti sono inciampati su questa contraddizione e vi sono inciampati così spesso perché hanno una comprensione superficiale, semi-idealista della società di classe e dimenticano che fondamentalmente è l’organizzazione della produzione. Ogni società di classe si è formata sulla base di forme ben definite di lotta contro la natura e queste forme sono mutate in connessione allo sviluppo della tecnica. Qual è la base delle basi: l’organizzazione di classe della società o le sue forze produttive? Senza dubbio le forze produttive. Proprio sulla base di esse, a un certo livello del loro sviluppo, si sono formate e riformate le classi. Nelle forze produttive si esprime materialmente l’abilità economica dell’umanità, la sua capacità di assicurare la propria esistenza.

Su queste dinamiche fondamenta sorgono le classi che nei loro reciproci rapporti determinano il carattere della cultura.

E a questo punto dobbiamo anzitutto e soprattutto chiederci a proposito della tecnica: è solo uno strumento di oppressione di classe? Basta porre la domanda, per avere subito la risposta: no, la tecnica è la conquista fondamentale dell’umanità; benché sia servita, sinora, come strumento di sfruttamento, è al tempo stesso condizione essenziale per l’emancipazione dello sfruttato. La macchina soffoca lo schiavo salariato. Ma questi può liberarsi solo per mezzo della macchina. Qui è la radice di tutta la questione.

Se non dimentichiamo che la forza motrice del processo storico sono le forze produttive che liberano l’uomo dal dominio della natura, allora comprendiamo che il proletariato ha bisogno di impadronirsi di tutta la somma di conoscenze e di capacità elaborate dall’umanità nel corso della sua storia, per potersi emancipare e per poter ricostruire la vita sulla base di principi di solidarietà.

“E’ la cultura che fa progredire la tecnica o è la tecnica che fa progredire la cultura”? mi è stato chiesto in una delle domande che ho qui dinnanzi. E’ sbagliato porre la questione in questo modo. La tecnica non può essere contrapposta alla cultura, perché è la molla principale. Senza tecnica non c’è cultura. Lo sviluppo della tecnica fa progredire la cultura. Ma la scienza e la cultura in genere che sono sorte sulla base della tecnica costituiscono un poderoso aiuto per un ulteriore sviluppo della tecnica. Qui abbiamo una interdipendenza dialettica.

Compagni, se volete un esempio semplice ma significativo della contraddizione insita nella tecnica stessa, il migliore è quello delle ferrovie. Se date un’occhiata ai treni-passeggeri dell’Europa occidentale, vedrete che hanno vagoni di “classi” diverse. Queste classi ci ricordano le classi della società capitalista. I vagoni di prima classe sono per gli strati superiori privilegiati, quelli di seconda per la media borghesia, quelli di terza per la piccola borghesia e quelli di quarta per il proletariato, che in passato era definito, a ragion veduta, Quarto Stato. Di per sé i treni sono una grandiosa conquista tecnico-culturale dell’umanità che ha enormemente trasformato la faccia della terra nel corso di un solo secolo. Ma la struttura di classe della società influenza anche la struttura dei mezzi di comunicazione. E le nostre ferrovie sovietiche sono ancora ben lontane dall’eguaglianza – non solo perché usano i vagoni ereditati dal passato, ma anche perché la NEP solo crea le condizioni dell’eguaglianza senza poterla realizzare.

Prima dell’era delle ferrovie la civiltà era circoscritta alle coste del mare o alle rive dei grandi fiumi. Le ferrovie hanno aperto interi continenti alla cultura capitalista. Una delle cause fondamentali, se non la fondamentale, dell’arretratezza e della desolazione delle nostre campagne russe è la mancanza di ferrovie, di strade asfaltate e di strade secondarie. Da questo punto di vista la maggior parte dei nostri villaggi vivono in condizioni precapitalistiche. Dobbiamo vincere il nostro grande alleato che è al tempo stesso il nostro maggiore avversario: i grandi spazi. L’economia socialista è un’economia pianificata. La pianificazione presuppone innanzitutto le comunicazioni. I più importanti mezzi di comunicazione sono le strade e le ferrovie. Ogni nuova linea ferroviaria è un cammino verso la cultura e nella nostra situazione è anche un cammino verso il socialismo. Per di più, con il perfezionamento della tecnica delle comunicazioni e con la proprietà del paese, le caratteristiche sociali dei nostri treni muteranno pure: la divisione in “classi” scomparirà, tutti viaggeranno in vagoni “molleggiati”… se, quando sarà giunto quel momento, la gente viaggerà ancora in treno e non preferirà servirsi degli aerei che saranno accessibili a tutti.

Facciamo un altro esempio, quello degli strumenti militari, dei mezzi di sterminio. In questo campo la natura di classe della società si esprime in modo particolarmente chiaro e rivoltante. Ma non c’è sostanza distruttiva (esplosiva o velenosa) la cui scoperta non sia di per sé un’inestimabile conquista scientifica e tecnica. Le sostanze esplosive e velenose possono essere usate anche per scopi creativi e non solo a fini di distruzione, ma aprono nuove possibilità nel campo della scoperta e dell’invenzione.

Il proletariato può conquistare il potere solo spezzando la vecchia macchina dello Stato di classe. Abbiamo assolto a questo compito con risolutezza come nessun altro aveva fatto. Ma, nel costruire la nuova macchina statale, ci siamo accorti che, in una misura davvero considerevole, dovevamo usare elementi della vecchia. L’ulteriore ricostruzione socialista della macchina statale è legata indissolubilmente alla nostra attività politica, economica e culturale in generale.

Non dobbiamo distruggere la tecnica. Il proletariato si è impadronito delle fabbriche attrezzate dalla borghesia nelle condizioni in cui la rivoluzione le ha trovate. Le vecchie attrezzature ci servono ancor oggi. Questo fatto dimostra nella maniera più eloquente e più diretta che non rinunciamo all'”eredità”. Come potrebbe essere altrimenti? Dopo tutto, la rivoluzione è stata intrapresa soprattutto per prendere possesso dell'”eredità”. Ma la vecchia tecnica, nella forma in cui l’abbiamo conquistata, è del tutto inadatta al socialismo. E’ una cristallizzazione dell’anarchia dell’economia capitalista. La concorrenza tra aziende diverse alla caccia di profitti, lo sviluppo ineguale dei diversi settori dell’economia, la parcellizzazione dell’agricoltura, il saccheggio delle energie umane, tutto questo, nella tecnica, si esprime in ferro e in bronzo. Ma, mentre la macchina dell’oppressione di classe può essere spezzata da un colpo rivoluzionario, la macchina produttiva dell’anarchia capitalistica può essere ricostruita solo gradualmente. Il chiudersi della fase di restauro, sulla base delle vecchie attrezzature, ci ha portati solo alle soglie di questo compito terribile. Dobbiamo assolverlo a tutti i costi.

La cultura spirituale è contraddittoria come la cultura materiale. E come dai depositi e dagli arsenali della cultura materiale prendiamo e mettiamo in circolazione non archi e frecce, non strumenti di pietra o strumenti dell’età del bronzo, ma gli strumenti più perfezionati che si possano avere, frutto della tecnica più aggiornata, nello stesso modo dobbiamo affrontare anche la cultura spirituale.

L’elemento fondamentale della cultura della vecchia società era la religione. Aveva una enorme importanza come forma di conoscenza e di unità umana: ma in questa forma si rifletteva soprattutto la debolezza dell’uomo di fronte alla natura e la sua impotenza nella società. Noi respingiamo completamente la religione, con tutti i suoi surrogati.

Le cose stanno diversamente per quanto riguarda la filosofia. Dobbiamo prendere dalla filosofia creata dalla società di classe due elementi inestimabili: il materialismo e la dialettica. In realtà, proprio dalla combinazione del materialismo con la dialettica è nato il metodo di Marx e ha tratto origine il suo sistema. Questo metodo è alla base del leninismo.

Se passiamo alla scienza in senso stretto, è per noi assolutamente ovvio che ci troviamo di fronte un’immensa riserva di conoscenze e di capacità accumulate dalla umanità nel corso della sua lunga vita. Certo, si può dimostrare che nella scienza, il cui scopo è la conoscenza della realtà, vi sono molte tendenziose adulterazioni di classe. È proprio così. Se anche le ferrovie esprimono la condizioni di privilegio degli uni e la povertà degli altri, ciò vale ancor di più per la scienza, la cui materia è assai più flessibile del metallo e del legno con cui si fanno i vagoni ferroviari. Ma dobbiamo tener conto del fatto che il lavoro scientifico è fondamentalmente alimentato dall’esigenza di acquisire la conoscenza della natura. Benché gli interessi di classe abbiano introdotto e ancora stiano introducendo tendenze erronee anche nelle scienze naturali, il processo di falsificazione è tuttavia contenuto entro i limiti oltre i quali comincia a ostacolare direttamente il progresso della tecnologia. Se considerate le scienze naturali da cima a fondo, dal campo dell’accumulazione dei fatti elementari sino alle generalizzazioni più elevate e più complesse, vedrete che quanto più un aspetto della ricerca scientifica è empirico, quanto più è vicino al contenuto materiale, ai fatti, tanto più indiscutibili sono i risultati che fornisce. Quanto più ampio è il campo della generalizzazione, quanto più le scienze naturali si avvicinano ai problemi filosofici, tanto più sono soggette all’influenza dell’ispirazione di classe.

Le cose sono più complesse e più negative nel caso delle scienze sociali e di quelle che vengono definite le scienze “umanistiche”. Indubbiamente anche in questa sfera l’elemento fondamentale è tendere ad acquisire la conoscenza di quello che esiste. Grazie a questo, sia detto incidentalmente, abbiamo avuto la brillante scuola degli economisti classici. Ma gli interessi di classe, che nelle scienze sociali si esprimono assai più direttamente e imperiosamente che nelle scienze naturali, ben presto intimavano l’alt allo sviluppo del pensiero economico della società borghese.

In questo campo, però, noi comunisti siamo meglio preparati che in qualsiasi altro. I teorici socialisti, destati dalla lotta di classe del proletariato, sulla base della scienza borghese e della critica a questa scienza, ci hanno dato con l’insegnamento di Marx e di Engels il poderoso metodo del materialismo storico e la incomparabile applicazione di questo metodo nel Capitale. Questo non significa ovviamente che siamo garantiti contro l’influenza delle idee borghesi sul terreno dell’economia e della sociologia in generale. No, le più volgari tendenze professionali socialiste e piccolo-borghesi populiste entrano in circolazione tra noi uscendo dalle vecchie “camere di sicurezza” della conoscenza e trovando alimento nei rapporti non ben definiti e contraddittori dell’epoca di transizione. Ma in questo campo possiamo valerci dei criteri indispensabili del marxismo, verificato e arricchito nelle opere di Lenin. E tanto più sapremo confutare vittoriosamente gli economisti e i sociologi volgari, quanto meno ci rinchiuderemo nelle esperienze del passato e quanto più ampiamente sapremo abbracciare lo sviluppo mondiale nel suo insieme, distinguendo le sue tendenze di fondo dai mutamenti semplicemente congiunturali.

Nelle questioni concernenti la legge, la moralità, e l’ideologia in generale, le condizioni della scienza borghese sono ancora più lamentevoli che in campo economico. Una perla di genuina conoscenza può essere trovata in questi campi solo dopo aver rivoltato dozzine di letamai professionali.

La dialettica e il materialismo sono gli elementi fondamentali della conoscenza marxista del mondo. Ma ciò non significa affatto che possano essere applicati a qualsiasi sfera della conoscenza come una chiave che apra tutte le porte. La dialettica non può essere imposta ai fatti, deve essere dedotta dai fatti, dalla loro natura, dal loro sviluppo. Solo un lavoro minuzioso su un’enorme massa di dati ha permesso a Marx di far progredire il sistema dialettico dell’economia sino alla concezione del valore come lavoro sociale. Le opere storiche di Marx sono costruite allo stesso modo e così pure i suoi articoli di giornali: Il materialismo dialettico può essere applicato a nuove sfere della conoscenza solo padroneggiandole dal di dentro. L’epurazione della scienza borghese presuppone la conoscenza della scienza borghese. Non otterrete mai nulla con una critica sommaria e con brusche intimazioni. Imparare ed applicarsi sono condizioni di una rielaborazione critica. Abbiamo il metodo, ma c’è abbastanza da fare per generazioni.

La critica marxista nella scienza deve essere non solo vigilante, ma anche prudente: altrimenti può degenerare in sicofantismo, in famusovismo. [Famusov è un personaggio di Griboedov, che raffigura un funzionario di grado elevato che ha orrore di tutto quello che possa offendere l’autorità e turbare cosi la sua condizione confortevole.] Prendete pure la psicologia. La concezione pavloviana dei riflessi si sviluppa sulla linea del materialismo dialettico. Abbatte in modo decisivo il muro tra fisiologia e psicologia. Il riflesso più semplice è fisiologico, ma un sistema di riflessi ci dà la “coscienza”. L’accumularsi di una quantità fisiologica ci dà una nuova qualità “psicologica”. Il metodo della scuola di Pavlov è sperimentale e minuzioso. Le generalizzazioni sono conquistate passo passo: dalla bava del cane alla poesia, cioè al meccanismo mentale della poesia, non al suo contenuto sociale, anche se il cammino che ci porta alla poesia non è stato ancora rivelato.

La scuola dello psicanalista viennese Freud procede in modo diverso. Presuppone in partenza che la forza motrice dei processi psichici più complessi e delicati è il bisogno fisiologico. In questo senso generale è materialistica, lasciando da parte la questione se non attribuisca un peso eccessivo al fattore sessuale a spese di altri (questa è già una discussione entro i confini del materialismo). Ma lo psicanalista affronta i problemi della coscienza non in modo sperimentale, passando da fenomeni inferiori a quelli superiori, dal riflesso semplice al riflesso complesso, ma tenta di afferrare tutti questi stadi intermediari con un solo balzo, dall’alto in basso, dal mito religioso, dal poema lirico o dal sogno direttamente alla base fisiologica della psiche.

Gli idealisti ci dicono che la psiche è un’entità indipendente, che l'”anima” è un pozzo senza fondo. Pavlov e Freud pensano entrambi che il fondo dell’anima è la fisiologia. Ma Pavlov, come un palombaro, discende sino al fondo e fruga attentamente il pozzo dal basso verso l’alto, mentre Freud sta sopra il pozzo e con sguardo acuto cerca di penetrarne le acque sempre mosse e sconvolte e di afferrare o di intravedere l’immagine delle cose giù in basso. Il metodo di Pavlov è l’esperimento, quello di Freud è la congettura; a volte la fantastica congettura.

Il tentativo di dichiarare la psicanalisi “incompatibile” con il marxismo e di voltare semplicemente le spalle al freudismo è troppo semplice o, per dire meglio, troppo semplicistico. Ma comunque non siamo obbligati ad adottare il freudismo. Si tratta di un’ipotesi di lavoro che può consentire e indubbiamente consente deduzioni e congetture che si sviluppano lungo la linea di una psicologia materialistica. Il procedimento sperimentale fornirà al momento debito la verifica di queste congetture. Ma non abbiamo nessun motivo e nessun diritto di mettere al bando l’altro procedimento che, anche se può sembrare meno valido, cerca tuttavia di anticipare le conclusioni verso cui il procedimento sperimentale sta avanzando solo molto lentamente. 4

Con questi esempi volevo solo dimostrare, sia pure parzialmente, l’eterogeneità della nostra eredità scientifica e la complessità dei modi con cui il proletariato può progredire nel dominio di questa eredità. Se è vero che nella costruzione economica i problemi non vengono risolti per decreto e dobbiamo “imparare a commerciare”, anche nella scienza il semplice ricorso a secche intimazioni non può che provocare grossi guai. In questo campo dobbiamo “imparare ad imparare”.

L’arte è uno dei modi con cui l’uomo si orienta nel mondo: in questo senso l’eredità dell’arte non si distingue dall’eredità della scienza e della tecnica; e non è meno contraddittoria. Diversamente dalla scienza, tuttavia, l’arte è una forma di conoscenza del mondo, non come un insieme di leggi, ma come un insieme di immagini e, allo stesso tempo, è un modo di ispirare certi sentimenti e certi stati d’animo. L’arte dei secoli passati ha reso l’uomo molto più complesso e duttile, ha elevato la sua mentalità a un livello più alto, lo ha arricchito in tutti i sensi. Questo arricchimento è una conquista preziosa della cultura. La padronanza dell’arte del passato è quindi una condizione necessaria non solo per la creazione della nuova arte, ma anche per la costruzione di una nuova società, poiché ha bisogno di gente con un’intelligenza altamente sviluppata. Ma come può l’arte del passato arricchirci di una conoscenza artistica del mondo? Lo può fare appunto perché è in grado di dare alimento ai nostri sentimenti e di educarli. Se dovessimo ripudiare senza motivo l’arte del passato, diverremmo nello stesso tempo più poveri spiritualmente.

Oggi si nota qua e là una tendenza ad avanzare l’idea che l’arte ha come scopo solo l’ispirazione di certi stati d’animo e in nessun modo la conoscenza della realtà. La conclusione che se ne ricava è: con quale tipo di sentimenti può contaminarci l’arte della nobiltà o della borghesia? Ciò è radicalmente falso. Il significato dell’arte come mezzo di conoscenza – anche per la massa del popolo e in particolare per la massa del popolo – non è per niente inferiore al suo significato “sentimentale”. L’antica epica, la favola, il canto, il racconto tradizionale, il ritmo popolare forniscono una conoscenza in forma grafica, gettano luce sul passato, generalizzano l’esperienza, allargano l’orizzonte e solo in connessione con tutto questo e grazie a questa connessione è possibile “sintonizzare l’apparato ricevente”. Questo vale per tutta la letteratura in generale, non solo per la poesia epica ma anche per la lirica. Vale per la pittura e per la scultura. La sola eccezione, in una certa misura, è la musica, il cui effetto è potente, ma unilaterale. Certo, anche la musica si basa su una particolare conoscenza della natura, sui suoi suoni e sui suoi ritmi. Ma qui la conoscenza è nascosta così profondamente, i frutti dell’ispirazione della natura sono a tal punto rifratti attraverso i nervi di una persona, che la musica opera come una “rivelazione” autosufficiente. Tentativi di accostare tutte le forme d’arte alla musica considerata come arte di “contaminazione” sono stati compiuti di frequente e hanno sempre implicato una sottovalutazione nell’arte della funzione dell’intelligenza a favore di un informe modo di sentire; e in questo senso sono stati e sono reazionari… Ancora peggiori, naturalmente, quelle opere d’arte che non forniscono né una conoscenza grafica né una “contaminazione” artistica, ma in compenso avanzano pretese esorbitanti. Nel nostro paese vengono stampate non poche opere di questo tipo e, purtroppo, non nei manuali delle scuole d’arte, ma in molte migliaia di esemplari…

La cultura è un fenomeno sociale. Proprio per questo la lingua, come mezzo di comunicazione tra gli uomini, è il suo strumento più prezioso. La cultura linguistica è la condizione più importante per uno sviluppo di tutti i settori della cultura, in particolare della scienza e dell’arte. Come la tecnica non si accontenta dei vecchi strumenti di misurazione, ma ne crea sempre di nuovi, micrometri, voltametri e così via, sforzandosi di raggiungere una precisione sempre maggiore, così per quanto riguarda la lingua, la capacità di scegliere le parole appropriate e di combinarle insieme adeguatamente, è necessario un attento lavoro per poter raggiungere il più alto grado di precisione, di chiarezza e di vivacità. La base di questo lavoro deve essere la lotta contro l’analfabetismo, il semianalfabetismo e il quasi analfabetismo. La fase successiva sarà la padronanza della letteratura classica russa.

Sì, la cultura è lo strumento principale dell’oppressione di classe. Ma anche la cultura, e solo la cultura, può diventare uno strumento dell’emancipazione socialista.

Note

1 Questo scritto è stato per la prima volta pubblicato nel numero del 16 agosto del 1923 di Inprecorr, bollettino in lingua inglese dell’Internazionale Comunista.

2 Questo scritto è stato pubblicato per la prima volta nel bollettino in lingua inglese dell’Internazionale Comunista Inprecorr, vol. 3, n. 67. In parte riprende argomenti sviluppati nell’articolo su Usi, costumi, abitudini, che era stato pubblicato sulla Pravda.

3 Da Novij Mir, gennaio 1927.

4 Questa questione non ha, naturalmente, nulla in comune con il culto di un falso freudismo come indulgenza erotica o manifestazione di “oscenità”. Simili truffe non hanno niente a che vedere con la scienza e non fanno che esprimere stati d’animo decadenti: il centro di gravità viene spostato dalla corteccia al midollo spinale…

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