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Prospettive mondiali 2021: si prepara un’epoca di rivoluzione globale

Questo documento è stato approvato dai delegati al congresso mondiale della Tendenza marxista internazionale. Fornisce la nostra analisi complessiva dei processi principali che stanno avendo luogo nella politica mondiale, in un momento contrassegnato da crisi e sconvolgimenti senza precedenti. Con la dinamite alle fondamenta dell’economia mondiale e la pandemia da Covid-19 che incombe sulla situazione a livello globale, tutto conduce a un’intensificazione della lotta di classe.

“Tutto sommato, la crisi ha scavato come una buona vecchia talpa” (Marx a Engels, 22 febbraio 1858)

La natura delle prospettive

Questo documento, che dovrebbe essere letto insieme a quello che abbiamo prodotto nel settembre 2020, sarà in qualche modo diverso dai documenti sulle prospettive mondiali che abbiamo pubblicato in passato.

Nei periodi precedenti, quando gli eventi si muovevano a un ritmo più tranquillo, era possibile trattare, almeno a grandi linee, di molti paesi diversi. Ora, tuttavia, il ritmo degli eventi è accelerato al punto che per affrontare tutto sarebbe necessario un libro intero. Lo scopo delle prospettive non è produrre un catalogo di eventi rivoluzionari, ma scoprire i processi fondamentali sottostanti.

Come ha spiegato Hegel nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia: “In effetti, è il desiderio di intuizione razionale, non l’ambizione di accumulare un semplice insieme di acquisizioni, che dovrebbe essere presupposto in ogni caso nella presa di possesso della mente dello studente nello studio della scienza.” (unica citazione ancora non trovata, ma conto di trovarla o di arrivare alla migliore traduzione possibile prima dell’invio ai compagni)

Abbiamo a che fare qui con processi generali e possiamo osservare solo alcuni paesi che servono a illustrare più chiaramente i processi in questa fase. Ovviamente, gli altri paesi verranno trattati in articoli separati.

Eventi drammatici

L’anno 2021 è iniziato con eventi drammatici. La crisi mondiale del capitalismo sta creando una serie di problemi che si stanno diffondendo da un paese e da un continente all’altro. Da tutte le parti c’è lo stesso quadro di caos, disastro economico e polarizzazione di classe.

Il nuovo anno è stato inaugurato dalla folla di estrema destra che ha preso d’assalto il Campidoglio degli Stati Uniti a Washington, incoraggiati dalll’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, conferendo al centro dell’imperialismo occidentale l’aspetto di uno stato fallito.

Questi eventi, insieme alle proteste della scorsa estate di Black Lives Matter di gran lunga più grandi, mostrano a che punto è diventata profonda la polarizzazione della società statunitense.

Oltre a questo, le grandi proteste in India, Colombia, Cile, Bielorussia e Russia hanno dimostrato lo stesso processo: il risentimento delle masse sta crescendo e la classe dirigente non riesce a governare alla vecchia maniera.

Una crisi globale come nessun’altra

Queste prospettive mondiali sono diverse da ogni altro documento simile che abbiamo preparato in passato. Sono enormemente complicate dalla pandemia che aleggia come una nuvola nera sul mondo intero, sottoponendo milioni di persone a miseria, la sofferenza e la morte.

La pandemia continua a imperversare fuori controllo. Al momento in cui scriviamo, ci sono stati più di 100 milioni di casi in tutto il mondo e quasi tre milioni di morti. Queste cifre sono senza precedenti al di fuori di una guerra mondiale. E continuano a salire inesorabilmente.

Questo terribile flagello ha avuto effetti devastanti nei paesi poveri del mondo e ha colpito seriamente anche alcuni dei paesi più ricchi.

Negli Stati Uniti ci sono 30 milioni di casi e il numero di morti ha superato il mezzo milione. E la Gran Bretagna è fra i paesi col numero più alto di morti pro capite della popolazione: oltre 4 milioni di casi e ben oltre 100.000 morti.

La crisi attuale non è quindi come una normale crisi economica. Si tratta letteralmente di una situazione di vita o di morte per milioni di persone. Molte di queste morti avrebbero potuto essere evitate con misure adeguate nella fase iniziale.

Il capitalismo non può risolvere il problema

Il capitalismo non può risolvere il problema: è esso stesso il problema.

Questa pandemia serve a smascherare intollerabili divisioni tra ricchi e poveri. Ha rivelato le profonde fratture che dividono la società, il confine tra coloro che sono condannati ad ammalarsi e morire e coloro che si salveranno.

Ha messo a nudo gli sprechi del capitalismo, il suo caos e la sua inefficienza, e sta preparando la lotta di classe in ogni paese del mondo.

Ai politici borghesi piace usare analogie militari per descrivere la situazione attuale. Dicono che siamo in guerra con un nemico invisibile, un terribile virus. Concludono che tutte le classi e tutti i partiti devono stringersi attorno al governo. Ma un enorme abisso separa le parole dai fatti.

Le ragioni per un’economia pianificata e una pianificazione internazionale sono inappellabili. La crisi è mondiale. Il virus non rispetta le frontiere né i controlli alle frontiere. La situazione richiede una risposta internazionale, la condivisione di tutte le conoscenze scientifiche e la mobilitazione di tutte le risorse del pianeta per coordinare un autentico piano d’azione globale.

Invece, assistiamo allo spettacolo poco edificante della lite tra Gran Bretagna e UE sulla scarsità di vaccini, mentre ad alcuni dei paesi più poveri viene praticamente negato l’accesso a qualsiasi vaccino.

Ma perché scarseggiano i vaccini? I problemi della produzione di vaccini – per citare solo un esempio – riflettono la contraddizione tra i bisogni urgenti della società e i meccanismi dell’economia di mercato.

Se fossimo davvero in guerra con il virus, i governi mobiliterebbero tutte le loro risorse per questo compito. Da un punto di vista puramente razionale, la migliore politica sarebbe quella di aumentare la produzione di vaccini il più velocemente possibile.

La capacità produttiva deve essere ampliata, cosa che può essere ottenuta solo creando nuovi stabilimenti. Ma i grandi produttori privati di vaccini non hanno alcun interesse ad espandere la produzione in maniera massiccia perché, se lo facessero, guadagnerebbero meno.

Se aumentassero la capacità di produzione in modo che tutto il mondo fosse rifornito entro sei mesi, le nuove fabbriche poi rimarrebbero senza commesse. I profitti sarebbero quindi molto inferiori rispetto agli scenari attuali, in cui gli impianti esistenti produrranno a piena capacità per gli anni a venire.

Un altro ostacolo alla produzione di massa del vaccino è il rifiuto da parte di Big Pharma di cedere i diritti di proprietà intellettuale sui “propri” vaccini (nella maggior parte dei casi sviluppati con enormi quantità di finanziamenti statali) in modo che altre aziende possano produrli a buon mercato.

Le aziende farmaceutiche stanno realizzando decine di miliardi di profitti, ma problemi sia con la produzione che con l’offerta significano carenze ovunque. Nel frattempo, milioni di vite sono a rischio.

Le vite dei lavoratori sono a rischio

Nella loro fretta di rimettere in moto la produzione (e quindi i profitti), politici e capitalisti ricorrono al massimo risparmio. I lavoratori vengono rimandati in luoghi di lavoro affollati senza un’adeguata protezione. Ciò equivale a emettere una condanna a morte per molti di questi lavoratori e per le loro famiglie.

Tutte le speranze dei politici borghesi erano basate sui nuovi vaccini. Ma il lancio dei vaccini è stato confuso e l’incapacità di controllare la diffusione del virus – che aumenta il rischio di sviluppo di nuovi ceppi resistenti ai vaccini – ha gravi implicazioni, non solo per la vita e la salute umana, ma anche per l’economia.

Crisi economica

Secondo la Bank of England, l’attuale crisi economica è la più grave degli ultimi 300 anni. Nel 2020, sono stati persi nel mondo l’equivalente di 255 milioni di posti di lavoro, quattro volte di più rispetto al 2009.

Le cosiddette economie emergenti vengono trascinate in basso insieme al resto. India, Brasile, Russia, Turchia sono tutte in crisi. L’economia della Corea del Sud si è contratta lo scorso anno per la prima volta in 22 anni. Questo nonostante sussidi statali per un valore di circa 283 miliardi di dollari. In Sud Africa, la disoccupazione ha raggiunto il 32,5 per cento e il PIL si è contratto del 7,2 per cento nel 2020. Si tratta di una contrazione maggiore rispetto al 1931 durante la Grande Depressione, e questo nonostante abbia speso l’equivalente del 10 per cento del PIL in un pacchetto di stimolo fiscale.

La crisi sta facendo sempre più precipitare milioni di persone nella povertà. Nel gennaio 2021, la Banca mondiale ha stimato che 90 milioni di persone saranno spinte in condizioni di estrema povertà. L’Economist del 26 settembre 2020 ha scritto: “Le Nazioni Unite sono ancora più pessimiste. Definiscono le persone come povere se non hanno accesso a cose come acqua pulita, elettricità, cibo sufficiente e scuole per i loro figli.

“In collaborazione con i ricercatori dell’Università di Oxford, si calcola che la pandemia potrebbe ridurre alla povertà 490 milioni di persone in 70 paesi, invertendo quasi un decennio di miglioramenti”.

Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite ha espresso il fenomeno in questi termini: “In 79 paesi dove vi è una presenza operativa del programma WFP [il programma alimentare dell’ONU – ndT] e per i quali i dati sono disponibili, si stima che fino a 270 milioni di persone siano in condizioni di grave insicurezza alimentare o ad alto rischio nel 2021, un aumento dell’82% rispetto ai livelli pre-pandemici”.

Già solo questo dà un’idea della portata globale della crisi.

Oltre agli effetti della pandemia, la crisi ecologica globale aggraverà probabilmente questa situazione, alimentando povertà e insicurezza alimentare. Lo sfruttamento capitalista dell’ambiente minaccia di mettere sull’orlo del collasso i sistemi ecologici chiave. Abbiamo assistito a un aumento dei conflitti riguardo alla scarsità di risorse idriche e alla distruzione dell’ambiente che inevitabilmente porterà ad instabilità sociale e a migrazioni climatiche di massa.

L’instabilità generale nel mondo è organicamente collegata alla crescente povertà. È sia causa che effetto. È la causa che spiega al fondo molte delle guerre e delle guerre civili in corso. L’Etiopia ne è solo un esempio.

L’Etiopia è stata presentata come un modello. Nel periodo dal 2004 al 2014 la sua economia è cresciuta dell’11% all’anno e veniva considerato un paese in cui investire. Ora è stato gettato nel caos con lo scoppio dei combattimenti nella provincia del Tigrè, dove vivono 3 milioni di persone che hanno urgente bisogno di aiuti alimentari.

Non è un caso isolato. L’elenco dei paesi colpiti dalle guerre nel periodo passato è molto lungo e il catalogo delle sofferenze umane è spaventoso:

Afghanistan: due milioni di morti; Yemen: 100.000 morti; le guerre della droga in Messico: oltre 250.000 persone uccise; la guerra contro i curdi in Turchia, 45.000 morti; Somalia, 500.000 morti; Iraq, almeno un milione di morti; Sud Sudan circa 400.000 morti.

In Siria, le Nazioni Unite hanno stimato il numero di morti a 400.000, ma è una cifra sottostimata. La cifra reale non la conosceremo probabilmente mai, ma si aggirerà sicuramente sui 600.000. Nelle terribili guerre civili in Congo, probabilmente sono morte oltre quattro milioni di persone. Ma anche in questo caso nessuno conosce la cifra reale. Più recentemente abbiamo avuto il conflitto nel Nagorno-Karabakh.

L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Cifre del genere non sono più considerate adatte alle prime pagine dei giornali, ma esprimono molto chiaramente ciò che Lenin disse una volta: il capitalismo è orrore senza fine. L’esistenza stessa del capitalismo minaccia di creare le condizioni di barbarie in un paese dopo l’altro.

Una crisi di regime

Da un punto di vista marxista, lo studio dell’economia non è una questione accademica astratta. L’economia ha un effetto profondo sullo sviluppo della coscienza di tutte le classi.

Ovunque guardiamo ora c’è crisi, non solo crisi economica, ma una crisi di regime. Ci sono chiare indicazioni che la crisi è così grave, così profonda, che la classe dominante sta perdendo il controllo degli strumenti tradizionali che utilizzava in passato per governare la società.

Così, la classe dominante si trova sempre più incapace di controllare gli eventi. Ciò è particolarmente chiaro nel caso degli Stati Uniti. Ma vale anche per molti altri paesi. Basti citare i nomi di Trump, Boris Johnson e Bolsonaro per sottolineare il punto.

Stati Uniti d’America

Gli USA occupano ora un posto centrale nelle prospettive mondiali. Per molto tempo, la rivoluzione nella nazione più ricca e potente della terra è sembrata una prospettiva molto lontana. Ma gli Stati Uniti sono stati duramente colpiti dalla crisi economica mondiale e ora il tutto è capovolto.

68 milioni di americani hanno presentato domanda per il sussidio di disoccupazione durante la pandemia, e come sempre sono i più poveri e vulnerabili, soprattutto le persone di colore, a soffrire di più. Il flagello della disoccupazione ricade soprattutto sulle spalle dei giovani. Un quarto degli under 25 è stato licenziato. È stato improvvisamente rubato loro il futuro. Il sogno americano è diventato l’incubo americano.

Questo cambiamento drammatico ha costretto molte persone, vecchi e giovani, a riconsiderare opinioni che prima consideravano sacre e mettere in discussione la natura stessa della società in cui vivono. La rapida ascesa di Bernie Sanders a un estremo dello spettro politico, e di Donald Trump all’altra ha fatto scattare l’allarme rosso per la borghesia. Questo genere di cose non dovrebbe succedere!

Allarmata dal pericolo rappresentato da questa situazione, la classe dominante è stata costretta a prendere misure di emergenza. Ricordiamoci che, secondo il dogma ufficiale degli economisti borghesi, lo stato non avrebbe dovuto svolgere alcun ruolo nella vita economica.

Ma di fronte a un disastro incombente, la classe dominante è stata costretta a gettare nella spazzatura tutte le teorie economiche più accreditate. Lo stesso stato che, secondo la teoria del libero mercato, dovrebbe giocare un ruolo nullo o minimale nella vita economica, è ora diventato l’unico elemento che sostiene il sistema capitalista.

In tutti i paesi, a cominciare dagli USA, la cosiddetta economia di libero mercato è attaccata al respiratore, come un malato di coronavirus. La maggior parte del denaro distribuito dallo stato è andato direttamente nelle tasche dei ricchi. Ma la classe dominante temeva le conseguenze politiche di altri salvataggi aziendali. Hanno quindi elargito sussidi a tutti i cittadini e hanno aumentato in modo massiccio i sussidi di disoccupazione. Ciò ha attenuato l’impatto della crisi sui settori più poveri. A un certo punto, questi sostegni verranno ridotti o ritirati del tutto.

Abbiamo il paradosso della più terribile povertà nel paese più ricco del mondo che convive fianco a fianco con la ricchezza e al lusso più osceni. A ottobre del 2020, più di una famiglia americana su cinque non aveva abbastanza soldi per mangiare. Il numero di banchi alimentari sta proliferando.

Disuguaglianza e polarizzazione

I livelli di disuguaglianza hanno infranto tutti i record. La distanza tra ricchi e poveri si è trasformata in un abisso incolmabile. Nel 2020 la ricchezza dei miliardari del mondo è cresciuta di 3.900 miliardi di dollari. L’indice Nasdaq 100 è salito del 40% rispetto a prima della pandemia. Le quotazioni azionarie a livello globale, a febbraio 2021, erano aumentate di valore di 24 mila miliardi di dollari da marzo 2020.

L’amministratore delegato medio di un’azienda dello S&P 500 guadagna 357 volte di più del normale lavoratore medio. Il rapporto era di circa 20 a metà degli anni ‘60. Era 28 ancora alla fine del mandato di Ronald Reagan nel 1989.

Per citare solo un esempio, Jeff Bezos ogni secondo guadagna più soldi di quanto guadagni in una settimana il tipico lavoratore statunitense. Questo riporta l’America ai tempi dei capitalisti senza scrupoli (robber barons) che Theodore Roosevelt denunciava prima della prima guerra mondiale.

E questo ha un effetto. Tutta la demagogia su “l’interesse nazionale”, “stiamo uniti per combattere il virus”, “siamo tutti sulla stessa barca”, si dimostra come l’ipocrisia più vergognosa.

Le masse sono pronte a fare sacrifici in determinate circostanze. In tempo di guerra, le persone sono pronte a unirsi per combattere un nemico comune, questo è vero. Sono pronte, almeno temporaneamente, ad accettare un tenore di vita più basso e anche, in una certa misura, restrizioni ai diritti democratici.

Ma l’abisso che separa i ricchi dai poveri sta approfondendo la polarizzazione sociale e politica e sta creando uno stato d’animo esplosivo nella società. Mina tutti gli sforzi per creare una sensazione di unità nazionale e solidarietà, che è la principale linea di difesa per la borghesia.

Le statistiche della Federal Reserve mostrano che il decimo più ricco degli Stati Uniti aveva un patrimonio netto di 80.700 miliardi di dollari alla fine del 2020. Ciò significa il 375% del PIL e di gran lunga il massimo storico.

Una tassa del cinque per cento su questa ricchezza produrrebbe 4.000 miliardi di dollari di gettito, un quinto del PIL. Ripagherebbe tutti i costi della pandemia. Ma i ricchi capitalisti senza scrupoli non hanno intenzione di condividere il loro bottino. La maggior parte di loro (incluso Donald J. Trump) mostra una marcata avversione a pagare qualsiasi tassa, figuriamoci il cinque per cento.

L’unica soluzione sarebbe l’esproprio dei banchieri e dei capitalisti. Questa idea guadagnerà inevitabilmente sempre più sostegno, spazzando via i restanti pregiudizi contro il socialismo e il comunismo, anche tra quegli strati di lavoratori che sono stati ingannati dalla demagogia di Trump.

Questo processo sta già destando preoccupazione tra i seri strateghi del capitale. Mary Callaghan Erdoes, responsabile delle attività di gestione patrimoniale di JP Morgan, ha tratto l’inevitabile conclusione: “Da questa situazione emergerà un rischio molto elevato di estremismo. Dobbiamo cercare un modo per correggere il tiro, altrimenti ci troveremo in una situazione molto pericolosa “.

L’assalto al Campidoglio

L’attacco al Campidoglio del 6 gennaio è stato un chiaro segnale che ciò che gli Stati Uniti devono affrontare ora non è una crisi di governo, ma una crisi del regime stesso.

Questi eventi non sono stati un colpo di stato né un’insurrezione, ma hanno rivelato in modo lampante la rabbia primitiva che esiste nel profondo della società e anche l’emergere di profonde spaccature nello stato. In ultima analisi, ciò che indicano è che la polarizzazione nella società ha raggiunto un punto critico. Le istituzioni della democrazia borghese sono messe alla prova fino alla distruzione.

C’è un odio feroce per i ricchi e potenti, i banchieri, Wall Street e l’establishment di Washington in generale (“la palude”). Questo odio è stato abilmente incanalato dal demagogo di destra, Donald Trump.

Naturalmente, Trump stesso è solo l’alligatore più astuto e vorace della palude. Sta semplicemente perseguendo i propri interessi. Ma così facendo, ha seriamente danneggiato gli interessi della classe dominante nel suo insieme. Ha giocato con il fuoco e ha evocato forze che né lui né nessun altro può controllare.

Con le parole e con i fatti, Trump stava distruggendo la legittimità delle istituzioni borghesi e creando un’enorme instabilità. Questo è il motivo per cui la classe dominante e i suoi rappresentanti politici di ogni dove sono inorriditi dalla sua condotta.

L’impeachment

I democratici hanno cercato di mettere sotto accusa Trump, accusandolo di aver organizzato un’insurrezione. Ma come era prevedibile non sono riusciti a convincere il Senato a condannarlo, il che gli avrebbe impedito di candidarsi in futuro a cariche pubbliche.

La maggior parte dei senatori repubblicani sarebbe stata molto felice di farlo. Odiano e temono questo nuovo parvenu della politica. E sapevano benissimo chi c’era dietro gli eventi del 6 gennaio. Il leader repubblicano del Senato Mitch McConnell ha formulato un giudizio schiacciante sull’ex presidente, dopo aver votato per l’assoluzione.

In realtà, lui e gli altri senatori repubblicani erano terrorizzati dalla reazione dei seguaci arrabbiati di Trump se avessero fatto quel passo fatale. Hanno deciso che la prudenza è la parte migliore del coraggio e, turandosi il naso, hanno votato non colpevole.

Ma se questa è stata una tentata insurrezione, è stata molto misera. Più che a un’insurrezione, assomigliava a disordini su larga scala. La folla di sostenitori arrabbiati di Trump ha fatto irruzione in Campidoglio con l’evidente connivenza almeno di alcuni poliziotti. Ma, avendo ottenuto facilmente il controllo del Sancta Sanctorum della democrazia borghese statunitense, non avevano la più pallida idea di cosa farne.

La folla disorganizzata e senza leader si aggirava senza meta, distruggendo qualsiasi cosa che trovava e che non le piaceva urlando minacce sanguinarie contro la democratica Nancy Pelosi, il vicepresidente repubblicano Mike Pence e Mitch McConnell, che hanno accusato di tradire Trump. Nel frattempo, il comandante in capo degli insorti era convenientemente scomparso.

Se la storia si ripete, prima come una tragedia e poi come una farsa, questa è stata la quintessenza della farsa. Alla fine, nessuno è stato impiccato o ghigliottinato. Stanchi di tante urla, gli “insorti” sono tornati a casa in silenzio o si sono trincerati al bar più vicino per ubriacarsi e vantarsi delle loro imprese coraggiose, senza lasciare nulla di più minaccioso di un mucchio di spazzatura e qualche ego ferito.

Tuttavia, dal punto di vista della classe dominante, ha costituito un pericoloso precedente per il futuro. Ray Dalio, fondatore del più grande hedge fund del mondo, Bridgewater Associates, ha dichiarato: “Siamo sull’orlo di una terribile guerra civile. Gli Stati Uniti sono a un punto di svolta in cui potrebbero passare da una tensione interna gestibile alla rivoluzione “. L’assalto al Campidoglio è stato un serio avvertimento per la classe dominante. E questo avrà senza dubbio delle conseguenze. Nonostante una raffica di ostilità mediatica, il 45 per cento degli elettori repubblicani lo ha ritenuto giustificato.

Ma questo deve essere confrontato con il fatto molto più significativo che il 54% di tutti gli americani ha ritenuto giustificato incendiare il commissariato di polizia di Minneapolis. E il 10% dell’intera popolazione ha preso parte alle proteste di Black Lives Matter, 10-20.000 volte di più di coloro che hanno preso d’assalto il Campidoglio. Tutto ciò mostra la rapida crescita della polarizzazione sociale e politica negli Stati Uniti.

Le rivolte spontanee che hanno travolto gli Stati Uniti da costa a costa in seguito all’omicidio di George Floyd e gli eventi senza precedenti che hanno preceduto e seguito le elezioni presidenziali hanno segnato una svolta nell’intera situazione.

Cambiamenti nella coscienza

I liberali e i riformisti stupidi naturalmente non capiscono nulla di ciò che sta accadendo. Vedono solo la superficie degli eventi, senza comprendere le correnti più profonde che scorrono con forza sotto la superficie e spingono le onde.

Gridano costantemente al fascismo, con cui intendono tutto ciò che non amano o temono. Non sanno nulla della vera natura del fascismo, non serve dirlo. Ma insistendo costantemente sul “pericolo per la democrazia” (nel senso della democrazia formale borghese) seminano confusione e preparano il terreno per la collaborazione di classe sotto la bandiera del “male minore”. Il loro sostegno a Joe Biden negli Stati Uniti ne è un chiaro esempio.

Quello di cui dobbiamo tener conto è che la base di Trump ha un carattere molto eterogeneo e contraddittorio. Contiene un’ala borghese, guidata dallo stesso Trump, e un gran numero di piccoli borghesi reazionari, fanatici religiosi ed elementi apertamente fascisti.

Ma dobbiamo ricordare che Trump ha ricevuto 74 milioni di voti nelle ultime elezioni e molti di questi erano lavoratori che in precedenza avevano votato per Obama ma sono delusi dai democratici. Quando vengono intervistati, dicono: “Washington non si cura di noi! Siamo dimenticati! ”

Vi sono violente oscillazioni a sinistra e anche a destra. Ma la natura aborrisce il vuoto, e a causa del completo fallimento dei riformisti, inclusi i riformisti di sinistra, questo stato d’animo di rabbia e frustrazione è stato capitalizzato dai demagoghi di destra, i cosiddetti populisti. Negli USA abbiamo il fenomeno del trumpismo. In Brasile abbiamo visto l’ascesa di Bolsonaro.

Ma l’appello dei demagoghi di destra svanisce subito quando entrano in contatto con le realtà di governo, come dimostra ampiamente il caso di Bolsonaro. È vero che Trump ha mantenuto il sostegno di milioni di persone, ma è stato comunque rimosso.

È interessante notare che negli stessi giorni dell’assalto al Campidoglio, il senatore del Missouri Josh Hawley ha detto: “I repubblicani a Washington faranno molta fatica a digerirlo … Ma il futuro è chiaro: dobbiamo essere un partito dei lavoratori, non di Wall Street. ” (The Guardian)

Lenin ha scritto che la storia conosce ogni tipo di trasformazione. I marxisti devono essere in grado di distinguere ciò che è progressista da ciò che è reazionario. Dobbiamo capire che con tutti questi eventi, in embrione, vediamo il profilo degli sviluppi rivoluzionari negli Stati Uniti in futuro.

Naturalmente, questo senatore repubblicano reazionario non ha alcuna intenzione di organizzare davvero un partito operaio negli Stati Uniti e un tale partito non emergerà da una scissione di destra dei repubblicani. Ma le convulsioni nel vecchio sistema bipartitico sono senza dubbio avvisaglie di qualcosa di completamente nuovo: l’emergere di un terzo partito che sfiderà sia repubblicani che democratici.

Un tale partito avrà in un primo momento un carattere estremamente confuso ed eterogeneo. Ma l’elemento anticapitalista prima o poi prevarrà. È qui che risiede la vera minaccia per il sistema. Quando le masse iniziano a intervenire direttamente in politica, quando decidono che è giunto il momento di prendere in mano il proprio destino, è di per sé un sintomo di imminenti sviluppi rivoluzionari.

I seri strateghi del capitale comprendono le pericolose implicazioni nell’attuale turbolenza molto più dei piccoli borghesi impressionisti e in preda al panico. Il 30 dicembre 2020 il Financial Times ha pubblicato un articolo molto interessante, firmato dalla redazione.

Questo articolo dipingeva un quadro molto diverso del processo, e di dove sarebbe andato, e le conclusioni che ne traeva erano molto allarmanti da un punto di vista borghese:

“I gruppi lasciati indietro dal cambiamento economico stanno sempre più arrivando alla conclusione che i responsabili non si preoccupano della loro situazione o, peggio, hanno truccato l’economia a proprio vantaggio contro chi rimane ai margini.

“Lentamente ma inesorabilmente, questo sta mettendo il capitalismo e la democrazia in tensione l’uno con l’altro. Dalla crisi finanziaria globale, questo senso di tradimento ha alimentato una reazione politica contro la globalizzazione e le istituzioni della democrazia liberale.

“Il populismo di destra può prosperare su questo tentativo di controffensiva, lasciando comunque funzionare i mercati.

“Ma poiché non può mantenere le sue promesse a coloro che sono economicamente penalizzati, è solo una questione di tempo prima che i forconi vengano puntati contro il capitalismo stesso, per prendersi la ricchezza di coloro che ne beneficiano”.

Questo articolo mostra una perfetta comprensione delle dinamiche della lotta di classe. Anche le parole usate sono significative. I forconi suggeriscono un’analogia con la rivoluzione francese, o la rivolta dei contadini del 1381, dove i contadini si impadronirono di Londra.

Gli autori di queste righe capiscono perfettamente che una fiammata del cosiddetto populismo di destra può essere solo il primo stadio prima di un’esplosione rivoluzionaria. Le violente oscillazioni dell’opinione pubblica a destra possono essere molto facilmente la preparazione di ancora più violente oscillazioni a sinistra da parte delle masse scontente che cercano una via d’uscita dalla crisi.

Questa è una previsione molto profonda rispetto a come si svilupperanno gli eventi nel prossimo periodo. E non solo negli USA. Questa enorme volatilità può essere osservata in molti paesi, se non in tutti i paesi. Sotto la superficie si sta sviluppando uno stato d’animo di rabbia, amarezza e risentimento contro l’ordine stabilito.

Il crollo del Centro

Le istituzioni della democrazia borghese si basano sul presupposto che l’abisso tra ricchi e poveri possa essere nascosto e contenuto entro limiti gestibili. Ma non è più così.

La continua crescita della disuguaglianza di classe ha creato un livello di polarizzazione sociale che non si vedeva da decenni. Sta mettendo alla prova i meccanismi tradizionali della democrazia borghese fino ai loro limiti, e oltre quei limiti.

Lo scontro tra ricchi e poveri diventa ogni giorno più intenso. Fornisce un impulso irresistibile alle forze centrifughe che separano le classi. Questa è precisamente la ragione del crollo del cosiddetto Centro.

Questo sta provocando un’allarme crescente all’interno della classe dominante, che sente il potere sfuggirgli di mano. I partiti dell’establishment sono identificati ovunque dalle masse con l’austerità e gli attacchi al proprio tenore di vita.

Cova uno stato d’animo di rabbia nella società. Questo stato d’animo si esprime nel crollo della fiducia nelle istituzioni ufficiali, nei partiti, nei governi, nei leader politici, nei banchieri, nei ricchi, nella polizia, nella magistratura, nelle leggi esistenti, nella tradizione, nella religione e nella moralità del sistema esistente. La gente non crede più a quello che viene detto dai giornali e dalla TV. Confrontano l’enorme differenza tra ciò che viene detto e ciò che accade e si rendono conto che ci raccontano un mucchio di bugie.

Non è sempre stato così. In passato, la maggior parte delle persone non prestava molta attenzione alla politica. Questo vale anche per i lavoratori. Le conversazioni nei luoghi di lavoro riguardavano solitamente il calcio, i film, i programmi televisivi. La politica veniva menzionata di rado, tranne forse al momento delle elezioni.

Ora, non è più così. Le masse stanno cominciando a interessarsi alla politica, perché stanno cominciando a rendersi conto che influenza direttamente le loro vite e le vite delle loro famiglie. Questo di per sé è l’espressione di un movimento nella direzione della rivoluzione.

In passato, se la gente si prendeva la briga di votare alle elezioni, di solito votava per lo stesso partito per cui avevano votato i loro genitori e nonni.

Ora, tuttavia, il ritmo degli eventi è accelerato al punto che per affrontare tutto sarebbe necessario un libro intero. Lo scopo delle prospettive non è produrre un catalogo di eventi rivoluzionari, ma scoprire i processi fondamentali sottostanti.

Come ha spiegato Hegel nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia: “In effetti, è il desiderio di intuizione razionale, non l’ambizione di accumulare un semplice insieme di acquisizioni, che dovrebbe essere presupposto in ogni caso nella presa di possesso della mente dello studente nello studio della scienza.” (unica citazione ancora non trovata, ma conto di trovarla o di arrivare alla migliore traduzione possibile prima dell’invio ai compagni)

Abbiamo a che fare qui con processi generali e possiamo osservare solo alcuni paesi che servono a illustrare più chiaramente i processi in questa fase. Ovviamente, gli altri paesi verranno trattati in articoli separati.

Eventi drammatici

L’anno 2021 è iniziato con eventi drammatici. La crisi mondiale del capitalismo sta creando una serie di problemi che si stanno diffondendo da un paese e da un continente all’altro. Da tutte le parti c’è lo stesso quadro di caos, disastro economico e polarizzazione di classe.

Il nuovo anno è stato inaugurato dalla folla di estrema destra che ha preso d’assalto il Campidoglio degli Stati Uniti a Washington, incoraggiati dalll’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, conferendo al centro dell’imperialismo occidentale l’aspetto di uno stato fallito.

Questi eventi, insieme alle proteste della scorsa estate di Black Lives Matter di gran lunga più grandi, mostrano a che punto è diventata profonda la polarizzazione della società statunitense.

Oltre a questo, le grandi proteste in India, Colombia, Cile, Bielorussia e Russia hanno dimostrato lo stesso processo: il risentimento delle masse sta crescendo e la classe dirigente non riesce a governare alla vecchia maniera.

Una crisi globale come nessun’altra

Queste prospettive mondiali sono diverse da ogni altro documento simile che abbiamo preparato in passato. Sono enormemente complicate dalla pandemia che aleggia come una nuvola nera sul mondo intero, sottoponendo milioni di persone a miseria, la sofferenza e la morte.

La pandemia continua a imperversare fuori controllo. Al momento in cui scriviamo, ci sono stati più di 100 milioni di casi in tutto il mondo e quasi tre milioni di morti. Queste cifre sono senza precedenti al di fuori di una guerra mondiale. E continuano a salire inesorabilmente.

Questo terribile flagello ha avuto effetti devastanti nei paesi poveri del mondo e ha colpito seriamente anche alcuni dei paesi più ricchi.

Negli Stati Uniti ci sono 30 milioni di casi e il numero di morti ha superato il mezzo milione. E la Gran Bretagna è fra i paesi col numero più alto di morti pro capite della popolazione: oltre 4 milioni di casi e ben oltre 100.000 morti.

La crisi attuale non è quindi come una normale crisi economica. Si tratta letteralmente di una situazione di vita o di morte per milioni di persone. Molte di queste morti avrebbero potuto essere evitate con misure adeguate nella fase iniziale.

Il capitalismo non può risolvere il problema

Il capitalismo non può risolvere il problema: è esso stesso il problema.

Questa pandemia serve a smascherare intollerabili divisioni tra ricchi e poveri. Ha rivelato le profonde fratture che dividono la società, il confine tra coloro che sono condannati ad ammalarsi e morire e coloro che si salveranno.

Ha messo a nudo gli sprechi del capitalismo, il suo caos e la sua inefficienza, e sta preparando la lotta di classe in ogni paese del mondo.

Ai politici borghesi piace usare analogie militari per descrivere la situazione attuale. Dicono che siamo in guerra con un nemico invisibile, un terribile virus. Concludono che tutte le classi e tutti i partiti devono stringersi attorno al governo. Ma un enorme abisso separa le parole dai fatti.

Le ragioni per un’economia pianificata e una pianificazione internazionale sono inappellabili. La crisi è mondiale. Il virus non rispetta le frontiere né i controlli alle frontiere. La situazione richiede una risposta internazionale, la condivisione di tutte le conoscenze scientifiche e la mobilitazione di tutte le risorse del pianeta per coordinare un autentico piano d’azione globale.

Invece, assistiamo allo spettacolo poco edificante della lite tra Gran Bretagna e UE sulla scarsità di vaccini, mentre ad alcuni dei paesi più poveri viene praticamente negato l’accesso a qualsiasi vaccino.

Ma perché scarseggiano i vaccini? I problemi della produzione di vaccini – per citare solo un esempio – riflettono la contraddizione tra i bisogni urgenti della società e i meccanismi dell’economia di mercato.

Se fossimo davvero in guerra con il virus, i governi mobiliterebbero tutte le loro risorse per questo compito. Da un punto di vista puramente razionale, la migliore politica sarebbe quella di aumentare la produzione di vaccini il più velocemente possibile.

La capacità produttiva deve essere ampliata, cosa che può essere ottenuta solo creando nuovi stabilimenti. Ma i grandi produttori privati di vaccini non hanno alcun interesse ad espandere la produzione in maniera massiccia perché, se lo facessero, guadagnerebbero meno.

Se aumentassero la capacità di produzione in modo che tutto il mondo fosse rifornito entro sei mesi, le nuove fabbriche poi rimarrebbero senza commesse. I profitti sarebbero quindi molto inferiori rispetto agli scenari attuali, in cui gli impianti esistenti produrranno a piena capacità per gli anni a venire.

Un altro ostacolo alla produzione di massa del vaccino è il rifiuto da parte di Big Pharma di cedere i diritti di proprietà intellettuale sui “propri” vaccini (nella maggior parte dei casi sviluppati con enormi quantità di finanziamenti statali) in modo che altre aziende possano produrli a buon mercato.

Le aziende farmaceutiche stanno realizzando decine di miliardi di profitti, ma problemi sia con la produzione che con l’offerta significano carenze ovunque. Nel frattempo, milioni di vite sono a rischio.

Le vite dei lavoratori sono a rischio

Nella loro fretta di rimettere in moto la produzione (e quindi i profitti), politici e capitalisti ricorrono al massimo risparmio. I lavoratori vengono rimandati in luoghi di lavoro affollati senza un’adeguata protezione. Ciò equivale a emettere una condanna a morte per molti di questi lavoratori e per le loro famiglie.

Tutte le speranze dei politici borghesi erano basate sui nuovi vaccini. Ma il lancio dei vaccini è stato confuso e l’incapacità di controllare la diffusione del virus – che aumenta il rischio di sviluppo di nuovi ceppi resistenti ai vaccini – ha gravi implicazioni, non solo per la vita e la salute umana, ma anche per l’economia.

Crisi economica

Secondo la Bank of England, l’attuale crisi economica è la più grave degli ultimi 300 anni. Nel 2020, sono stati persi nel mondo l’equivalente di 255 milioni di posti di lavoro, quattro volte di più rispetto al 2009.

Le cosiddette economie emergenti vengono trascinate in basso insieme al resto. India, Brasile, Russia, Turchia sono tutte in crisi. L’economia della Corea del Sud si è contratta lo scorso anno per la prima volta in 22 anni. Questo nonostante sussidi statali per un valore di circa 283 miliardi di dollari. In Sud Africa, la disoccupazione ha raggiunto il 32,5 per cento e il PIL si è contratto del 7,2 per cento nel 2020. Si tratta di una contrazione maggiore rispetto al 1931 durante la Grande Depressione, e questo nonostante abbia speso l’equivalente del 10 per cento del PIL in un pacchetto di stimolo fiscale.

La crisi sta facendo sempre più precipitare milioni di persone nella povertà. Nel gennaio 2021, la Banca mondiale ha stimato che 90 milioni di persone saranno spinte in condizioni di estrema povertà. L’Economist del 26 settembre 2020 ha scritto: “Le Nazioni Unite sono ancora più pessimiste. Definiscono le persone come povere se non hanno accesso a cose come acqua pulita, elettricità, cibo sufficiente e scuole per i loro figli.

“In collaborazione con i ricercatori dell’Università di Oxford, si calcola che la pandemia potrebbe ridurre alla povertà 490 milioni di persone in 70 paesi, invertendo quasi un decennio di miglioramenti”.

Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite ha espresso il fenomeno in questi termini: “In 79 paesi dove vi è una presenza operativa del programma WFP [il programma alimentare dell’ONU – ndT] e per i quali i dati sono disponibili, si stima che fino a 270 milioni di persone siano in condizioni di grave insicurezza alimentare o ad alto rischio nel 2021, un aumento dell’82% rispetto ai livelli pre-pandemici”.

Già solo questo dà un’idea della portata globale della crisi.

Oltre agli effetti della pandemia, la crisi ecologica globale aggraverà probabilmente questa situazione, alimentando povertà e insicurezza alimentare. Lo sfruttamento capitalista dell’ambiente minaccia di mettere sull’orlo del collasso i sistemi ecologici chiave. Abbiamo assistito a un aumento dei conflitti riguardo alla scarsità di risorse idriche e alla distruzione dell’ambiente che inevitabilmente porterà ad instabilità sociale e a migrazioni climatiche di massa.

L’instabilità generale nel mondo è organicamente collegata alla crescente povertà. È sia causa che effetto. È la causa che spiega al fondo molte delle guerre e delle guerre civili in corso. L’Etiopia ne è solo un esempio.

L’Etiopia è stata presentata come un modello. Nel periodo dal 2004 al 2014 la sua economia è cresciuta dell’11% all’anno e veniva considerato un paese in cui investire. Ora è stato gettato nel caos con lo scoppio dei combattimenti nella provincia del Tigrè, dove vivono 3 milioni di persone che hanno urgente bisogno di aiuti alimentari.

Non è un caso isolato. L’elenco dei paesi colpiti dalle guerre nel periodo passato è molto lungo e il catalogo delle sofferenze umane è spaventoso:

Afghanistan: due milioni di morti; Yemen: 100.000 morti; le guerre della droga in Messico: oltre 250.000 persone uccise; la guerra contro i curdi in Turchia, 45.000 morti; Somalia, 500.000 morti; Iraq, almeno un milione di morti; Sud Sudan circa 400.000 morti.

In Siria, le Nazioni Unite hanno stimato il numero di morti a 400.000, ma è una cifra sottostimata. La cifra reale non la conosceremo probabilmente mai, ma si aggirerà sicuramente sui 600.000. Nelle terribili guerre civili in Congo, probabilmente sono morte oltre quattro milioni di persone. Ma anche in questo caso nessuno conosce la cifra reale. Più recentemente abbiamo avuto il conflitto nel Nagorno-Karabakh.

L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Cifre del genere non sono più considerate adatte alle prime pagine dei giornali, ma esprimono molto chiaramente ciò che Lenin disse una volta: il capitalismo è orrore senza fine. L’esistenza stessa del capitalismo minaccia di creare le condizioni di barbarie in un paese dopo l’altro.

Una crisi di regime

Da un punto di vista marxista, lo studio dell’economia non è una questione accademica astratta. L’economia ha un effetto profondo sullo sviluppo della coscienza di tutte le classi.

Ovunque guardiamo ora c’è crisi, non solo crisi economica, ma una crisi di regime. Ci sono chiare indicazioni che la crisi è così grave, così profonda, che la classe dominante sta perdendo il controllo degli strumenti tradizionali che utilizzava in passato per governare la società.

Così, la classe dominante si trova sempre più incapace di controllare gli eventi. Ciò è particolarmente chiaro nel caso degli Stati Uniti. Ma vale anche per molti altri paesi. Basti citare i nomi di Trump, Boris Johnson e Bolsonaro per sottolineare il punto.

Stati Uniti d’America

Gli USA occupano ora un posto centrale nelle prospettive mondiali. Per molto tempo, la rivoluzione nella nazione più ricca e potente della terra è sembrata una prospettiva molto lontana. Ma gli Stati Uniti sono stati duramente colpiti dalla crisi economica mondiale e ora il tutto è capovolto.

68 milioni di americani hanno presentato domanda per il sussidio di disoccupazione durante la pandemia, e come sempre sono i più poveri e vulnerabili, soprattutto le persone di colore, a soffrire di più. Il flagello della disoccupazione ricade soprattutto sulle spalle dei giovani. Un quarto degli under 25 è stato licenziato. È stato improvvisamente rubato loro il futuro. Il sogno americano è diventato l’incubo americano.

Questo cambiamento drammatico ha costretto molte persone, vecchi e giovani, a riconsiderare opinioni che prima consideravano sacre e mettere in discussione la natura stessa della società in cui vivono. La rapida ascesa di Bernie Sanders a un estremo dello spettro politico, e di Donald Trump all’altra ha fatto scattare l’allarme rosso per la borghesia. Questo genere di cose non dovrebbe succedere!

Allarmata dal pericolo rappresentato da questa situazione, la classe dominante è stata costretta a prendere misure di emergenza. Ricordiamoci che, secondo il dogma ufficiale degli economisti borghesi, lo stato non avrebbe dovuto svolgere alcun ruolo nella vita economica.

Ma di fronte a un disastro incombente, la classe dominante è stata costretta a gettare nella spazzatura tutte le teorie economiche più accreditate. Lo stesso stato che, secondo la teoria del libero mercato, dovrebbe giocare un ruolo nullo o minimale nella vita economica, è ora diventato l’unico elemento che sostiene il sistema capitalista.

In tutti i paesi, a cominciare dagli USA, la cosiddetta economia di libero mercato è attaccata al respiratore, come un malato di coronavirus. La maggior parte del denaro distribuito dallo stato è andato direttamente nelle tasche dei ricchi. Ma la classe dominante temeva le conseguenze politiche di altri salvataggi aziendali. Hanno quindi elargito sussidi a tutti i cittadini e hanno aumentato in modo massiccio i sussidi di disoccupazione. Ciò ha attenuato l’impatto della crisi sui settori più poveri. A un certo punto, questi sostegni verranno ridotti o ritirati del tutto.

Abbiamo il paradosso della più terribile povertà nel paese più ricco del mondo che convive fianco a fianco con la ricchezza e al lusso più osceni. A ottobre del 2020, più di una famiglia americana su cinque non aveva abbastanza soldi per mangiare. Il numero di banchi alimentari sta proliferando.

Disuguaglianza e polarizzazione

I livelli di disuguaglianza hanno infranto tutti i record. La distanza tra ricchi e poveri si è trasformata in un abisso incolmabile. Nel 2020 la ricchezza dei miliardari del mondo è cresciuta di 3.900 miliardi di dollari. L’indice Nasdaq 100 è salito del 40% rispetto a prima della pandemia. Le quotazioni azionarie a livello globale, a febbraio 2021, erano aumentate di valore di 24 mila miliardi di dollari da marzo 2020.

L’amministratore delegato medio di un’azienda dello S&P 500 guadagna 357 volte di più del normale lavoratore medio. Il rapporto era di circa 20 a metà degli anni ‘60. Era 28 ancora alla fine del mandato di Ronald Reagan nel 1989.

Per citare solo un esempio, Jeff Bezos ogni secondo guadagna più soldi di quanto guadagni in una settimana il tipico lavoratore statunitense. Questo riporta l’America ai tempi dei capitalisti senza scrupoli (robber barons) che Theodore Roosevelt denunciava prima della prima guerra mondiale.

E questo ha un effetto. Tutta la demagogia su “l’interesse nazionale”, “stiamo uniti per combattere il virus”, “siamo tutti sulla stessa barca”, si dimostra come l’ipocrisia più vergognosa.

Le masse sono pronte a fare sacrifici in determinate circostanze. In tempo di guerra, le persone sono pronte a unirsi per combattere un nemico comune, questo è vero. Sono pronte, almeno temporaneamente, ad accettare un tenore di vita più basso e anche, in una certa misura, restrizioni ai diritti democratici.

Ma l’abisso che separa i ricchi dai poveri sta approfondendo la polarizzazione sociale e politica e sta creando uno stato d’animo esplosivo nella società. Mina tutti gli sforzi per creare una sensazione di unità nazionale e solidarietà, che è la principale linea di difesa per la borghesia.

Le statistiche della Federal Reserve mostrano che il decimo più ricco degli Stati Uniti aveva un patrimonio netto di 80.700 miliardi di dollari alla fine del 2020. Ciò significa il 375% del PIL e di gran lunga il massimo storico.

Una tassa del cinque per cento su questa ricchezza produrrebbe 4.000 miliardi di dollari di gettito, un quinto del PIL. Ripagherebbe tutti i costi della pandemia. Ma i ricchi capitalisti senza scrupoli non hanno intenzione di condividere il loro bottino. La maggior parte di loro (incluso Donald J. Trump) mostra una marcata avversione a pagare qualsiasi tassa, figuriamoci il cinque per cento.

L’unica soluzione sarebbe l’esproprio dei banchieri e dei capitalisti. Questa idea guadagnerà inevitabilmente sempre più sostegno, spazzando via i restanti pregiudizi contro il socialismo e il comunismo, anche tra quegli strati di lavoratori che sono stati ingannati dalla demagogia di Trump.

Questo processo sta già destando preoccupazione tra i seri strateghi del capitale. Mary Callaghan Erdoes, responsabile delle attività di gestione patrimoniale di JP Morgan, ha tratto l’inevitabile conclusione: “Da questa situazione emergerà un rischio molto elevato di estremismo. Dobbiamo cercare un modo per correggere il tiro, altrimenti ci troveremo in una situazione molto pericolosa “.

L’assalto al Campidoglio

L’attacco al Campidoglio del 6 gennaio è stato un chiaro segnale che ciò che gli Stati Uniti devono affrontare ora non è una crisi di governo, ma una crisi del regime stesso.

Questi eventi non sono stati un colpo di stato né un’insurrezione, ma hanno rivelato in modo lampante la rabbia primitiva che esiste nel profondo della società e anche l’emergere di profonde spaccature nello stato. In ultima analisi, ciò che indicano è che la polarizzazione nella società ha raggiunto un punto critico. Le istituzioni della democrazia borghese sono messe alla prova fino alla distruzione.

C’è un odio feroce per i ricchi e potenti, i banchieri, Wall Street e l’establishment di Washington in generale (“la palude”). Questo odio è stato abilmente incanalato dal demagogo di destra, Donald Trump.

Naturalmente, Trump stesso è solo l’alligatore più astuto e vorace della palude. Sta semplicemente perseguendo i propri interessi. Ma così facendo, ha seriamente danneggiato gli interessi della classe dominante nel suo insieme. Ha giocato con il fuoco e ha evocato forze che né lui né nessun altro può controllare.

Con le parole e con i fatti, Trump stava distruggendo la legittimità delle istituzioni borghesi e creando un’enorme instabilità. Questo è il motivo per cui la classe dominante e i suoi rappresentanti politici di ogni dove sono inorriditi dalla sua condotta.

L’impeachment

I democratici hanno cercato di mettere sotto accusa Trump, accusandolo di aver organizzato un’insurrezione. Ma come era prevedibile non sono riusciti a convincere il Senato a condannarlo, il che gli avrebbe impedito di candidarsi in futuro a cariche pubbliche.

La maggior parte dei senatori repubblicani sarebbe stata molto felice di farlo. Odiano e temono questo nuovo parvenu della politica. E sapevano benissimo chi c’era dietro gli eventi del 6 gennaio. Il leader repubblicano del Senato Mitch McConnell ha formulato un giudizio schiacciante sull’ex presidente, dopo aver votato per l’assoluzione.

In realtà, lui e gli altri senatori repubblicani erano terrorizzati dalla reazione dei seguaci arrabbiati di Trump se avessero fatto quel passo fatale. Hanno deciso che la prudenza è la parte migliore del coraggio e, turandosi il naso, hanno votato non colpevole.

Ma se questa è stata una tentata insurrezione, è stata molto misera. Più che a un’insurrezione, assomigliava a disordini su larga scala. La folla di sostenitori arrabbiati di Trump ha fatto irruzione in Campidoglio con l’evidente connivenza almeno di alcuni poliziotti. Ma, avendo ottenuto facilmente il controllo del Sancta Sanctorum della democrazia borghese statunitense, non avevano la più pallida idea di cosa farne.

La folla disorganizzata e senza leader si aggirava senza meta, distruggendo qualsiasi cosa che trovava e che non le piaceva urlando minacce sanguinarie contro la democratica Nancy Pelosi, il vicepresidente repubblicano Mike Pence e Mitch McConnell, che hanno accusato di tradire Trump. Nel frattempo, il comandante in capo degli insorti era convenientemente scomparso.

Se la storia si ripete, prima come una tragedia e poi come una farsa, questa è stata la quintessenza della farsa. Alla fine, nessuno è stato impiccato o ghigliottinato. Stanchi di tante urla, gli “insorti” sono tornati a casa in silenzio o si sono trincerati al bar più vicino per ubriacarsi e vantarsi delle loro imprese coraggiose, senza lasciare nulla di più minaccioso di un mucchio di spazzatura e qualche ego ferito.

Tuttavia, dal punto di vista della classe dominante, ha costituito un pericoloso precedente per il futuro. Ray Dalio, fondatore del più grande hedge fund del mondo, Bridgewater Associates, ha dichiarato: “Siamo sull’orlo di una terribile guerra civile. Gli Stati Uniti sono a un punto di svolta in cui potrebbero passare da una tensione interna gestibile alla rivoluzione “. L’assalto al Campidoglio è stato un serio avvertimento per la classe dominante. E questo avrà senza dubbio delle conseguenze. Nonostante una raffica di ostilità mediatica, il 45 per cento degli elettori repubblicani lo ha ritenuto giustificato.

Ma questo deve essere confrontato con il fatto molto più significativo che il 54% di tutti gli americani ha ritenuto giustificato incendiare il commissariato di polizia di Minneapolis. E il 10% dell’intera popolazione ha preso parte alle proteste di Black Lives Matter, 10-20.000 volte di più di coloro che hanno preso d’assalto il Campidoglio. Tutto ciò mostra la rapida crescita della polarizzazione sociale e politica negli Stati Uniti.

Le rivolte spontanee che hanno travolto gli Stati Uniti da costa a costa in seguito all’omicidio di George Floyd e gli eventi senza precedenti che hanno preceduto e seguito le elezioni presidenziali hanno segnato una svolta nell’intera situazione.

Cambiamenti nella coscienza

I liberali e i riformisti stupidi naturalmente non capiscono nulla di ciò che sta accadendo. Vedono solo la superficie degli eventi, senza comprendere le correnti più profonde che scorrono con forza sotto la superficie e spingono le onde.

Gridano costantemente al fascismo, con cui intendono tutto ciò che non amano o temono. Non sanno nulla della vera natura del fascismo, non serve dirlo. Ma insistendo costantemente sul “pericolo per la democrazia” (nel senso della democrazia formale borghese) seminano confusione e preparano il terreno per la collaborazione di classe sotto la bandiera del “male minore”. Il loro sostegno a Joe Biden negli Stati Uniti ne è un chiaro esempio.

Quello di cui dobbiamo tener conto è che la base di Trump ha un carattere molto eterogeneo e contraddittorio. Contiene un’ala borghese, guidata dallo stesso Trump, e un gran numero di piccoli borghesi reazionari, fanatici religiosi ed elementi apertamente fascisti.

Ma dobbiamo ricordare che Trump ha ricevuto 74 milioni di voti nelle ultime elezioni e molti di questi erano lavoratori che in precedenza avevano votato per Obama ma sono delusi dai democratici. Quando vengono intervistati, dicono: “Washington non si cura di noi! Siamo dimenticati! ”

Vi sono violente oscillazioni a sinistra e anche a destra. Ma la natura aborrisce il vuoto, e a causa del completo fallimento dei riformisti, inclusi i riformisti di sinistra, questo stato d’animo di rabbia e frustrazione è stato capitalizzato dai demagoghi di destra, i cosiddetti populisti. Negli USA abbiamo il fenomeno del trumpismo. In Brasile abbiamo visto l’ascesa di Bolsonaro.

Ma l’appello dei demagoghi di destra svanisce subito quando entrano in contatto con le realtà di governo, come dimostra ampiamente il caso di Bolsonaro. È vero che Trump ha mantenuto il sostegno di milioni di persone, ma è stato comunque rimosso.

È interessante notare che negli stessi giorni dell’assalto al Campidoglio, il senatore del Missouri Josh Hawley ha detto: “I repubblicani a Washington faranno molta fatica a digerirlo … Ma il futuro è chiaro: dobbiamo essere un partito dei lavoratori, non di Wall Street. ” (The Guardian)

Lenin ha scritto che la storia conosce ogni tipo di trasformazione. I marxisti devono essere in grado di distinguere ciò che è progressista da ciò che è reazionario. Dobbiamo capire che con tutti questi eventi, in embrione, vediamo il profilo degli sviluppi rivoluzionari negli Stati Uniti in futuro.

Naturalmente, questo senatore repubblicano reazionario non ha alcuna intenzione di organizzare davvero un partito operaio negli Stati Uniti e un tale partito non emergerà da una scissione di destra dei repubblicani. Ma le convulsioni nel vecchio sistema bipartitico sono senza dubbio avvisaglie di qualcosa di completamente nuovo: l’emergere di un terzo partito che sfiderà sia repubblicani che democratici.

Un tale partito avrà in un primo momento un carattere estremamente confuso ed eterogeneo. Ma l’elemento anticapitalista prima o poi prevarrà. È qui che risiede la vera minaccia per il sistema. Quando le masse iniziano a intervenire direttamente in politica, quando decidono che è giunto il momento di prendere in mano il proprio destino, è di per sé un sintomo di imminenti sviluppi rivoluzionari.

I seri strateghi del capitale comprendono le pericolose implicazioni nell’attuale turbolenza molto più dei piccoli borghesi impressionisti e in preda al panico. Il 30 dicembre 2020 il Financial Times ha pubblicato un articolo molto interessante, firmato dalla redazione.

Questo articolo dipingeva un quadro molto diverso del processo, e di dove sarebbe andato, e le conclusioni che ne traeva erano molto allarmanti da un punto di vista borghese:

“I gruppi lasciati indietro dal cambiamento economico stanno sempre più arrivando alla conclusione che i responsabili non si preoccupano della loro situazione o, peggio, hanno truccato l’economia a proprio vantaggio contro chi rimane ai margini.

“Lentamente ma inesorabilmente, questo sta mettendo il capitalismo e la democrazia in tensione l’uno con l’altro. Dalla crisi finanziaria globale, questo senso di tradimento ha alimentato una reazione politica contro la globalizzazione e le istituzioni della democrazia liberale.

“Il populismo di destra può prosperare su questo tentativo di controffensiva, lasciando comunque funzionare i mercati.

“Ma poiché non può mantenere le sue promesse a coloro che sono economicamente penalizzati, è solo una questione di tempo prima che i forconi vengano puntati contro il capitalismo stesso, per prendersi la ricchezza di coloro che ne beneficiano”.

Questo articolo mostra una perfetta comprensione delle dinamiche della lotta di classe. Anche le parole usate sono significative. I forconi suggeriscono un’analogia con la rivoluzione francese, o la rivolta dei contadini del 1381, dove i contadini si impadronirono di Londra.

Gli autori di queste righe capiscono perfettamente che una fiammata del cosiddetto populismo di destra può essere solo il primo stadio prima di un’esplosione rivoluzionaria. Le violente oscillazioni dell’opinione pubblica a destra possono essere molto facilmente la preparazione di ancora più violente oscillazioni a sinistra da parte delle masse scontente che cercano una via d’uscita dalla crisi.

Questa è una previsione molto profonda rispetto a come si svilupperanno gli eventi nel prossimo periodo. E non solo negli USA. Questa enorme volatilità può essere osservata in molti paesi, se non in tutti i paesi. Sotto la superficie si sta sviluppando uno stato d’animo di rabbia, amarezza e risentimento contro l’ordine stabilito.

Il crollo del Centro

Le istituzioni della democrazia borghese si basano sul presupposto che l’abisso tra ricchi e poveri possa essere nascosto e contenuto entro limiti gestibili. Ma non è più così.

La continua crescita della disuguaglianza di classe ha creato un livello di polarizzazione sociale che non si vedeva da decenni. Sta mettendo alla prova i meccanismi tradizionali della democrazia borghese fino ai loro limiti, e oltre quei limiti.

Lo scontro tra ricchi e poveri diventa ogni giorno più intenso. Fornisce un impulso irresistibile alle forze centrifughe che separano le classi. Questa è precisamente la ragione del crollo del cosiddetto Centro.

Questo sta provocando un’allarme crescente all’interno della classe dominante, che sente il potere sfuggirgli di mano. I partiti dell’establishment sono identificati ovunque dalle masse con l’austerità e gli attacchi al proprio tenore di vita.

Cova uno stato d’animo di rabbia nella società. Questo stato d’animo si esprime nel crollo della fiducia nelle istituzioni ufficiali, nei partiti, nei governi, nei leader politici, nei banchieri, nei ricchi, nella polizia, nella magistratura, nelle leggi esistenti, nella tradizione, nella religione e nella moralità del sistema esistente. La gente non crede più a quello che viene detto dai giornali e dalla TV. Confrontano l’enorme differenza tra ciò che viene detto e ciò che accade e si rendono conto che ci raccontano un mucchio di bugie.

Non è sempre stato così. In passato, la maggior parte delle persone non prestava molta attenzione alla politica. Questo vale anche per i lavoratori. Le conversazioni nei luoghi di lavoro riguardavano solitamente il calcio, i film, i programmi televisivi. La politica veniva menzionata di rado, tranne forse al momento delle elezioni.

Ora, non è più così. Le masse stanno cominciando a interessarsi alla politica, perché stanno cominciando a rendersi conto che influenza direttamente le loro vite e le vite delle loro famiglie. Questo di per sé è l’espressione di un movimento nella direzione della rivoluzione.

In passato, se la gente si prendeva la briga di votare alle elezioni, di solito votava per lo stesso partito per cui avevano votato i loro genitori e nonni. Ora, tuttavia, le elezioni sono diventate estremamente imprevedibili. L’umore dell’elettorato è arrabbiato, diffidente e instabile, oscillando violentemente da sinistra a destra e da destra a sinistra.

Le prospettive per l’amministrazione Biden

Gli strateghi del capitale riconoscono i pericoli colossali di questa polarizzazione e si sforzano disperatamente di ricostruire il “Centro”. Ma oggettivamente non ne esiste una base reale. Se pensiamo a Joe Biden, è come cercare il sostegno di una canna spezzata.

Wall Street ora ripone le sue speranze nell’amministrazione Biden e nella sua campagna di vaccinazione. Ma Biden ora deve gestire una profonda crisi economica e politica in una nazione divisa e in declino.

È spinto dall’establishment ad aumentare l’intervento statale nell’economia e non ha perso tempo nello svelare i suoi piani per un pacchetto di stimolo da 1.900 miliardi di dollari per l’economia statunitense. Se aggiungiamo il pacchetto di 900 miliardi precedentemente concordato dal Congresso e i 3.000 miliardi di aiuti approvati all’inizio della pandemia, il tutto si trasforma in una montagna di debiti. La classe dominante sta cercando disperatamente di ripristinare la stabilità politica.

Il professor di Harvard Kenneth Rogoff si è espresso così: “Sono molto solidale con quello che sta facendo Biden … Sì, c’è qualche rischio che si abbia instabilità economica in futuro, ma ora c’è instabilità politica”. Tutto questo sta preparando un’enorme crisi su tutta la linea.

Nel frattempo milioni di cittadini scontenti non credono nemmeno che Biden abbia vinto le elezioni. Qualunque cosa faccia per loro sarà sbagliata. D’altra parte, le speranze esagerate dei suoi molti sostenitori evaporeranno come una goccia d’acqua su una stufa calda, una volta svanito l’iniziale senso di sollievo per la dipartita di Trump. E, sebbene potrà inevitabilmente godere di un periodo di luna di miele, ad essa farà seguito una disillusione massiccia, che preparerà la strada a nuovi sconvolgimenti, turbolenze e instabilità.

L’America Latina

L’America Latina è una delle regioni al mondo più colpite dal Covid-19, dal punto di vista della sanità pubblica ma anche dal punto di vista della crisi economica.

Il PIL della regione è diminuito di circa il 7,7% nel 2020, il crollo più profondo degli ultimi 120 anni. Ciò è avvenuto sulla scia di un decennio di stagnazione con una crescita media annua dello 0,3% nel 2014-2019. La regione potrebbe non recuperare il suo PIL pre-crisi fino al 2024. I livelli di povertà estrema sono tornati a quelli del 1990.

La situazione stava già producendo turbolenze sociali e politiche prima dell’inizio della pandemia. In America Latina, le rivolte del 2019 (Ecuador, Cile), che facevano parte di una tendenza mondiale (Algeria, Sudan, Iraq, Libano, …), sono state temporaneamente interrotte dall’insorgere della pandemia che ha travolto il continente con conseguenze devastanti.

Il Brasile ha avuto uno dei più alti tassi di mortalità al mondo e anche il Perù è stato duramente colpito. In Ecuador le bare si stavano ammucchiando davanti agli obitori sovraffollati e in alcune zone i corpi venivano lasciati incustoditi per le strade.

Tuttavia, nella seconda metà del 2020, abbiamo assistito a un ritorno ai movimenti insurrezionali di massa. Nel settembre 2020 c’è stata un’esplosione di indignazione in Colombia contro un omicidio della polizia, che ha visto l’incendio di 40 stazioni di polizia. In Perù il movimento delle masse ha fatto cadere due governi. E le proteste in Guatemala hanno portato all’incendio del palazzo del parlamento.

Ciò è continuato nel 2021, e con importanti conseguenze politiche. In Colombia il movimento è riemerso con un movimento potente di sciopero nazionale che ha ridotto al minimo la base sociale di appoggio del governo Duque. In Perù, abbiamo avuto l’elezione inaspettata dell’insegnante e attivista sindacale Pedro Castillo alle elezioni presidenziali. Allo stesso modo, in Cile abbiamo avuto la sconfitta elettorale della destra e l’ascesa dei candidati collegati all’insurrezione del 2018, come pure al PC e al Frente Amplio nelle elezioni dell’Assemblea costituente, dei sindaci e dei governatori regionali.

In Brasile, dove la sinistra e i settari hanno fatto un gran baccano sulla presunta vittoria del “fascismo”, il sostegno a Bolsonaro sta crollando. Lo slogan originariamente lanciato dai nostri compagni brasiliani “Fora Bolsonaro” (Bolsonaro vattene!), Che è stato rifiutato come utopico dalla sinistra, ha ora ottenuto un consenso generale.

L ‘“uomo forte” Bolsonaro è così debole che non è riuscito nemmeno a dare vita al suo partito. Anche se ci ha provato disperatamente, finora non è riuscito nemmeno a ottenere firme sufficienti per registrarlo.

Il problema non è la forza di Bolsonaro ma la debolezza della sinistra. Il PT, che un tempo godeva del sostegno schiacciante dei lavoratori, ha perso massicciamente alle ultime elezioni. Anche qui si tratta non di difficoltà oggettive, ma di debolezza del fattore soggettivo.

Gli eventi rivoluzionari e insurrezionali che hanno avuto luogo in diversi paesi dell’America Latina e l’avvento al potere di leader “progressisti” con l’appoggio di operai e contadini (AMLO in Messico, Arce in Bolivia, Castillo in Perù, ecc.) servono da confutazione di tutti coloro (compresi i settari) che sostenevano che ci fosse un’“ondata conservatrice” in America Latina. Il capitalismo qui è molto più debole che nei paesi capitalisti sviluppati, gli effetti della pandemia sono stati devastanti in termini sanitari ed economici e le masse stanno facendosi i muscoli nelle lotte impressionanti che abbiamo visto di recente. Per tutti questi motivi, è molto probabile che l’America Latina sia uno degli scenari dei prossimi avvenimenti rivoluzionari.

Cuba

Cuba, nel frattempo, si trova ad affrontare una grave crisi economica, scatenata dalla pandemia e aggravata dalle sanzioni e dalle misure economiche di Trump, nessuna delle quali ritirate da Biden. L’economia dell’isola è crollata dell’11% nel 2020.

Ciò ha spinto la direzione ad attuare una serie di misure filo-capitaliste che erano state discusse per 10 anni ma mai completamente attuate, inclusa l’unificazione monetaria, le relazioni di mercato tra le società del settore statale, la chiusura delle società del settore statale che non sono “redditizie”, la revoca delle sovvenzioni sul prezzo dei prodotti alimentari di base, ecc.

Queste misure stanno già avendo un impatto sull’ulteriore aumento della disuguaglianza e hanno generato malcontento. È un punto di svolta nel processo verso la restaurazione capitalista.

Questi fattori economici sono la base oggettiva per le proteste dell’11 luglio. Queste state le proteste più grandi a Cuba dal “maleconazo” del 1994, e sono arrivate in un momento di profonda crisi economica e con un governo che non ha la stessa autorità che Fidel Castro aveva all’epoca.

Il movimento aveva una componente genuina di una protesta contro la scarsità e i disagi che la classe operaia sta soffrendo. C’era, tuttavia, un altra componente che rispondeva a una costante campagna di propaganda sui social media e di provocazioni nelle strade da parte di elementi apertamente controrivoluzionari, andate avanti per mesi.

I manifestanti, che all’Avana erano circa duemila, erano composti da diversi settori: i poveri dei quartieri operai gravemente colpiti dalla crisi economica e le misure prese dalla burocrazia; elementi sottoproletari e criminali; elementi piccolo borghesi procapitalisti che sono cresciuti negli ultimi 10 anni di riforme del mercato; artisti, intellettuali e giovani preoccupati per la censura e per i diritti democratici in astratto.

Deve essere chiaramente spiegato che le proteste hanno avuto luogo sulla base degli slogan “Patria e vita” (“Patria y vida”), “Abbasso la dittatura” e “Abbasso il comunismo”, chiaramente di carattere controrivoluzionario. I problemi e le difficoltà sono reali e autentiche; vi partecipano elementi confusi; ma in mezzo a tutta la confusione, sono gli elementi controrivoluzionari che dominano queste proteste. Questi sono organizzati, motivati ​​e hanno obiettivi chiari. Occorre quindi opporsi ad essi e difendere la rivoluzione. Se coloro che promuovono queste proteste, insieme ai loro mentori a Washington, dovessero raggiungere il loro obiettivo – il rovesciamento del governo – questo accelererebbe inevitabilmente il processo di restaurazione capitalista e farebbe ritornare Cuba alla sua condizione precedente di colonia de facto dell’imperialismo statunitense. I problemi economici e sanitari sofferti dalla classe operaia cubana non sarebbero risolti, ma al contrario, sarebbero aggravati. Basta guardare al Brasile di Bolsonaro o alla vicina Haiti per convincersi di questo. La sconfitta della rivoluzione cubana avrebbe un impatto negativo sulla coscienza dei lavoratori in tutto il continente e nel mondo.

Nello scontro che si sta aprendo, la tendenza marxista internazionale si colloca incondizionatamente per la difesa della rivoluzione cubana. Il primo punto che dobbiamo porre è che siamo totalmente contrari all’embargo dell’imperialismo statunitense e facciamo campagna contro di esso. Tuttavia, la nostra difesa incondizionata della rivoluzione non significa che noi siamo acritici. Dobbiamo spiegare chiaramente che i metodi della burocrazia sono responsabili in gran misura di aver creato la situazione attuale. La pianificazione burocratica porta a malgestione, inefficienza, spreco e indolenza. L’imposizione burocratica e l’arbitrio porta all’alienazione dei giovani. Le misure pro-capitaliste portano a differenziazioni sociali e povertà.

È emersa una messa in discussione diffusa riguardo alla direzione tra molti lavoratori e giovani che si considerano rivoluzionari. Dobbiamo spiegare che l’unica maniera efficace per difendere la rivoluzione è mettere mettere a capo di essa la classe operaia. Il nostro modello dovrebbe essere la democrazia operaia della Comune di Parigi e Stato e rivoluzione di Lenin. Noi difendiamo la discussione politica più ampia e libera tra i rivoluzionari. Lo stato e i media dovrebbero essere aperti a tutte le sfumature di opinione dei rivoluzionari. In tutti i luoghi di lavoro i lavoratori stessi dovrebbero avere pieni poteri per riorganizzare la produzione al fine di renderla più efficiente. Inoltre, i privilegi della burocrazia (negozi speciali, accesso preferenziale ai generi di base) devono essere aboliti. Tutti i funzionari statali dovrebbero essere eletti e revocabili in qualsiasi momento.

Il destino della rivoluzione cubana sarà deciso in ultima analisi nella sfera della lotta di classe internazionale. I rivoluzionari cubani dovrebbero adottare un posizione internazionalista, rivoluzionaria e socialista, contrapposta a quella basata sulla geopolitica e sulla diplomazia. Noi difendiamo la democrazia operaia e il socialismo internazionale.

Europa

Nel 2020, il PIL dell’Eurozona è diminuito in termini reali del 7 per cento. Questo è stato per l’Europa il più grande calo dalla Seconda guerra mondiale. I dati ufficiali mostrano che ci sono 13,2 milioni di disoccupati, ma se non consideriamo le misure di protezione messe in atto dai vari stati, la cifra reale della disoccupazione è più vicina al 12,6 per cento (circa 20 milioni). Dai dati ufficiali ne mancano altri 30 milioni, descritti come “disoccupazione nascosta”.

La Commissione UE ha combinato un pasticcio con il lancio del vaccino per il covid-19, provocando gravi carenze in tutta Europa. La Danimarca inizialmente ne aveva solo 40.000, quando se ne aspettava 300.000. I Paesi Bassi inizialmente non ne hanno ricevuto alcuno.

Il fallimento del programma vaccinale è la conseguenza del disastro della crisi della carenza di DPI lo scorso anno. Quando l’Italia stava affrontando il momento peggiore della sua crisi, la solidarietà europea è stata completamente dimenticata. Ognuno ha pensato a sé stesso. Il programma vaccinale è stato un tentativo di ristabilire la solidarietà all’interno dell’Unione Europea, ma è fallito.

A peggiorare ulteriormente le cose, l’escalation di misure restrittive (lockdown, ecc.) per contrastare la pandemia di coronavirus, attuate dalle 21 nazioni dell’Eurozona ha rallentato significativamente l’attività economica, cosicché il blocco europeo si è trovato ad affrontare una doppia recessione.

A differenza della scorsa primavera, quando la pandemia ha colpito per la prima volta e l’economia dell’Eurozona ha subito uno shock improvviso e profondo, la nuova ondata si sta trascinando più a lungo, provocando un declino dell’attività economica più lento ma anche più debilitante.

Viaggi, vendite al dettaglio, ospitalità alberghiera, fiducia delle imprese e capacità di spesa dei consumatori sono stati colpiti nelle prime settimane del 2021. Ciò minaccia di produrre un’ondata ritardata di fallimenti, a meno che i governi e le banche centrali non continuino a sostenere misure per puntellare l’economia.

Di conseguenza, gli economisti stimano che una contrazione della produzione nell’Eurozona compresa tra l’1,8% e il 2,3% negli ultimi tre mesi del 2020, verrebbe seguita da un altro calo nel primo trimestre del 2021 in molte delle sue principali economie, comprese Germania e Italia. Questo per l’Eurozona sarebbe la seconda recessione, definita come due trimestri consecutivi di crescita negativa, in meno di due anni.

Dopo la Brexit e Trump, che non si è mai preso la briga di mascherare il suo disprezzo per le vicende dell’Europa, la borghesia europea sente di non poter più fare affidamento sugli alleati tradizionali. Lo sciocco tentativo di Emmanuel Macron di ingraziarsi Trump è stato un fallimento spettacolare.

Trump ha messo bene in chiaro che vedeva l’Europa come il principale nemico, mentre la Russia era solo un “concorrente”. Ha fatto seguire alle parole i fatti. Le sue politiche protezionistiche erano dirette tanto contro l’Europa quanto contro la Cina. E ha mantenuto questo atteggiamento bellicoso fino agli ultimi giorni della sua amministrazione. Alla vigilia di Capodanno, gli Stati Uniti hanno annunciato un nuovo aumento dei dazi verso la UE, per la componentistica aerea e i vini provenienti da Francia e Germania.

Biden sta cercando di rinnovare i legami con l’Europa. Si è nuovamente impegnato per il multilateralismo statunitense, incluso il rientro nell’OMS e nell’accordo di Parigi sul clima. Ha anche annunciato il suo sostegno alla nuova Direttrice generale del WTO. È cambiato anche l’atteggiamento verso l’accordo nucleare con l’Iran. Tutti questi sono passi graditi agli europei, che sono alla disperata ricerca di un cambio di rotta alla Casa Bianca. Trump etichetta questa nuova strategia come “L’America per ultima”.

Tuttavia, ci sono conflitti tra le due parti molto più difficili da risolvere. Gli europei non sono convinti della strategia statunitense sulla Cina. Sono anche desiderosi di trarre vantaggio dalla guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina. Il nuovo Trattato sugli investimenti stipulato tra Cina e UE nelle ultime settimane di presidenza Trump è stato ampiamente visto come un affronto a Joe Biden, con il nuovo presidente costretto ad ingoiarlo.

Ci sono da risolvere controversie di più lungo corso: quella sugli aiuti di Stato Airbus-Boeing cova da decenni senza che ci sia una soluzione in vista. Anche il gasdotto Nord Stream 2 sta causando una profonda spaccatura tra gli Stati Uniti e la Germania, con gli statunitensi che insistono sul fatto che il gasdotto rafforzerà l’influenza della Russia in Europa. L’affetto ritrovato tra Biden e gli europei sarà messo alla prova nei prossimi mesi mentre entrambi i blocchi tentano di rilanciare le loro esportazioni nel mezzo della crisi post-pandemia.

La Germania è stata l’ancora dell’Europa, un’isola di stabilità in acque spesso tempestose. Angela Merkel è stata vista come un paio di mani sicure al timone del paese più importante d’Europa. Ma con la pandemia sono arrivati nuovi problemi.

L’Europa stava già vivendo tensioni crescenti tra gli Stati membri dopo la crisi del 2008. La Brexit è stata un punto di svolta in questa dinamica, così come la crisi pandemica e il nazionalismo che ha prevalso nell’affrontare la crisi sanitaria. La profonda crisi globale eserciterà una pressione enorme in questa direzione: l’UE deve competere con gli altri blocchi imperialisti mentre allo stesso tempo le diverse nazioni che compongono l’UE si sfideranno tra loro per esportare le proprie crisi.

I capitalisti tedeschi hanno riconosciuto che dovevano cambiare i loro metodi per cercare di fermare le crescenti tendenze centrifughe nell’UE. Questa tendenza si è ulteriormente rafforzata quando la pandemia ha colpito duro. Lo scorso autunno, la Germania è stata costretta a sottoscrivere un prestito di 750 miliardi di euro per il Recovery fund europeo al fine di tenere insieme l’UE. Questo pacchetto sostanziale fornirà un sollievo temporaneo all’UE, ma è solo una sovvenzione una tantum. Gli appelli ad andare oltre in questa direzione sono stati bloccati dalla Germania in maniera risoluta. Alla fine nessuno dei problemi è stato risolto.

La Merkel ha dovuto prolungare il lockdown in Germania. La sua coalizione sta litigando a causa del ritmo lento delle vaccinazioni e per le forniture inadeguate. L’umore nazionale è passato dall’autocompiacimento al depresso. Il Financial Times ha commentato che “il panorama politico in vista delle elezioni di settembre sembra più frammentato e volatile”.

In Francia, il governo Macron è ora totalmente screditato, con un tasso di sfiducia del 60 per cento: uno dei peggiori dopo le proteste dei gilet gialli. Il tasso di disoccupazione ufficiale è del 9 per cento, ma in realtà è molto più alto.

Il “Grande dibattito nazionale” non è servito affatto a ristabilire il sostegno pubblico al governo, così come il licenziamento del Primo ministro, Edouard Phillipe. E i ripetuti tentativi di Macron di recitare la parte del “grande statista” a livello internazionale non provocano altro che risate sarcastiche a tutti i livelli.

Gran Bretagna

Non molto tempo fa, la Gran Bretagna era probabilmente il paese più stabile d’Europa. Ora è con ogni probabilità il più instabile.

La crisi attuale ha messo crudelmente in luce la debolezza del capitalismo britannico. L’economia del Regno Unito è diminuita del 9,9% nel 2020, il doppio della Germania e il triplo degli Stati Uniti. Ora, di fronte agli effetti della pandemia e della calamità della Brexit, un’altra recessione è inevitabile.

La Brexit è stata un atto di pura follia da parte del Partito conservatore, che ora è sfuggito al controllo della classe dominante. Il governo è controllato da un clown, che a sua volta è controllato da folli sciovinisti reazionari.

Nonostante abbia ottenuto una vittoria decisiva nelle elezioni del dicembre 2019, il Partito conservatore è sempre più screditato, in particolare per la sua cattiva gestione della pandemia per cui ci sono stati più morti che in qualsiasi altro paese in Europa. Il numero di morti (chiaramente sottostimato nelle cifre ufficiali) è tra i più alti di qualsiasi paese rispetto alla popolazione. Eppure i Tory hanno fatto una continua resistenza a prendere le misure necessarie, fino a quando non sono stati costretti dalla gravità della situazione.

Queste persone non sono interessate alla vita e alla salute della popolazione. Né si preoccupano del deplorevole stato del Servizio Sanitario Nazionale (NHS), determinato da loro per mezzo di decenni di tagli. Sono motivati ​​da una sola cosa: il profitto.

I conservatori vogliono a tutti i costi che si continui a produrre. Ecco perché erano determinati a riaprire le scuole. Ciò ha portato nei primi giorni di gennaio a una protesta di massa e a un grande riunione online con 400.000 insegnanti. La loro minaccia di sciopero ha costretto il governo a chiudere le scuole.

Tuttavia, nonostante l’impopolarità del governo, il Partito laburista e la sua direzione di destra stanno ancora perdendo terreno rispetto ai conservatori. Non c’è una vera opposizione da parte del Labour.

Le dimissioni di Corbyn e McDonnell dopo la sconfitta laburista nel dicembre 2019 sono state un duro colpo alla sinistra e un regalo alla destra. La sinistra ha avuto tutte le opportunità per trasformare il Partito laburista. Avevano il completo appoggio della base. Ciò poteva significare la possibilità di portare avanti un’epurazione completa dell’ala destra del Partito laburista parlamentare e della burocrazia. Ma si sono tirati indietro e si sono rifiutati di sostenere lo slogan per la deselezione dei parlamentari che era sostenuta dai marxisti e che aveva un ampio sostegno tra la base.

In ultima analisi, gli esponenti della Sinistra laburista hanno paura di portare la lotta alle sue estreme conseguenze, che significherebbe una completa rottura con la destra del partito. Ma l’ala destra non mostra una tale gentilezza verso la sinistra. Incoraggiati dalla loro debolezza, hanno effettuato un’epurazione, compresa la sospensione dello stesso Corbyn. Questa debolezza non è solo una questione morale. È una questione politica. È una caratteristica organica del riformismo di sinistra.

Ora è il grande capitale che comanda nel Labour. Keir Starmer non parla come il leader dell’opposizione, ma come un membro servile del governo Johnson. Aspetta che Johnson faccia qualcosa prima di dire “anche io”.

Ma ora la destra laburista è andata troppo oltre. Con le sue azioni, potrebbe costringere la sinistra a tornare a dare battaglia. Tutto è pronto per una battaglia nel Partito laburista.

Qualunque cosa accada, la tendenza marxista ne guadagnerà e si apriranno per noi molte nuove porte. L’arte della politica è cogliere ogni opportunità che si presenta. Coglieremo questa opportunità per quanto possibile e senza dubbio ne trarremo dei vantaggi.

Italia

L’Italia resta l’anello più debole nella catena del capitalismo europeo. La sua cronica debolezza è stata messa a nudo dalla crisi attuale. Incapace di competere con economie più potenti come quella tedesca, sta rimanendo sempre più indietro e sprofonda sempre più nel debito.

Il suo sistema bancario è costantemente in bilico sull’orlo di un collasso che potrebbe trascinare con sè il resto dell’Europa. L’UE è obbligata a sostenerla proprio per questa ragione, ma lo fa imprecando a denti stretti.

In particolare, i banchieri tedeschi sono diventati sempre più impazienti e fino a poco tempo fa chiedevano l’adozione di misure serie per tagliare la spesa pubblica e attaccare il tenore di vita. Vale a dire che spingevano l’Italia verso il baratro. La loro musica è in qualche modo cambiata da quando la pandemia ha costretto tutti loro a rivolgersi allo stato per chiedere aiuto. Una volta che la pandemia finirà, torneranno con insistenza all’austerità.

Per navigare in mezzo alla crisi attuale, la classe dominante italiana ha bisogno di un governo forte. Ma in Italia non è possibile un tale governo. Il regime politico è marcio fino al midollo. La mancanza di fiducia nei politici è espressa da una crisi di governo permanente. Una coalizione instabile succede a un’altra, mentre in realtà non cambia nulla. Le masse sono disperate e la loro ricerca di una via d’uscita si esprime con violente oscillazioni a destra e a sinistra.

La crisi è stata enormemente aggravata dalla pandemia, che ha colpito l’Italia prima e più duramente che altrove. Al momento in cui scriviamo, il numero di morti per covid-19 si sta avvicinando ai 100.000.

La classe dominante sperava di mantenere la coalizione di centrosinistra il più a lungo possibile per evitare un’esplosione sociale. Ma ciò è diventato irrealizzabile, poiché le opzioni politiche si stavano esaurendo ad una ad una. Sentendosi con l’acqua alla gola, il partito di Renzi, Italia Viva, ha ritirato i suoi tre ministri dalla coalizione di Conte per i fallimenti nella gestione della pandemia, portando alla caduta del governo e aprendo la porta alla formazione del governo Draghi.

Il Presidente della Repubblica è intervenuto e, invece di indire elezioni anticipate, ha invitato Draghi, l’ex governatore della Banca centrale europea a formare un governo. Qui abbiamo un altro esempio di un “tecnocrate”, non eletto da nessuno, imposto al paese come Primo ministro.

Il fallimento del “centrosinistra” ha fornito un’opportunità per formazioni di estrema destra come il partito Fratelli d’Italia. Sono rimasti fuori dalla coalizione che appoggia Draghi, in primo luogo perché non gli servono, e in secondo luogo perché sperano di guadagnare a destra a spese della Lega che ora è al governo.

Prima o poi, però, i giochi parlamentari verranno sostituiti da una battaglia aperta tra le classi. Nessuna stabilità è possibile sulla base del sistema attuale. In Italia non esiste un partito operaio di massa. Ma l’umore delle masse diventa di giorno in giorno sempre più arrabbiato e impaziente. Le azioni combattive dei lavoratori nel primo mese della pandemia sono state un monito di ciò che accadrà.

I ripetuti fallimenti dei governi stanno inevitabilmente portando a un’esplosione della lotta di classe. Alla fine dei conti, le questioni non saranno risolte in parlamento e si avvicina rapidamente il giorno in cui il baricentro passerà da un parlamento screditato alle fabbriche e alle piazze.

Russia

Ovunque possiamo vedere la stessa turbolenza e volatilità. In Russia, il ritorno e l’arresto di Alexei Navalny sono stati il segnale per un’ondata di proteste in tutto il Paese. Ci sono state manifestazioni di 40.000 persone a Mosca, 10.000 a Pietroburgo e migliaia in altre 110 città, tra cui Vladivostok e Khabarovsk.

Queste proteste non sono ancora state della stessa portata che abbiamo visto in precedenza in Bielorussia, quando milioni di persone sono scese in piazza per rovesciare Lukashenko. Ma sono state grandi manifestazioni per il contesto russo. Erano molto eterogenee nella composizione, con molte persone della classe media, intellettuali, liberali – ma anche un numero crescente di lavoratori, soprattutto giovani lavoratori.

La polizia ha reagito con la repressione. In molte città ci sono stati scontri per le strade. La gente ha sfondato i blocchi, con circa 40 agenti di polizia feriti. Diverse migliaia di persone sono state arrestate.

Cosa ha rappresentato ciò? Le proteste sono state in parte un riflesso dell’indignazione per l’arresto di Navalny. Ma la questione di Navalny è solo un elemento in questa situazione, e non necessariamente il più importante.

Alexei Navalny è descritto dai media occidentali come un eroico difensore della democrazia. In realtà, è un ambizioso opportunista con un dubbio passato politico. In retrospettiva, sarà visto come una figura accidentale.

Ma in certi momenti anche figure accidentali giocano un ruolo nella storia. Proprio come in chimica è necessario un catalizzatore per provocare una particolare reazione, così nel processo rivoluzionario è necessario un punto di riferimento che funga da detonatore per scatenare il malcontento accumulato dalle masse. La natura precisa di questo catalizzatore è irrilevante. In questo caso, è stato l’arresto di Navalny. Ma avrebbe potuto essere un qualsiasi altro fattore.

Caduta del tenore di vita

Il punto principale non è il caso attraverso cui si esprime la necessità, ma la necessità stessa. La vera causa di questo sconvolgimento è stata la rabbia accumulata della popolazione per il calo del tenore di vita, la crisi economica e gli abusi di un regime corrotto e repressivo.

Tutto indica che il sostegno a Putin è in calo. A un certo punto i sondaggi gli davano regolarmente un sostegno superiore al 70%. Al momento dell’annessione della Crimea, questa percentuale è salita oltre l’80%. Ma ora si aggira intorno al 63% e nel suo punto più basso era appena sopra il 50%. Questi numeri devono aver causato un serio allarme al Cremlino.

In passato Putin poteva vantare un certo successo in campo economico, ma ora non più. Tra il 2013 e il 2018, prima della pandemia, la crescita economica annua era dello 0,7 per cento, ovvero era sostanzialmente stagnante. Alla fine del 2020, c’era una crescita negativa di circa il 5 per cento. La disoccupazione cresce rapidamente e molte famiglie stanno perdendo la casa.

Per un certo periodo, in particolare dopo l’annessione della Crimea, che ha una popolazione in maggioranza russa, Putin ha giocato la carta nazionalista. Ciò ha aumentato la sua popolarità, ma i fumi inebrianti dello sciovinismo si sono in gran parte dissipati e la credibilità di Putin è stata seriamente danneggiata dalla sua riforma delle pensioni.

C’è una indignazione crescente per la mostruosa corruzione e lo stile di vita sfarzoso dell’élite al potere. Due giorni dopo il suo arresto, Navalny ha pubblicato un video, visto da milioni di persone, dove denuncia la corruzione personale di Putin, mostrando una grande villa che ha eretto sul Mar Nero. Tutto questo crea un’atmosfera esplosiva.

La base del sostegno al regime si sta restringendo in continuazione. Al di fuori della cricca di oligarchi del Cremlino che sono notoriamente corrotti, questa base è composta principalmente da funzionari statali il cui lavoro e carriera dipendono dal capo, un gran numero di amici che dipendono da contratti statali e legami d’affari con il Cremlino e altri che hanno prosperato grazie ai suoi favori.

Ultimo ma non meno importante, si appoggia sull’apparato di sicurezza e sull’esercito. Il regime di Putin è un regime bonapartista borghese. In ultima analisi, il bonapartismo è il governo con la spada. Putin è l’“uomo forte” che si trova all’apice dello stato e si bilancia tra le classi, presentandosi come l’incarnazione della nazione russa.

Ma quest’uomo forte ha i piedi d’argilla. Man mano che si esaurisce la sua base di appoggio di massa, si riduce sempre più a mantenersi al potere attraverso un misto di raggiri, spudorati brogli elettorali e la pura repressione.

Si dice che una volta Talleyrand abbia fatto notare a Napoleone che con le baionette si possono fare molte cose, tranne che sedercisi sopra. Putin farebbe bene a riflettere su quel saggio consiglio. L’arresto, la detenzione e l’avvelenamento degli oppositori politici non sono un segno di forza ma di paura e debolezza.

Inoltre, il terrore è un’arma che può essere usata efficacemente per un certo periodo, ma è soggetta alla legge dei rendimenti decrescenti. Prima o poi, le persone iniziano a perdere la paura. Questo è il momento più pericoloso per un regime autoritario. Le recenti manifestazioni sono la prova che questo processo è già iniziato.

In realtà, il regime si sta reggendo in piedi solo per l’inerzia temporanea delle masse. È impossibile dire con certezza quanto a lungo possa durare l’attuale equilibrio instabile. Per il momento, una repressione su larga scala è riuscita a frenare le proteste. Ma nessuno dei problemi di fondo è stato risolto.

Le recenti proteste hanno allarmato il regime, che sta combinando la repressione con le concessioni. Hanno annunciato un piano per aiutare le famiglie più povere. Questo potrebbe far guadagnare loro del tempo. Ma il prezzo relativamente basso del petrolio continuerà a danneggiare l’economia russa e le sanzioni imposte dall’America rimarranno, anzi verranno inasprite.

Il Partito “comunista”

In Russia il ruolo del fattore soggettivo salta agli occhi. Se il PCFR fosse un vero partito comunista, ora si starebbe preparando per il potere. Ma la cricca di Zjuganov non ha alcun interesse a prendere il potere. Hanno un accordo molto rassicurante con Putin, che garantisce i loro privilegi a condizione che non facciano nulla per disturbare la sua permanenza al potere.

L’atteggiamento dei leader del PCFR ha creato un disagio crescente fra la base del partito. Ci sono state diverse rivolte locali e regionali, messe a tacere con purghe ed espulsioni. In questo modo sono state distrutte intere organizzazioni regionali. Zjuganov teme la possibilità di una crescita di uno stato d’animo di opposizione radicale all’interno del partito. E una tale crescita dell’opposizione e un aumento della crisi nel partito comunista aprono la possibilità di un rafforzamento dell’influenza dell’autentico marxismo fra la base comunista.

L’attuale tregua precaria può durare diversi mesi o anche anni. Ma il ritardo significherà solo che le contraddizioni continueranno a crescere, preparando la strada per un’esplosione molto più grande in futuro. L’elemento decisivo in questa equazione è la classe operaia russa, che deve ancora dire l’ultima parola.

È impossibile prevedere la tempistica precisa degli eventi. La Russia non è ancora in una situazione pre-rivoluzionaria, ma gli eventi si stanno muovendo molto velocemente. Dobbiamo seguire con grande attenzione cosa succede in quel paese e i progressi dei marxisti russi.

India

In India abbiamo l’equivalente di un movimento insurrezionale dei contadini, che hanno organizzato una marcia con i trattori per interrompere la Parata del giorno della Repubblica che si teneva a Delhi il 26 gennaio e che Modi stava celebrando con una grande parata militare.

Questi eventi devono essere inseriti nel contesto della crisi globale del capitalismo. Nella concorrenza spietata nel settore agricolo, le grandi multinazionali alimentari stanno cercando di spingere verso il basso i prezzi che i piccoli e medi agricoltori ricevono all’origine per i loro prodotti.

La liberalizzazione dell’agricoltura indiana non è un fenomeno nuovo. Va avanti da anni, come abbiamo visto sotto il precedente governo di Manmohan Singh. Il capitale finanziario è entrato nell’agricoltura indiana su larga scala, costringendo gli agricoltori a fare sempre più affidamento, in misura intollerabile, sui prestiti per acquistare risorse agricole essenziali, i cui costi sono alle stelle.

Non appena sono state introdotte le nuove leggi, i prezzi pagati agli agricoltori sono stati ridotti fino al 50%, mentre i prezzi dei prodotti alimentari al dettaglio sono aumentati. È questa situazione insopportabile che ha portato all’enorme movimento dei contadini indiani. La loro richiesta è che le nuove leggi vengano abrogate. Ma nelle trattative nessuna delle loro richieste è stata soddisfatta e nessuna delle questioni è stata risolta.

Quelle che erano iniziate come proteste su piccola scala nel Punjab ad agosto 2020, dopo che erano state pubblicate le Leggi agricole di Modi, si sono intensificate diventando un movimento molto più grande, diffondendosi in altri stati. Nel settembre 2020 i sindacati degli agricoltori di tutta l’India hanno fatto appello per una Bharat Bandh (chiusura a livello nazionale). Il movimento ha continuato a intensificarsi, poiché le trattative senza fine con il governo non hanno dato risultati tangibili. Cinque milioni di persone hanno preso parte alle proteste in 20.000 località nel dicembre del 2020.

Una svolta importante in questo movimento è arrivata con gli eventi drammatici del 26 gennaio, quando centinaia di migliaia di agricoltori hanno marciato su Delhi per protestare per le loro rivendicazioni. I contadini si sono fatti strada dalla periferia verso lo storico Forte Rosso all’interno della città. Questa povera gente ha mostrato un enorme coraggio, combattendo contro una polizia pesantemente armata, ed è stata attaccata con le fruste, presa a calci e picchiata brutalmente.

Nonostante la pesante repressione della polizia, i contadini hanno preso d’assalto il Forte Rosso, occupandone i bastioni. Ci sono voluti molti sforzi da parte della polizia per cacciarli. Un manifestante è morto e più di 300 agenti sono rimasti feriti. Questo è servito solo a far infuriare ancora di più i contadini e ad attrarre ancor maggiore solidarietà verso il movimento da altri stati.

La portata di questa lotta riflette anche il fermento che c’è nell’intera società, dove anche quei settori considerati relativamente conservatori nelle aree rurali stanno entrando in mobilitazione e si stanno radicalizzando sotto l’impatto della crisi economica.

Non molto tempo fa, quando Modi vinse per la prima volta le elezioni, Gli elementi di sinistra stanchi e gli ex-sinistri lamentavano l’ascesa del “fascismo” in India. La nostra tendenza, tuttavia, ha compreso che l’elezione di Modi avrebbe preparato le condizioni per una reazione di proporzioni immense. Le nostre prospettive sono state confermate da eventi su larga scala. Invece del fascismo, ciò che abbiamo è polarizzazione di classe e lotta di classe intensa.

Ruolo degli stalinisti

Modi è stato chiaramente scosso dalla rivolta dei contadini, che ha dato un’idea della furia repressa delle masse. Ma la debolezza del movimento in India è da ricercare nella direzione dei sindacati che non sono riusciti a fornire una risposta seria da parte della potente classe operaia indiana a sostegno dei contadini.

Tutto questo avviene dopo anni in cui abbiamo assistito a massicce mobilitazioni del proletariato indiano, con diversi scioperi generali enormi di 24 ore, che hanno coinvolto fino a 200 milioni di lavoratori – i più grandi scioperi generali nella storia della classe operaia internazionale.

Nel settembre 2016 tra 150 e 180 milioni di lavoratori del settore pubblico hanno partecipato a uno sciopero generale di 24 ore. Nello sciopero generale del 2019 hanno partecipato circa 220 milioni di lavoratori e, a quello di 24 ore del gennaio 2020, hanno preso parte 250 milioni di lavoratori.

Questi fatti dimostrano il potenziale rivoluzionario colossale del proletariato indiano. I lavoratori sono pronti a combattere. Tuttavia, la politica degli stalinisti non era quella di mobilitare le masse per una resa dei conti decisiva con il regime di Modi, ma solo di appoggiarsi al movimento di massa per ottenere concessioni e raggiungere degli accordi con Modi.

In pratica, hanno usato la tattica dello sciopero generale di un giorno come valvola di sfogo per i lavoratori, deviando il movimento di massa su binari innocui. Quella di convocare scioperi generali di un giorno è stata la stessa tattica usata dai leader sindacali in Grecia. Questo è una manovra tesa al logoramento dei lavoratori, volta a trasformare lo sciopero generale in un gesto insignificante, che crea l’illusione di fare un’azione di lotta decisiva, mentre nella pratica non fa altro che indebolire tale azione.

Lo slogan dello sciopero generale

In India, oggettivamente parlando, esistono tutte le condizioni per uno sciopero generale ad oltranza. I dirigenti dei partiti comunisti e dei sindacati avrebbero potuto svolgere un ruolo importante in questo, ma l’hanno tirata per le lunghe. Avrebbero potuto far cadere il governo Modi e porre fine alle sue politiche reazionarie. Invece, fanno dichiarazioni simboliche, ma non invitano a un’azione di lotta seria.

Ciò evidenzia la necessità urgente di sviluppare le forze del marxismo in India. Ma dobbiamo mantenere il senso delle proporzioni. La nostra organizzazione in India è ancora in una fase iniziale. Sarebbe un errore fatale avere un’idea esagerata di ciò che possiamo ottenere.

Il nostro compito non è guidare il movimento o conquistare le masse, ma lavorare pazientemente per conquistare gli elementi migliori e più rivoluzionari che stanno diventando insofferenti per le infinite prevaricazioni e tentennamenti della direzione.

Dobbiamo avanzare slogan transitori puntuali che corrispondano ai bisogni urgenti della situazione e spingano il movimento in avanti, mettendo contemporaneamente in luce la condotta pusillanime della direzione.

La lotta dei contadini ha avuto un’eco nelle fabbriche. Sentendosi con l’acqua alla gola, i leader sindacali hanno iniziato a parlare di uno sciopero generale di quattro giorni. Sosterremmo una simile richiesta, ma abbiamo bisogno di fatti e non di parole!

Dovremmo dire: molto bene, facciamo uno sciopero di quattro giorni, ma meno chiacchiere e più azione! Fissate il giorno! Avviate una campagna nelle fabbriche. Convocate riunioni di massa di protesta, organizzate comitati di sciopero. Coinvolgete gli agricoltori, le donne, i giovani, i disoccupati e tutti i settori oppressi della società. E collegate questi organi di lotta a livello cittadino, regionale e nazionale. In altre parole, organizzate i soviet per trasferire il potere ai lavoratori e agli agricoltori.

Una volta che le masse dell’India siano organizzate per la conquista del potere, nessuna forza sulla terra potrebbe fermarle. Uno sciopero di quattro giorni si trasformerebbe presto in uno sciopero generale a tempo indeterminato. Ma questo pone la questione del potere.

Questa è la prospettiva che dobbiamo spiegare pazientemente ai lavoratori e agli agricoltori indiani. Facendo così, anche se siamo molto piccoli, il nostro messaggio troverà una eco tra i lavoratori e i giovani più avanzati che cercano la strada rivoluzionaria.

Il nostro compito è conquistare e formare un numero sufficiente di quadri rivoluzionari che ci consentano di intervenire efficacemente nei drammatici eventi che accadranno nel prossimo periodo.

Myanmar

Il colpo di stato militare in Myanmar conferma che viviamo in un periodo di “svolte brusche e cambiamenti repentini”. Il colpo di stato è stato una sorpresa per molti. I militari avevano messo a punto una costituzione che dava loro un 25 per cento garantito di parlamentari e il controllo sui ministeri chiave. Era stata anche inserita una clausola che consente ai militari di intervenire durante una “emergenza”.

Ma dov’era l’emergenza qui? I militari ne hanno inventata una, sostenendo falsamente che c’è stata una frode elettorale generalizzata nella schiacciante vittoria di Aung San Suu Kyi e della Lega nazionale per la democrazia, nel novembre 2020.

Quello che c’è veramente dietro il colpo di stato è il conflitto in corso su chi dovrebbe beneficiare del programma di privatizzazione iniziato nel 1988. Da allora gli ufficiali dell’esercito sono stati impegnati ad arricchirsi accaparrandosi proprietà dello stato a prezzi stracciati. D’altra parte, gli imperialisti, in particolare gli Stati Uniti, spingono affinché il Myanmar apra il suo mercato alle multinazionali.

Il problema che devono affrontare gli imperialisti è che la potenza estera dominante in Myanmar è la Cina. La quota maggiore di import-export del Myanmar è con la Cina. Quindi, abbiamo qui una lotta sulle sfere di influenza, fondamentalmente tra Cina e Stati Uniti, dove Aung San Suu Kyi è l’agente di questi ultimi.

I vertici militari si sono trasformati in oligarchi capitalisti e hanno visto la schiacciante vittoria della LND come una potenziale minaccia per i loro interessi. I militari sono odiati dalle masse e la casta degli ufficiali temeva che con un sostegno così enorme il nuovo governo entrante potesse passare a limitare il loro potere e i loro privilegi.

I militari temevano anche la crescente fiducia delle masse dopo le elezioni. Abituati a governare il paese a comando, hanno pensato di poter intervenire e dettare la direzione in cui il paese dovesse andare. Tuttavia, non hanno tenuto conto di quanto sia forte l’opposizione al dominio militare. Le masse non hanno dimenticato come si viveva sotto il governo militare e vedono la casta militare come corrotta e avida.

Qui abbiamo un esempio di ciò che Marx chiamava la “frusta della controrivoluzione”. Il colpo di stato, invece di terrorizzare e paralizzare le masse, le ha spronate. La prospettiva per il Myanmar è quindi quella di una intensificazione della lotta di classe, non della paralisi e della demoralizzazione.

Cina

Nel passato, la Cina era una parte importante della soluzione per il capitalismo mondiale, ora è una parte importante del problema.

La Cina è l’unica grande potenza economica a registrare una crescita nel 2020. Lo Stato cinese è intervenuto in modo molto deciso per contrastare sia la pandemia che la crisi economica. Ciò è stato efficace da un punto di vista capitalista, ma ha comportato un costo elevato. Dal 2008, i livelli di debito della Cina sono saliti alle stelle, crescendo del 30% durante la pandemia e raggiungendo il 285% nel 2020. Il paese ha ora superato molti dei paesi capitalisti avanzati in termini di livello di debito.

La Banca Mondiale prevede una crescita dell’8% quest’anno. Dalla primavera dello scorso anno, la Cina ha avuto prestazioni migliori rispetto al resto del mondo. Ma questo stesso successo sarà la sua rovina poiché la sua ripresa è trainata dall’esportazione. Le autorità di Pechino da tempo tentano di modificare la struttura dell’economia cinese dalla sua forte dipendenza dagli investimenti e dalle esportazioni stimolando la domanda interna. Hanno anche tentato di sviluppare industrie in nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, il 5G ed l’energia solare, che ha una maggiore produttività del lavoro. Stanno anche cercando di sviluppare accordi commerciali alternativi per contrastare i tentativi degli Stati Uniti di isolare la Cina.

Nessuna di queste misure risolverà le contraddizioni che si stanno sviluppando nell’economia cinese. Infatti, dall’inizio della pandemia, l’economia è diventata ancora più dipendente dalle esportazioni. Inoltre, il debito continua a crescere in modo esplosivo, i conflitti con i paesi vicini e altre potenze imperialiste si stanno intensificando, e l’irregolarità della crescita continua, con le zone costiere che progrediscono molto di più dell’interno. Tutto questo aggraverà le contraddizioni sociali già esistenti.

Questa è una ricetta per nuove contraddizioni che minacciano la stabilità, non solo della Cina ma del mondo intero. La Cina sta intervenendo in modo aggressivo sul mercato mondiale e dovrà intervenire in modo ancora più aggressivo, approfittando della crisi nel resto del mondo. Questo significa inevitabilmente maggiori tensioni tra Cina e Stati Uniti, che vedono la Cina come il principale pericolo per la loro economia e il loro ruolo a livello mondiale.

Non è un caso che, nei suoi ultimi giorni, l’amministrazione Trump abbia adottato un approccio da “terra bruciata” verso la Cina, ma sotto Biden, la politica statunitense nei suoi confronti non cambierà nelle linee fondamentali. Sia i repubblicani che i democratici vedono la Cina come la principale minaccia su scala mondiale per gli Stati Uniti.

Il conflitto tra Stati Uniti e Cina minaccia di provocare una guerra commerciale ancora più seria. Questa è la più grande minaccia esistente per il capitalismo mondiale, perché è stata la crescita del commercio mondiale (la cosiddetta globalizzazione) che nell’ultimo periodo ha fornito l’ossigeno necessario al capitalismo.

Questo a sua volta avrà un effetto all’interno della Cina. Una crisi economica costituirebbe una seria minaccia alla sua stabilità sociale. Ci sono già state chiusure di fabbriche e disoccupazione, che sono state tenute nascoste, ma che ci sono. Le aziende private hanno spostato i problemi sui loro lavoratori con licenziamenti e attacchi ai salari. Il pagamento dei salari viene ritardato di mesi, facendo accumulare rabbia e risentimento colossali.

Le cerchie dominanti temono la possibilità di esplosioni sociali come conseguenza della crisi economica e della crescita della disoccupazione. Questo è il motivo principale per cui Xi Jinping è stato obbligato alla repressione brutale di Hong Kong. Questa non è stata un’espressione di forza, ma di paura e debolezza. La classe dominante cinese era terrorizzata dal fatto che questo tipo di movimento potesse diffondersi nella terraferma, e alla fine succederà, è inevitabile, come la notte arriva dopo il giorno.

Finora il regime è riuscito a contenere il malcontento che ribolle in tutta la Cina. Ma può esplodere in qualsiasi momento, e quando ciò accadrà non sarà possibile reprimerlo come a Hong Kong. Anche lì, per un po’ il regime ha perso il controllo degli eventi. Ma di fronte a cento o mille Hong Kong nella Cina continentale, si ritroverebbe immediatamente sospeso a mezz’aria.

Grandi eventi si stanno preparando in Cina. E accadranno quando nessuno se li aspetta, proprio perché è un regime totalitario, dove la maggior parte di ciò che accade è nascosto alla vista.

Mutamento dei rapporti di forza

Ciò che fece uscire gli Stati Uniti dalla depressione degli anni ’30 non fu il New Deal di Roosevelt ma la seconda guerra mondiale. Ma quella strada ora è chiusa. La forza dell’imperialismo americano è diminuito rispetto ad altre potenze, e così anche la sua capacità di intervenire militarmente.

La necessità di conquistare mercati e fonti di materie prime costringe la Cina ad essere più aggressiva sul mercato mondiale. Ha ottenuto l’accesso a risorse in tutto il mondo. Ad esempio, ha preso il controllo di un porto e di un aeroporto in Sri Lanka; ha stabilito una base militare a Gibuti; ha costruito ferrovie in Etiopia; si è impadronita di rame e cobalto in Congo; di rame in Zambia; di petrolio in Angola e così via. Rivendica inoltre la sovranità sul Mar Cinese Meridionale, che è la rotta più importante per il commercio mondiale.

Questo minaccia direttamente gli interessi dell’imperialismo statunitense. Tutto ciò significa inevitabilmente una tensione maggiore tra Cina e Stati Uniti. In epoche precedenti ciò avrebbe indubbiamente portato alla guerra. Ma i rapporti di forza ora sono completamente cambiati.

Trump non è riuscito nemmeno a costringere la Corea del Nord ad abbandonare le armi nucleari. “Little Rocket Man” gli ha fatto mangiare la polvere. Allora perché gli Stati Uniti non dichiarano guerra alla Corea del Nord, che dopotutto è un paese asiatico molto piccolo?

In passato gli americani hanno intrapreso una guerra in Corea che si è conclusa con un pareggio. Ma in Vietnam, dopo un tremendo drenaggio di risorse umane e materiali, furono sconfitti per la prima volta. Dopo di che hanno subito umiliazioni in Iraq, Afghanistan e Siria.

Trump sembrava stesse preparando un attacco aereo contro l’Iran, ma all’ultimo minuto si è tirato indietro, temendo le conseguenze. Tutto ciò serve a sottolineare che la guerra non è una questione astratta, ma molto concreta.

Gli Stati Uniti non sono stati in grado di difendere l’Ucraina o la Georgia contro la Russia, che dispone di un esercito molto potente che ha dimostrato la sua efficacia in Siria. Gli Stati Uniti sono stati costretti a ritirarsi, lasciando Russia e Iran come padroni virtuali del paese. Gli americani hanno inviato una manciata di truppe negli Stati baltici per “proteggerli” dalla Russia. Ma Putin non ha intenzione di invadere questi piccoli stati e non perderà il sonno su questo.

Il caso della Cina è ancora più chiaro. La Cina oggi non è più un paese povero e sottosviluppato come in passato. È uno stato economicamente sviluppato con un potente esercito, possiede armi nucleari e sufficienti missili balistici intercontinentali per colpire tutte le città statunitensi di sua scelta.

Il fatto che la Cina abbia recentemente lanciato un satellite in orbita attorno alla luna e inviato una missione su Marte ha decisamente chiarito questo punto, che Washington ha debitamente notato. Non c’è quindi assolutamente alcuna questione di una guerra nel futuro immediato tra gli Stati Uniti e la Cina, o, se è per questo, tra gli Stati Uniti e la Russia.

Una conflagrazione generale sulle linee del 1914-18 o 1939-1945 è esclusa a causa dei mutati rapporti di forza. Nelle condizioni moderne, significherebbe una guerra nucleare, che sarebbe catastrofica per il mondo intero.

Tuttavia, questo non significa che il prossimo periodo sarà tranquillo e pacifico. Al contrario, in effetti. Ci saranno guerre in continuazione – guerre locali piccole ma devastanti – in Africa e in Medio Oriente in particolare. Gli imperialisti statunitensi, insieme alle altre potenze imperialiste, sono stati coinvolti in guerre locali e hanno sostenuto eserciti per procura per fare la guerra contro i loro concorrenti, e questo sarà anche il caso della Cina in futuro, ma sono piuttosto contrari a rischiare la vita di soldati statunitensi in guerre all’estero a cui l’opinione pubblica americana è ormai implacabilmente contraria.

Questa situazione può cambiare solo in caso di vittoria di un regime bonapartista militar-poliziesco negli USA. Ma ciò sarebbe possibile solo dopo una serie di sconfitte decisive della classe operaia americana, che non è affatto la nostra prospettiva. Molto prima che ciò possa accadere, la classe lavoratrice avrà molte opportunità di prendere il potere. Il lamento continuo dei cosiddetti sinistri e delle sette sul presunto fascismo rappresentato da Trump è mero infantilismo, a cui non dobbiamo prestare assolutamente alcuna attenzione.

Al momento, l’imperialismo statunitense utilizza la sua forza economica per affermare il suo dominio globale. L’amministrazione Trump ha ripetutamente utilizzato la minaccia di sanzioni economiche per costringere il resto del mondo a seguire pedissequamente le politiche di Washington nel campo degli affari esteri. L’imperialismo statunitense ha usato il commercio come un’arma.

Avendo rotto unilateralmente l’accordo con l’Iran, che era stato faticosamente raggiunto dalla precedente amministrazione statunitense e dai suoi alleati europei, Trump ha inasprito le sanzioni per soffocare l’economia iraniana, e quindi ha costretto le società e le banche europee a seguirlo, pena l’esclusione dai mercati statunitensi.

In passato, se gli imperialisti britannici avessero avuto problemi con un paese semicoloniale come la Persia, avrebbero mandato una cannoniera. Al giorno d’oggi, l’imperialismo statunitense invia una lettera dal Ministero del Commercio In effetti, gli effetti di quest’ultima sono molto più devastanti di qualche proiettile lanciati da una corazzata.

Clausewitz ha detto che la guerra è politica con altri mezzi. Al giorno d’oggi dovremmo aggiungere che il commercio è guerra con altri mezzi.

“Voodoo economics”

Quando la classe dominante dovrà affrontare il rischio di perdere tutto, ricorrerà a misure disperate per salvare il sistema. Lo vediamo già adesso. Nella loro ricerca disperata di soluzioni alla crisi, i borghesi barcollano come un ubriaco da un lampione all’altro.

Hanno rovistato nella pattumiera della storia e ripescato le vecchie idee del keynesismo. La borghesia si è improvvisamente ubriacata di queste illusioni scoperte di recente, che sono semplicemente teorie vecchie e screditate che avevano precedentemente scartato con disprezzo.

Ted Grant era solito descrivere il keynesismo come economia voodoo. Questa è una descrizione molto giusta. L’idea che la borghesia possa evitare le crisi o uscirne iniettando ingenti somme di denaro pubblico sembra allettante, soprattutto per i riformisti di sinistra, che così evitano la necessità di lottare per cambiare la società. Ma c’è un piccolo problema.

Lo stato non è l’albero magico dei soldi. L’idea che possa essere una fonte di fondi illimitati è una totale assurdità. Eppure questa sciocchezza è stata adottata da quasi tutti i governi. È davvero una politica nata dalla disperazione. E ha portato all’accumulo di debiti astronomici che non hanno precedenti se non in tempo di guerra.

Al momento, i governi di tutto il mondo stanno sperperando soldi come noccioline. Parlano di spendere miliardi di dollari, sterline o euro come se spendessero spiccioli per le caramelle.

Di conseguenza, c’è una bomba a orologeria del debito, che è posta nelle fondamenta dell’economia. A lungo termine, gli effetti saranno più devastanti di qualsiasi attacco terroristico. Questo è ciò che Alan Greenspan una volta ha definito “l’irrazionale esuberanza del mercato”.

Una parola più precisa sarebbe “follia”. Questa follia deve portare a una caduta, che viene eufemisticamente definita una “correzione del mercato”.

Il ruolo dello Stato nell’economia

L’8 maggio 2020 il Financial Times ha pubblicato un editoriale a firma del Comitato di Redazione in cui si legge:

“A meno di una rivoluzione comunista, è difficile immaginare come i governi avrebbero potuto intervenire nei mercati privati ​​- del lavoro, del credito, di scambio di beni e servizi – più rapidamente e profondamente di come hanno fatto negli ultimi due mesi di lockdown.

“Da un giorno all’altro, milioni di dipendenti del settore privato hanno ricevuto i loro stipendi dai bilanci pubblici e le banche centrali hanno inondato i mercati finanziari di moneta elettronica”.

Ma come si possono conciliare queste affermazioni con il mantra spesso ripetuto che ci dice che lo stato non ha alcun ruolo da svolgere in una “economia di libero mercato?” A questa domanda il Financial Times fornisce una risposta molto interessante:

(…) “Ma il capitalismo democratico liberale non è autosufficiente e deve essere protetto e sostenuto per resistere”.

In altre parole, il “libero mercato” non è affatto libero. Nelle condizioni attuali deve appoggiarsi allo stato come a una stampella. Può esistere solo grazie a sussidi enormi e senza precedenti da parte dello stato. Il FMI calcola l’ammontare totale del sostegno fiscale a livello mondiale all’incredibile cifra di 14 mila miliardi di dollari. Il debito pubblico globale ha ora raggiunto il 99% del PIL per la prima volta nella storia.

Questa è una confessione di fallimento – nel senso più letterale della parola. Il problema centrale di questa equazione può essere riassunto in una parola: debito. Il debito globale totale (inclusi governo, famiglie e aziende) alla fine del 2020 ha raggiunto il 356% del PIL, in aumento di 35 punti percentuali rispetto al 2019, raggiungendo la cifra record di 281 mila miliardi di dollari. Ora è ancora più alto e in crescita. Questo è il pericolo più grande che deve affrontare il sistema capitalista.

Il Giappone ha speso circa 3 mila miliardi di dollari per attutire i danni economici del COVID-19, facendo aumentare il debito pubblico, che è già 2,5 volte la dimensione della sua economia. Il problema è particolarmente grave in Cina, dove il debito totale ha superato il 280% del PIL, il che pone la Cina al livello dei paesi capitalisti più avanzati, con un rapido aumento in tutti i settori dell’economia.

A gennaio, la Banca mondiale ha lanciato l’allarme per una “quarta ondata di debito”, particolarmente grave al di fuori dei paesi capitalisti avanzati. Sono seriamente preoccupati per un crollo finanziario con conseguenze a lungo termine.

I borghesi si comportano come un giocatore irresponsabile che spende enormi quantità di denaro che non possiede. Soffrono delle stesse delusioni e sperimentano lo stesso tipo di estasi delirante dei giocatori compulsivi che sperperano montagne di soldi nella convinzione che la fortuna non si esaurirà mai … fino a quando non arriva il momento fatale – come sempre – quando i debiti devono essere pagati.

Prima o poi, questi debiti li perseguiteranno. Ma a breve termine, sono abbastanza felici di continuare questa follia, stampando enormi somme di denaro che non hanno alcun riscontro reale e inondando l’economia con quantità spaventose di capitale fittizio.

Tuttavia, questa non è semplicemente una “crisi del debito”, come sostengono alcuni liberali e riformisti. Il vero problema è la crisi del capitalismo, una crisi di sovrapproduzione, di cui questi debiti enormi sono un sintomo. I grandi debiti non sono necessariamente un problema, in sé e per sé. Se ci fosse una forte crescita economica nel lungo periodo, come nel dopoguerra, allora tali debiti potrebbero essere gestiti ed eliminati gradualmente. Ma una tale prospettiva è esclusa. Il sistema capitalista non è in un’epoca di ripresa economica, ma di stagnazione e declino. Di conseguenza, l’onere del debito diventerà un peso sempre più enorme per l’economia mondiale. L’unico modo per ridurre questo problema è attraverso l’austerità; l’inflazione, che a sua volta finirà con un crollo e un nuovo periodo di austerità; oppure direttamente per un default . Ma ognuna di queste varianti porterebbe ad una maggiore instabilità e ad un inasprimento della lotta di classe.

È possibile una ripresa?

Trascinati da questa euforia, pubblicano persino articoli che prevedono con sicurezza un rimbalzo, non solo un miglioramento, ma una ripresa significativa. Nelle colonne della stampa borghese si leggono previsioni di ripresa fiduciose. Sono previsioni che danno largo spazio all’ottimismo ma sono tristemente povere di fatti.

La crisi attuale differisce dalle crisi del passato sotto diversi aspetti. In primo luogo, è inseparabilmente legata alla pandemia di coronavirus e nessuno può prevedere con certezza quanto a lungo quest’ultima durerà.

Per tutte queste ragioni, le previsioni economiche del FMI e della Banca mondiale non possono essere considerate altro che semplici supposizioni.

Ma questo significa che una ripresa è impossibile? No, sarebbe un errore trarre una conclusione del genere. In effetti, a un certo punto, qualche sorta di ripresa è inevitabile. Il sistema capitalista si è sempre mosso tra boom e crisi. La pandemia ha distorto il ciclo economico, ma non l’ha cancellato.

Lenin ha spiegato che il sistema capitalista può sempre uscire anche dalla crisi più profonda. Continuerà a esistere fino a quando non sarà rovesciato dalla classe operaia. Prima o poi troverà anche una via d’uscita da questa crisi. Ma dire questo significa dire troppo e troppo poco.

La questione va posta concretamente, sulla base di quanto già sappiamo. La natura precisa dei cicli può variare notevolmente. E la domanda che ci si deve porre è: di che tipo di ripresa stiamo parlando?

Significherà l’inizio di un periodo prolungato di crescita e prosperità? O sarà solo un intervallo temporaneo tra una crisi e l’altra? Le affermazioni più ottimistiche si basano sull’esistenza (almeno nelle economie capitaliste più avanzate) di “domanda repressa”.

Durante la pandemia, le persone non sono state in grado di spendere molti soldi in beni di consumo, ristoranti, caffè e bar o in viaggi all’estero. La fine della pandemia – così recita la teoria – può servire a liberare questi fondi non spesi, promuovendo un forte movimento al rialzo dell’economia e una ripresa della fiducia. Questo fatto, insieme ad ulteriori iniezioni ingenti di denaro pubblico, potrebbe portare ad una ripresa rapida.

Ripresa e lotta di classe

Ammettiamo, per un momento, che un simile scenario non possa essere escluso a priori. Quale sarebbe la conseguenza? Dal nostro punto di vista, un tale sviluppo non sarebbe affatto negativo. La pandemia e il conseguente aumento della disoccupazione, hanno provocato uno shock fra la classe operaia e hanno condotto a una certa paralisi.

Ha agito da deterrente per scioperi e altre forme di azione di massa e ha consentito ai governi di introdurre misure antidemocratiche con il pretesto di “combattere il Covid-19”.

Ma anche una ripresa economica lieve, con un calo della disoccupazione, combinata con l’effetto di una fine della pandemia, riattiverebbe la lotta economica, dato che i lavoratori cercherebbero di riconquistare tutto ciò che hanno perso nel periodo precedente.

Una simile ripresa, tuttavia, sarebbe temporanea ed estremamente instabile, perché sarebbe costruita su una base molto artificiale e instabile. Conterrebbe in sé i germi della propria distruzione. E più l’economia crescerà, più grave sarà la caduta.

Inoltre, si tratterebbe anche di una ripresa disomogenea, con la Cina che molto probabilmente di avvanteggerebbe a spese degli Stati Uniti e con l’Europa in ritardo. Ciò aggraverebbe ulteriormente le tensioni tra Cina e Stati Uniti e anche tra Cina ed Europa, portando a un’ulteriore intensificazione della guerra commerciale, con una corsa per conquistare mercati esigui, minando ulteriormente il commercio mondiale e deprimendo la vita economica.

Questa è la più grande minaccia di tutte al capitalismo mondiale. Ricordiamo che la Grande Depressione fu causata non dal crollo del mercato azionario del 1929, ma dalle politiche protezionistiche che lo seguirono.

I “ruggenti anni Venti”

Quando gli economisti prevedono una forte ripresa a seguito della pandemia, spesso tracciano un parallelo con i “ruggenti anni venti”. Ma questo parallelismo è estremamente debole e le conclusioni che possiamo trarne non sono certo incoraggianti dal punto di vista capitalista.

È vero che ci fu una ripresa dopo il 1924 che ebbe un carattere piuttosto febbrile, con speculazioni massicce in borsa che producevano enormi quantità di capitale fittizio. Ma non dobbiamo dimenticare che si concluse col crack del 1929.

È del tutto possibile che vivremo una situazione simile. Con una differenza importante. Le quantità senza precedenti di capitale fittizio attualmente prodotte sono di gran lunga maggiori che nei “ruggenti anni venti”, anzi, maggiori che in qualsiasi momento della storia in tempo di pace. La caduta quando arriverà – e arriverà – sarà quindi, in maniera corrispondente, maggiore.

I borghesi hanno dimenticato un piccolo dettaglio. Il denaro deve rappresentare valori reali, altrimenti è solo un pezzo di carta – promesse di pagamento che non saranno mai mantenute. Tradizionalmente, il sostegno della circolazione monetaria era l’oro. Ogni nazione doveva tenere una scorta d’oro nelle sue casseforti e, in teoria, chiunque poteva richiedere il valore delle banconote in oro.

In pratica, tuttavia, non fu possibile mantenere questa situazione. Nel corso del tempo, le gente ha imparato ad accettare che un dollaro, una sterlina o un euro valevano “tanto oro quanto pesano”. Ovviamente potevano non essere così. Prima dell’oro, era l’argento. Prima di allora, poteva essere quasi qualsiasi cosa. Potrebbe essere la produzione. Ma a meno che non si basi su un qualche tipo di valore materiale, sono solo pezzi di carta senza valore.

Quando il legame con l’oro fu spezzato dall’abolizione del gold standard, i governi e i banchieri centrali poterono emettere quanta carta moneta desideravano. Ma pompando nell’economia grandi quantità di ciò che non è altro che capitale fittizio, si distorce la relazione tra la quantità di denaro in circolazione e i beni e servizi che può acquistare. Nell’economia statunitense, misurata dall’indicatore M2, l’offerta di moneta è aumentata di una sorprendente cifra di 4 mila miliardi di dollari nel 2020. Si tratta di un incremento annuale del 26%, il più grande aumento percentuale annuo dal 1943. Questo deve esprimersi prima o poi in un’esplosione di inflazione.

Questo fatto viene ora convenientemente ignorato da politici, economisti e banchieri centrali. Sottolineano che finora i timori di inflazione non si sono concretizzati. Ciò è del tutto vero e riflette un grave calo della domanda, un sintomo della profondità della crisi. Non avendo uno sbocco sui prezzi al consumo, la pressione inflazionistica ha gonfiato le bolle speculative sui prezzi delle azioni, sulle criptovalute, ecc. Ma questa situazione non può durare. L’euforia iniziale degli investitori si trasformerà quindi nel suo opposto.

Nel periodo antecedente la crisi del 2008, L’inflazione negli ultimi anni è stata contenuta anche da altri fattori. Tra questi la crescita del commercio mondiale, le nuove tecnologie e la ricerca di mano d’opera a basso costo nel cosiddetto Terzo mondo. Questi elementi che hanno svolto un ruolo potente per quasi 30 anni si sono in gran parte esauriti nell’ultima fase. La crescita del commercio mondiale è in notevole calo da diversi anni. Le nuove tecnologie che hanno permesso una notevole riduzione dei costi di produzione sono arrivate a un punto di saturazione.

Non a caso tutte le statistiche sul commercio mondiale sembrano mostrare una tendenza all’insourcing e cioè un ritorno delle produzioni nei paesi capitalisti originari. Tendenza che si è affermata spontaneamente nelle scelte strategiche delle multinazionali ma che è stata oggettivamente rafforzata dalle politiche protezioniste di Trump e degli altri governi imperialisti.
Quella inaugurata dopo la crisi del 2007 era un’espansione creditizia fatta in un regime di austerità e aveva un carattere molto diverso da quella attuale, in quanto in passato i soldi finivano a ricapitalizzare le banche, le compagnie assicurative e le imprese che erano sull’orlo del fallimento o si allocavano nelle borse e nella speculazione immobiliare, ma senza che questo allargasse le basi del consumo di massa.

Oggi la situazione è cambiata e le nuove tendenze unite tra di loro urlano inflazione e pongono una serie di interrogativi di estremo interesse di cui si discute anche nei piani alti della classe dominante. Cosa succederebbe se l’inflazione superasse i rendimenti dei titoli di Stato? Soprattutto, cosa succederà quando le banche centrali dovranno alzare i tassi d’interesse e smettere gli acquisti di titoli spazzatura sui mercati per governare l’ascesa dell’inflazione?

Paradossalmente, l’inflazione è una sorta di “soluzione” capitalista alla crisi del debito, in quanto un aumento dell’inflazione e dei prezzi svaluterebbero il debito. Ma si accompagna a costi economici e sociali enormi. E una volta che decolla, diventa molto difficile riportarla sotto controllo. Negli anni ’70, Ted Grant spiegava come che la borghesia, allarmata dall’aumento dell’inflazione, stava cavalcando una tigre, e il problema era come scendere senza essere mangiati.

Oggi, simili tentativi di aggirare la più seria crisi di sovrapproduzione mai vista con quelli che Marx chiamava “trucchi di circolazione” sono giochi molto pericolosi. Qui siamo ben oltre Keynes, il keynesismo prevede che lo Stato si indebiti emettendo obbligazioni, quello che si propone oggi è un ulteriore salto di qualità, vale a dire seguire le folli indicazioni della MMT (Modern monetary theory) e cioè stampare moneta in modo illimitato.

Ciò che rappresenta un vero e proprio salto di qualità nella crisi del sistema capitalista di produzione è che una teoria totalmente irrazionale come la MMT, si trovi nella posizione privilegiata di condizionare per non dire determinare le scelte economiche della principale potenza imperialista nel mondo!

Non è una questione che riguarda solo gli Stati Uniti. La tendenza è ormai mondiale. Recentemente l’ex vice governatore della Banca del Giappone (BoJ), Kikuo Iwata, ha sostenuto che il Giappone deve aumentare la spesa fiscale tramite l’aumento del debito del settore pubblico finanziato dalla banca centrale. Questa proposta di “helicopter money”, viene identificata come la soluzione alla bassa crescita e si basa sull’idea che la domanda debba essere stimolata, semplicemente stampando più denaro. Esattamente quello che sostiene la MMT, a cui anche Draghi aveva dato credito nel 2016, quando era presidente della Bce, per quanto l’Ue per le sue contraddizioni interne non ha gli stessi margini di manovra di Usa e Giappone.

Sebbene non ci sia modo di sapere in anticipo come si svilupperà di preciso la crisi, a un certo punto le tensioni provocate dagli enormi debiti accumulati provocheranno il panico. I tassi di interesse dovranno aumentare drasticamente per combattere l’inflazione. Il credito a buon mercato, che ha tenuto a galla il sistema fino ad ora, si esaurirà dall’oggi al domani. Le banche cesseranno di concedere prestiti alle piccole e medie imprese, che andranno in bancarotta.

Come nel 1929, la realtà economica verserà acqua gelida sull’“esuberanza irrazionale” degli investitori. Come la notte segue il giorno, ci sarà il panico nelle borse di tutto il mondo. Gli investitori venderanno le loro azioni in perdita, creando una caduta rapida e inarrestabile.

Gli investitori vedono già i debiti colossali accumulati negli Stati Uniti e iniziano a dubitare che il dollaro valga davvero quello che dovrebbe. In futuro, a meno che non vengano intraprese serie misure correttive, ci sarà una fuga precipitosa per liberarsi dei dollari, e un forte calo del valore del dollaro avrà un effetto domino sulle altre valute, con un conseguente caos nei mercati monetari internazionali.

I capitalisti cercheranno un rifugio sicuro nell’oro, l’argento e il platino. Questo sarà il preludio di una recessione profonda dell’economia reale, con un crollo degli investimenti, un prosciugamento del credito e la conseguente ondata di fallimenti, chiusure di fabbriche e disoccupazione.

Infine, la crisi colpirà le banche stesse. Il crollo di una sola grande banca può causare una crisi bancaria generale. Questo è ciò che accadde l’11 maggio 1931, quando la banca austriaca Creditanstalt annunciò di aver perso più della metà del suo capitale, un criterio che, secondo la legge austriaca, determinava la dichiarazione di fallimento della banca.

Tutto questo può succedere di nuovo. Gli economisti borghesi cercano di sciogliere la tensione ripetendo che non può succedere perché abbiamo imparato le lezioni della storia. Ma come ha sottolineato Hegel: “Ciò che l’esperienza e la storia insegnano è questo: che uomini e governi non hanno mai imparato nulla dalla storia, né mai agito in base a principi da essa edotti.”.

Tuttavia, tutti gli allarmi lampeggiano e alcuni degli economisti più sobri lo vedono. Ma nonostante tutti gli avvertimenti, i borghesi non hanno altra alternativa che seguire la strada che hanno già scelto.

Il capitalismo ora mostra tutti i sintomi di un avanzato decadimento senile. Possiamo affermare con certezza che qualsiasi ripresa non significherà un miglioramento della salute generale del sistema, ma semplicemente una ripresa ciclica che prepara una crisi ancora più profonda. E si sta preparando una depressione ancora più grave di quella degli anni trenta. Questo sarà il risultato inevitabile delle politiche che stanno portando avanti. Questa è la vera prospettiva e le conseguenze sociali e politiche saranno incalcolabili.

Conseguenze sociali e politiche

Per i marxisti, lo studio dell’economia ha importanza solo nella misura in cui si esprime nella coscienza delle masse. Lo scenario che abbiamo delineato ha chiare somiglianze con gli anni trenta, ma ci sono anche differenze importanti.

A quel tempo, le contraddizioni nella società furono risolte in un lasso di tempo relativamente breve, e si potevano solo concludere o con la vittoria della rivoluzione proletaria, o con la reazione sotto forma di fascismo o bonapartismo. Oggi, una soluzione così rapida è esclusa dai mutati rapporti di forza.

La classe lavoratrice oggi è molto più forte che negli anni trenta. Il suo peso specifico nella società è di gran lunga maggiore, mentre le riserve sociali della reazione (i contadini e altri piccoli proprietari, ecc.) si sono drasticamente ridotte.

La borghesia si trova di fronte alla crisi più grave della sua storia, ma non è in grado di muoversi rapidamente nella direzione della reazione. D’altra parte, la classe lavoratrice, nonostante la sua forza oggettiva, è costantemente frenata dalla direzione, che è ancora più degenerata oggi di quanto non fosse negli anni ’30.

Per tutte queste ragioni, l’attuale crisi si prolungherà nel tempo. Può durare anni, o addirittura decenni, con alti e bassi, per l’assenza del fattore soggettivo. Tuttavia, questo è solo un lato della medaglia. Il fatto che sarà così protratta non significa che sarà meno turbolenta. Al contrario: la prospettiva è di cambiamenti bruschi e repentini.

Lo sviluppo della coscienza nella classe operaia non può essere ridotto meccanicamente al numero di scioperi e di manifestazioni di massa. Questa è la falsa idea dei settari e dell’estrema sinistra che si basano interamente su un attivismo insensato e non riescono a vedere i processi più profondi di radicalizzazione che si verificano costantemente sotto la superficie. Questo è ciò che Trotskij chiamava il processo molecolare della rivoluzione socialista.

Gli empirici superficiali sono in grado di vedere solo la superficie degli eventi, ma i processi reali sfuggono completamente alla loro attenzione. Di conseguenza, vengono subito presi alla sprovvista da pause temporanee nella lotta di classe. Si scoraggiano e si fanno pessimisti e vengono presi completamente in contropiede quando il movimento irrompe improvvisamente in superficie.

La combinazione di pandemia e disoccupazione di massa ha agito da freno alla lotta economica. C’è stato un forte calo nel numero di scioperi quando le condizioni erano sfavorevoli per le manifestazioni di massa, sebbene a volte si siano verificate. Ma l’assenza di lotte di massa non significa minimamente che lo sviluppo della coscienza sia stato arrestato. Al contrario, in realtà.

La profondità della crisi sta trasformando la psicologia di milioni di uomini e donne. I giovani, in particolare, sono aperti alle idee rivoluzionarie. Le stridenti contraddizioni sociali, la spaventosa sofferenza delle masse, tutte queste cose stanno creando un colossale accumulo di rabbia e frustrazione, che si accumula silenziosamente nel profondo della società.

La classe operaia è stata temporaneamente disorientata all’inizio della pandemia, anche se in Italia c’è stata un’importante ondata di scioperi nei mesi di marzo e aprile 2020.

Usando la scusa della pandemia, la classe dominante ha esercitato un’enorme pressione sui lavoratori per oltre un anno. Ma questo ha creato uno stato d’animo di amarezza e risentimento, che sta ponendo le basi per un’esplosione della lotta di classe.

Con la diminuzione dei casi del virus, si creeranno le condizioni per mobilitazioni serie della classe operaia su questioni economiche e politiche.

Non siamo più nel 2008-2009, quando i lavoratori sono stati colti di sorpresa dalla crisi e da ristrutturazioni per lo più inaspettate, che hanno contribuito a paralizzare temporaneamente l’iniziativa del movimento operaio.

Avendo recuperato dall’impatto iniziale della crisi, i lavoratori stanno ora recuperando la fiducia e credono che la lotta possa ottenere risultati tangibili, portando a una maggiore disponibilità a mobilitarsi per l’azione.

Questo processo sarà rafforzato dalla riapertura dell’economia, così come dalle recenti esperienze durante la pandemia, che hanno messo a nudo il ruolo essenziale della classe operaia nella società, in particolare nei settori che non hanno mai chiuso (sanità, trasporti, commercio, industria) ma sono stati comunque sottoposti a una pressione intollerabile e a un aumento spietato dei ritmi di lavoro.

I lavoratori hanno pagato un prezzo altissimo in termini di morti e sacrifici nella lotta contro il Covid, e di conseguenza oggi non solo sono più consapevoli del ruolo che occupano nella società, ma vogliono anche che questo sia compensato da un aumento dei loro salari e dal miglioramento delle loro condizioni di lavoro. Questo è un fattore decisivo nello sviluppo della coscienza di classe.

Le burocrazie sindacali rimangono un ostacolo, frenando il movimento per quanto possono. Ma non possiedono più la stessa autorità che permetteva loro di controllare i lavoratori come in passato. Si appoggiano sulla forza dell’apparato burocratico e dello stato borghese, ma questa autorità non è mai stata bassa come in questo momento.

La borghesia cercherà di usare misure coercitive e repressive per limitare la lotta di classe, introducendo nuove leggi anti-sciopero e limitazioni del diritto a manifestare ovunque, ma la storia ci insegna che, una volta che le masse cominciano a muoversi, nessuna legge le fermerà. Questi metodi possono ritardare il processo, ma lo renderanno solo più esplosivo più avanti.

In un primo momento, le mobilitazioni dei lavoratori avranno un carattere prevalentemente economico. Ma nel processo si radicalizzeranno a causa della profondità della crisi e delle enormi frustrazioni che si sono accumulate nel corso degli anni, assumendo alla fine un carattere politico. Un nuovo “Maggio ’68”, o “Autunno caldo”, sarà all’ordine del giorno in un paese dopo l’altro.

In un contesto come questo, lungi dal frenare il movimento, l’inflazione avrà l’effetto di stimolarlo, come abbiamo visto molte volte nella storia. La pressione generalizzata sui salari per la stragrande maggioranza dei lavoratori, unita allo scandaloso trasferimento di ricchezza dal lavoro salariato al capitale, farà sì che la crescita dell’inflazione spinga i lavoratori a difendere il loro potere d’acquisto.

È su questo terreno molto più fertile che le idee dei marxisti fioriranno . I sindacati entreranno in crisi e la vecchia direzione fallimentare sarà messa in discussione. Naturalmente, dobbiamo mantenere il senso della misura. Non siamo ancora nella posizione di poter sfidare l’egemonia dei riformisti nel movimento operaio. Ma applicando abilmente la tattica del fronte unico, possiamo fare progressi nei sindacati. È necessario lottare contro l’opportunismo ma anche contro le deviazioni settarie e anarcosindacaliste (come nel sindacato italiano Cobas), che in questa crisi si sono rivelate fallimentari.

Il settarismo e l’avventurismo giocano il ruolo più negativo nei sindacati, conducendo l’avanguardia della classe in un vicolo cieco, separandola dal movimento di massa. Combinando la fermezza sui principi con una tattica flessibile, possiamo dimostrare la superiorità del marxismo, aumentare gradualmente il nostro profilo e cominciare ad emergere come una forza importante all’interno del movimento operaio.

Più a lungo si trascinerà, più violenta ed elementare sarà l’esplosione quando finalmente arriverà. E verrà, come la notte segue il giorno. Come osservò Marx scrivendo a Engels:

“Tutto sommato, la crisi ha scavato da buona vecchia talpa.”

I sindacati

Trotskij una volta scrisse che la teoria è la superiorità della previsione sullo stupore. I riformisti e i settari si stupiscono sempre quando i lavoratori iniziano a muoversi dopo un periodo di inerzia apparente .

All’inizio del 1968, i mandelisti e altri settari avevano considerato completamente irrecuperabile la classe operaia francese. Dicevano che gli operai erano imborghesiti e americanizzati. Uno di questi signori scrisse che in quel momento non c’era la possibilità di uno sciopero generale in nessun paese europeo. Poche settimane dopo, gli operai francesi lanciarono il più grande sciopero generale rivoluzionario della storia.

Erano stati completamente fuorviati dall’assenza di grandi movimenti di classe nel periodo precedente. Anche oggi molti degli attivisti del sindacato e del movimento operaio sono stati disorientati dagli eventi passati. Hanno perso la fiducia nella capacità dei lavoratori di lottare e sono diventati pessimisti, scettici e cinici. Loro stessi sono diventati un ostacolo, bloccando la strada alla lotta. Sarebbe fatale per noi essere guidati dalle loro visioni biliose e disfattiste.

Come abbiamo spiegato, anche una ripresa economica relativamente debole sarà il segnale per un’esplosione della lotta di classe, che scuoterà i sindacati fin dalle fondamenta. I dirigenti sindacali riformisti hanno perso totalmente la bussola. Riflettono il passato, i giorni in cui avevano una vita facile e buoni rapporti con i padroni, che potevano fare concessioni ai lavoratori senza intaccare i loro profitti

Ora le cose sono molto diverse. I padroni tentano di gettare il peso della crisi tutto sulle spalle dei lavoratori, che si trovano in una posizione intollerabile, dove anche la loro vita e quella delle loro famiglie sono messe in pericolo.

La profondità della crisi esclude qualsiasi tipo di concessioni significative e durature. I lavoratori dovranno lottare per ogni richiesta, non per ottenere nuove concessioni, ma per preservare le conquiste ottenute in passato.

Ma anche riusciranno a mantenerle, le loro conquiste saranno spazzate via dall’inflazione, che dovrà riemergere come conseguenza delle grandi quantità di capitale fittizio che sono state messe in circolazione. Quello che i padroni danno con la mano destra, lo riprenderanno con la sinistra.

Ciò significa che i sindacati subiranno la pressione dei lavoratori che chiederanno mobilitazioni per difendere i loro diritti, le condizioni di lavoro e il tenore di vita. I dirigenti sindacali o si piegheranno a questa pressione, oppure si ritroveranno rimossi e sostituiti da altri pronti a lottare. I sindacati si trasformeranno nel corso della lotta.

Quando trovano la strada bloccata nei sindacati ufficiali e senza la prospettiva immediata di un cambiamento a livello di direzione, in alcune condizioni i lavoratori svilupperanno anche proprie iniziative di base. L’emergere di tali organizzazioni di base di lavoratori in lotta, come Mareas in Spagna, Santé en Lutte, Collettivo di 1000 autisti di autobus in Belgio e Collectives in Hospitals in Francia, ecc. è un risultato della rabbia accumulata dei lavoratori, della necessità di un’azione collettiva immediata e della passività dei leader sindacali ufficiali.

La dialettica ci dice che le cose possono tramutarsi nel loro opposto, e dobbiamo essere preparati per questo. Anche i sindacati più reazionari e apparentemente inerti saranno coinvolti in questa lotta. Questo processo è già iniziato in paesi come la Gran Bretagna. Uno dopo l’altro, i vecchi leader di destra stanno morendo, vanno in pensione o vengono sostituiti.

Una nuova generazione di giovani combattenti di classe sta iniziando a sfidare le vecchie direzioni. Tutto è pronto per la trasformazione dei sindacati in organizzazioni di lotta. E noi marxisti dobbiamo essere in prima fila in questa lotta, da cui dipende in ultima analisi il successo della rivoluzione socialista.

Il compito che ci attende

L’anno 2021 sarà senza precedenti, la classe lavoratrice ha intrapreso una scuola molto dura, ci saranno molte sconfitte e battute d’arresto, ma da quella scuola i lavoratori trarranno le lezioni necessarie.

L’accumulo di tensione nel corso di molti anni può portare a cambiamenti improvvisi da un momento all’altro, ponendo questioni molto serie di fronte a noi. E dobbiamo essere preparati! Nel prossimo periodo, nuovi settori saranno coinvolti nella lotta. Lo abbiamo visto in Francia con i gilet gialli. Ora lo vediamo in India con il movimento dei contadini. Negli Stati Uniti, abbiamo assistito alle manifestazioni massicce dopo l’omicidio di George Floyd, dove hanno partecipato circa 26 milioni di persone in 2.000 città grandi e piccole in tutti i 50 stati, a Washington DC e Porto Rico, costringendo Trump a precipitarsi nel suo bunker.

Il problema principale è quello della direzione. Lo stato d’animo di rabbia delle masse esiste ma non trova espressione nelle organizzazioni ufficiali. I dirigenti sindacali stanno cercando di frenare il movimento. Ma con o senza di loro, il movimento troverà in qualche modo una maniera di esprimersi.

Le masse possono imparare solo da una cosa, l’esperienza. Come diceva Lenin: “La vita insegna”. I lavoratori stanno imparando dalla loro esperienza della crisi. Ma è un processo di apprendimento lento e doloroso. Ci vuole tempo perché le masse traggano le stesse conclusioni che abbiamo tratto noi, per ragioni teoriche, anni fa.

Questo processo di apprendimento sarebbe molto accelerato se esistesse un’organizzazione rivoluzionaria di massa con un numero sufficiente di quadri e con un’autorità sufficiente per essere ascoltata dai lavoratori. Un tale partito esiste potenzialmente nei ranghi della TMI. Ma attualmente esiste solo come embrione. E come ha scritto il vecchio Hegel: “Quando desideriamo vedere una quercia nel vigore del suo tronco, nell’ampiezza dei suoi rami e nel rigoglio delle sue fronde, non ci accontentiamo che al suo posto ci si mostri una ghianda”.

Abbiamo fatto grandi progressi e ci aspettiamo di farne molti di più. Ma dobbiamo onestamente ammettere che al momento ci mancano i numeri necessari. Ci mancano le necessarie radici nella classe e nelle sue organizzazioni per fare davvero la differenza.

Tuttavia, con idee corrette e slogan puntuali, possiamo raggiungere i lavoratori e i giovani più avanzati, e attraverso di loro possiamo in seguito raggiungere un numero maggiore. In alcuni luoghi possiamo essere in grado di condurre lotte particolari. Ma in generale, dobbiamo puntare a piccoli successi, poiché un successo modesto e piccole vittorie ci forniranno un trampolino per successi maggiori in futuro.

La nostra Internazionale ha mostrato una straordinaria capacità di resistenza e audacia, affrontando le difficoltà e scoprendo nuovi metodi di lavoro. Di conseguenza, negli ultimi 12 mesi, abbiamo compiuto enormi progressi, mentre altri gruppi hanno sperimentato crisi e divisioni e stanno rapidamente scivolando in un meritato oblio.

Abbiamo molti meno concorrenti rispetto al passato. Le sette stanno cadendo a pezzi e gli stalinisti, che in passato erano un serio ostacolo, sono solo l’ombra di se stessi. Si aggrappano ancora ad alcune posizioni nei sindacati, ereditate dal passato. Ma inevitabilmente fungono da copertura “di sinistra” per l’ala destra della burocrazia. Saranno spazzati via insieme ad essa non appena i lavoratori inizieranno a muoversi.

I nostri principali concorrenti saranno i riformisti di sinistra, che non hanno una chiara prospettiva politica. Molti di loro non sostengono più nemmeno a parole la trasformazione socialista della società, e quindi oscillano costantemente tra le pressioni della borghesia e dei riformisti di destra e la pressione della base proletaria. Questo è un fenomeno internazionale.

Ma nonostante la loro mancanza di idee chiare (e in parte a causa di ciò), verranno inevitabilmente alla ribalta sulla base della radicalizzazione di massa. Essendo politicamente instabili e privi di qualsiasi chiara ideologia, occasionalmente si lanciano in proposte molto radicali, persino “rivoluzionarie”. Ma saranno solo parole e potranno tornare a destra con la stessa rapidità con cui oscillano a sinistra. Daremo sostegno critico alla sinistra, sostenendola ogni volta che combatterà contro i riformisti di destra, ma criticando ogni tendenza al ripiegamento, alle concessioni e alla capitolazione.

Una caratteristica comune a tutti i nostri rivali politici, comprese le sinistre riformiste, è la loro incapacità di conquistare i giovani. Il nostro buon successo nel conquistare il meglio della gioventù riempie gli scettici di rabbia e indignazione. Soprattutto li lascia perplessi. Come può la TMI conquistare così tanti giovani nella situazione attuale, quando tutto è così nero e senza speranza? Scuotono la testa increduli e continuano a lamentarsi per la triste condizione del mondo.

Come ha sottolineato Lenin: chi ha i giovani ha il futuro. La ragione del nostro successo non è difficile da vedere. I giovani sono naturalmente portati a idee rivoluzionarie. Chiedono una lotta vera contro il capitalismo e sono insofferenti di fronte alla timidezza e alla confusione teorica.

La nostra forza si basa su due cose: la teoria marxista e un orientamento fermo ai giovani. Abbiamo dimostrato nella pratica che è una combinazione vincente. Questi successi forniscono fiducia e ottimismo per il futuro. Ma dobbiamo sempre preservare il senso delle proporzioni. Siamo ancora solo all’inizio dell’inizio.

Ci attendono sfide molto più grandi che ci metteranno alla prova. Non c’è spazio per l’autocompiacimento. Se ci chiediamo se siamo pronti a cogliere le grandi opportunità che esistono, qual è la risposta? Se siamo assolutamente onesti, dovremmo rispondere negativamente. No, non siamo pronti, almeno non ancora. Ma dobbiamo prepararci il prima possibile. E questo in ultima analisi significa crescere.

Dobbiamo sempre partire dalla qualità, conquistando ad uno ad uno i compagni ed educando e formando quadri. Ma dobbiamo poi trasformare la qualità in quantità: costruire un’organizzazione più grande ed efficace. A sua volta, la quantità diventa qualità. Con cento quadri si possono fare cose impossibili per una dozzina. E pensiamo a cosa potremmo fare in Gran Bretagna, Pakistan o Russia con mille quadri. È una differenza qualitativa!

La costruzione dei quadri deve andare di pari passo con la crescita. Non c’è contraddizione. L’organizzazione deve svilupparsi man mano che la situazione cambia. E deve cambiare man mano che la situazione cambia, diventando più professionale, più disciplinata e più matura.

Abbiamo le idee, i metodi e le prospettive corrette. Tuttavia, abbiamo bisogno di molto di più di questo. Il nostro compito ora è trasformare questo in crescita e creare un potente esercito rivoluzionario di quadri, in grado di guidare i lavoratori nella lotta. Stiamo già facendo passi da gigante in questa direzione.

All’inizio sembrava che la pandemia avrebbe creato difficoltà insormontabili per i marxisti. Ha certamente fatto naufragare tutte quelle sette pseudo-marxiste che si basavano su un attivismo insensato. Ma la TMI è col vento in poppa, conquistando oltre 1.000 nuovi compagni nell’ultimo anno. E questo è solo l’inizio.

Compagni dell’internazionale! Siamo in corsa contro il tempo. Il nostro compito può essere sintetizzato semplicemente: è rendere cosciente la volontà inconscia (o semicosciente) della classe operaia di cambiare la società.

Si stanno preparando grandi avvenimenti. Per elevarci a compiti immensi, abbiamo bisogno di una rivoluzione interna, che inizi con una rivoluzione della nostra mentalità. Non possiamo pensare come in passato. Dobbiamo sradicare tutti i residui della mentalità e della routine da circolo ristretto. Ciò che serve è un approccio professionale alla costruzione del partito. Non c’è niente di più importante nelle nostre vite. E se continuiamo a perseguire le idee, le tattiche e i metodi corretti, ci riusciremo sicuramente.

Approvato all’unanimità, luglio 2021

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