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La misura è colma. Le crude statistiche sono impietose, ogni anno in Italia più di cento donne muoiono ammazzate, sono quasi 3.500 dal 2000 ad oggi. Numeri drammatici che vanno peggiorando, e che senza ambiguità rivelano la realtà dei contesti in cui le donne vengono uccise: su 105 nel 2023, 82 in famiglia, 53 per mano del partner o ex partner.
Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha fatto esplodere la rabbia accumulata. Centinaia di migliaia di donne hanno manifestato in tutta Italia, come un’onda spontanea che ha travolto piazze, scuole e università e ha spazzato via la ritualità che aveva caratterizzato le manifestazioni del 25 novembre degli ultimi anni. Questa rabbia viene alimentata dalle provocazioni della destra ma anche dall’ipocrisia dei media e degli esponenti di governo e opposizione. Ora che non possono più inventarsi immigrati stupratori che circolano in strade poco sicure, condiscono le rituali kermesse istituzionali contro la violenza sulle donne con proposte trasversali di leggi sull’“educazione sentimentale”. Questa ipocrisia di tutto l’arco parlamentare va rispedita al mittente, oltre alle becere provocazioni reazionarie della destra al governo.
Dobbiamo dirlo chiaramente: il movimento contro la violenza sulle donne non ha e non può avere alleati nelle istituzioni che con una mano promuovono campagne ipocrite e leggi inutili e con l’altra tagliano fondi a consultori e centri anti-violenza, costringendoli a chiudere.
E d’altronde la radicalità delle piazze che si stanno mobilitando in questi giorni ha espresso la consapevolezza che la posta in gioco è alta, perché punta il dito contro il patriarcato, un sistema che si è consolidato in millenni, che permea ogni aspetto della nostra vita di donne e lavoratrici – della cultura, del linguaggio, dei modelli educativi, – attraverso pregiudizi, discriminazioni, fino ad arrivare alle molestie e alla violenza fisica.
Ci si propone di abbattere il patriarcato con una battaglia culturale, per mezzo di un linguaggio inclusivo, giocattoli inclusivi, modelli educativi non stereotipati, corsi di educazione affettiva per l’appunto. La cultura patriarcale è odiosa e va smascherata nelle sue manifestazioni ma lottare contro di essa è come curare i sintomi di una malattia senza attaccarne le cause.
Il patriarcato non è insito e connaturato nelle differenze tra uomo e donna, non è sempre esistito ma ha un inizio nella storia, con la divisione in classi della società. È dalle sue origini materiali che dobbiamo partire, ed è nel suo rapporto col capitalismo che dobbiamo trovare la chiave per estirparlo.
Sì, perché il sistema patriarcale non si riproduce semplicemente per inerzia, ma viene sistematicamente rinsaldato nel capitalismo perché risponde a delle sue precise necessità.
La prima è scaricare nel privato delle mura domestiche quelle che dovrebbero essere delle funzioni sociali, come la cura dei bambini e degli anziani, la riproduzione della forza lavoro per farla tornare a lavorare il giorno successivo, e la generazione successiva. Siamo noi donne che dobbiamo assolvere queste funzioni. Ma, oltre ad angeli del focolare, il capitalismo ci vuole anche lavoratrici dal momento che, sempre grazie a pregiudizi e discriminazioni, può avere una classe lavoratrice divisa, con un settore femminile più ricattabile, per poter sfruttare meglio tutti i lavoratori.
Dobbiamo quindi rivendicare asili, mense, lavanderie pubbliche e gratuite, per socializzare il lavoro domestico, attraverso la lotta di classe di lavoratrici e lavoratori uniti. Lottare contro ogni discriminazione, su salari, condizioni di lavoro, pensioni, ecc. Colpire così il capitalismo nei suoi interessi diametralmente opposti a quelli delle lavoratrici e di tutta la classe.
E i pregiudizi? La cultura? L’esperienza ci dimostra che è proprio nella lotta unita di donne e uomini contro oppressione e sfruttamento che le relazioni cambiano e i pregiudizi lasciano spazio a relazioni fondate sul rispetto e la solidarietà. Lo abbiamo visto in tutti i grandi movimenti che hanno coinvolto le donne nella storia, solo negli ultimi anni possiamo ricordare le primavere arabe, gli scioperi delle donne polacche, il movimento delle donne iraniane.
In tutte queste lotte c’era un potenziale rivoluzionario che per essere realizzato ha bisogno della lotta di tutta la classe lavoratrice contro il capitalismo, per porre fine a ogni forma di oppressione, sfruttamento e barbarie.
29 novembre 2023