Pandemie, profitti e grandi case farmaceutiche: il capitalismo è un flagello per la salute pubblica

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Pandemie, profitti e grandi case farmaceutiche: il capitalismo è un flagello per la salute pubblica

Una tempesta perfetta di profitti del settore privato, attività di produzione sconsiderate, distruzione ambientale e investimenti insufficienti nella ricerca medica hanno reso le pandemie globali più comuni e hanno minato la nostra capacità di gestirle. Il capitalismo non solo ha dato origine a questo nemico invisibile e mortale, ma è il più grande ostacolo nella nostra lotta contro di esso.

Nonostante il COVID-19 abbia colto di sorpresa i governi, era una tragedia annunciata. Proprio come il caos economico e sociale che la pandemia ha provocato è stato preparato nell’ultimo periodo, il capitalismo ha da tempo posto le basi per un disastro della sanità pubblica di questa portata.

 

“Vuoi un vaccino? Tira fuori i soldi”

Gli apologeti del capitalismo predicano la superiorità del sistema del libero mercato rispetto alla pianificazione dell’economia. Ma la produzione farmaceutica e il settore ricerca e sviluppo sono totalmente ostacolate dalle forze di mercato. Negli ultimi due decenni, ci sono stati numerosi focolai virali internazionali che hanno causato migliaia di vittime (Sars-CoV-1, Mers, Zika, Ebola ecc.) Ad oggi, un solo vaccino per queste malattie ha raggiunto il mercato – quello per l’Ebola.

Il coronavirus non è una minaccia sconosciuta. La SARS fa parte della famiglia dei coronavirus. Il governo americano ha speso più di 500 milioni di sterline nella ricerca sul coronavirus negli ultimi 20 anni. Tuttavia, gli scienziati sono molto indietro. Jason Schwartz, professore alla Yale School of Public Health, ha dichiarato alla rivista Atlantic all’inizio del mese: “Se non avessimo messo da parte il programma di ricerca sui vaccini SARS (nel 2004), avremmo avuto molti più dati e ricerche da poter applicare a questo nuovo virus strettamente imparentato ai ceppi SARS già conosciuti.” Il modello di business a scopo di lucro ad alto costo e alto rendimento del settore ricerca e sviluppo in medicina non si applica bene alle pandemie attive, perché il mercato esaurisce immediatamente le proprie risorse quando si manifesta la crisi, il che significa che i finanziamenti vengono sottratti e la ricerca accantonata.

Tuttavia, è stato recentemente annunciato che l’Istituto nazionale Americano per le Allergie e le Malattie Infettive (NIAID) ha ricevuto il primo candidato come vaccino contro il COVID-19. Il vaccino è stato prodotto dal NIAID in collaborazione con una società chiamata Moderna, basata sulla ricerca di varie università negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia. Il processo di approvazione è stato mandato avanti il più rapidamente possibile, il che significa che i test potrebbero iniziare già dal prossimo mese. Ma ci vorrà almeno un anno prima che un tale vaccino possa essere prodotto in serie, quando la pandemia potrebbe essersi esaurita, portando potenzialmente milioni di vite con sé. E anche allora, NIAID richiederà a un’altra grande azienda farmaceutica di assumere il compito di produrre il vaccino. Questo perché le più grandi aziende come Pfizer, Novartis ecc. controllano totalmente il mercato delle materie prime e hanno brevetti consolidati sul processo di produzione dei vaccini. Finora, c’è poco interesse dai Paperoni delle case farmaceutiche. Questo nonostante il fatto che il segretario alla Salute degli Stati Uniti Alex Azar abbia dichiarato che qualsiasi produttore privato sarebbe stato autorizzato a fissare prezzi “ragionevoli” per il proprio prodotto. “Abbiamo bisogno che il settore privato investa”, ha detto, “i prezzi calmierati non ci aiuteranno”. Per milioni di persone, questo vaccino potrebbe essere un salvavita – ma i capitalisti non investiranno se non si possono fare profitti. L’economia di mercato sta lasciando l’umanità al suo destino.

La maggior parte dei finanziamenti per il settore ricerca e sviluppo nel settore farmaceutico proviene dal settore privato, che rappresentava il 67 percento di un totale di 194,2 miliardi di dollari investiti nel settore sanitario americano nel 2018, rispetto al 22 percento da enti federali e all’8 percento da istituti accademici e di ricerca. Le compagnie farmaceutiche utilizzano questi elevati costi di ricerca e sviluppo come giustificazione per aumentare i prezzi dei farmaci generici e già esistenti, al punto che i farmaci essenziali come l’insulina possono costare tra 25 e 100 dollari negli Stati Uniti.

Nel 2015, il presidente della Turing Pharmaceuticals, Martin Shkreli, ha provocato uno scandalo aumentando il costo di Daraprim (un farmaco usato nel trattamento delle condizioni legate all’AIDS) da 13.50 dollari a 750 dollari per pillola. Nonostante la scusa che questa manna dal cielo sia reinvestita nello sviluppo di farmaci, la stragrande maggioranza dei nuovi farmaci è prodotta da ricerche finanziate dallo Stato o sovvenzionate: incluso il nuovo possibile vaccino per il COVID-19. Piuttosto che promuovere la ricerca e l’innovazione medica, le aziende farmaceutiche private utilizzano principalmente la loro posizione di forza finanziaria per accumulare brevetti su medicinali sviluppati con denaro pubblico, piazzare sul mercato farmaci derivati da farmaci già esistenti a prezzi gonfiati e sfornare farmaci non essenziali come il Viagra. Usando queste pratiche (e beneficiando di una liberalizzazione delle leggi anti-monopolio negli anni ’90), i prodotti farmaceutici sono diventati l’industria legale con più rapida crescita e con il più alto profitto sulla Terra all’inizio di questo millennio, raggiungendo 1,2 miliardi di dollari nel solo 2018.

Con un tale flusso di soldi facili, le aziende farmaceutiche private hanno poco interesse a sviluppare nuovi vaccini di propria iniziativa, specialmente per le epidemie attive. Il meccanismo attraverso il quale i virus vivono e si propagano è poco compreso dalla scienza. Anche malattie come il coronavirus si trasformano molto rapidamente in nuovi ceppi. Lo sviluppo del vaccino è un processo difficile, costoso e che richiede tempo, in cui i ritorni degli investimenti non sono mai garantiti. Trevor Jones, direttore dell’Associazione dell’Industria Farmaceutica Britannica, ha affermato che la ricerca e lo sviluppo di un nuovo farmaco costano 500 milioni di dollari e che le compagnie farmaceutiche prevedono di recuperare tale investimento entro i primi 3-5 anni di vendite. L’ultimo “vaccino best-seller” prodotto nel settore privato è stato il Gardasil di Merck, destinato all’uso contro l’HPV, uscito nel 2006 dopo un ciclo di sviluppo di 20 anni.

Forbes ha recentemente parlato della “crisi dell’innovazione” del settore, sottolineando la principale contraddizione al centro di questo settore: i profitti stanno aumentando, ma il numero di nuovi farmaci e vaccini sta diminuendo:

La mancata produttività sembra uno strano problema in un settore che genera più liquidità di quanta ne possa distribuire, gode di una domanda illimitata e esercita un potere monopolistico sui prezzi. Ma il settore farmaceutico non è un settore “normale”. Ogni nuovo farmaco, ogni sperimentazione clinica è un esperimento. Lo sviluppo è intrinsecamente imprevedibile, come si evince da un tasso di successo del 2% … [Una] revisione dei dati sulle variazioni del valore dei farmaci e delle entrate del settore tra il 1995 e il 2014 non ha mostrato il calo previsto. Il problema della produttività non deriva da vincoli di opportunità [ma] dall’aumento dei costi “.

In breve, lo sviluppo di nuovi farmaci presenta un rischio troppo elevato e un profitto non abbastanza sicuro, il che significa che le aziende farmaceutiche stanno dedicando le loro risorse ad avventure più redditizie, ottenendo ottimi risultati. Allo stesso tempo, il settore farmaceutico privato usa il suo potere oligarchico per ostacolare lo sviluppo e la produzione di nuovi farmaci da parte di chiunque altro, compreso lo Stato. Il risultato è che, mentre i capitalisti macinano profitti, il mercato ci ha mal equipaggiati per affrontare crisi come l’epidemia di COVID-19.

 

Contraddizioni e crisi

Con il settore privato che mena il can per l’aia, sono stati fatti molti tentativi per sviluppare il settore ricerca e sviluppo in campo medico gestito dallo Stato. Ma nonostante la ricerca statale abbia ricevuto maggiori finanziamenti nei paesi a capitalismo avanzato negli ultimi anni, ad esempio negli Stati Uniti costituisce ancora solo circa il 5% della spesa pubblica totale. Al contrario, la spesa militare occupa il 54 percento. E l’immenso potere dell’oligarchia farmaceutica significa che può piegare gli organismi governativi alla sua volontà se sono in conflitto con la linea di fondo. Lo stato non detta la linea al capitale, ma viceversa.

L’ultima volta che il governo degli Stati Uniti ha approvato un programma nazionale di vaccinazione è stato per l’influenza suina nel 1976. Quattro case farmaceutiche – Sharp & Dohme, Merrell, Wyeth e Parke-Davis di Merck – hanno rifiutato di vendere al governo le 100 milioni di dosi del vaccino che avevano prodotto fino a quando non hanno ottenuto l’esonero totale dalla responsabilità civile e penale e un profitto garantito. E poco prima dell’epidemia di COVID-19, la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Consorzio per lo sviluppo di innovazioni in preparazione alle epidemie – CEPI) ha raccolto 750 miliardi di dollari per accelerare lo sviluppo di vaccini per curare nuove epidemie, con il sostegno di paesi come Giappone, Germania, Canada ecc. Ma il comitato scientifico consultivo (inclusi Johnson & Johnson, Pfizer e Takeda) ha costretto l’organizzazione a rinunciare al principio secondo cui “tutti i paesi avrebbero accesso equo e conveniente ai vaccini finanziati dal CEPI”. Ciò ha assicurato che i capitalisti sarebbero comunque stati in grado di ricavare un buon profitto da qualsiasi vaccino sviluppato attraverso questo fondo, in qualsiasi mercato estero.

Due dei maggiori ostacoli al progresso nel campo della ricerca medica sono anche i due maggiori ostacoli allo sviluppo della società capitalista in generale: lo stato nazionale e la proprietà privata. L’ascesa delle tendenze protezionistiche in tutto il mondo influenza anche il mercato dei farmaci, con le nazioni che nascondono gelosamente i risultati della loro ultima ricerca farmaceutica, sia finanziata dallo stato che privata. Durante questa crisi del COVID-19, queste tendenze sono state accelerate. I leader mondiali si tricerano dietro i propri confini, rifiutando di condividere le risorse essenziali per combattere la pandemia. Il presidente serbo ha recentemente condannato l’ipocrisia della “favola” della solidarietà europea, date le leggi dell’UE che impediscono la circolazione dei medici e delle principali forniture mediche verso paesi non Schengen. Ha quindi annunciato che i confini della Serbia sono chiusi agli “stranieri”. In verità, anche la solidarietà tra i paesi Schengen si è rotta, con la Germania che inizialmente aveva vietato l’esportazione di maschere terribilmente necessarie verso paesi come l’Italia. 21 delle 26 nazioni Schengen hanno ora chiuso i loro confini, e ciò rappresenta una minaccia vitale per l’UE. Questa follia è il prodotto di un sistema senile, che è scaduto nelle lotte interne proprio quando l’unità era più necessaria. I virus non conoscono confini e la mancanza di coordinamento internazionale ostacola gravemente la nostra capacità di rispondere alle pandemie.

Di recente, alcuni studenti dell’Università di Sheffield hanno sequenziato interi genomi del coronavirus da pazienti del Regno Unito e sono pronti a pubblicare la loro ricerca. Questo è un risultato straordinario dal mondo accademico sovvenzionato dallo stato. Tuttavia, ora esiste una corsa allo sviluppo di un vaccino basato su questa ricerca, e una gara tra vari governi per garantire l’esclusività. Il primo a gettarsi nella competizione è stato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha seguito la sua massima “America First” offrendo alla società biofarmaceutica tedesca CureVac “ingenti somme di denaro” per i diritti esclusivi su un vaccino COVID-19 e agenti antivirali. Apparentemente il governo tedesco ha risposto a questa mossa con una controfferta. Ciò potrebbe potenzialmente scatenare un’asta, che costringerà milioni di persone e servizi sanitari statali ad acquistare vaccini a prezzi stabiliti dal vincitore.

Nell’ambito di un’economia mondiale pianificata, tutte le risorse del pianeta potrebbero essere raggruppate nello sviluppo di un trattamento e un vaccino efficaci per COVID-19. Ma gli interessi antagonisti delle nazioni capitaliste lo impediscono. I tentativi di superare questi antagonismi su base capitalistica hanno avuto scarso successo. Ad esempio, l’OMS gestisce il PIP (Pandemic Influenza Preparedness Framework – quadro legislativo per la preparazione all’influenza pandemica), che facilita la condivisione della ricerca medica tra le nazioni. Ma si applica solo all’influenza, non a qualsiasi altra malattia infettiva con potenziale pandemico, a causa delle pressioni dell’industria e dei governi. In effetti, l’OMS stessa è solo un’ombra dei propri nobili scopi. Il suo finanziamento è stato dimezzato dall’amministrazione Trump, è pieno di voci sulla corruzione al suo interno ed è stata soppiantata dalla Banca Mondiale nel posto di più grande finanziatore della sanità pubblica a livello globale. Anche organismi simili come i Centers of Disease Control and Prevention (CDC – Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie) hanno visto il proprio budget ridotto negli ultimi anni: vittime della tendenza protezionistica nei mercati mondiali.

Inoltre, le aziende mediche del settore privato considerano i propri prodotti (indipendentemente dal fatto che li abbiano effettivamente sviluppati o che abbiano semplicemente acquistato i brevetti) come proprietà privata: preziosi solo per il proprio potenziale di mercato, non per la propria capacità di curare le persone. Di recente, una società privata ha minacciato di intraprendere azioni legali contro due volontari che hanno stampato in 3D valvole da utilizzare nei respiratori, vendendoli a 1 dollaro contro un prezzo di mercato medio di 11.000 dollari. (successivamente l’azienda coinvolta ha fatto un parziale passo indietro, ndr). Questo grettezza del settore privato è replicata nel mercato farmaceutico internazionale. Ad esempio, l’accordo del 1994 sugli “Aspetti attinenti al commercio dei diritti di proprietà intellettuale” (TRIPS) garantisce la protezione della proprietà intellettuale per tutte le società, comprese quelle farmaceutiche, quando vendono i propri prodotti in qualsiasi Paese dell’OMC. Ciò si rivela problematico nei paesi più poveri, dove i farmaci essenziali sono proprietà intellettuale delle aziende private, i cui prezzi esorbitanti sono troppo elevati per questi mercati e che si oppongono ai tentativi di produrre farmaci più economici sul mercato interno. In risposta a questo problema, nel 2001 (su iniziativa dell’OMS), la Dichiarazione di Doha su TRIPS e sanità pubblica – concordata da tutti gli Stati membri dell’OMC – ha affermato che la salute pubblica dovrebbe sempre avere la precedenza sull’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale. Tuttavia, secondo Oxfam nel 2019: “I paesi ricchi e le aziende farmaceutiche hanno ignorato la Dichiarazione di Doha e hanno perseguito una politica aggressiva per sottoporre i paesi in via di sviluppo a una protezione della Proprietà Intellettuale ancora più rigorosa, attraverso accordi di libero scambio e pressioni unilaterali”. In breve, le nazioni potenti schiacciano sempre i deboli e i diritti di proprietà privata dei capitalisti prevalgono sempre sui bisogni dell’umanità.

Una recente dichiarazione del governo britannico ha inavvertitamente rivelato il fallimento del cosiddetto libero mercato nel migliorare questa pandemia. L’amministrazione Tory ha vietato l’esportazione simultanea di 80 farmaci (tra cui Aluvia, adrenalina e morfina), a causa di speculazioni da parte di aziende private, che stavano tentando di acquistare i farmaci a buon mercato in Gran Bretagna, per farne delle scorte e venderli a un prezzo gonfiato all’estero. Ciò non è stato vietato perché è eticamente inaccettabile, ma poiché il governo aveva paura di “aggravare i problemi di approvvigionamento”. È anche emerso che la società americana Rising Pharmaceuticals ha aumentato il prezzo della clorochina (un antimalarico, che è stato testato contro COVID-19) il 23 gennaio, quando è diventata evidente l’entità dell’epidemia in Cina. Il prezzo del farmaco è aumentato del 97,86 per cento, da 7,66 dollari per pillola da 250 mg a 19,88 dollari per pillola da 500 mg. Sebbene il danno d’immagine li abbia portati a riportare rapidamente i costi al tasso “normale” di mercato, Rising è stata multata in precedenza per aver fatto cartello ed è chiaro che intendevano sfruttare la sofferenza di milioni di persone per ottenere utili spropositati. Questa non sarà l’ultima volta che una società cerca di fare un po’ di soldi facili tramite la pandemia di coronavirus.

Confrontate questo con la produzione e la distribuzione di Cuba dell’Interferon alfa 2b a Cuba: sviluppato nel 1986 dall’azienda statale BioCubaFarma in collaborazione con la Cina. Questo farmaco, che può aiutare a fermare alcuni dei sintomi del coronavirus, è già stato testato con risultati positivi su 1.500 pazienti con coronavirus in Cina. Cuba ha spedito l’Interferon in grandi quantità in paesi gravemente colpiti come l’Italia. Squadre di medici cubani sono state anche inviate in dozzine di paesi per aiutare a combattere i focolai. È una chiara testimonianza della superiorità di un’economia pianificata che una piccola isola dei Caraibi possa produrre un trattamento efficace per una malattia che resiste agli sforzi più grandi dei più potenti paesi capitalisti sulla terra e inviare risorse mediche ai bisognosi. Allo stesso modo, mentre le aziende farmaceutiche a scopo di lucro hanno abbandonato la ricerca su sindromi complesse come l’Alzheimer a causa della mancanza di profitti, la ricerca medica gestita dallo stato di Cuba ha prodotto alcune scoperte entusiasmanti sia contro il l’Alzheimer che contro l’HIV. Inutile dire che l’embargo commerciale imposti a Cuba dagli Stati Uniti costituirà un ostacolo all’arrivo di tutti questi trattamenti potenzialmente salvavita alle persone che ne hanno bisogno, e ci saranno conseguenze per tutti i partner commerciali statunitensi che decideranno di accettarli.

I limiti del sistema capitalista significano che la ricerca e lo sviluppo medico sui vaccini per malattie gravi e potenzialmente letali sono sostanzialmente stagnanti dagli anni ’60. L’umanità è sempre più vulnerabile alle epidemie globali (per ragioni che spiegherò) e le nostre armi per combatterle stanno diventando obsolete. L’industria farmaceutica sta privatizzando i profitti di questo settore essenziale e socializzando i rischi. E i governi capitalisti li stanno agevolando. Un ricercatore nel settore delle malattie infettive intervistato sul New York Times ha recentemente commentato: “Cosa conta di più per le compagnie farmaceutiche? Mantenere i segreti commerciali e aumentare i profitti o assumere un ruolo guida nella risoluzione dell’epidemia di COVID-19?”

La risposta è chiara come il sole. Una crisi come l’attuale pandemia è l’argomento migliore a favore di mettere questi parassiti improduttivi sotto controllo democratico in modo che le loro immense risorse possano essere utilizzate.

 

I poveri sono i più colpiti

Finora, il COVID-19 ha appena colpito i paesi meno sviluppati. I primi casi confermati sono stati recentemente segnalati in Somalia e Tanzania. Un altro è stato rilevato nella Striscia di Gaza. Inevitabilmente il virus si diffonderà e, quando lo farà, le conseguenze saranno catastrofiche. In che modo un paese come la Somalia – che ha a malapena un governo funzionante e le cui abitazioni e strutture igienico-sanitarie sono in uno stato miserabile – può attuare misure di distanziamento sociale o sussidi per gli stipendi persi? In che modo la sua infrastruttura medica affronterà migliaia di pazienti infetti? E a parte questi paesi poveri, cosa succede quando le migliaia di rifugiati mediorientali che vivono in tende nei campi di immigrazione europei vengono infettati? La risposta è ovvia. Non ci sarà contenimento, non ci sarà una risposta medica concertata. Le persone saranno lasciate a se stesse. Questo stato di cose fa semplicemente parte del gioco quando si tratta di prevenzione delle malattie nelle nazioni sottosviluppate.

Meno del 10 percento della spesa pubblica per la ricerca sanitaria globale è dedicata alle malattie che colpiscono il 90 percento più povero della popolazione mondiale. Malattie mortali come l’HIV/AIDS e la tubercolosi prosperano nei paesi poveri. Le malattie tropicali trascurate uccidono ogni anno 500.000 persone nei paesi in via di sviluppo. E se le compagnie farmaceutiche private vedono scarsi incentivi finanziari nello sviluppo di medicinali per i paesi capitalisti avanzati, non ne vedono affatto nelle nazioni più povere. Il dott. Harvey Bale Jr., capo della Federazione internazionale dei produttori farmaceutici, ha affermato che “non esiste un mercato nel mondo povero”. Il dottor Bernard Pécoul di Medici Senza Frontiere ha aggiunto che la spinta al profitto “impone di concentrarsi su 300-400 milioni di persone nei paesi ricchi”. Questo è un chiaro esempio di come la produzione a scopo di lucro non sia affatto in linea con i bisogni.

Per fare un esempio, alla fine degli anni ’90, il genoma della tubercolosi è stato sequenziato. La TBC provoca terribili sofferenze nelle parti più povere del mondo. Nonostante l’OMS abbia organizzato il vertice del 1998 per ottenere il sostegno delle principali società farmaceutiche per lo sviluppo di un vaccino e di trattamenti specifici, nessuna di queste società era disposta a impegnarsi in alcun progetto che avrebbe probabilmente prodotto profitti inferiori a 350 milioni di dollari all’anno. Ciò avrebbe richiesto un costo totale di 11 dollari americani per pillola per paziente nell’Africa sub-sahariana, ad esempio, che all’epoca spendeva meno di 10 dollari americani per cittadino, all’anno, per tutte le esigenze sanitarie. In breve, il settore farmaceutico privato ha rifiutato di impegnare le risorse per alleviare la sofferenza delle nazioni povere a meno che non realizzassero l’impossibile. Il progetto è stato abbandonato. E a parte la mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo, molte aziende private hanno abbandonato la produzione di farmaci già esistenti e importanti per i paesi in via di sviluppo, tra cui cinque trattamenti per la tripanosomiasi umana (malattia del sonno) in Africa, l’aminosidina per la leishmaniosi e persino il vaccino contro la polio.

Lungi dall’avanzare la società umana nella lotta contro le malattie, il capitalismo ci sta in concretamente facendo fare dei passi indietro. Enti internazionali come l’OMS e il G8 hanno tentato di incentivare gli investimenti del settore privato nel mondo povero con sussidi come Advanced Market Commitments (AMC), attraverso i quali i paesi capitalisti avanzati accettano di sostenere alcuni dei costi per ottenere vaccini a prezzi accessibili dove più necessario. In alternativa, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti offre voucher che possono essere scambiati con revisioni in tempi rapidi di qualsiasi prodotto futuro per le aziende che sviluppano medicinali efficaci per le malattie trascurate. Ma tutti questi premi hanno fallito, sia perché non forniscono abbastanza incentivi, sia perché le aziende farmaceutiche hanno trovato il modo di giocare con il sistema e arricchirsi ulteriormente. Ad esempio, applicando questo voucher alla medicina antimalarica Coartem, Novartis ha accumulato un profitto aggiuntivo di 321 milioni di dollari soltanto per la registrazione del proprio prodotto presso la FDA degli Stati Uniti, anche se questa medicina è già ampiamente utilizzata altrove.

L’unico valore che le case farmaceutiche private vedono nei paesi in via di sviluppo è la possibilità di usarli come un laboratorio di sperimentazione per esternalizzare i propri studi clinici, che rappresentano il costo maggiore dello sviluppo di farmaci. Questo costo può essere notevolmente compensato sfruttando cavie umane in luoghi come l’India, dove gli studi clinici sono diventati un mercato fiorente. Meglio ancora, queste aziende possono spesso evitare la burocrazia spiacevole degli standard etici e del consenso informato spostando queste operazioni in paesi in cui le normative sono più rigide e trasformando persone disperate nei loro topi di laboratorio.

Alcuni dei paesi più poveri hanno cercato di compensare l’aumento dei costi dei farmaci investendo nei propri canali di produzione e distribuzione farmaceutica, al costo di aggravare il debito estero. Tuttavia, questi sforzi sono stati frustrati dall’Associazione dei produttori farmaceutici (la principale organizzazione di padroni del settore), che ritiene che ciò rappresenti una “violazione dei loro diritti nel libero mercato”.

Dal 2008 al 2018, un Gruppo di lavoro intergovernativo sulla salute pubblica, l’innovazione e la proprietà intellettuale (IGWG) hanno cercato di rispondere alle richieste dei paesi in via di sviluppo di un sistema globale di ricerca e sviluppo che rifletta meglio le loro esigenze. Ma le sue raccomandazioni sono state totalmente ignorate sia dai paesi imperialisti che dal settore farmaceutico privato.

La situazione è stata riassunta in un rapporto di Oxfam che costituisce una condanna: “La mancanza di innovazione medica è un problema globale che richiede un aumento significativo delle risorse, applicato in modo efficace e coordinato. L’attuale sistema di ricerca e sviluppo non utilizza le capacità, le competenze e le risorse disponibili in tutti i paesi. Gli sforzi per migliorare la ricerca e lo sviluppo in tutto il mondo in via di sviluppo sono frammentati, insostenibili e difficilmente portano a cambiamenti su larga scala.

Nonostante le lamentele di Oxfam e IGWG, non si può cambiare le regole del capitalismo facendo appello al lato umano dei capitalisti. Se non esiste un mercato redditizio, non investiranno. Le riforme che vengono proposte richiederebbero una rottura fondamentale con l’attuale sistema. Naturalmente, la ricerca sui trattamenti salvavita per le malattie che affliggono i paesi in via di sviluppo avrebbe anche un impatto positivo sullo sviluppo di vaccini e trattamenti nei paesi capitalisti avanzati. Ma il sistema di mercato pensa solo a rendimenti immediati. Le vite umane sono un dettaglio.

La malattia serve anche a mantenere povero il terzo mondo. La crisi dell’HIV/AIDS (le cui origini risiedono nella trasmissione da primato a uomo attraverso il mercato illegale di carne di animali selvatici, a cui popolazioni disperate ricorsero dopo successive carestie) calarono come una scure nei Paesi in via di sviluppo negli anni ’80 e ’90. Fino a 121 milioni di persone in meno sono vive oggi come conseguenza di questa pandemia. La Banca mondiale ha stimato nel 1991 che l’HIV/AIDS al corrispondeva 4 percento del bilancio sanitario della Tanzania, il 7 percento del Malawi, il 9 percento del Ruanda, il 10 percento del Burundi e il 55 percento dell’Uganda. Inoltre, le epidemie nelle nazioni povere in Africa e nelle Americhe sono state esacerbate dall’impatto della guerra e dei colpi di stato, provocati dall’ingerenza imperialista, che hanno paralizzato le infrastrutture sanitarie già vulnerabili di questi paesi. Gli offensivi tentativi degli anni ’70 da parte della Banca Mondiale di “fare pressione” i paesi poveri per spendere di più per la prevenzione delle malattie e l’assistenza sanitaria sono stati ridotti dalla loro necessità di saldare immensi debiti a organismi come l’FMI. L’imperialismo ha portato alla rovina queste nazioni, non solo attraverso il colonialismo, lo sfruttamento e la guerra, ma anche le malattie. Ora sono praticamente indifesi contro le emergenze come la pandemia del COVID-19.

Distruzione ambientale e agricoltura intensiva: ricettacolo di malattie

Nonostante le sue origini precise non siano chiare, si ritiene che il COVID-19 sia stato portato dalle popolazioni animali a quelle umane alla fine dello scorso anno a Wuhan, la capitale della provincia di Hubei in Cina, e successivamente si sia diffuso attraverso viaggi nazionali e internazionali durante il Capodanno cinese. Questo assomiglia all’epidemia di SARS del 2003, derivata dalla trasmissione di un ceppo mutato di coronavirus in un mercato di animali vivi nella provincia del Guangdong. Nessuna di queste epidemie è stata un evento “naturale”. Piuttosto, sono state l’inevitabile conseguenza della rapace produzione capitalistica, che sta creando terreno fertile per coltivare malattie potenzialmente letali nelle popolazioni animali e per la loro diffusione agli esseri umani.

La crescente diffusione delle pandemie negli ultimi anni può essere in parte spiegata dalla distruzione capitalista dell’ambiente. Dal 1940, ci sono stati centinaia di agenti patogeni microbici che appaiono in nuovi territori: tra cui HIV ed Ebola in Africa, Zika nelle Americhe e così via. Più di due terzi di questi provengono dalla fauna selvatica, piuttosto che dagli animali domestici. La deforestazione attraverso il disboscamento, l’espansione urbana, la costruzione di strade e l’estrazione mineraria distruggono gli habitat delle specie selvatiche e aumentano il loro contatto con gli insediamenti umani, il che offre maggiori opportunità ai microbi che vivono innocui nei loro corpi di “riversarsi” nei nostri. L’ecologo delle malattie e geografo Thomas Gillespie, intervistato su Scientific American, ha dichiarato: “Non sono affatto sorpreso dell’epidemia di coronavirus. La maggior parte dei patogeni [nei corpi degli animali selvatici] deve ancora essere scoperta. Siamo solo alla punta dell’iceberg”.

Ad esempio, le epidemie di Ebola del 2017 hanno avuto origine da una specie di pipistrelli, che sono stati costretti a posarsi sugli alberi nelle fattorie e nei cortili a causa della deforestazione. Questi animali diventano portatori di ceppi di virus che si propagano da animali a esseri umania causa del contatto ripetuto, e trasmettono agenti patogeni attraverso morsi, materia fecale o a causa del fatto che vengono venduti come cibo in mercati informali – dove specie che non si incontrerebbero mai in natura sono in gabbie vicine. Questi mercati sono una fonte di cibo essenziale per i poveri in Asia e Africa, tuttavia, secondo Gillespie, sono “una serie di sfortunati eventi (perfect storm) per la trasmissione di patogeni tra specie diverse. Ogni volta che ci sono nuove interazioni con una gamma di specie in un unico posto, sia che si trovi in un ambiente naturale come una foresta o un mercato alimentare, ci può essere un evento di trasmissione.” Questo è esattamente ciò che ha portato alla mutazione del coronavirus che ha causato l’epidemia di SARS, e forse del COVID-19. Un’ipotesi è che il virus sia passato da un pipistrello o un pangolino in un mercato alimentare alla sua prima vittima umana: un uomo di 55 anni.

Tuttavia, questo è solo uno degli scenari in cui agenti patogeni pericolosi possono derivare dagli animali. Negli allevamenti su scala industriale, centinaia di migliaia di esemplari sono stipati in condizioni anguste, il che crea un ambiente ideale per i microbi che diventano agenti patogeni letali. L’influenza aviaria, ad esempio, ha avuto origine in uccelli acquatici selvatici. Ma quando l’influenza raggiunge i polli negli allevamenti industriali (o intensivi?) devasta la popolazione e muta rapidamente per diventare più virulenta. Questo è ciò che ha prodotto il temuto ceppo H5N1 dell’influenza aviaria, che può infettare e uccidere l’uomo. Inoltre, i tentativi di massimizzare la produzione di particolari prodotti animali hanno portato alla nascita diffusa di allevamenti intensivi, in cui viene allevato un solo tipo di animale. Questo crea un ambiente ideale per l’evoluzione di virus pericolosi. L’influenza suina è originata da allevamenti intensivi di suini, ad esempio – sebbene l’industria dell’allevamento del maiale abbia fatto pressioni sull’OMS per rinominare l’influenza suina con il suo nome scientifico, H1N1, per distogliere l’attenzione dalla sua origine. Alcuni scienziati hanno ipotizzato che le allevamenti intensivi di suini possano persino aver allevato il nuovo coronavirus.
Questi problemi riguardano l’agroalimentare in tutti i paesi a capitalismo avanzato e le operazioni di produzione alimentare negli Stati Uniti e in Europa sono state l’epicentro per le influenze H5N2 e H5Nx, entrambe minimizzate da funzionari della sanità pubblica americana. Tuttavia, non è un caso che una serie di gravi epidemie negli ultimi anni abbiano avuto origine dalla Cina. Anche qui la colpa è della produzione capitalista.

Il rapido sviluppo dell’economia cinese su base capitalista ha eretto un castello di carte epidemiologico nel Paese. Il libro di Rob Wallace, “Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Influenza”, indaga sull’emergenza dell’influenza aviaria in Cina. Spiega come, negli anni ’80 e ’90, il paese modernizzò e consolidò la sua attività agroalimentare in province come il Guangdong, dove il primo caso H5N1 fu registrato nel 1997. Aziende straniere come Charoen Pokphand (CP) furono invitate ad aprire sedi nel Guangdong, introducendo operazioni integrate verticali in cui gli animali e gli impianti di alimentazione e trasformazione erano tutti forniti dalla stessa azienda. Ciò ha provocato un’esplosione del numero di anatre e polli prodotti ogni anno. Sono state introdotte tecniche di agricoltura intensiva in stile americano (con una regolamentazione ancora più disinvolta) per soddisfare la domanda del mercato e massimizzare i profitti, e la concorrenza insormontabile ha devastato la produzione agricola rurale da parte delle comunità contadine, portando a una massiccia migrazione interna verso queste province. Ciò ha posto enormi allevamenti intensivi di pollame a stretto contatto con popolazioni umane densamente affollate. Hubei è la sesta provincia cinese per produzione di pollame, con una popolazione di 58.5 milioni di abitanti. Indipendentemente da come sia nato il COVID-19, Hubei è sempre stata una bomba a orologeria per le malattie.

L’immenso potere economico di aziende come CP (che ora produce 600 milioni di polli dei 2,2 miliardi venduti ogni anno in Cina) si traduce in un enorme potere politico in Asia, utile quando le loro azioni si traducono in pandemie. Ad esempio, CP è stata una grande sostenitrice del magnate delle telecomunicazioni Thaksin Shinawatra, il primo ministro thailandese durante la prima epidemia di influenza aviaria del paese – le cui promesse di gestire il paese “come un’azienda” hanno significato massicci attacchi ai diritti dei lavoratori e alla liberalizzazione aggressiva dell’economia tailandese. Quando sono iniziati i contagi in Thailandia, Shinawatra ha svolto un ruolo attivo nel bloccare gli sforzi per arginare la diffusione dell’influenza aviaria. Gli impianti di lavorazione del pollame in realtà hanno intensificato la produzione, con gli attivisti sindacali che riferivano come una fabbrica producesse ancora tra i 90.000 e i 130.000 capi di pollame ogni giorno, nonostante fosse ovvio che i polli fossero malati. Shinawatra e i suoi ministri sono andati in TV a mangiare polli per dimostrare la loro fiducia, ma dietro le quinte, CP e altre grandi aziende agroalimentari erano colluse con il governo per comprare il silenzio degli agricoltori e tacere sui loro animali infetti. In cambio, il governo stava fornendo segretamente i vaccini alle grandi aziende agricole, mentre i contadini più poveri erano tenuti all’oscuro, mettendo a rischio se stessi e i loro animali. Quando il Giappone ha bandito il pollame proveniente dalla Cina durante la crisi, le fabbriche tailandesi di CP hanno sfruttato l’occasione, facendo sì che l’azienda realizzasse profitti ancora maggiori da un’epidemia in gran parte di sua creazione!

Un’altra minaccia a lungo termine rappresentata dall’agricoltura intensiva (sulla quale tornerò più avanti) è la coltivazione di microbi resistenti agli antibiotici. Poco dopo che la scoperta degli antibiotici aveva rivoluzionato la scienza medica, è stato scoperto che il bestiame viveva più a lungo se trattato con delle dosi di antibiotici. Sfortunatamente, il bestiame sottoposto a questi trattamenti pone più del doppio della pressione selettiva globale sulle colture batteriche nella loro evoluzione e resistenza, il che aggrava un problema esistente e già estremamente grave per la salute pubblica.

In breve, l’enorme pressione esercitata sugli animali e sull’ambiente dalla produzione capitalista ha contribuito a uno scenario molto pericoloso, in cui i patogeni trasmissibili dall’uomo all’uomo si stanno evolvendo e si stanno diffondendo a un ritmo accelerato.

Questa situazione ricorda le parole di Engels, che scriveva ne “La dialettica della natura”:

“Non lasciamoci […] lusingare troppo a causa delle nostre vittorie umane sulla natura. Per ognuno di questi successi la natura si vendica di noi. Ogni vittoria, è vero, in prima battuta porta ai risultati che ci aspettavamo, ma in seconda e terza battuta, ha effetti piuttosto diversi e imprevisti che finiscono troppo spesso per cancellare il primo …

In nessun caso questa opinione è più vera che nel caso dei patogeni che hanno origine negli allevamenti industriali. Tuttavia, nessuno dei problemi descritti qui è endemico in una produzione alimentare efficiente. Tutti derivano da tecniche di allevamento intensivo, progettate per massimizzare soprattutto i profitti, molto crudeli con gli animali che mangiamo e potenzialmente disastrose per la salute pubblica. Non vi è alcun motivo per cui le monocolture di animali, nutrite con antibiotici, debbano essere stipate fianco a fianco in fabbriche infernali e diventare un terreno fertile per le malattie. In un’economia pianificata razionalmente, tutti questi processi potrebbero essere resi quanto più efficienti, umani e sicuri possibile, senza dover soddisfare la brama dei profitti dei capitalisti.

 

Le epidemie sono inevitabili, le pandemie no

Nel 1994, la giornalista premio Pulitzer Laurie Garrett scrisse “The Coming Plague: Newly Emerging Diseases in a World out of Balance”, seguito nel 2001 da “Betrayal of Trust: The Collapse of Global Public Health”. In questi due libri, spiega che “la perturbazione umana dell’ambiente a livello globale, unita a comportamenti che diffondono velocemente i microbi tra le persone e dagli animali agli umani, hanno garantito un aumento globale delle epidemie, persino un’enorme pandemia. [Questi] focolai sono stati aiutati e incoraggiati da sistemi sanitari non all’altezza, il comportamento umano e la completa mancanza di un serio supporto politico e finanziario per la preparazione alla lotta contro le malattie in tutto il mondo.” Anche se non l’ha detto in questi termini, questi libri costituivano una dannosa accusa al capitalismo e ai suoi effetti corrosivi sulla salute pubblica. Gli avvertimenti di Garrett sono stati confermati in un rapporto del 2018 del Global Preparedness Monitoring Board, che avvertiva che “esiste una minaccia molto reale di una pandemia in rapido movimento, altamente letale, di un patogeno respiratorio che uccide da 50 a 80 milioni di persone e spazzando via quasi il 5% dell’economia mondiale”.

Il rapporto continua:

Tra il 2011 e il 2018, l’OMS ha monitorato 1.483 eventi epidemici in 172 paesi. Malattie a tendenza epidemica come influenza, sindrome respiratoria acuta grave (SARS), sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS), Ebola, Zika, peste, febbre gialla e altre, sono forieri di una nuova era di epidemie ad alto impatto, potenzialmente a diffusione rapida e sempre più difficili da gestire… Qualsiasi paese senza assistenza sanitaria di base, servizi di sanità pubblica, infrastrutture sanitarie e meccanismi efficaci di controllo delle infezioni dovrà affrontare le maggiori perdite, tra cui morte, evacuazioni di massa e devastazioni economiche.”

In altre parole, l’attuale crisi COVID-19 fa parte di una nuova era in cui le pandemie diventeranno più comuni, per i motivi che ho descritto. Il mondo è impreparato per questo, e i paesi più poveri soffriranno di più. Oltre all’emergere di nuovi agenti patogeni, ci sono altre minacce all’orizzonte, tra cui ceppi di microbi resistenti agli antibiotici come streptococco e stafilococco, coltivati negli ospedali nei paesi capitalisti avanzati, a causa di un’eccessiva dipendenza dagli antibiotici sviluppati nel periodo post-bellico. Malattie del XIX e XX secolo, come la tubercolosi, stanno tornando in comunità povere come Harlem a New York City – e sviluppando resistenza agli antibiotici. Negli anni ’90, una previsione dell’Università della California prevedeva che entro il 2070 il mondo avrebbe esaurito tutte le opzioni di farmaci antimicrobici, poiché virus, batteri, parassiti e funghi avrebbero sviluppato una completa resistenza all’arsenale farmaceutico umano. Questo scenario apocalittico potrebbe essere evitato se si investisse maggiormente in ricerca e sviluppo per vaccini e trattamenti alternativi. Ma, come spiegato, questa non è una strada redditizia per le grandi industrie farmaceutiche.

In risposta al summenzionato rapporto GPMB, Garrett era scettica sul fatto che una qualsiasi delle sue proposte (che significavano fare pressioni su governi e imprese private per cooperare in modo più efficace sui finanziamenti e sulla ricerca) potesse portare a qualche risultato. Ha scritto: “Senza alcuna intenzione di denigrare lo sforzo del GPMB, devo purtroppo dire che questo messaggio chiave è stato già lanciato in tutti i modi con scarso impatto percepibile verso i leader politici, società finanziarie o istituzioni multinazionali. Non c’è motivo di pensare che questa volta sarà diverso.”

In effetti, su base capitalistica, è improbabile che la situazione migliori. Queste malattie sono state fatte apparire dal sistema stesso e i modelli di vita delle moderne società capitaliste creano le condizioni ideali per la loro diffusione. L’urbanizzazione ha concentrato la stragrande maggioranza degli 8 miliardi di persone del pianeta in posti ad alta densità di popolazione, dove le malattie possono dilagare. E il drammatico aumento del movimento globale di persone e merci (facilitato dai trasporti moderni e aggravato dalla guerra e dai cambiamenti climatici) crea canali praticabili per far diffondere i microbi in tutto il pianeta. Ci sono voluti solo pochi giorni prima che COVID-19 si diffondesse da un capo all’altro del pianeta. Un tale problema globale richiede una soluzione internazionale. Ma, come descritto, l’antagonismo tra le diverse nazioni capitaliste, i diritti della proprietà privata delle principali società farmaceutiche e il modo di produzione basato sul profitto impediscono il tipo di risposta coordinata necessaria per combattere le pandemie.

La ripresa capitalista nel dopoguerra fu un periodo di grande ottimismo per la salute pubblica. Il miglioramento degli alloggi e dei servizi igienico-sanitari e la scoperta di antibiotici comportarono un netto aumento dell’aspettativa di vita. Nel Regno Unito, la classe operaia, tornata da una guerra vittoriosa, chiedeva riforme, tra cui il servizio sanitario nazionale (NHS), la fornitura di assistenza medica complessa dispensata gratuitamente. Nel 1995, il vaccino contro la polio del Dr. Jonas Salk ha ridotto con successo i casi di malattia in Europa occidentale e Nord America da 76.000 nel 1955 a 1.000 nel 1967. Nel 1978, l’OMS convocò una riunione di ministri della salute di oltre 130 nazioni ad Alma-Ata nell’URSS, pubblicando un documento (“la Dichiarazione di Alma-Ata”) che chiedeva “il raggiungimento da parte di tutti i popoli del mondo da parte del anno 2000 di un livello di salute che consentirà loro di condurre una vita socialmente ed economicamente produttiva “, definendo la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non semplicemente l’assenza di malattia o infermità “, e “Un diritto umano fondamentale”. Ma oggi, lontana dall’essere un diritto umano, l’assistenza sanitaria di qualità e accessibile è negata a milioni di persone. Nel frattempo, anni di investimenti insufficienti e privatizzazioni hanno portato a un arresto quasi totale dei progressi nella ricerca medica e i progressi democratici del dopoguerra sono stati ridimensionati. La classe dominante ha affrontato questa crisi attuale con un cinismo malthusiano degno di Trevelyan, considerando apertamente gli “effetti economici positivi” del COVID-19 nell’uccidere settori “non produttivi” della società.

L’austerità che è seguita al crollo del 2008 ha messo a dura prova la salute pubblica, le cui conseguenze sono ora spietatamente esposte dal nuovo focolaio di coronavirus. Ovunque, la mancanza di kit per il test (fabbricati privatamente) rende impossibile raccogliere dati accurati sull’entità della pandemia di coronavirus. C’è una mancanza critica di posti letto. Gli operatori sanitari in pensione stanno tornando in servizio. Paesi come la Gran Bretagna inizialmente hanno minimizzato il rischio rappresentato dal virus, prima di fare un’inversione a U e imporre un blocco. I discorsi iniziali sulla “mitigazione” e “appiattimento della curva” piuttosto che di contenimento erano fatti in parte per evitare di bloccare i loro affari, ma anche perché il servizio sanitario non poteva sopportare il peso di un focolaio che secondo le previsioni potrebbe durare fino al 2021 e costringere 8 milioni di persone in ospedale. Nel frattempo, il decentramento e i successivi tagli al sistema sanitario italiano negli ultimi 30 anni hanno portato a gravi carenze non solo di respiratori e posti letto, ma anche di mascherine e disinfettanti per le mani, in uno dei paesi più colpiti. Gli ospedali italiani sovvenzionati non hanno altra scelta che scegliere chi vive o muore in base all’età. Gli operatori sanitari sono completamente sovraccarichi, con immagini di infermieri italiani svenute dall’esaurimento che testimoniano il terribile stato di cose. Inoltre, i padroni in un paese dopo l’altro si stanno rifiutando di prendere le misure di sicurezza appropriate o di bloccare la produzione fino a quando non sono costretti ad agire a cause degli scioperi. E anche laddove i governi borghesi hanno concordato di mantenere i salari e appropriarsi di determinati settori al fine di salvare il sistema capitalista, ci si aspetta inevitabilmente che la classe lavoratrice paghi il conto quando la polvere si sarà depositata. Il capitalismo non solo ha reso più probabili le nuove epidemie, ma ha distrutto la sanità pubblica al punto che non è in grado di affrontarli.

Come ha detto una volta l’epidemiologo Larry Brilliant, che ha guidato la lotta contro il vaiolo: “le epidemie sono inevitabili, ma le pandemie no”.

Niente di tutto ciò deve accadere per forza. In un’economia pianificata, tutta l’ingegno dell’umanità sarebbe diretto allo sviluppo di vaccini per le più grandi malattie mortifere. Programmi di immunizzazione di massa sarebbero quindi condotti liberamente in tutti i paesi della terra – sradicando malattie come l’Ebola, proprio come abbiamo fatto con il vaiolo. Le crisi ambientali e le tecniche di allevamento intensivo che creano aree di riproduzione per agenti patogeni potrebbero essere sostituite con una produzione pianificata in armonia con la natura, che privilegia il benessere umano e animale rispetto ai profitti. Ogni nuova epidemia virale potrebbe essere accolta con una risposta globale e concertata per impedire che raggiunga livelli di pandemia.

Tutte le ricerche e le risorse per il trattamento dei casi infetti potrebbero essere condivise e utilizzate in base alle necessità. Invece di dover pagare il conto salato delle compagnie farmaceutiche private, le loro immense risorse sarebbero espropriate e gestite su base democratica per produrre vaccini e antigeni secondo necessità. Invece di sprecare milioni in denaro pubblico per ottenere letti d’ospedale, questi potrebbero essere semplicemente requisiti. Strutture per i test e la quarantena potrebbero essere costruite per gestire l’emergenza. E piuttosto che la corsa dei paesi capitalisti antagonisti per accumulare risorse – e i loro sforzi per mantenere gli investimenti redditizi a spese della salute pubblica – una federazione di paesi socialisti potrebbe costituite un fronte unito contro le epidemie. La produzione non essenziale potrebbe essere fermata e le misure di distanziamento sociale attuate ogniqualvolta necessario, senza alcun impatto sul salario. E la logistica potrebbe essere pianificata per garantire che gli scaffali siano riforniti, le necessità di base siano garantite e nessuno sentail bisogno di fare scorta dei beni essenziali.

La medicina moderna rappresenta una fenomenale vittoria della società umana sulla natura. Almeno nei paesi capitalisti avanzati, ha raddoppiato la nostra aspettativa di vita e migliorato notevolmente la qualità della vita. Qualsiasi società moderna che non può garantire alla sua popolazione una sanità di buona qualità e una protezione contro le pandemie prevenibili, non può essere considerata civilizzata. Mentre capitalisti e i loro politici affrontano le emergenze di salute pubblica scrollando le spalle e informando le masse del fatto che: “i tuoi cari moriranno”, una società socialista fornirebbe all’umanità le armi di cui ha bisogno nella battaglia contro le malattie. La risposta insensata e inetta dei governi capitalisti alla pandemia di COVID-19, e la conseguente ricaduta sociale, provocherà un balzo in avanti nella coscienza delle masse. Si sono già verificati scioperi spontanei in Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Stati Uniti, Canada e altrove contro tentativi da parte dei capi di costringere i lavoratori a scegliere tra il rischio di infezione nei luoghi di lavoro o la perdita del salario. Questo è solo un presagio di ciò che verrà. Stiamo entrando in una nuova epoca di lotta contro un sistema malato terminale.

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