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4 Novembre 2020Nel giorno in cui entra in vigore l’accordo-truffa tra Ugl e Assodelivery, l’associazione delle piattaforme online di consegna del cibo, abbiamo intervistato un rider bolognese, fra i protagonisti della lotta esplosa in queste settimane.
Puoi descriverci la condizione dei riders?
La definizione dei rider come “simbolo di una generazione abbandonata” in effetti calza piuttosto bene come sintesi della loro condizione, anche perché proprio Di Maio, il politicante che la proferì così platealmente per la prima volta, si è rivelato il personaggio che più platealmente li ha abbandonati.
Fra il 2018 ed il 2019, ai tempi dei celebri tavoli fra governo, piattaforme, sindacati confederali e “union” io non facevo ancora il rider, e quindi non posso testimoniare direttamente quali erano allora gli umori dei rider nel loro complesso, i quali per ovvie ragioni non sempre riescono a palesarsi nei post su facebook. Tuttavia anche mediante facebook, se si torna indietro a quel periodo si trova che i rider autorganizzati di Torino, dopo i primi due tavoli avevano già fiutato il teatrino mediatico messo su da Di Maio.
Di Maio esordì promettendo che avrebbe iniziato un percorso legislativo per rendere il nostro lavoro più dignitoso, meno precario e con un salario minimo. Ma subito dopo poche settimane passò da una legge immediata ad un tavolo di trattativa tra aziende e lavoratori che da subito è sembrato un gigantesco alibi per concedere tempo alle aziende, le quali ovviamente durante tutto quell’anno di tavoli inconcludenti hanno utilizzato la contrattazione e i promessi interventi legislativi come scusa per evitare confronti con i lavoratori in lotta e rifuggire dalle loro rivendicazioni.
Si trattò insomma solo di un ipocrita tentativo di arruffianarsi il favore dei rider, i quali venivano da un crescendo di mobilitazioni e di primi tentativi di autorganizzazione.
L’aborto riformistico che è venuto fuori da questi tavoli “rispettabili” è il decreto legge 101/2019 convertito dalla legge n. 128/2019, cosiddetta “Legge sui Riders”.
La legge rider, emanata nel 2019, dopo anni di scioperi e mobilitazioni, ha avuto, da un lato, come unico e parecchio scarno risultato quello di abolire il pagamento a consegna, dall’altro, però ha lasciato ampio spazio per una contrattazione al ribasso tra aziende e sindacati. Un’occasione che le aziende non si sono lasciate scappare!
La legge in questione infatti, concedendo alle aziende tutto il tempo per creare la loro giusta controparte, ha permesso ad Assodelivery (associazione di categoria composta da #Glovo, #Deliveroo, #Ubereats, #Justeat e #Social Food) e UGL (noto sindacato da sempre vicino alle esigenze datoriali) di firmare un accordo illegittimo – chiamato impropriamente ccnl rider – che dal 3 novembre sarà imposto a livello nazionale.
Qual è la tua opinione sul contratto firmato da Ugl e Assodelivery?
Come quello subito dai metalmeccanici di Pomigliano nel 2010, anche noi rider oggi abbiamo subito il ricatto dell’accordo separato costretti ad accettare per continuare a lavorare. L’accordo pirata che entrerà in vigore il 3 novembre è infatti stato sottoscritto tra Assodelivery (associazione padronale che riunisce Just Eat, Glovo, Deliveroo, Uber Eats e Social Food) e UGL Rider. Quest’ultima, oltre a non rappresentare i lavoratori del settore, nasce addirittura negli uffici di Glovo come ANAR – Associazione Nazionale Autonoma Rider – e infine confluisce nel sindacato giallo e fascista UGL. I manager del food delivery hanno insomma creato la loro controparte, l’hanno poi investita di rappresentatività e alla fine l’hanno portata a siglare un accordo che va a peggiorare le nostre già misere condizioni di lavoro.
L’obiettivo che si è prefissata Assodelivery organizzando di nascosto la stilatura con UGL di questo contratto vergognoso è stato quello di annullare i pur timidi miglioramenti che almeno avrebbe dovuto garantire la “legge rider” una volta definitivamente entrata in vigore, soprattutto in materia di compenso.
Mentre nella “legge rider” era prevista almeno la paga minima oraria secondo i contratti nazionali di settore, nel nostro caso nel settore Trasporti e Logistica, il compenso per consegna previsto dall’accordo pirata Ugl-Assodelivery verrà calcolato sul tempo stimato dalla piattaforma per l’esecuzione, parametrandolo sul criterio di 10 euro lordi all’ora, questo vuol dire che una consegna che secondo l’azienda verrà svolta in 20 minuti, verrà pagata circa 3,30 euro, sempre lordi, che è addirittura meno di ciò che in media riesce a guadagnare un rider attualmente. Inoltre il tempo stimato da un algoritmo non può tenere in considerazione tutti gli eventuali imprevisti in cui incorriamo viaggiando in strada nel traffico. Ovviamente non viene considerato il tempo di attesa, come se le ore che passiamo ad aspettare davanti ai ristoranti non valessero nulla. Per non parlare del tempo che passiamo in attesa degli ordini, che con questo contratto continuerà ad essere a costo zero per le piattaforme. Insomma, per evitare di garantire il fisso orario si è architettato una sorta di cyber-cottimo orario.
Nelle città di nuovo insediamento delle piattaforme si stabilirà un minimo orario di partenza di 7 euro lordi l’ora, inferiore di oltre 1 euro ai minimi tabellari del CCNL Logistica, che andrebbe preso a riferimento. Esisterà dunque un sistema retributivo estremamente differenziato su scala territoriale, con significative differenze tra città e città, con le piattaforme che mantengono per se la possibilità di rivedere unilateralmente il livello di retribuzione. Per queste ragioni non si può neanche parlare di contratto collettivo nazionale, la cui caratteristica fondamentale è l’uniformità dei livelli salariali su tutto il territorio nazionale. Siamo, invece, alla legittimazione delle gabbie salariali, che sono l’antitesi della contrattazione nazionale.
Le maggiorazioni per il lavoro notturno verranno fatte partire dalle 24 e non dalle 22 come invece dovrebbe essere per legge. In questo modo i rider delle piattaforme che non effettuano il servizio di consegna dopo mezzanotte (cioè quasi la totalità dei rider, almeno qui a Bologna) non riceveranno nessun incentivo per i maggiori rischi che corriamo lavorando di notte con meno illuminazione.
Ovviamente il lavoro domenicale rimarrà pagato esattamente come quello nei giorni feriali, continuerà a non esserci malattia, maternità e ferie. Con questo contratto i lavoratori stranieri non potranno rinnovare il permesso di soggiorno ed i rider tutti potrebbero rischiare di rimanere esclusi dagli ammortizzatori sociali, cosa ancor più grave in questi tempi di pandemia.
Sono questi i principali punti previsti dal contratto pirata che le piattaforme ci hanno costretto a firmare spuntando una casella. Chi non spunta la casella entro il 3 novembre è fuori!
Come sono andati gli scioperi e che differenze vedi rispetto a quelli passati?
Contro questo contratto truffa ci sono stati diversi scioperi nelle più importanti città d’Italia nell’ultimo mese. La partecipazione in alcune città è stata buona.
Anche qui a Bologna abbiamo scioperato in tre occasioni nel mese di ottobre: l’8, il 17 ed il 30 ottobre. Le tre date insieme formano il ciclo di mobilitazioni che qui nella città di Bologna sono state organizzate contro l’accordo Assodelivery-UGL, prima che questo entri in vigore il 3 novembre.
Ciò che mi ha dato più soddisfazione è stata la presenza attiva di molti rider pakistani e indiani che ha segnato queste tre mobilitazioni. Guardando le foto e i video degli scioperi di quest’ultimo periodo sembra addirittura che nel complesso quelli di Bologna siano stati anche i più partecipati e rumorosi in Italia.
A Bologna l’organizzazione dei riders è Riders Union. È famosa più che altro per la Carta dei Diritti: un’iniziativa presa insieme al comune di Bologna e alle poche piattaforme “etiche” del fooddelivery che vi aderiscono volontariamente. Personalmente preferirei tenere, anche per Bologna, una linea di maggiore indipendenza dalle istituzioni, come fanno, unici in Italia, i rider di Torino. Ad ogni modo, al di là delle sigle, in complesso quelle di ottobre contro l’accordo Assodelivery-UGL sono state tre manifestazioni riuscite nella mia città. In due occasioni siamo riusciti a bloccare il traffico nelle strade principali del centro bolognese; il 30 ottobre lo abbiamo fatto anche sfidando l’ordinanza anti-covid che proibiva manifestazioni in movimento.
Siamo riusciti anche a tenere una sorta di progressione sotto l’aspetto della partecipazione. Nei momenti di maggiore picco l’adesione alla protesta è stata di circa 100, 130 e 150 partecipanti rispettivamente l’8, il 17 ed il 30 ottobre. In quest’ultima data, a dire il vero, si è sentita maggiormente anche la partecipazione dei centri sociali vicini a Riders Union che hanno sfilato in corteo con noi.
Mentre la data dell’8 ottobre è stata lanciata dai riders sudamericani e ha visto l’adesione delle varie organizzazioni di fattorini sparse in tutto il mondo, il 30 ottobre è stata la data dello sciopero nazionale dei riders di tutta Italia per dire no all’accordo pirata Assodelivery-UGL.
Purtroppo l’accordo passerà nonostante le proteste che ci sono state. Le piattaforme sono al momento infinitamente più coordinate, localmente e globalmente, di quanto lo riescano ad essere i riders. Purtroppo i numeri espressi nelle mobilitazioni di ottobre, qui a Bologna e in altre città italiane, sebbene ragguardevoli dal punto di vista numerico bruto, si rivelano insufficienti anche solo ad impensierire le piattaforme. Il servizio di consegna di queste ultime è garantito da due importanti fattori: la loro disponibilità pressoché infinita di rider in attesa di un turno di lavoro e dalla dislocazione dei ristoranti nei vari punti della città.
In tal modo, anche per un’orda di oltre un centinaio di riders diventa difficile coprire con la sua presenza tutti i ristoranti che dovrebbe picchettare contemporaneamente per bloccare il servizio. L’ipotesi di una divisione del lavoro fra i riders in sciopero in modo da creare tante “squadre” di picchettatori quanti sono i ristoranti bolognesi da picchettare è ancora molto fuori dalla nostra portata. Anche se con un maggior numero di riders determinati, e ben coordinati tra loro, sono sicuro che potremmo fare di tutto.
Negli scioperi di ottobre qui a Bologna ci siamo prefissi più che altro di bloccare il traffico e creare un disagio che potesse palesare a tutti il nostro grido di rabbia per l’ennesima turlupinatura che abbiamo subito. A dire il vero molti rider, giustamente, erano interessati anche a danneggiare i profitti durante le nostre giornate di sciopero. Anche io ovviamente sarei interessato a colpire le piattaforme nel loro cuore, che rimane il servizio di consegna, ma devo ammettere invece che i picchetti ai ristoranti durante questi 3 scioperi sono stati più che altro simbolici. Siamo riusciti a far spegnere l’app ai fast food dove siamo passati, la massa di riders davanti ai ristoranti era comunque minacciosa. Ma la stessa disconnessione dall’app che abbiamo convinto a fare ai fast food è durata giusto il tempo del nostro passaggio. Davanti ai tanti grandi ristoranti e all’infinità di piccoli non abbiamo neanche potuto passarci. Eppure quando veramente vorremo bloccare il servizio a questi problemi dovremo trovare soluzione. Oltre ai ristoranti che continuano a lavorare per le piattaforme mentre noi scioperiamo, si aggiungono i sicuramente tanti crumiri che, coscientemente o meno, continuano a brulicare per la città riuscendo ad evitare senza problemi l’orda di riders che si muove solo nelle strade principali.
Proprio perché a Bologna probabilmente sono avvenuti gli scioperi più partecipati in Italia nel mese di ottobre, posso dire con una certa sicurezza che i suddetti problemi sono comuni ai riders di tutte le città italiane, almeno fintantoché si intende dare il significato più autentico alla parola sciopero.
Inoltre l’ultimo sciopero del 30 ottobre, a Bologna, è stato molto più organizzato con volantinaggi e molto più pubblicizzato mediaticamente rispetto a quelli precedenti dell’8 e 17 ottobre. Eppure i numeri complessivi del 30 ottobre, sebbene siano superiori a quelli delle due date precedenti, non rispecchiano il lavoro preparatorio aggiuntivo che in questa occasione abbiamo fatto.
Non è escluso che adesso possa subentrare un periodo di quiete, spero breve, dopo queste 3 fiammate di ottobre. Purtroppo la sensazione di non aver danneggiato a sufficienza le piattaforme pervade un po’ tutti. Spero solo che l’inizio di queste nuove condizioni contrattuali capestro che dovremo subire scatenino la voglia di combattere in altri rider.
Ma, come ho già detto, non è più un problema di massa numerica solamente. Ricordo che durante una domenica di servizio delivery sponsorizzata da Foodora e dalla gelateria fighetta Grom di Torino, i rider Foodora in agitazione riuscirono a bloccare il servizio con meno di dieci partecipanti. Altri tempi! Adesso anche più di 100 riders insieme riescono solo a fare il solletico alle piattaforme, anche se senza dubbio possono creare un certo disagio al traffico metropolitano, comunque vitale per il normale scorrimento capitalistico generale. Ma in tal modo i profitti delle piattaforme rimangono quasi del tutto illesi. E, ripeto, non è solo una pura e semplice massa numerica che dovremmo raggiungere. Oltre a scioperare tutti i rider in generale, sarebbe importante che stessero scioperando quei determinati rider che l’algoritmo delle piattaforme ha assegnato per coprire un determinato turno di lavoro che noi vogliamo bloccare. Questa difficoltà è accentuata dal fatto che gli algoritmi hanno vastissime riserve di rider a costo zero che aspettano ansiosi una notifica di un turno di lavoro, o di una consegna se stanno già lavorando, nullificando così i sacrifici di chi si è astenuto dall’accettare turni o consegne. Come e più dei ristoranti, questa marea di riders a costo zero disponibile per il crumiraggio organizzato può essere in qualsiasi parte della città. E al momento non ci è assolutamente possibile intercettarla tutta. Per farlo avremo bisogno di organizzare al meglio la nostra lotta, dotandoci di tutti gli strumenti necessari a danneggiare di più e meglio la controparte aziendale e legando la nostra lotta a quella degli altri lavoratori, rafforzando la solidarietà e l’unità dell’intera classe lavoratrice.
Quali sono a tuo parere le prospettive per il movimento?
Troppe previsioni per il prossimo futuro non credo di riuscirle a fare, perché sono un semplice rider e perché la pandemia attuale non permette di poter anticipare molti dettagli. Fra mille difficoltà il grido di rabbia collettivo contro questo accordo separato ha palesato la generale contrarietà dei lavoratori, ma non è ancora stato possibile un rinnovato discorso collettivo fra i riders di tutta Italia per capire cosa vogliamo al suo posto. In passato fu tentato un discorso del genere allargato alle varie organizzazioni dei rider nascenti nelle varie città italiane, ma gli orientamenti moderati delle realtà organizzate di Bologna e Milano, con i loro dialoghi con le istituzioni, fecero velocemente scappare via Torino, la prima e più importante città ad aver aperto la lotta di classe contro il fooddelivery. Le altre città più importanti come Roma e Firenze seguirono presto le orme di Milano e Bologna, e così hanno fatto le città minori. Da quel momento i rider di Torino sono rimasti un po’ fuori dal resto delle altre organizzazioni di Italia. Ad ogni modo, il livello di partecipazione che hanno in questi anni mostrato gli scioperi torinesi non hanno eguali in nessun’altra città. Solo Bologna può essere considerata un’eccezione in questo senso. Soprattutto in questo mese di ottobre a Bologna si è verificato un certo risveglio di lotta fra i fattorini. Ma il necessario livello di coinvolgimento, che si può testare ad esempio in assemblee partecipate, non è stato granché neanche questa volta. Le assemblee di preparazione degli ultimi scioperi sono state organizzate in piazza, con poco tempo a disposizione e con pochi rider presenti. Utilizzare una chat organizzativa su WhatsApp ci ha permesso di allargare un po’ di più la partecipazione, anche traducendo in inglese od urdu all’occorrenza. Ma ancora non si può parlare assolutamente di una coscienza collettiva organizzata che con l’autorevolezza della propria voce si diffonde fra il complesso dei rider della città.
Con l’avvio di questo nuovo contratto pirata, il 3 novembre, si chiude in un certo senso la parabola nauseante del decreto rider. Emerge il vero significato di tutti i tavoli dialoganti fra fattorini e istituzioni: mettercelo in quel posto, nulla più!
Durante gli ultimi scioperi di ottobre, a Bologna è emerso spontaneamente il grido di lotta “Na Manzoor” (“inaccettabile” in lingua urdu) in risposta al vile accordo firmato da UGL e Assodelivery. È un termine che mi è piaciuto fin dal primo momento, quando lo sentii gridare da un rider pakistano senza che nemmeno riuscissi a capirne ancora il significato azzeccatissimo. In effetti è importante che il nostro “Na Manzoor” sia rivolto non solo contro il nuovo contratto e i due soli suoi firmatari (UGL e Assodelivery appunto) ma anche contro tutta l’impalcatura statale che permette e anzi difende l’opera di supersfruttamento dei fattorini tramite il cyber-cottimo e gli algoritmi.
Sarà inutile saturare il sistema di leggi, norme e commissioni, finché i lavoratori saranno ricattabili dal precariato (jobs act e Fornero), divisi e indeboliti dall’isolamento contrattuale che rafforza il secondo livello a discapito del primo facilitando la stipula di accordi separati (decreto Sacconi) e rappresentati dai soli organismi concessi dal padrone in cambio della rinuncia al conflitto (Testo unico sulla rappresentanza e clausole di pace contrattuale nei CCNL).
Il nostro Na Manzoor dovrebbe essere gridato insieme all’intero mondo del lavoro contro tutto questo e smetterla una buona volta di elemosinare briciole al politicante di turno in cerca di consensi elettorali.