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7 Febbraio 2019Nella lotta della Italpizza stiamo rivedendo un film già visto alla Castelfrigo negli scorsi anni. Un sistema di ipersfruttamento ad opera di aziende con giri d’affari esorbitanti che, approfittando della Legge Biagi, macinano profitti sulla pelle di lavoratori per lo più stranieri sottoposti a condizioni disumane tramite il gioco delle finte cooperative e della intermediazione di manodopera.
Italpizza nel solo 2017 ha totalizzato un fatturato di oltre 120 milioni di euro con un aumento del 260% rispetto al 2007. Un risultato possibile, come in tutto il resto del settore alimentare della zona, grazie ad un numero esiguo di dipendenti diretti ben retribuiti, circa 80, e un esercito di 500 finti soci cooperatori costretti a lavorare dalle 8 alle 12 ore al giorno per 800 euro, massimo 1200, al mese. Soli 10 minuti di pausa per andare in bagno controllati dal marcatempo, ritmi massacranti, straordinari non pagati e turni comunicati un giorno per l’altro tramite sms. Un caporalato neanche troppo moderno avallato nel 2015 da un accordo con le categorie del commercio di Cgil-Cisl-Uil che appose il sigillo sul dumping contrattuale inquadrando questi lavoratori nel contratto multiservizi anziché in quello ben più oneroso degli alimentaristi.
È in questo contesto che nell’autunno dell’anno scorso alcune coraggiose lavoratrice si sono rivolte al SiCobas per chiedere giustizia. La risposta dell’azienda non si è fatta attendere così che ben 9 lavoratrici iscritte al sindacato di base a fine novembre venivano pretestuosamente trasferite altrove, di fatto licenziate come ritorsione. La lotta che ne è seguita si è articolata in due fasi. La prima con scioperi e blocchi delle merci ad inizio dicembre fino ad un accordo raggiunto in prefettura a Modena l’11 dicembre che prevedeva il reintegro delle lavoratrici nonché l’avvio di un tavolo per verificare il contratto di applicazione. La seconda con la ripresa della mobilitazione e dei blocchi il 21 gennaio scorso a fronte del non rispetto da parte aziendale dell’accordo e conclusosi il 1 febbraio con un nuovo accordo il cui rispetto sarà da verificare nei prossimi giorni.
La vertenza ha visto l’utilizzo di una violenza inaudita da parte della Celere contro i manifestanti con cariche, fermi e lacrimogeni nonché la connivenza con i vertici aziendali da parte delle istituzioni, della procura e degli organi ispettivi. A questo si è aggiunta la richiesta dell’applicazione del Decreto Sicurezza nei confronti dei manifestanti e quindi la condanna fino a 6 anni di reclusione e la perdita del permesso di soggiorno per il blocco della strada e dei cancelli. Ancora una volta si capovolge la realtà. Se da un lato si fa finta di non vedere la violenza cui sono sottoposti i lavoratori nel lager Italpizza, dall’altro si accusa scandalizzati gli scioperanti di usare metodi di lotta violenta per aver bloccato le merci ai cancelli. Ancora una volta viene ribadito il teorema della procura di Modena secondo cui chi usa metodi di lotta “duri” è un estorsore di poveri imprenditori innocenti!
È in questo contesto che risulta davvero sconcertante la contraddittorietà con cui ancora la Cgil affronta la vicenda. Come si può da un lato confermare le denunce fatte dal SiCobas sulle condizioni di quei lavoratori ammettendo meritoriamente persino di aver sbagliato a siglare l’accordo del 2015 ma dall’altro dichiarare “Si può e si deve sempre isolare e condannare la violenza, anche quando la si usa per rivendicare diritti” (Il Fatto 27/1/2019)?
Nossignori! Qui la violenza è tutta dalla parte dell’azienda e delle istituzioni e l’unica “colpa” dei lavoratori è di non averla accettata e di non essersi limitati alle pur necessarie denunce ai tribunali e agli ispettorati del lavoro, ma di essere scesi in campo in prima persona. E se certi dirigenti della Cgil non avessero perso completamente la memoria ricorderebbero che di fronte all’arroganza padronale i lavoratori possono rispondere solo con una lotta che non sia solo simbolica ma che usi l’unico strumento a loro disposizione, ossia l’effettivo blocco della produzione. Cosa confermata dalla storia anche recente nel territorio modenese, e non solo nelle vertenze promosse dai sindacati di base come dimostra, ed è solo un esempio, la vertenza in corso alla Frama di Novi di Carpi.
Infine sulla stampa si parla di una ipotetica trattativa che Italpizza starebbe istituendo con la Uil per definire un contratto aziendale per le cooperative. Se così fosse sarebbe un errore gravissimo accettare di sedersi a qualsiasi tavolo non solo senza mandato dei lavoratori ma senza lasciare che siano loro a scegliere i propri rappresentanti, compreso il Si Cobas di cui come Cgil si deve riconoscere la legittimità conferitagli dai suoi iscritti e sostenitori.
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