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Medio oriente: guerra o pace?

di Alan Woods

C’era un tempo in cui la diplomazia internazionale era una faccenda relativamente stabile; indubbiamente complessa, ma allo stesso tempo abbastanza prevedibile. Le grandi potenze decidevano la politica in maniera piuttosto cinica, in linea con i propri interessi nazionali.

Sebbene i parametri morali di tali decisioni fossero spesso discutibili, di solito le si prendeva indubbiamente in seguito a calcoli razionali. Gli obiettivi di guerra delle singole nazioni erano, pertanto, facili da prevedere. L’arrivo di Donald J Trump sembra aver stracciato il manuale della diplomazia mondiale.

Le rapide decisioni di Trump, che spesso comportano una svolta di 180°, manifestano i tratti di impulsi improvvisi, piuttosto che essere il risultato di una strategia ben congegnata. Questo è indicativo del modo in cui egli conduce la politica estera. Ed è precisamente questo a rendere così difficile prevedere cosa avverrà nel momento successivo.

Questo è in sé un fattore di enorme complicazione nella politica mondiale, che incrementa in grande misura quell’instabilità che è, in ogni caso, implicita nell’intera situazione ed è un riflesso della crisi del capitalismo.

Lo scorso sabato 22 giugno, il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato a sorpresa di aver ordinato all’U.S. Air Force di bombardare tre siti nucleari in Iran, unendosi agli attacchi di Israele contro il programma nucleare di Teheran, in una drammatica escalation del conflitto in Medio Oriente.

La notizia è stata accolta con giubilo da Israele, dove la gente si è svegliata con la notizia degli attacchi notturni americani e al suono delle sirene d’allarme aereo. Non sorprende, allora, che siano apparsi in tutte le città israeliane cartelloni giganteschi che recitavano: “GRAZIE, SIGNOR PRESIDENTE!”.

L’avvocato Efrat Eldan Schecter dal nord di Israele ha senza dubbio parlato per molti israeliani quando ha detto alla BBC di essere “sollevata e grata” che gli Stati Uniti “abbiano intrapreso un’azione decisiva contro il programma nucleare dell’Iran”, aggiungendo di sperare che ciò “segni un punto di svolta verso un futuro più sicuro per tutti”.

Se questo sviluppo improvviso abbia garantito un futuro così ottimistico, o se sia semplicemente il segnale di una nuova e allarmante discesa nella spirale di violenza e sangue, rimane da vedere.

Ma questi dubbi non hanno lambito la mente febbrile del primo ministro israeliano, Bibi Netanyahu. Al contrario, quando ha saputo della decisione di Trump di lanciare un attacco contro i principali siti nucleari dell’Iran, è riuscito a malapena a nascondere la propria gioia. Parlando con la giornalista della BBC Laura Kuenssberg, il presidente israeliano ha definito l’attacco americano all’Iran come una decisione “storica” e “coraggiosa”.

Questa reazione è abbastanza naturale, dal momento che Bibi ha scommesso fin dall’inizio sulla prospettiva di provocare un conflitto regionale, che costringesse gli Stati Uniti a schierarsi direttamente dal lato di Israele. Così, quando Trump ha dato l’ordine di colpire le infrastrutture nucleari iraniane, le sue preghiere più ferventi sembravano realizzarsi.

Secondo la Bibbia, Geova salvò il suo popolo eletto facendo cadere la manna dal cielo per nutrirli. Ma il presidente degli Stati Uniti ha fatto cadere dei regali ben più utili, nella forma di una pioggia di bombe molto potenti, le cosiddette bombe anti-bunker.

Ma la sua gioia non è durata a lungo. Per dirla con le parole del grande poeta scozzese Robert Burns:

Ma i piaceri sono come papaveri sbocciati,
(cogli il fiore: la sua freschezza viene meno!)

Le dichiarazioni successive di Trump si sono riversate come una doccia fredda sulle aspettative gioiose del primo ministro dello Stato di Israele.

È stato un successo?

Dal momento che l’obiettivo dichiarato di questo attacco era, a quanto pare, quello di distruggere il programma nucleare dell’Iran, la prima domanda cui rispondere è naturalmente: “Ha raggiunto i propri obiettivi?”.

C’è almeno un uomo che al riguardo non ha il minimo dubbio. Con un linguaggio trionfante, per non dire esultante, il presidente Trump si è vantato sabato sera che gli Stati Uniti avessero portato a termine un “attacco di grande successo” contro tre siti nucleari iraniani, Fordow, Natanz e Isfahan. Ha insistito che ciò avrebbe “debellato la minaccia nucleare iraniana per sempre”.

Tuttavia, le dichiarazioni non sembrano corrispondere ai fatti. L’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA) non ha registrato alcun aumento nei livelli di radioattività dopo l’attacco americano. Questo alimenta immediatamente dubbi sulla veridicità delle affermazioni di Trump.

Se il danno inflitto ai tre principali siti nucleari in Iran fosse stato così devastante come ci viene detto, si sarebbe di certo dovuto osservare un qualche innalzamento nei livelli di radioattività, ancorché lieve. Ma sembra che non ve ne sia stato alcuno.

Subito, si sono sollevate voci persino all’interno dell’amministrazione che mettevano in dubbio le iniziali affermazioni di esagerato ottimismo. Secondo un corrispondente del New York Times, “Un alto funzionario americano, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha riconosciuto che l’attacco dei B-2 sul sito di Fordow non ha distrutto la struttura solidamente fortificata, ma l’ha gravemente danneggiata”.

J.D. Vance e altri membri dell’amministrazione hanno fatto commenti simili, con il chiaro obiettivo di introdurre un elemento di realtà nelle dichiarazioni estremamente ottimistiche fatte dal presidente.

Il segretario di Stato Marco Rubio ha detto a Politico che l’Iran è “molto più lontano dall’arma atomica” dopo l’attacco americano. Ma si è astenuto dall’affermare che i siti siano stati completamente distrutti.

In seguito, un rapporto di intelligence trapelato all’esterno ha affermato che gli attacchi americani alle strutture nucleari dell’Iran avevano verosimilmente ritardato il programma nucleare del paese di qualche mese.

Trump ha reagito a tutte queste affermazioni con malcelata rabbia. “L’intelligence dice che non lo sappiamo. [I danni] potrebbero essere molto gravi. Questo è quanto suggerisce l’intelligence”.

Si è scagliato contro la CNN e il New York Times per aver riportato la valutazione del rapporto di intelligence trapelato, dicendo che si erano coalizzati per “sminuire uno degli attacchi militari di maggior successo nella storia”, e ha dichiarato che i siti nucleari dell’Iran erano stati “completamente distrutti”.

Inoltre, ha aggiunto in un accesso d’ira:

Non è politicamente corretto utilizzare il termine ‘Cambio di Regime’, ma se l’attuale Regime iraniano non è in grado di RENDERE L’IRAN DI NUOVO GRANDE, perché non dovrebbe esserci un cambio di Regime???”.

Questa dichiarazione assomiglia molto ad una presa di posizione in favore della politica dichiarata di “cambio di regime” in Iran di Netanyahu. In effetti, in quel momento, tutto sembrava indicare che questi attacchi americani lasciassero aperta la porta ad ulteriori attacchi.

Tutto questo andava chiaramente nella direzione di una ripresa delle ostilità da parte americana contro l’Iran nell’immediato futuro. L’intera regione stava con il fiato sospeso, mentre si aspettava di sapere se ciò rappresentasse l’inizio della fine di questo conflitto o l’inizio di una fase ancora più letale.

Tuttavia, come spesso accade nel mondo capovolto di Donald J Trump, le cose sono andate diversamente.

Un attacco limitato?

Improvvisamente, Trump ha cominciato a mandare segnali che andavano in una direzione completamente differente, cioè in quella di lasciare intendere che il bombardamento aereo delle strutture nucleari iraniane sarebbe stato sufficiente a piegare l’Iran. Le sue nuove esternazioni segnalavano chiaramente che si trattava di un attacco limitato.

Sperava che un’unica poderosa dimostrazione di forze sarebbe stata sufficiente per mettere fine al coinvolgimento dell’America nella guerra. Ma si trattava di una mossa estremamente arrischiata, che è entrata subito in conflitto con la realtà.

Il punto è che, anche se è facile assestare il primo colpo, non è per nulla scontato presumere che l’altra parte si dimostrerà troppo codarda e debole per rispondere con la stessa moneta. Eppure, l’intera scommessa dipende precisamente da come l’altra parte risponderà. Ciò significa che si può perdere il controllo dell’intera situazione.

È vero che, per molto tempo, l’Iran ha mostrato una considerevole moderazione di fronte alle sfacciate provocazioni di Israele, inclusi gli omicidi ripetuti del proprio personale militare, oltre che di 62 scienziati che lavoravano al suo programma nucleare.

Ma c’è un limite a ogni cosa. La situazione era pregna delle più gravi conseguenze e di rischi imprevedibili. Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (i pasdaran) ha detto che gli attacchi contro Israele sarebbero continuati e che avrebbe risposto agli attacchi aerei americani.

I pasdaran hanno detto che gli Stati Uniti si erano collocati direttamente “nella prima linea dell’aggressione”, attaccando le strutture nucleari che, hanno ribadito, erano impegnate in attività pacifiche e legali. Hanno aggiunto che il programma nucleare dell’Iran non può essere distrutto da un attacco simile.

La dichiarazione aggiungeva che gli Stati Uniti non avrebbero potuto sfuggire dalle conseguenze degli attacchi aerei e diceva che l’Iran non si sarebbe lasciato intimidire da Israele o dagli Stati Uniti, definendoli “bande criminali che governano la Casa Bianca e Tel Aviv”. E avvertiva che le basi americane in Medio Oriente erano “un punto vulnerabile”.

Questo è perfettamente vero. La presenza di quasi 40mila soldati americani, sparsi in numerose basi militari in Medio Oriente, indubbiamente rappresentava un obiettivo allettante per la vendetta iraniana. E tutte le portaerei nel mondo non avrebbero potuto garantirne una difesa adeguata in contemporanea.

La capacità degli iraniani di colpire obiettivi all’interno di Israele, che possiede difese aeree formidabili, deve essere risultata abbastanza traumatica, sia per gli israeliani sia per gli americani. E la tremenda forza distruttiva di quei missili è attestata dalle scene trasmesse in televisione della devastazione che hanno causato.

Questo fatto deve aver pesato molto nei calcoli di Trump. Ma una paura ancora maggiore deve averla prodotta l’aver capito che gli iraniani hanno la possibilità di chiudere lo Stretto di Hormuz, dal quale deve passare una parte importante del gas e in particolare del petrolio mondiale, una merce di grande valore strategico. E se c’è una cosa che è molto importante per Donald J Trump, è mantenere stabili i prezzi del petrolio e, soprattutto, impedire che salgano.

Un aumento considerevole nel prezzo del petrolio farebbe schizzare l’inflazione, con effetti devastanti sul costo della vita, che Donald Trump ha messo al centro della propria campagna elettorale.

L’aumento del prezzo del petrolio significa non solo un aumento del prezzo del petrolio, ma un aumento generale dei prezzi dei beni alimentari e di altri beni primari. Una simile situazione equivarrebbe al suicidio politico per Trump, il cui consenso sta già cominciando ad assottigliarsi.

Per impedire questo, serviva non un’intensificazione della guerra con l’Iran, ma, al contrario, cercare con urgenza una qualche forma di intesa con il regime di Teheran.

Questi fatti dovrebbero bastare a spiegare il suo improvviso dietrofront, che ha ancora una volta sorpreso tutti.

Ancora una volta, senza alcun avvertimento, Donald Trump ha improvvisamente annunciato al mondo che era stato firmato un cessate il fuoco tra Israele e l’Iran e, di conseguenza, la “guerra dei 12 giorni era ormai finita”.

Ma aveva parlato troppo presto.

Non era nel copione!

Questo cessate il fuoco non era nel copione di Netanyahu! Preso alla sprovvista e in uno stato di sbigottimento improvviso, il leader israeliano è stato costretto a battere una frettolosa ritirata tattica, accettando gli ordini da Washington (non avrebbe potuto fare altrimenti), mentre la sua mente subdola lavorava incessantemente per decidere le mosse necessarie e urgenti.

Sebbene, in realtà, un cessate il fuoco fosse negli interessi degli israeliani prima che di chiunque altro, questo fatto era in aperta contraddizione con le preoccupazioni strategiche fondamentali di Netanyahu, che erano di far sì che gli Stati Uniti rimanessero direttamente coinvolti nelle ostilità militari con l’Iran.

Questo obiettivo era in contraddizione diretta con le intenzioni di Donald J Trump, la cui preoccupazione prevalente era, dopo aver messo gli Stati Uniti in una posizione molto delicata, come districarsi dal conflitto, prima di essere trascinato in un infinito pantano di guerra in Medio Oriente.

La soluzione a questo dilemma era naturalmente un gioco da ragazzi per un macchinatore machiavellico esperto come Benjamin Netanyahu. Israele ha dovuto accettare il cessate il fuoco… ma ha subito trovato una scusa per infrangerlo, scaricando la colpa sull’Iran.

Missione compiuta! Gli israeliani non hanno perso tempo a montare un incidente, accusando gli iraniani di rompere il cessate il fuoco lanciando razzi contro Israele, al che gli israeliani – come sempre vittime innocenti di un’aggressione unilaterale – sono stati costretti a rispondere con un lancio dei propri missili.

È stato un azzardo. Netanyahu è un giocatore d’azzardo e non ha timore di assumersi i rischi. E tutto ciò che ha imparato dal passato lo ha convinto che, se la scelta era tra credere alle parole dell’odiato regime dei barbuti ayatollah a Teheran o a quelle degli onesti gentiluomini amanti della pace a Gerusalemme, il resto del mondo, e specialmente gli Stati Uniti, non avrebbe esitato a credergli.

Trump perde le staffe

Trump ha reagito in maniera furiosa alla notizia che Netanyahu aveva dato l’ordine di lanciare attacchi aerei contro l’Iran, sostenendo (in maniera quasi sicuramente mendace) che Teheran aveva rotto il cessate il fuoco.

“Tutti gli aerei vireranno e torneranno a casa, facendo una ‘manovra aerea’ amichevole all’Iran. Nessuno si farà male, il Cessate il fuoco è in vigore!”. Ha detto Trump in un post sul social Truth.

Trump ha chiamato Netanyahu per ordinargli di non attaccare l’Iran. Netanyahu ha detto che l’attacco non sarebbe stato cancellato, ma solo “ridotto”. Questo non era quello che il presidente americano voleva sentire.

“Sembra che Israele non sia interessato a questo cessate il fuoco”, ha ringhiato, e poi:

Quando dico 12 ore, non scegli la prima ora per bombardarli con tutto quello che hai. Non sono contento della sortita di Israele di questa mattina, per colpa di un missile che forse è stato sparato per errore. Non ha colpito il terreno. Non sono felice di questo”.

E ancora:

ISRAELE NON LANCIARE QUELLE BOMBE. SE LO FAI È UNA GRAVE INFRAZIONE. RIPORTAI I TUOI PILOTI A CASA, ORA! DONALD J TRUMP, PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI”.

E ANCORA:

Israele e l’Iran hanno combattuto così a lungo e così duramente che non sanno che ca**o stanno facendo!”.

Un linguaggio così colorito è, direi, non proprio consueto nei circoli diplomatici. Ma trasmette adeguatamente il livello estremo di rabbia e di frustrazione provato dall’uomo alla Casa Bianca.

Sembra che abbia dato sfogo alla propria rabbia in una telefonata molto tesa con Netanyahu, che sarà rimasto sbalordito dalla furia dell’aggressione verbale, infarcita dalle imprecazioni più stravaganti.

Gli israeliani non sono abituati ad essere redarguiti in questo modo dai presidenti americani. Ciò li avrà avvertiti che l’impunità illimitata di cui avevano finora goduto potrebbe essere in via di rapido esaurimento.

Purtroppo, non c’è alcun resoconto ufficiale dell’intera conversazione che il presidente ha intrattenuto con il leader israeliano, nel corso di una telefonata fatta dall’Air Force One in viaggio verso il vertice della NATO in Europa.

In tutta la propria vita, Bibi Netanyahu non aveva mai sentito un simile linguaggio da parte di un uomo alla Casa Bianca. Questo deve averlo scosso.

Presto è seguito l’annuncio che Israele non avrebbe attaccato l’Iran e che tutti gli aerei avrebbero fatto dietrofront e sarebbero tornati a casa. Una ritrattazione estremamente umiliante. Ma cosa cercava di fare Netanyahu quando ha deciso di agire contro le istruzioni dirette di Trump?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo studiare più da vicino la relazione dell’America con Israele e come essa si è sviluppata nel corso dei decenni.

Il cane che porta a spasso il padrone

Uno degli aspetti maggiormente degni di nota in tutta questa situazione è il modo in cui Israele è sempre riuscito a far eseguire agli Stati Uniti i propri ordini.

Questa considerevole arroganza è il prodotto di molti decenni in cui Israele è stata trattata dagli Stati Uniti nello stesso modo in cui un orribile ragazzino viziato viene trattato da una madre troppo affettuosa e piuttosto stupida, ai cui occhi il bambino non può fare mai nulla di male, anche se avvelena il gatto e picchia senza pietà la sorellina ogni giorno.

Questi ragazzini viziati si ritrovano invariabilmente ad essere quei bulletti il cui principale piacere nella vita consiste nel tormentare i bambini più piccoli nel parco giochi. Un tale comportamento è senza dubbio spiacevole da osservare ed è oggetto di stigma universale.

Tuttavia, Israele, che per decenni ha giocato il ruolo del bullo della scuola che tormenta, provoca e aggredisce gli Stati confinanti in tutto il Medio Oriente, lungi dal ricevere una qualche condanna, o persino la critica più sottile per commettere i crimini più ripugnanti, viene considerato un modello di virtù.

Come è potuto succedere che il cane portasse a spasso il padrone? Come si può spiegare il modo in cui l’arrogante e tronfio capetto da quattro soldi di un piccolo Stato mediorientale con una popolazione di meno di 10 milioni di persone possa dare ordini alla nazione più potente della terra?

La risposta è molto semplice. Negli Stati Uniti, c’è una lobby filo-sionista molto potente ed influente. Non manca di considerevoli risorse materiali, che utilizza per comprare i servizi di politici, diplomatici e giornalisti americani influenti.

Essa si è consolidata nel corso di molti decenni ed è profondamente radicata nelle istituzioni del potere ad ogni livello. Questa macchina formidabile può essere messa in movimento in ogni momento per esercitare una pressione irresistibile su qualsiasi amministrazione americana, costringendola a seguire Israele nella buona e nella cattiva sorte.

Questo fatto permette ai leader di Israele di esercitare un’influenza sproporzionata sulla politica estera americana, facendola gravitare attorno allo Stato di Israele stesso.

Ciò spiega lo straordinario livello di sicurezza in se stessi, che sconfina con l’arroganza, che frequentemente caratterizza il comportamento dei leader israeliani nei confronti degli Stati Uniti, che essi si aspettano che fornisca illimitate somme di denaro e quantità di armi, senza che a Israele corrisponda un qualche obbligo particolare. In breve, è una relazione d’affari altamente redditizia!

E di tutti i leader israeliani che hanno usato e abusato di questa notevole relazione a proprio vantaggio, l’uomo che ha elevato questo straordinario abuso di potere al livello di una forma d’arte non è altri che Bibi Netanyahu.

Si può dire che dal momento in cui è diventato colui che governa Israele, ha dato mostra di un qualcosa che somiglia al disprezzo nei confronti dei leader degli Stati Uniti, ignorando i loro consigli e le loro pressioni, per esempio, per rivedere l’estrema brutalità di cui ha dato prova nei confronti del popolo di Gaza, che è imbarazzante per gli Stati Uniti.

Questa assurda relazione unilaterale si svolgeva totalmente allo scoperto durante l’amministrazione del non-rimpianto Joseph Biden e della sua banda, che eseguivano servilmente qualsiasi cosa venisse loro ordinato; e ordinato, non chiesto, è la parola corretta.

Ma le cose sono diventate più complicate con l’avvento di Donald J Trump. Qui c’è un uomo che, qualsiasi cosa si possa dire di lui, ha le proprie idee e le difende con estrema testardaggine. Piegare un tale uomo al proprio volere non è un compito facile.

Tuttavia, Netanyahu, basandosi sull’esperienza passata, voleva capire fino a che punto potesse spingersi a sfidare l’uomo alla Casa Bianca. Ha semplicemente imparato una lezione rivelatrice, cioè che Donald J Trump non è un uomo con cui si possa scherzare.

Il leader israeliano deve essere rimasto profondamente scioccato dal tono e dal contenuto della sua conversazione telefonica con Trump, che non era dell’umore di discutere. Ha deciso allora di battere una frettolosa ritirata.

Questo significa che c’è una rottura irreversibile tra Israele e gli Stati Uniti? O persino tra Netanyahu e Trump? Una simile conclusione sarebbe prematura, visto che, alla base di tutte le altre ragioni per cui gli Stati Uniti appoggiano sempre Israele, ci sono importanti considerazioni strategiche.

In questo momento, Israele è l’unico alleato affidabile rimasto all’imperialismo americano in Medio Oriente. È dunque impensabile che, in ultima analisi, un qualsiasi governo americano rifiuti le richieste di Israele. Questa situazione continuerà prevedibilmente nel futuro.

Il tallone di Achille di Israele

In apparenza, l’atto di sfida di Netanyahu sembra completamente irrazionale. È un fatto risaputo che Israele sta esaurendo gli intercettori Arrow di difesa anti-missilistica.

Alcuni funzionari americani cominciavano ad esprimere preoccupazione riguardo alla capacità del paese di contrastare missili balistici a lungo raggio dall’Iran se il conflitto non si risolveva rapidamente. Israele non sarebbe stato in grado di continuare la guerra per più di dodici giorni.

Era pertanto nell’interesse di Israele siglare un cessate il fuoco il prima possibile.

Più a lungo la guerra fosse continuata, più il vantaggio sarebbe andato a pendere in favore dell’Iran che, al contrario di Israele, dispone di una grande riserva di missili, la cui efficacia è stata ora testata e si è dimostrata essere un fattore formidabile nello scontro.

Lo stesso Netanyahu lo comprende alla perfezione. Allora perché ha cercato di sabotare il cessate il fuoco? Come sappiamo, il leader israeliano è noto per essere un giocatore d’azzardo, e i giocatori d’azzardo corrono dei rischi.

E quello che dobbiamo costantemente tenere a mente è il fattore prevalente in tutti i suoi calcoli: nello specifico, che Israele non può vincere una guerra con l’Iran a meno che non riesca a trascinare gli Stati Uniti nel conflitto. In altre parole, il suo piano è fare combattere agli americani le sue guerre al suo posto.

Il peggiore incubo di Netanyahu era che gli Stati Uniti riuscissero in qualche modo a tirarsi fuori dalla guerra con l’Iran. Sabotando il cessate il fuoco, Netanyahu sperava di impedirlo, facendo poi appelli drammatici agli Stati Uniti per correre in suo aiuto e continuare la guerra contro l’Iran.

Ma ha fallito. Per sua sfortuna, questo piano è in diretta contraddizione con gli interessi degli Stati Uniti e, in particolare, di Donald J Trump. E quando si giunge ad un conflitto diretto tra interessi contrastanti, sono quelli del più forte che devono prevalere, mentre il più debole deve cedere.

La reazione della Russia

Ci sono stati, ovviamente, altri fattori che hanno portato Donald Trump a cambiare idea. Primo fra tutti, è stata la relazione di Trump con i russi.

Poco dopo che Israele aveva lanciato il suo attacco contro l’Iran. Putin ha chiamato Donald Trump. In quella telefonata, sembra verosimile che Trump abbia avvertito Putin che non sarebbe intervenuto per fermare gli israeliani. Putin allora ha avvertito la Guida Suprema Ali Khamenei del pericolo che il suo regime stava correndo e lo ha consigliato di procedere rapidamente con i negoziati. Inoltre, Putin ha ordinato l’evacuazione dei personale diplomatico russo da Teheran.

Pare che Putin abbia raggiunto un accordo con Israele per non colpire i tecnici nucleari russi che lavoravano in alcune strutture iraniane.

Putin ha negato fermamente le accuse per cui Mosca non avrebbe appoggiato il proprio alleato, Teheran, dicendo che il Cremlino ha mantenuto buoni rapporti sia con l’Iran che con Israele. Ha osservato che Israele ospita circa 2 milioni di persone provenienti dalla Russia e da altre nazioni ex-sovietiche, “un fattore che abbiamo sempre tenuto in considerazione”.

Il tono pacato di questi commenti potrebbe aver in qualche modo placato la paura a Washington che la Russia stesse per inviare armi ed equipaggiamento per assistere l’Iran, in particolare nel campo della difesa aerea, in cui ha dimostrato di essere miseramente inadeguato.

Tuttavia, Trump e la sua squadra sapranno bene che l’Iran è un alleato cruciale della Russia e che, se il conflitto si protrae, questi aiuti materiali verranno necessariamente forniti non solo dalla Russia, ma anche dalla Cina, che ha importanti interessi nella regione e relazioni molto strette con l’Iran.

Sebbene Putin non desideri essere trascinato in un conflitto diretto con gli Stati Uniti e abbia mantenuto con cura relazioni cordiali con Donald Trump, è un uomo con una mente fredda e calcolatrice, ed è in grado di levarsi in qualsiasi momento il guanto di velluto e mostrare il pugno di ferro che vi si nasconde.

È evidente che si sta già svolgendo un dibattito acceso all’interno dei circoli dominanti a Mosca su quale linea assumere in relazione all’Iran. I falchi sono a favore di azioni immediate per inviare aiuti militari a Teheran.

E uno dei loro più influenti portavoce ha chiarito abbondantemente la propria opinione. Di recente, l’ex-presidente della Federazione Russa, Dmitrij Medvedev, ha condotto la seguente caustica valutazione della situazione:

1. Le infrastrutture critiche del ciclo della produzione di energia nucleare non sembrano essere state intaccate o hanno subito solo danni minori.

2. L’arricchimento di materiale nucleare e – ora possiamo dirlo chiaramente – la futura produzione di armi nucleari continueranno.

3. Numerosi paesi sono pronti a fornire direttamente all’Iran le proprie testate nucleari.

4. Israele è sotto attacco, le esplosioni stanno facendo tremare il paese e la gente è nel panico.

5. Gli Stati Uniti sono ora immersi in un nuovo conflitto, con la prospettiva di un’operazione di terra che incombe all’orizzonte.

6. Il regime politico dell’Iran è sopravvissuto e, con ogni probabilità, ne è uscito persino rafforzato.

7. La gente si sta stringendo attorno alla guida spirituale del paese, inclusi coloro che prima erano indifferenti o contrari ad essa.

8. Donald Trump, prima salutato come ‘presidente della pace’, ha ora spinto gli Stati Uniti in un’altra guerra.

9. La vasta maggioranza dei paesi in tutto il mondo si oppone alle azioni di Israele e degli Stati Uniti.

10. Di questo passo, Trump può scordarsi del premio Nobel per la pace, che pure è ormai diventato una farsa.

Che bell’inizio, Sig. Presidente. Congratulazioni!”.

Il tono sarcastico di queste parole non riesce a nascondere il significato profondo del messaggio, che è tutt’altro che tranquillizzante dal punto di vista di Washington.

E nonostante il tono moderato dei commenti di Putin con gli Iraniani, Trump avrà notato con una certa preoccupazione che Putin ha definito gli attacchi americani all’Iran un’“aggressione unilaterale” e che ha detto che la Russia stava “facendo sforzi per fornire assistenza al popolo iraniano”.

Negoziare o non negoziare?

Adesso, l’uomo alla Casa Bianca sta insistendo che il tempo è maturo perché l’Iran “faccia un accordo” con gli Stati Uniti. Il negoziato è la strada, dice, non lo è la guerra. Ma l’uomo che ha rotto i negoziati per lanciare bombe contro coloro che descrive come “il nemico” non è l’ayatollah, bensì il presidente degli Stati Uniti.

I leader del mondo occidentale si sono ubbidientemente uniti al coro, gridando a gran voce che l’Iran deve “tornare al tavolo dei negoziati”.

Questa frase compiaciuta è priva di qualsiasi contenuto, per la semplice ragione, come gli iraniani non si sono mai stancati di osservare, che non hanno mai lasciato il tavolo dei negoziati. Sono stati gli americani che se ne sono andati, non loro. Ed è del tutto vero.

Perché dovrebbero cominciare ora dei negoziati con le stesse persone che li hanno sabotati in precedenza, utilizzandoli cinicamente come una copertura per preparare un’aggressione aperta?

Inoltre, cosa negozieranno? Gli americani stanno chiedendo che l’Iran rinunci non solo alle armi nucleari, ma anche all’utilizzo dell’energia nucleare per fini civili. Questa richiesta insolente è una violazione talmente plateale della sovranità nazionale dell’Iran che nessun governo iraniano sarebbe disposto ad accettarla.

Anche se lo facessero, seguirebbero immediatamente altre richieste: rinunciate ai vostri missili balistici a lungo raggio! E se acconsentissero a questo, verrebbe indubbiamente loro chiesto di smantellare l’esercito, lasciando l’Iran completamente indifeso di fronte all’aggressione israeliana.

Pertanto, gli iraniani vengono lasciati senza alcun incentivo a negoziare e, sicuramente, senza alcuna fiducia nella volontà della controparte a negoziare con loro in buona fede.

In sostanza, sono stati messi all’angolo e non è stata data loro altra alternativa se non di prepararsi alla prossima guerra, che ritengono – probabilmente a ragione – inevitabile.

E adesso?

È una fortuna che colui che attualmente occupa la Casa Bianca sia in contatto diretto con l’Onnipotente. Così, almeno c’è qualcuno che conosce quale sarà la prossima mossa.

Per il resto di noi comuni mortali, deve essere per lo più una questione di speculazione, un tirare ad indovinare, se preferite. Ma almeno, come marxisti, le nostre congetture sono solidamente ancorate all’analisi scientifica dei fatti.

La prima domanda deve essere: il cessate il fuoco durerà? A questa domanda si può dare solo una risposta condizionale. In primo luogo, tutti i cessate il fuoco, nelle loro prime fasi, tendono ad essere in una certa misura caotici, fallati e discontinui.

Possono ancora essere sparati dei colpi isolati dopo il periodo concordato e questo verrà solitamente ignorato nei calcoli di entrambe le parti in contesa.

Solo le più gravi infrazioni del cessate il fuoco possono portare ad una ripresa generalizzata delle ostilità. Ma, dato che sappiamo che Israele è a corto di lanciatori e missili per la difesa aerea, gli israeliani non avranno alcuna fretta di rinnovare le ostilità, a meno che, ovviamente gli americani non decidano di intervenire al loro fianco. Il che, almeno al momento, non sembra probabile.

Dunque, a patto che gli iraniani non facciano qualche brutto errore di valutazione, gli americani non avranno alcun motivo di riprendere le ostilità.

Come abbiamo affermato nel nostro articolo precedente, Trump non ha alcun desiderio di vedere gli Stati Uniti trascinati nel pericoloso pantano di quella che chiama una “guerra infinita” in Medio Oriente, di cui ha bisogno come di un proiettile in testa.

A questo punto, la contraddizione tra gli obiettivi di guerra di Netanyahu e gli interessi di Donald Trump diventa di un’ovvietà manifesta. L’obiettivo principale di Netanyahu è costringere l’America ad una partecipazione diretta nel conflitto con l’Iran: come abbiamo spiegato, vuole che l’America combatta le sue guerre per lui.

Ma questo non va bene all’America o a Donald Trump. In effetti, è vero il contrario.

Questo significa che una guerra in Medio Oriente è da escludere? Significa che la regione può finalmente godere di un periodo di pace e stabilità di cui ha un disperato bisogno? Sfortunatamente, dobbiamo rispondere a questa domanda in maniera negativa.

La questione palestinese

La questione palestinese rimane irrisolta e agisce come una provocazione costante ai popoli del Medio Oriente.

Il viziato beniamino dell’imperialismo americano ha il permesso di condurre gli atti più spudorati di aggressione contro altri popoli e viene perdonato sulla base pretestuosa del “diritto a difendersi”.

Ma quando i palestinesi, che subiscono l’oppressione più brutale ed inumana, osano sollevarsi contro i propri oppressori, non godono dello stesso diritto. Così come l’Iran, che non ha invaso nessuno Stato, non ha il diritto di difendersi contro un atto di sfacciata e unilaterale aggressione da parte di Israele.

In questi casi, si sollevano sempre le proteste delle cosiddette democrazie occidentali, per cui l’Iran deve “dare prova di moderazione”, mentre nessuna richiesta simile viene mai fatta ad Israele. Anche quando viene mossa una qualche mite critica, non viene mai seguita da nessuna misura concreta per fermare l’aggressione israeliana.

Immaginate la scena: un uomo viene aggredito e rapinato per strada e si trova con un coltello puntato alla gola. I vicini si accalcano e chiedono alla vittima di smettere di urlare, perché disturba il sonno dei cittadini innocenti e urlare servirà soltanto a fare innervosire ulteriormente l’aggressore.

Si dirà che una cosa simile è inimmaginabile, totalmente impossibile. Eppure è precisamente quanto accade in maniera regolare in quello che i nostri pacifici leader democratici amano descrivere come l’“ordine internazionale basato sulle regole”.

Nonostante il cessate il fuoco, nessuno dei problemi fondamentali sono stati risolti. Senza andare lontano, il massacro a Gaza continua indisturbato, con storie quotidiane di uccisioni di uomini e donne innocenti, il cui unico crimine è di aspettare in una coda senza fine per una piccola sacca di provviste per nutrire le proprie famiglie affamate.

E l’Iran?

Per quanto riguarda gli iraniani, hanno subito un danno considerevole, ma sono emersi dalla guerra con le proprie industrie e la propria macchina bellica virtualmente intatte. E non ci vorrà molto prima che arrivino alla conclusione che l’unica garanzia per la loro sicurezza futura è precisamente quella di ottenere armi atomiche il prima possibile.

Il fatto che le loro scorte di uranio arricchito siano state rimosse dalle zone colpite e fatte sparire in siti sconosciuti ad americani, israeliani e chiunque altro, significa che sono più vicini a raggiungere questo obiettivo di quanto si immaginasse.

La prima cosa da osservare è che la crisi non è stata risolta. Israele non ha ottenuto un cambio di regime in Iran. Non ha le garanzie che auspicava contro un attacco. E la questione del programma di arricchimento nucleare dell’Iran e il suo fine ultimo dichiarato rimangono avvolte nei dubbi, in effetti ancora più di prima.

Rimane sempre la possibilità che questo scontro possa riaccendersi in qualsiasi momento. E l’opinione generale della gente, sia in Israele che in Iran, è che il fragile cessate il fuoco in corso sia solo una pausa nel conflitto, non la fine della crisi.

Queste paure sono ovviamente condivise dai circoli dominanti in Iran. La Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei, ha di recente fatto un discorso sprezzante in televisione, in cui si congratulava con il popolo iraniano per quella che ha definito una vittoria su Israele e gli Stati Uniti.

Tuttavia, la posizione esatta della guida suprema rimane un segreto conservato con gelosia, dal momento che sia gli israeliani sia il presidente americano hanno parlato apertamente di piani per assassinarlo.

In effetti, non è per nulla impossibile che gli Stati Uniti, o tanto più gli israeliani, sfruttino il cessate il fuoco per lanciare un attacco a sorpresa per assassinare Khamenei e altri leader iraniani. Così, gli iraniani stanno, com’è ovvio, prendendo delle precauzioni.

Senza dubbio, prenderanno altre precauzioni ben più sostanziali. Sebbene per ovvie ragioni i dettagli non verranno divulgati, è abbastanza chiaro che i cinesi e i russi forniranno all’Iran i mezzi necessari a difendersi.

Il recente conflitto ha fatto emergere la grave debolezza del sistema difensivo dell’Iran. La debolezza più grave è stato il totale fallimento a livello di sicurezza, che ha permesso agli israeliani, che hanno un servizio di intelligence molto efficiente, di infiltrare l’Iran e installare una rete di agenti segreti con molti contatti con i dissidenti iraniani.

Questo è stato un fattore chiave nei primi giorni della guerra, quando Israele è stata in grado in utilizzare droni che aveva sorprendentemente costruito all’interno dello stesso Iran, senza che i servizi segreti iraniani lo sapessero.

Tuttavia, utilizzando questi agenti, Israele li ha esposti all’identificazione e all’arresto. Il regime è venuto a conoscenza dell’esistenza della rete di spionaggio israeliana e sta prendendo misure energiche per distruggerla. I russi staranno fornendo un’assistenza impagabile nel consolidare la sicurezza a tutti i livelli.

Il Times ha riportato di recente di un’ondata di arresti che hanno avuto luogo in tutto l’Iran, ora che i servizi di sicurezza iraniani stanno usando le informazioni che hanno ottenuto riguardo alle cellule infiltrate per arrestate un gran numero di persone, sia agenti israeliani “dormienti” che dissidenti.

Per tutte queste ragioni, gli attacchi futuri all’Iran saranno molto più difficili di quanto non lo siano stati finora.

Con il passare del tempo, cresce la paura, tanto a Gerusalemme quanto a Washington, che Teheran stia attivamente perseguendo l’obiettivo della bomba atomica. L’assenza di informazioni attendibili che venivano precedentemente fornite dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) rafforzerà soltanto questi timori.

Qui dobbiamo dire qualche parola riguardo al ruolo dell’AIEA.

Il suo direttore generale, Rafael Mariano Grossi, è fortemente sospettato di aver collaborato con i servizi di intelligence negli Stati Uniti. Gli iraniani afferma – senza dubbio a ragione – che ha fornito agli americani importanti informazioni secretate che riguardavano i siti militari iraniani, facilitando l’attacco aereo americano.

Il posizionamento filo-americano dell’AIEA è un segreto di pulcinella. I russi hanno ripetutamente denunciato gli Ucraini per aver avere attaccato l’impianto nucleare a Zaporizhzhia, che costituisce un crimine di guerra ed è contrario alla legge internazionale.

Ma, nonostante le richieste insistenti dei russi, l’AIEA si è sempre rifiutata di condannare gli ucraini.

Più di recente, il capo del nucleare iraniano, Mohammad Eslam, ha scritto all’AIEA dicendo che Teheran vuole un’indagine sugli attacchi americani e sta sollecitando l’osservatorio di condannare l’azione americana. Tuttavia, prevedibilmente, non è giunta nessuna risposta in questo senso.

Di conseguenza, i legislatori iraniani hanno votato per sospendere la loro collaborazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, visto che l’osservatorio nucleare delle Nazioni Unite si è rifiutato di condannare gli attacchi americani di domenica contro le strutture nucleari dell’Iran, sostenendo falsamente che Teheran si fosse “rifiutata di ottemperare ai propri obblighi sul nucleare”.

A meno che gli iraniani non accettino di collaborare con l’AIEA, cosa per cui non sembra esserci al momento neanche una remota possibilità, ad un certo punto, torneranno a crescere le pressioni per un altro attacco all’Iran. Una nuova ripresa delle ostilità non è semplicemente una possibilità, è probabile che ciò avvenga prima della fine dell’anno.

Di nuovo, probabilmente a farle detonare saranno gli israeliani, che faranno immediatamente appello agli Stati Uniti per assisterli. Ed è molto probabile che lo facciano.

Ma questa volta, la posta in gioco sarebbe più alta che mai. L’intenzione dichiarata non sarebbe più di distruggere o danneggiare le strutture di arricchimento dell’uranio dell’Iran. Sarebbe di condurre la decapitazione completa della leadership iraniana e di imporre un cambio di regime a Teheran.

Ma questo avverrebbe in condizioni molto più difficili e pericolose dell’ultima volta. L’America si metterebbe su un terreno scivoloso, che conduce all’ennesima “guerra infinita” in Medio Oriente.

Gli americani si troverebbero in acque pericolose e completamente sconosciute. Con le loro azioni sconsiderate, sono entrati in una spirale discendente, e nessuno sa dove questa spirale avrà fine.

27 giugno 2025

 

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