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Pubblichiamo la traduzione in italiano di questo importante articolo sulla filosofia contenuto nel primo numero di In defence of marxism, la nuova rivista teorica della Tendenza Marxista Internazionale. Per chi fosse interessato a leggere gli altri articoli della rivista, è possibile abbonarsi qui.
La redazione
Il postmodernismo è una scuola filosofica non strutturata divenuta importante nel secondo dopoguerra. Nata come tendenza marginale, è cresciuta nel tempo tanto da diventare la scuola filosofica borghese più importante, penetrando in larga parte, se non nella maggioranza, dell’Accademia dei nostri giorni. In questa sede pubblichiamo il primo di una serie di articoli che analizzeranno diversi aspetti del postmodernismo da una prospettiva marxista.
La storia della filosofia ha conosciuto un gran numero di scuole, di sotto-scuole e di tendenze che hanno avuto prospettive e principi ispiratori differenti. Tuttavia, osservando questa miriade di tendenze – delle quali razionaliste e materialiste, altre idealiste e fortemente mistiche – è un fatto normalmente assodato che l’elemento decisivo di una teoria importante sia la coerenza, la precisione e la meticolosa attenzione al dettaglio. In qualsiasi modo una filosofia sia formulata, in ultima analisi essa mira alla verità. Anche i filosofi più reazionari hanno dovuto ammetterlo. Persone come Agostino di Ippona, la cui teoria dell’illuminazione divina ha costituito l’ossatura ideologica della reazione medievale nei secoli bui, hanno perlomeno provato a presentare le proprie tesi come coerenti e razionali.
Come sono cambiati i tempi! Nel periodo del declino capitalista anche la filosofia attraversa un processo di regressione. L’espressione più chiara di questa tendenza è il postmodernismo. Da oltre mezzo secolo questa tendenza si è lentamente propagata come un virus nel mondo, passando da un paese all’altro, mutando costantemente in nuove e sempre più bizzarre varianti. Essa ha generato una quantità di sotto-scuole e tendenze, come il post colonialismo e la teoria queer, differenti tipi di femminismo e molto altro, che in forme esplicite o ambigue dominano le scienze sociali contemporanee e l’Accademia.
Nella filosofia postmoderna le più grandi menti della storia sono disprezzate e messe da parte senza tanti complimenti. La razionalità viene contestata, mentre l’irrazionalità e l’incomprensibilità vengono poste come principi. La chiarezza teorica e la ricerca della verità sono soffocate da infinite subordinate, ambiguità e da un linguaggio incomprensibile. Quello che segue ne è un esempio eccellente:
“Più importante della politica di sinistra, più vicino di un contrasto di intensità: un vasto movimento sotterraneo, liquido, piuttosto un’increspatura rispetto al quale la legge del valore non è efficace. Sostenere la produzione, confische senza compensazione come modalità di consumo, rifiuto del lavoro, comunità (illusorie?), avvenimenti, movimenti di liberazione sessuale, occupazioni, squatting, rapimenti, produzioni di suoni, parole, colori senza alcuna intenzione artistica. Questi sono gli ‘uomini di produzione’ (1), i ‘signori dell’oggi’: marginali, pittori sperimentali, persone pop, hippies e yuppies, parassiti, folli, avanzi di manicomio. Un’ora della loro vita offre più intensità e meno intenti di 300.000 parole di un filosofo di professione” (2).
Non sappiamo se un’ora nella vita di marginali, pittori sperimentali, persone pop, hippies e yuppies, parassiti, folli e avanzi di manicomio possa offrire più intensità delle parole di un non meglio precisato ‘filosofo di professione’, ma anche da questa breve citazione appare evidente che appena 5 minuti della vita di chiunque sono più degni di considerazione di 300.000 parole di questo specifico filosofo.
Senza fare nemmeno una piega, i postmodernisti fanno le più ridicole e assurde affermazioni e rivendicazioni. Jean Baudrillard, per esempio, affermava che oggi la realtà è scomparsa e ogni significato insieme ad essa. Per dimostrare questa affermazione, parafrasa (ed esaspera) con evidente approvazione le parole di Elias Canetti:
“Dopo un preciso momento, la storia non è più reale. Senza aver preso coscienza di ciò l’intera razza umana ha all’improvviso lasciato la realtà alle sue spalle; nulla che sia accaduto da allora è stato vero, ma siamo incapaci di realizzarlo. Il nostro obiettivo e il nostro dovere è di individuare questo preciso momento o, se non ci riusciremo, saremo condannati a perseverare nel nostro attuale cammino distruttivo” (3).
Il lettore si sentirà autorizzato a chiedersi: cosa vorrà mai dire? Ma a questa domanda è già stata data una risposta. Dato che la realtà è ormai scomparsa, e con essa ogni significato, non c’è alcun motivo per farsi domande circa alcun significato. Questo è un metodo che ha l’indubbio vantaggio di eliminare in anticipo qualsiasi complicato problema. Mette a tacere ogni possibile critica e, nei fatti, liquida in generale i presupposti di ogni pensiero razionale.
Questa linea di ragionamento, che viene presentata come qualcosa di nuovo, non è – come ogni altro aspetto del postmodernismo – né nuova né originale: è semplicemente il rigurgito dell’antica argomentazione di Tertulliano, del III secolo, che giustificava le assurdità della dottrina cristiana affermando: Credo quia absurdum est, ‘ci credo perché assurdo’.
Nei fatti questa propensione per l’assurdo ci conduce al cuore del pensiero postmoderno, che rifiuta ogni pensiero razionale. Deleuze e Guattari, spesso descritti come “l’ala sinistra” del postmodernismo, portano queste assurdità ad un livello superiore:
“… l’essenza umana della natura e l’essenza naturale dell’uomo s’identificano nella natura come produzione o industria, cioè anche nella vita generica dell’uomo. L’industria non è più presa allora in un rapporto estrinseco d’utilità, ma nella sua identità fondamentale con la natura come produzione dell’uomo, tramite l’uomo. Non tanto l’uomo in quanto re della creazione, ma piuttosto colui che è toccato dalla vita profonda di tutte le forme o di tutti i generi, che s’incarica delle stelle ed anche degli animali e che non cessa di innestare una macchina-organo su una macchina-energia, un albero nel suo corpo, un seno nella bocca, il sole nel culo: eterno addetto alle macchine dell’universo. È il secondo senso del processo; uomo e natura non sono due termini uno di fronte all’altro” (4).
Michel Foucault, un amico intimo di Deleuze e Guattari, era così impaziente di volere elogiare questa insensatezza da dire: “si è prodotta una tempesta fulminante, che porterà scritto il nome di Deleuze: un nuovo pensiero è possibile; pensare è di nuovo possibile” (5).
Finalmente lo sappiamo! A quanto pare era praticamente impossibile anche solo pensare, finché Monsieur Deleuze non ci ha illuminati con queste perle di saggezza.
L’intera letteratura postmoderna è piena di questa altisonante, autoincensante, oscena retorica che offre una copertura per le sue folli teorie, ma questa le batte tutte. Ora, dopo aver letto le righe qui sopra, l’intera umanità può tirare un sospiro di sollievo: possiamo cominciare a pensare.
Ma ora sorge un problema: a che cosa esattamente dovremmo pensare?
Definire l’indefinibile
Una filosofia che fa così importanti proclami riguardo sé stessa è sicuramente degna di attenzione. Dovremo dunque armarci di pazienza e fare ogni sforzo possibile per cogliere ogni significato che vi possiamo trovare. Che cosa è esattamente il postmodernismo e che cosa c’è dietro? Qui ci scontriamo con il primo problema. Ci viene detto che esso non è definibile, che è un’idea che per definizione si oppone alle definizioni. Fin qui la cosa rimane poco chiara.
Il termine ‘postmodernismo’ fu inizialmente coniato nel 1979 da Jean-Francois Lyotard, che lo definiva -stando alle sue parole ‘semplificando al massimo’ – “incredulità nei confronti delle meta-narrazioni” (6). L’Oxford English Dictionary definisce le meta-narrazioni come “un racconto onnicomprensivo o un’interpretazione di eventi e circostanze che offe un’intelaiatura o una struttura per i pensieri delle persone e fornisce un significato alle loro esperienze”.
Fermi un attimo! La definizione di Lyotard non è a sua volta… una meta-narrazione? Ovviamente, è precisamente questo. Quando ci informa che dobbiamo ad ogni costo evitare di pensare in certi modi che lui disapprova, non ci sta forse fornendo una teoria generale – ‘un racconto onnicomprensivo o un’interpretazione degli eventi e delle circostanze’? E, nel dirci che certe idee devono essere evitate, non ci sta forse presentando ‘un’intelaiatura o una struttura per i pensieri umani che fornisce un significato alle loro esperienze’?
La risposta ad entrambe le domande è inequivocabilmente affermativa. Quindi Jean-Francois Lyotard può essere accusato o di un’assurda auto-contraddizione oppure di essere un palese ingannatore. Siamo in presenza o di un folle o di un furfante, o forse di entrambe le cose. Difficile dirlo.
“Nessun progresso”?
I postmodernisti sono famosi anche per il rifiuto della nozione di progresso nella storia. Affermano che lo sviluppo della scienza e della filosofia non conosce il progresso e che esistono solo modi differenti di interpretare il mondo. Oltre a ciò, questo è un mondo che neppure corrisponde alle nostre interpretazioni di esso. E tuttavia i postmodernisti presentano la loro scuola di pensiero come l’unica in grado di spiegare questa situazione. Se si accetta questo punto di vista, allora ogni idea vale come un’altra, sia che provenga dalla mente di uno sciamano dell’età della pietra, sia che provenga da Aristotele, da Einstein o da Marx. Non c’è mai stato un momento in cui la comprensione della natura e della società da parte dell’umanità ha fatto un solo passo avanti, anzi non c’è nessun ‘avanti’ per i postmodernisti. Non esiste nulla di progressivo, eccetto, ovviamente, il postmodernismo, che si è affermato solo ora, trionfante, per contestare questa vecchia impostura della fiducia nel progresso!
Su una cosa possiamo essere d’accordo: è senz’altro vero che sotto il capitalismo, nel suo periodo di decadenza senile, non è possibile alcun significativo progresso per la razza umana. E tuttavia possiamo concludere da ciò che il progresso in generale non esiste o che nella storia non ci siano stati periodi nei quali sono stati fatti enormi passi avanti? No, non possiamo fare nulla del genere. Chiunque si metta a studiare il passato vedrà immediatamente che la società umana ha conosciuto periodi di grande avanzamento, caratterizzati da un rapido sviluppo delle forze produttive, della scienza e della tecnologia, e dalla fioritura di arte e cultura.
La storia ha conosciuto anche altri periodi caratterizzati da stagnazione, regresso, decadenza e addirittura ritorno alla barbarie. La caduta dell’Impero Romano è stato l’inizio di centinaia di anni di regresso in Europa, chiamati a giusta ragione Secoli Bui. Il Rinascimento ha segnato un punto di svolta nello sviluppo della cultura in ogni ambito. Arte, scienza, letteratura: tutte hanno vissuto una significativa rinascita (da cui il termine Rinascimento). Quella fu l’epoca dell’ascesa della borghesia, portatrice di un nuovo e più elevato sviluppo della società umana, un’età di scoperte che ha emancipato l’umanità dalle catene del feudalesimo, dall’oscurantismo irrazionale della Chiesa e dai roghi dell’Inquisizione.
Successivamente, la borghesia rivoluzionaria francese promosse l’Illuminismo, a cui i postmodernisti guardano con particolare disprezzo proprio perché difendeva il pensiero razionale e la scienza. Come è implicito nel suo nome, il postmodernismo ritiene che qualcosa definito modernismo sia giunto al capolinea. Il modernismo è l’insieme delle idee che si svilupparono dall’Illuminismo. Questa fu l’epoca eroica del capitalismo, quando la borghesia era ancora in grado di giocare un ruolo progressista. Ma l’epoca presente mostra un panorama di decadenza sociale, economica, politica e ideologica. Il progresso umano si è pertanto fermato. Le forze produttive sono paralizzate dalla più profonda crisi negli ultimi trecento anni. La cultura ristagna e i frutti della scienza, anziché liberare l’umanità, portano con sé disoccupazione di massa e la catastrofe ambientale. La classe capitalista è diventata un colossale ostacolo al progresso.
Alla luce del sistema presente, le prospettive per l’umanità sono dunque fosche. Tuttavia, anziché trarre la conclusione che è il sistema sociale capitalista a ostacolare il progresso, i postmodernisti arrivano alla conclusione che sia da escludere il progresso in quanto tale, dal momento che non sarebbe mai esistito. La classe dominante e gli arrampicatori sociali piccolo-borghesi nelle università sono impregnati da un’indole pessimista. Si lamentano del terribile stato in cui versa la società, ma rigettando la scienza, il pensiero razionale e il progresso in generale, non fanno altro che riflettere la mentalità della degenerata e decrepita classe dominante.
Disonestà
Joseph Dietzgen una volta disse che la filosofia ufficiale non è una scienza, ma “una sentinella contro la socialdemocrazia” – e con socialdemocrazia Dietzgen intendeva il movimento rivoluzionario della classe operaia. L’obiettivo della classe dominante oggi è esattamente quello di occultare la distanza tra gli interessi delle masse e lo status quo del capitalismo. Questo è ciò che è alla base degli inganni, dei difetti e dell’estrema disonestà che caratterizza la filosofia borghese in generale e il postmodernismo in particolare. Uno di questi trucchi consiste nel ripetere in continuazione affermazioni contraddittorie così da nascondere le tracce. In un’intervista del 1977 pubblicata con il titolo Conversazioni in prigione, Foucault dovette rispondere ad una domanda goffamente schietta circa il suo rifiuto del concetto di progresso. Quello che segue è un estratto dall’intervista:
“Mi sono imbattuto in una frase in Follia e civiltà [in realtà la citazione è tratta dalla Storia della follia] dove tu dici che noi dobbiamo ‘liberare le cronologie storiche e il conseguente ordine da ogni tipo di prospettiva progressivista’.”
Foucault rispose in questo modo:
“Questo lo devo agli storici della scienza. Io adotto una precauzione metodologica e uno scetticismo radicale, ma non aggressivo, per cui per principio non considero il momento nel tempo nel quale ci troviamo come il risultato di uno sviluppo teleologico che qualcuno possa provare a ricostruire storicamente: uno scetticismo su noi stessi e quello che siamo, il nostro qui e ora, che previene dal poter ritenere che ciò che noi abbiamo sia meglio – o di più – di quello che si aveva nel passato. Questo non vuol dire non provare a ricostruire dei processi generativi, ma che dobbiamo farlo senza imporre su di essi un valore positivo o una validazione” (7).
Se compiamo lo sforzo di penetrare nell’oscuro mondo del linguaggio foucaultiano osserviamo che il suo rifiuto di imporre una ‘validazione’ ai processi generativi della storia non è nient’altro che un rifiuto del progresso. Con un cinico imbroglio tira in ballo il termine ‘teleologico’ per confondere le acque.
Chiunque abbia una minima conoscenza della filosofia sa che c’è un’enorme differenza tra la teleologia – una parola dai connotati religiosi, che allude a uno sviluppo preordinato, cosa che Marx non ha mai sostenuto – e l’idea che la storia umana non sia una serie di avvenimenti senza senso, ma sia governata da alcune leggi che si impongono indipendentemente dalla volontà soggettiva di uomini e donne.
L’intervistatore, non lasciandosi depistare facilmente, pone a Foucault la domanda che naturalmente discende da questo ragionamento: “questo nonostante la scienza da lungo tempo abbia postulato che l’uomo progredisce?”
Foucault allora risponde:
“Non è la scienza che lo dice, piuttosto la storia della scienza. E io non dico che l’umanità non progredisce. Io dico che è metodologicamente scorretto porre il problema in questi termini: ‘com’è e che siamo progrediti?’ Il problema è: come avvengono le cose? E ciò che avviene oggi non è necessariamente meglio o più progredito o meglio compreso di ciò che avveniva nel passato”.
Ci troviamo di fronte al classico caso in cui si mischiano le carte. Dopo avere detto chiaramente (chiaramente per quanto il suo peculiare linguaggio lo permetta) che lui nega il progresso nella storia, afferma serenamente l’opposto: che lui non dice che l’umanità non progredisce. Ma immediatamente dopo aggiunge che ‘ciò che avviene ora non è necessariamente migliore o più avanzato o meglio compreso di ciò che avveniva nel passato’. Quindi nei fatti non c’è stato progresso.
Non è abbastanza chiaro?
Questo è un ottimo esempio di come questi signori fanno le giravolte, giocando con le parole per nasconderne il significato proprio come una seppia spruzza una nube d’inchiostro per confondere i suoi nemici. Così se qualcuno accusa Foucault di negare il progresso, il punto centrale della maggioranza dei suoi scritti, lui può tranquillamente tornare indietro e dire: “oh no, io una volta ho detto: ‘non dico che l’umanità non progredisce’.”
La disonestà intellettuale e la codardia è una componente essenziale del postmodernismo, che, allo scopo di nascondere il proprio carattere realmente reazionario, utilizza ogni tipo di manovra per confondere e disorientare il lettore. Ciò che stupisce è l’arroganza senza vergogna e l’audacia con la quale questo inganno viene presentato.
Giochi linguistici
“Certe volte ho creduto fino a sei cose impossibili prima della colazione” (Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie).
Il postmodernismo si basa sul principio che concetti, idee e la stessa lingua siano ‘costrutti’ soggettivi e arbitrari. Così ogni pensiero concettuale, inclusa la scienza, è, di conseguenza, oppressivo. Non ci può essere una verità oggettiva. Nulla è vero o credibile. L’unica verità risiede nell’esperienza individuale, la ‘viva esperienza’, e può dunque essere solo una verità personale.
Non contenti di aver buttato nel cestino ogni pensiero razionale e ‘meta-narrativo’, alcuni postmodernisti arrivano al punto da informarci che, dato che la lingua è un costrutto oppressivo, la stessa grammatica dovrebbe essere abolita, in quanto oppressiva della libertà umana. Una volta liberati dalle catene della grammatica e della sintassi, potremo volare nel paradiso dell’assoluta libertà, dove potremo comunicare tra di noi in un modo totalmente nuovo.
Ma il linguaggio non è un costrutto. Non è stato inventato da nessuno, si è evoluto gradualmente in un lungo periodo di tempo, centinaia di migliaia di anni, come risultato dello sviluppo della società umana. Ciò è altrettanto vero per le leggi del pensiero che i postmodernisti vogliono distruggere. Ma con cosa dovremmo sostituirle? Ci possono piacere o non piacere le leggi della grammatica e della sintassi, sia che si tratti della grammatica della lingua ufficiale insegnata nelle scuole, sia che si parli di una grammatica non ufficiale come quella dei dialetti. Tuttavia, senza queste regole il discorso diventa totalmente incomprensibile, o almeno estremamente incoerente. Ovviamente i postmodernisti trovano sempre un modo per tappare i buchi.
Replicando all’accusa di incomprensibilità, Judith Butler, una credente nella Vera Fede del postmodernismo, denuncia “l’apprendimento delle regole che governano il discorso intellegibile” (8). Secondo la Butler, apprendere queste regole è “inculcarle in un linguaggio normalizzato il cui prezzo al non conformarvisi è la perdita stessa dell’intelligibilità”. Prosegue dicendo che “non c’è nulla di radicale nel senso comune. Sarebbe un errore pensare che la grammatica giunta fino a noi sia il miglior veicolo per esprimere punti di vista radicali, dati i limiti che la grammatica impone sul pensiero e quindi su ciò che è possibile pensare in quanto tale”.
Dunque ora lo sappiamo! Il ‘senso comune’ non è radicale mentre il non senso lo è. In base a queste premesse la Butler divaga per creare la sua nuova grammatica, che in qualche modo non si ‘imponga’ sui suoi pensieri. Così facendo, vive ogni sorta di avventura pensando cose che sono del tutto ‘impensabili’ per quelli come noi costretti al linguaggio dei comuni mortali.
Tuttavia, sorge la domanda su come lei possa comunicare questi pensieri impensabili ai semplici mortali ancora vincolati dalle catene del ‘discorso intellegibile’ e che non hanno la minima idea di cosa lei stia dicendo. Il metodo della Butler è pura sofisticheria. In altre parole, è un inganno: “le mie idee non sono sbagliate e incomprensibili, sei tu che non sei abbastanza avanti da capirle”.
Detto ciò, non è corretto arrivare ad affermare che i testi postmodernisti sono incomprensibili. L’obiettivo di discorsi involuti è di far sembrare originali, sofisticati e finanche radicali idee che sono, al contrario, obsolete, stupide e reazionarie. Certo, c’è bisogno di un certo sforzo per scoprirlo, ma al fondo c’è un programma, e non è così difficile capirlo una volta che sia stato tradotto dal loro ‘linguaggio speciale’ nella lingua dei comuni mortali.
Non c’è nulla “al di fuori del testo”
Jaques Derrida, uno dei più influenti postmodernisti, disse, com’è noto, “non c’è niente al di fuori del testo” (9). Con questo lui intendeva che il significato – e quindi la conoscenza – non è connesso con la realtà oggettiva, ma solo con sé stesso. Le parole che noi usiamo non sono in alcun modo connesse con le cose che noi intendiamo definire, al contrario ogni singola parola, secondo Derrida, si definisce solo in relazione ad altre parole. Quindi per comprendere una qualsiasi cosa noi dobbiamo innanzitutto comprendere tutte le parole che forniscono un contesto alle nostre parole e quindi tutte le parole che forniscono a loro volta a queste parole un contesto e così via. Ovviamente ciò è impossibile e dunque, ci viene detto, questa cosa ambigua chiamata ‘significato’ si allontanerà sempre e non sarà mai pienamente afferrata.
È certamente vero che il significato del linguaggio di Derrida non potrà mai essere pienamente compreso, ma questa è un’altra storia. Ciò che sta cercando di fare Derrida consiste nell’indebolire l’idea secondo cui noi possiamo comprendere la realtà oggettiva in quanto tale. In altre parole, in ultima istanza non c’è alcuna realtà “al di fuori del testo”. Noi possiamo anche avere una parola per il cane o il gatto, ma secondo lui queste sono solamente creazioni astratte e soggettive della mente umana e non hanno alcuna relazione con qualsivoglia gatto o cane reale, e di conseguenza perdono ogni significato.
Nonostante queste ‘profonde’ osservazioni, per molte migliaia di anni gli uomini e le donne hanno continuato ad utilizzare il linguaggio senza preoccuparsi delle elevate riflessioni per cui un cane non è realmente un cane, un gatto non è realmente un gatto e dunque il linguaggio non è capace di dire alcunché che sia di fatto intellegibile.
Lontano dall’essere una visione a tutto tondo delle cose, come vorrebbe Derrida, la sua filosofia mostra una comprensione assolutamente monodimensionale della conoscenza umana: se i concetti non riflettono alcuna verità oggettiva e se il ‘significato’ può essere generato e decostruito dagli esseri umani a loro piacere, allora come possono le persone comunicare tramite un testo o qualsiasi altro strumento? Perché Derrida si dà da fare per scrivere testi quando non c’è alcuna base oggettiva o comune per il linguaggio? E addirittura, come possiamo anche solo riconoscere che stiamo vivendo la stessa realtà, quand’anche questa realtà esistesse, se siamo tutti impediti dall’accedervi?
Queste illogicità, tuttavia, non sembrano impensierire Derrida. Come tutti gli autentici postmodernisti, Derrida fa della illogicità una medaglia. La sua nozione più famosa, la ‘decostruzione’, è precisamente la proposizione che la ‘libertà’ si produce rompendo la logica e la coerenza delle idee. In questo modo ogni individuo può costruire e ‘decostruire’ la sua propria realtà. Infatti questo è proprio quello che Judith Butler, la più influente femminista postmodernista, afferma:
“‘Ammettere’ l’innegabilità del ‘sesso’ o la sua ‘materialità’ è sempre ammettere una certa versione del ‘sesso’, una certa formazione della materialità. Non è forse il discorso tramite il quale e nel quale questa ammissione avviene – e, certo, questa ammissione avviene regolarmente – in sé stesso formativo dello stesso fenomeno che ammette? […] Riferirsi semplicemente e direttamente a questo oggetto extra-discorsivo richiederà sempre la definizione preliminare di ciò che è extra-discorsivo” (10).
Il ‘discorso’ è ‘formativo dello stesso fenomeno che ammette’. Pensare produce realtà. La realtà materiale, anche il sesso biologico, è ‘discorsiva’ e può ovviamente essere cambiata tramite il discorso. Ma certamente se il sesso biologico è solo il prodotto di un discorso, lo stesso vale per ogni altra cosa e ciò vale per me come per te. Ma non puoi semplicemente costruire e ‘decostruire’ la mia realtà come io la tua? … questo la Butler non lo dice.
Questa teoria non è né moderna né postmoderna, ma solo vecchia. Quello con cui ci stiamo confrontando non è altro che idealismo soggettivo – una tendenza che risale agli albori della filosofia stessa. Il principio cardine dell’idealismo soggettivo è che non ci sia alcuna realtà oggettiva che esista indipendentemente dai pensieri e dalle percezioni degli esseri umani.
La forma dell’argomentazione di Derrida è semplicemente una copia della nozione proposta da Immanuel Kant nel XVIII secolo, secondo la quale la coscienza umana non può mai realmente conoscere la realtà materiale o quella che lui chiamava la ‘cosa in sé’. Secondo Kant la mente è dotata di una serie di categorie del pensiero ‘a priori’ – come spazio, tempo, sostanza ecc. – che ci permettono di riconoscere il mondo esteriore. Ma le nostre menti non sono in grado di conoscere la realtà materiale, dal momento che essa è ‘in sé stessa’.
Derida tuttavia va oltre Kant e ironizza sui concetti nella loro totalità. Tutti i concetti generali sono, secondo lui, prodotti della mente umana senza alcuna relazione con la realtà oggettiva. Queste idee sono più vecchie anche di Kant. All’inizio del XVIII secolo il vescovo George Berkeley propose gli stessi assurdi argomenti, anche se in modo molto più cogente: “è un’opinione stranamente diffusa tra gli uomini che le case, le montagne, i fiumi e, in una parola, tutti gli oggetti sensibili abbiano un’esistenza, naturale o reale, distinta dal loro essere percepiti da colui che osserva” (11).
Tuttavia, c’è un problema con questa teoria, un problema di cui non ci si può facilmente liberare. La stringente logica di questa argomentazione è il solipsismo (dal latino solo ipsus, solo me stesso): la nozione secondo la quale, dato che non possiamo provare con certezza l’esistenza di niente e nessuno al di fuori della nostra mente, dobbiamo rassegnarci ad essere nient’altro che prigionieri solitari dei nostri mondi interiori e ogni altra cosa deve essere un’illusione della nostra immaginazione. Ma se così fosse, anche Dio dovrebbe essere un’invenzione della nostra fantasia.
Secondo questa idea, nulla può mai essere oggettivo, poiché non si può provare l’esistenza di nulla. Ogni cosa è creazione (il ‘costrutto’) del pensiero. Questo, ovviamente, è negato da migliaia di anni di esperienza e di pratica umana, oltre che dalla storia della scienza da almeno due millenni e mezzo. Ma ciò non preoccupa i postmodernisti che negano che qualsivoglia progresso abbia mai avuto luogo.
Il vescovo Berkeley era un reazionario e devoto difensore della Chiesa. Il suo scopo dichiarato era di condurre una lotta contro la scienza, il pensiero razionale, l’ateismo e il materialismo propri dell’Illuminismo. Su tutto, tranne che su uno di questi aspetti (l’ateismo), i postmodernisti sono totalmente d’accordo con lui. Il suo principale argomento era contro l’empirismo, una immatura forma di materialismo che dominava a quel tempo. Gli empiristi sostenevano che ogni conoscenza è legata in ultima istanza all’esperienza sensoriale. Ciò è corretto, ma parziale. La loro idea venne spinta alle sue estreme e assurde conseguenze dal filosofo scozzese David Hume, il quale giungeva a sostenere che, dal momento che noi possiamo basarci solo sull’esperienza sensoriale, non possiamo provare l’esistenza di nulla che vada oltre la nostra esperienza sensoriale.
Se accettiamo le premesse degli idealisti soggettivi, c’è solo una via di fuga da questa assurdità: la via proposta dal vescovo Berkeley. Ossia dire che è la mente di Dio a percepire le cose, dando così oggettività alle nostre idee e offrendo agli esseri umani un condiviso punto di riferimento. Ma c’è un’altra via: quella del materialismo e della scienza.
Alla premessa per cui ogni conoscenza può essere ottenuta attraverso l’esperienza sensoriale, dobbiamo aggiungere una seconda premessa, cioè che una realtà materiale oggettiva esista indipendentemente dalle nostre idee ed esperienze, e che gli esseri umani sono capaci di indagare questa realtà e scoprire le sue caratteristiche e le sue intrinseche leggi di movimento. Questo è precisamente ciò che il postmodernismo rifiuta.
La verità è possibile?
È generalmente riconosciuto che un’idea vera è un’idea che corrisponde alla realtà. Un bambino piccolo può pensare che sia divertente giocare con il fuoco, ma presto si accorgerà che non è un’idea corretta. Attraverso dolorose esperienze ed errori, con il tempo maturerà l’idea che, avvicinata nel modo corretto, una fiamma può essere molto utile e, in qualche caso, addirittura divertente. Il fuoco passa dall’essere una sconosciuta ‘cosa in sé’ ad una ‘cosa per noi’. Questo è il percorso normale degli esseri umani: dall’ignoranza alla conoscenza.
I postmodernisti, tuttavia, rifiutano questa idea. Respingono completamente l’affermazione che le idee possano essere vere o false, irridono le affermazioni categoriche (ma non sempre, come vedremo) poiché ciò implicherebbe che alcune affermazioni sono più vere di altre. Perciò riempiono i loro scritti con affermazioni vaghe e profondamente equivoche, zeppe di condizionalità e spiegazioni molto contraddittorie.
Secondo Foucault, il più importante postmodernista, non possiamo aspirare alla verità oggettiva. Questo vuol dire che non possiamo aspirare a idee il cui contenuto sia indipendente dagli esseri umani. Egli sostiene che in ultima analisi la verità delle idee – in altre parole la conoscenza – non deriva dalla nostra esperienza della realtà materiale, ma piuttosto da ciò che lui definisce il ‘potere’. Non è il potere nel senso che normalmente attribuiamo a questa parola, come il potere dello Stato o il potere di una classe su un’altra. ‘Potere’ nel vocabolario di Foucault significa essenzialmente sapere in generale. Di conseguenza il ‘potere’ produce sapere e il sapere produce ‘potere’, o, per dirla altrimenti, il sapere produce sapere. Questa è una pura tautologia che non chiarisce assolutamente nulla. Fondamentalmente questo è lo stesso principio sviluppato da Derrida per cui le idee e i concetti generali non riflettono la realtà oggettiva, ma soltanto altre idee e concetti.
Foucault, quindi, prosegue dicendo che la verità non è qualcosa che possiamo raggiungere mettendo alla prova le nostre idee nel mondo reale, al contrario, la verità è ‘prodotta’ dal ‘potere’ e “regimi di verità” (12) sono imposti sulla società dal ‘potere’. Il ‘potere’ decide cos’è vero e cosa è falso, ma, secondo Foucault, in realtà queste categorie di vero e falso non esistono. Di conseguenza nulla è vero e nulla è falso. Uno dei modi per scoprire ciò, ci informa, è assumendo LSD:
“Possiamo facilmente vedere come l’LSD inverte le relazioni di malumore, stupidità e pensiero: non appena elimina la supremazia delle categorie, sottrae ogni suo presupposto e disintegra la deprimente pantomima della stupidità; inoltre presenta questa massa univoca e priva di categorie non solo come variegata, mobile, asimmetrica, decentrata, spiraliforme e riverberante, ma fa sì che sorga, in ogni istante, come uno sciame di eventi fantasma” (13).
Tentando di tradurre questo nonsense, ciò che Foucault sta tentando di dirci qui è sostanzialmente che le allucinazioni indotte dall’LSD rivelano che la realtà non è come noi la pensiamo normalmente. Un giorno posso pensare che gli elefanti siano animali selvaggi che vivono negli zoo e nelle regioni tropicali, mentre il giorno seguente possono essere piccole creature rosa che volano in cerchio attorno alla mia testa. Chi può dire quale di queste idee è vera e quale falsa?
Non si può parlare affatto di verità, né della mia verità né della tua. Esiste ovviamente un’eccezione, una cosa che è assolutamente ed eternamente vera, ossia le affermazioni vuote di Monsieur Foucault, come il suo rifiuto del concetto di verità. Questo è un altro esempio di contraddizione postmoderna. Foucault non si accorge neppure che sta tentando di fornirci la prova della ‘verità’ della sua idea: non è esattamente ciò che si era supposto essere impossibile?
Possiamo realmente affermare, come nei fatti fa Foucault, che la verità oggettiva sia un’invenzione? Vediamo. Posso credere di essere un uccello e di poter volare ma, se salto dalla cima di una rupe, questa idea si schianterà al suolo con me. Posso immaginare di essere un multimilionario, ma se vado in una banca a chiedere di ritirare un milione di sterline, il direttore certamente mi domanderà quanto LSD abbia preso. Se un qualsiasi postmodernista desidera dimostrare che ci sbagliamo, lo invitiamo educatamente a provare uno di questi due esperimenti. La pratica dirà chi ha ragione e chi ha torto!
In Europa, durante il medioevo e fino al XVIII secolo, si è generalmente ritenuto che la terra fosse stata creata da Dio poche migliaia di anni prima, ma la scienza ha totalmente rimosso questa idea, che oggi sopravvive solo sulla base della fede. Rifiutare la verità oggettiva conduce, in definitiva, a ridurre tutta la conoscenza umana a livello di fede e superstizione – cioè ci riporta nel pantano della religione.
In quanto opposta alla fede, ogni scienza si basa sulla premessa che un mondo naturale esista indipendentemente dalle nostre idee e che le nostre idee sono in grado di riflettere i fenomeni naturali. Quindi la verità esiste in maniera oggettiva, ossia indipendentemente dalla mente di ogni singolo essere umano. Negare ciò è come negare la scienza, che, come vedremo, è esattamente ciò che fanno i postmodernisti.
Conoscenza soggettiva e oggettiva
Il postmodernismo eleva la soggettività a principio assoluto. Da ciò deduce che pensare in maniera generale sia una cosa limitata e parziale, che dunque il pensiero non può raggiungere la verità oggettiva. Per gli accademici dalla mentalità ristretta, il mondo finisce al di là del loro naso o al massimo della porta della loro aula. Un professore universitario produce solo parole, che rappresentano l’insieme del suo lavoro, il suo ambiente naturale – l’unico ambiente che conosce. Ciò spiega l’ossessione dei postmodernisti per le parole e il linguaggio. Ciò spiega anche l’estrema ristrettezza della loro mentalità e la loro povertà di pensiero.
Pensare va, infatti, oltre il ‘soggetto’. Le grandi teorie filosofiche e scientifiche della storia non sono solo il prodotto delle menti di grandi individui: sono, invece, le espressioni più alte dello sviluppo del pensiero umano nelle loro rispettive società. Quando parliamo del pensiero umano non stiamo discutendo delle contorsioni di una mente individuale, al contrario, parliamo del pensiero umano in generale, inteso collettivamente.
È vero che ogni essere umano per natura ha una mentalità parziale e limitata, ma presa nel suo insieme l’umanità può superare i limiti degli individui verificando collettivamente l’oggettività di ogni affermazione da un’infinita quantità di prospettive e mettendola alla prova nella vita reale. I pensieri all’interno della mente di un singolo individuo non appartengono solamente a lui – tutte le nostre teorie e il linguaggio sono i prodotti dello sviluppo sociale umano nel suo complesso, trasmessi da una generazione a quella successiva. Anche la relazione tra soggetto e oggetto non è semplicemente una questione di astratta contemplazione. La razza umana reagisce al mondo reale in maniera attiva, non passiva.
Gli esseri umani trasformano il mondo attraverso il lavoro collettivo e in questo modo trasformano sé stessi. È questo inesauribile processo di creazione che trova la sua più alta espressione nel costante progresso della scienza, che i postmodernisti vorrebbero negare, ma che è un fatto assolutamente evidente nella realtà. È un’incessante marcia dall’ignoranza verso la conoscenza: ciò che oggi non conosciamo sarà certamente comprensibile domani. In questo senso, il pensiero umano non solo è in grado di essere oggettivo, ma è anche illimitato e assoluto. Nessuna conoscenza è al di là delle sue capacità.
Marx spiegò nelle Tesi su Feuerbach che “la questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica” (14).
Sollevare la questione se la verità possa essere oggettiva oppure no, come fanno i postmodernisti, in maniera scollegata dalla reale attività umana non è altro che una vuota speculazione. Il pensiero è un’espressione della pratica e, in ultima istanza, è nella pratica che le idee vengono verificate. Lo sviluppo delle idee serve per migliorare le nostre pratiche e, allo stesso modo, nel corso di questa attività, gli elementi oggettivamente veri di tutte le idee sono individuati e separati dagli elementi falsi o esagerati.
Verità relativa e assoluta
Il fatto che si possa dimostrare che alcune idee siano oggettivamente vere vuol dire che alcune idee umane sono vere nel momento in cui sono pensate e in seguito lo siano per sempre? Ovviamente no. Da un punto di vista materialistico, non ha senso parlare di raggiungere la verità assoluta nel senso di una conoscenza definitiva della totalità del nostro universo. L’umanità è capace di scoprire le leggi della natura in ogni suo aspetto. I costanti avanzamenti nelle scienze e nelle tecnologie moderne ne sono la prova. Ma l’umanità non raggiungerà mai un punto in cui avrà scoperto tutto ciò che c’è da scoprire, dal momento che, per ogni problema che la scienza risolve e per ogni ambito della natura che l’uomo riesce a dominare, si aprono nuovi ambiti da indagare e nuovi problemi da affrontare si fanno avanti.
La storia della scienza dimostra questo processo tramite il sorgere e il declinare di una serie infinita di teorie rispetto ad altre più avanzate. Ma anche in questo caso il postmodernismo trae una conclusione esagerata e unilaterale da un’osservazione formalmente corretta. Dal momento che tutte le teorie ad un certo punto sono sopravanzate, ne ricava che nessuna idea sia vera, che ogni verità è relativa e arbitraria.
Nelle opere Follia e civilizzazione e Storia della follia – che ambiscono ad essere un’analisi storica della psichiatria – Foucault presenta idee e metodi che erano utilizzati nella psichiatria del passato, ma che si sono poi dimostrati errati e, infatti, sarebbero ritenuti estremamente reazionari se applicati oggi dagli psichiatri. Su questa base prova a contestare la rivendicazione di una verità oggettiva in assoluto della scienza.
Questa è una tendenza generale di tutte le ‘storie’ di Foucault. È come se lui si aspettasse che la scienza sia il sacro Graal della verità assoluta ed eterna fin dall’inizio e, infastidito da quello che scopre, concludesse che è necessario abbandonare del tutto la scienza e, con essa, la nozione di verità. Costruisce un’argomentazione fittizia per poi superarla senza sforzo. Ma la scienza non ha mai rivendicato di possedere la verità assoluta. Si propone un obiettivo molto più modesto: scoprire la verità passo dopo passo, attraverso la paziente applicazione di un metodo realmente scientifico, basato sull’osservazione e la sperimentazione.
I postmodernisti osservano con disprezzo la scienza dei periodi precedenti. Ovviamente è facile criticare dal nostro punto di vista un periodo meno avanzato. Questo è un atteggiamento vile e ignorante come quello di un adulto che prende in giro un bambino perché non sa parlare nel suo stesso modo raffinato ed elegante. Ma le idee dei diversi momenti storici non sono casuali: riflettono le capacità della società umana nel suo evolversi e, in quanto tali, sono assolute per quel periodo. Ciò vuol dire che sono le verità più elevate che la società ha potuto raggiungere in quel particolare momento.
Le specifiche verità scoperte da una data società non sono conquistate a caso. È impossibile che Newton potesse scoprire la meccanica quantistica. La meccanica di Newton costituisce un tramite necessario che ha successivamente portato alle scoperte della meccanica quantistica. Infine, il pensiero – e il pensiero scientifico come sua espressione più elevata – riflette il livello di sviluppo della società del suo tempo, ma a sua volta sviluppa la società nel suo complesso, così che ad un certo momento questo sviluppo stesso conduce al sorgere di nuove, più complesse e più avanzate forme di pensiero. Questo è il processo infinito dall’ignoranza alla conoscenza, dalle forme di verità più basse a quelle più elevate.
Ciò non vuol dire che le vecchie idee siano da eliminare perché prive di senso, al contrario, il loro nocciolo razionale è un elemento necessario per l’ulteriore avanzamento della scienza. Ad ogni livello della natura che l’uomo impara a dominare, si apre la strada per un livello più profondo. Lo sviluppo della meccanica newtoniana è stato una grande conquista per l’umanità. Fu uno dei più grandi avanzamenti che si accompagnarono al sorgere del capitalismo e giocò un ruolo importante nello sviluppo della scienza e della società nel suo complesso. Ma la scienza non finì allora. Dopo la meccanica classica venne la meccanica quantistica. La meccanica quantistica non invalidava la meccanica classica, al contrario, la presupponeva, così come la meccanica quantistica sarà la base di un ulteriore avanzamento della scienza nel futuro e preparerà il terreno per andare oltre la meccanica quantistica stessa. La meccanica quantistica rimarrà valida fino a un certo grado di sviluppo, ma dopo questa emergeranno teorie più avanzate.
Contrariamente a ciò che i postmodernisti immaginano, la storia del pensiero scientifico non è una sventurata ricerca di una qualche sfuggente verità definitiva, passando da una teoria casuale ad un’altra. È l’infinito processo della comprensione sempre più profonda della natura e delle leggi che la governano. Attraverso infiniti tentativi ed errori, ogni teoria viene alla fine messa alla prova e i suoi elementi accidentali, soggettivi e falsi vengono eliminati, i suoi limiti definiti e il suo nucleo di verità aggiunto all’insieme della conoscenza umana, preparando la strada perché nuove e più avanzate idee possano prendere il suo posto.
Ogni teoria non è isolata e diametralmente opposta alle altre. Al contrario tutte quante insieme formano differenti gradi dello sviluppo dialettico della conoscenza umana nel suo complesso – un progresso infinito dalle forme di verità inferiori a quelle superiori.
“Meta-narrazioni”
Dal momento che i postmodernisti rifiutano la nozione di verità, identificano il principale nemico in coloro che accettano la verità. Torniamo un attimo alla Condizione postmoderna dove Jean-Francois Lyotard prova a definire il significato di postmoderno:
“La scienza si trova nella necessità di legittimare le sue regole di gioco. È a tal fine che costruisce un discorso di legittimazione del proprio statuto, che si è chiamato filosofia. Si tratta di un meta-discorso che, quando ricorre esplicitamente a qualche grande referente narrativo, come la dialettica dello Spirito, l’ermeneutica del senso, l’emancipazione del soggetto razionale o lavoratore, lo sviluppo della ricchezza, conferisce l’appellativo di ‘moderna’ alla scienza che ad esso si richiama per legittimarsi.
Semplificando al massimo, possiamo considerare ‘postmoderna’ l’incredulità nei confronti delle meta-narrazioni. Si tratta indubbiamente di un effetto del progresso scientifico; il quale tuttavia presuppone a sua volta l’incredulità. Al disuso del dispositivo meta-narrativo di legittimazione corrisponde in particolare la crisi della filosofia metafisica, e quella dell’istituzione universitaria che da essa dipende. La funzione narrativa perde i suoi funtori, i grandi eroi, i grandi pericoli, i grandi peripli ed i grandi fini” (15).
Qui abbiamo un esempio prezioso del gergo incomprensibile del postmodernismo. Per favore si tenga presente che, per venirci incontro, Lyotard sta ‘semplificando all’estremo’, e questo ci fa gioco, perché altrimenti correremmo il serio rischio di capire concretamente che cosa sta cercando di dire, cioè che il postmodernismo rifiuta tutte le scuole di pensiero che provano a sviluppare una visione univoca e coerente del mondo.
Il rifiuto di una visione del mondo coerente deriva in maniera logica dal rifiuto dell’esistenza di una realtà oggettiva indipendente dalla mente. Se tu neghi che una realtà oggettiva, e quindi una verità oggettiva, esista indipendentemente dalle nostre menti, allora non potrà mai esistere alcuna teoria che possa essere applicata universalmente. Ogni individuo svilupperà la propria teoria, applicabile alla sua particolare realtà. In questo caso le ‘meta-narrazioni’ corrisponderebbero al formalismo e allo schematismo di imporre le leggi del mio mondo sul tuo o viceversa. Ma i principali responsabili di questo particolare crimine sono gli stessi postmodernisti.
Il rifiuto delle meta-narrazioni è, infatti, la più rozza e indiscriminata meta-narrazione possibile, e viene presentata senza una singola prova o un argomento reale! Quello che ci viene sostanzialmente chiesto è di accettare le meta-narrazioni postmoderne a scatola chiusa. Il postmodernismo è l’unica vera meta-narrazione. Tutte le altre sono sbagliate perché così dicono i postmodernisti. Questo è precisamente il tipo di violenza intellettuale e di ‘oppressione’ contro la quale i postmodernisti protestano così veementemente ed è la base per i loro isterici attacchi contro chiunque sollevi qualche sera obiezione a ciò che dicono. Non c’è alcuna differenza da ogni altro dogma religioso.
I marxisti sono criticati dai postmodernisti perché considerati dogmatici e perché contrari ad incorporare altre idee nella teoria marxista. Per alcuni questa potrebbe sembrare una buona idea. Perché legarsi a una sola filosofia quando puoi prendere e scegliere le migliori idee in circolazione senza tenere conto di quale filosofo o scuola di pensiero le abbia sviluppate? Ma questo è il punto centrale. I postmodernisti non dicono che dovremmo scegliere le migliori idee. Non ci sono idee né buone né cattive, vere o false, ricordate? La questione non è avere idee corrette, ma insistere sul fatto che le nostre idee devono essere incoerenti. Per la prima volta nella storia della filosofia la “zuppa povera dell’eclettismo”, come la chiamava Engels, è arrivata ad essere principio guida di una scuola di pensiero.
I postmodernisti accusano i marxisti di non essere ‘aperti di mente’ circa le altre scuole di pensiero. In realtà è l’esatto opposto! Questi signori sono ossessionati dall’essere nuovi e originali (nonostante ciò non sia affatto vero), agiscono come se la storia cominciasse e finisse con loro. Il marxismo invece non dice di essersi formato come qualcosa di completamente privo di relazioni con le filosofie precedenti. Noi non affermiamo che le idee del socialismo scientifico sono state formulate semplicemente dal genio creativo di Karl Marx e Friederich Engels.
Il marxismo è la sintesi del nocciolo razionale di tutte le precedenti filosofie, ognuna delle quali si è costruita a partire dalle conquiste delle epoche precedenti. Esso forma un insieme unico e armonioso. Contiene in sé gli elementi più validi e durevoli delle precedenti scuole di pensiero – la filosofia della Grecia antica, la filosofia classica tedesca, i materialisti francesi dell’Illuminismo, l’economia politica inglese e le brillanti anticipazioni dei primi socialisti utopisti. Tutte queste filosofie, in un modo o nell’altro, contengono valide verità e osservazioni, riflettendo diversi aspetti e punti di vista della stessa unica realtà oggettiva.
Attraverso la storia dello sviluppo della scienza e del pensiero nel corso di migliaia di anni, l’immagine che è emersa, e che diventa sempre più chiara ogni giorno che passa, è quella di un solo, unico, interconnesso mondo materiale che opera seguendo le sue leggi interne di movimento e sviluppo. Questa è il punto di partenza della complessiva visione del mondo del marxismo e di ogni teoria realmente scientifica. La sistematica indagine di queste leggi ai diversi livelli della natura è l’obiettivo principale di ogni scienza. Tutto ciò è un anatema per i postmodernisti, che sono contrari a qualsiasi forma di pensiero sistematico.
“Anti-scienza”
Quando dicono di opporsi alle meta-narrazioni, è precisamente a questa indagine sistematica e alla scienza in generale che i postmodernisti si oppongono. Basta ascoltare come Foucault condanna con tono irridente “la tirannia dei discorsi globali con le loro gerarchie e i loro privilegi da avanguardia teoretica” (16) e come chiama “… ad una lotta contro la coercizione del discorso scientifico, teoretico, unitario e formale” (17). Infatti Foucault definisce il suo metodo principale, la ‘genealogia’, nulla più né meno che ‘anti-scienza’:
“Ciò che [la genealogia] realmente fa è prendere in considerazione le richieste di attenzione dei saperi locali, discontinui, dequalificati e illegittimi contro le imposizioni di un corpo teorico unitario che vorrebbe filtrarle, gerarchizzarle e ordinarle nel nome di qualche vera conoscenza e qualche idea arbitraria di ciò che costituisce una scienza e il suo oggetto. Le genealogie non sono dunque un ritorno positivista ad una forma di scienza più attenta ed esatta: esse sono, in realtà, anti-scienze” (18).
Cos’è questa se non una dichiarazione di guerra contro la scienza e il pensiero razionale e una difesa dell’oscurantismo? Ciò che è peggio è che queste idee reazionarie sono vendute come la forma più radicale di pensiero. Luce Irigaray, per esempio, è famosa per il suo rifiuto della teoria di Einstein della relatività in base al fatto che sia “sessista”, presumibilmente perché Albert Einstein ebbe la disgrazia di essere uomo. Il suo saggio del 1987 è intitolato Le Sujet de la Science Est-il Sexué? (Il soggetto della scienza è sessuato?). Affrontando la questione, scrive:
“Probabilmente lo è. Avanziamo l’ipotesi che lo sia fintanto che privilegia la velocità della luce sopra altre velocità che sono vitalmente necessarie per noi. Ciò che mi sembra indicare la possibile natura sessuale dell’equazione non è direttamente il suo uso per le armi nucleari, ma per avere privilegiato ciò che è più veloce…” (19)
Altrove la Irigaray continua la sua diatriba contro lo sventurato Einstein:
“Ma che cosa fa la possente teoria della relatività per noi se non creare impianti nucleari e mettere in discussione la nostra inerzia fisica, questa necessaria condizione della vita?” (20)
Secondo il contorto ragionamento della Irigaray, la velocità è una caratteristica prevalentemente maschile e quindi la ‘fissazione’ di Einstein per la velocità nella sua equazione sarebbe ‘sessista’. Il motivo per cui gli uomini debbano essere più ossessionati dalla velocità rispetto alle donne è un mistero che solo la Irigaray può spiegare. Per quanto ne sappiamo, un uomo troverà le stesse difficoltà a raggiungere la velocità della luce di una donna.
Qui la irrazionale natura anti-scientifica del postmodernismo viene esposta in tutta la sua nuda verità. La teoria della relatività, che è uno dei caposaldi della scienza moderna, è messa alla gogna come sessista, poiché il suo scopritore, Albert Einstein, era un uomo.
Dietro l’apparentemente innocente rifiuto delle ‘meta-narrazioni’ e dei ‘discorsi olistici’, e avvolto in una retorica dal sapore radicale, il postmodernismo ha messo su una vera inquisizione globale anti-scientifica e anti-culturale. Qui “saperi locali, discontinui, dequalificati, illegittimi” – che vuol dire screditate idee mistiche messe da parte tra i rifiuti della storia della filosofia – sono promossi, mentre le più grandi teorie e menti che l’umanità abbia mai conosciuto sono condannate senza colpo ferire. Se queste idee fossero mai state applicate alla vita reale, si sarebbe arrivati a un totale regressione di ogni civilizzazione.
Anti-marxisti
Mentre il postmodernismo si colloca nel punto massimo dell’irrazionalità, il marxismo è la più alta forma di pensiero scientifico. Ed è proprio perché è la più solida e scientifica tra le filosofie che attira le ire dei postmodernisti. È interessante notare che la principale obiezione di Foucault contro il marxismo sia contro la sua natura scientifica. Egli scrive: “se abbiamo una qualche obiezione contro il marxismo, essa si basa sul fatto che potrebbe realmente essere una scienza” (21).
Altrove nello stesso testo afferma:
“Non conta in via di principio che questa istituzionalizzazione del discorso scientifico sia inserita in un’università o, più in generale, in un apparato educativo, in un’istituzione teoretico-commerciale come la psicoanalisi o in una cornice di riferimento che sia offerta da un sistema politico come il marxismo: è proprio contro gli effetti del potere di un discorso che si ritiene scientifico che la genealogia deve condurre la sua battaglia” (22).
Qui vediamo la vera natura del postmodernismo – un’ideologia anti-scientifica e controrivoluzionaria che è opposta al marxismo nella maniera più netta. Talvolta sentiamo dire che dovremmo mettere insieme idee postmoderne e marxiste, ma esse sono radicalmente incompatibili. Foucault lo riconosce quando scrive che “non è che queste teorie globali non abbiano offerto né continuino ad offrire in modo piuttosto coerente strumenti utili per la ricerca specifica: il marxismo e la psicoanalisi ne sono la prova. Ma io credo che questi strumenti vengano offerti a condizione che l’unità teoretica di questi discorsi sia in qualche modo sospesa o almeno limitata, divisa, rigettata, caricaturata, teatralizzata o quello che vi pare. In ogni caso il tentativo di pensare in termini di totalità si è dimostrato un impedimento alla ricerca” (23).
Marxismo e postmodernismo sono compatibili nel momento in cui l’‘unità teoretica’ del marxismo viene distrutta; solo se il marxismo cessa di essere una scienza, cessa di essere vero e di essere materialista… in altre parole solo se il marxismo cessa di essere marxismo
Il marxismo è in opposizione inconciliabile con il postmodernismo. Siamo materialisti e ci poniamo fermamente dalla parte della verità e della scienza. Crediamo che ci sia un solo mondo materiale interconnesso, che è sempre esistito e che non è né la creazione di un Dio né del ’potere’ di Monsieur Foucault. La vita è un prodotto di questo mondo materiale e gli uomini sono la più progredita forma di vita. Attraverso la nostra attività siamo in grado di scoprire le leggi della natura e manipolarle a nostro vantaggio, ma siamo noi stessi soggetti a queste leggi e dunque cambiando il nostro mondo, cambiamo anche noi stessi.
La coerente teoria materialista della conoscenza afferma che la coscienza deriva in ultima istanza dall’esperienza sensoriale. I nostri sensi sono il tramite con questo mondo esterno, non barriere, altrimenti perché i nostri sensi dovrebbero darci questa informazione e non quella? Noi non cambiamo il mondo cambiando il linguaggio o i nostri modi di pensare. Non è nel ‘testo’ o nel ‘discorso’, ma nel mondo reale e materiale che si può trovare la verità. Noi possiamo cambiare il mondo in alcuni modi e i nostri sensi ci dicono se ci siamo riusciti. È interagendo con il mondo che scopriamo, verifichiamo e perfezioniamo le nostre idee e infine assegniamo loro validità oggettiva.
Questi sono i principi fondamentali della scienza. Separarsi da essi conduce direttamente alla religione e al misticismo. I postmodernisti non si sono solo separati dalla scienza, hanno lanciato una lotta contro l’essenza della scienza in quanto tale. Il fatto che queste idee reazionarie si siano diffuse come il Vangelo nelle università, nelle scuole e tramite i media in tutto il mondo rivela lo stato comatoso del capitalismo odierno. È un sistema la cui esistenza non è più compatibile con gli interessi della vasta maggioranza della razza umana.
Rigettare la nozione di una realtà oggettiva e di verità oggettiva conduce in ultima istanza a nient’altro che a una copertura e una difesa dello status quo, perché se il progresso è impossibile, è inutile lottare per una società migliore. E se non c’è verità oggettiva, non possiamo affermare che lo sfruttamento, la povertà, l’oppressione e la guerra sono ‘cattive’ – è solo un problema di prospettiva. I difensori del postmodernismo finiscono per essere apologeti del capitalismo. Una filosofia realmente rivoluzionaria può essere solo una filosofia schiettamente scientifica e materialista, che guarda la realtà dritta in faccia. Solo la più chiara e precisa comprensione delle leggi della natura e della società può indicare una via uscita dal capitalismo e dalla società classista. Con le parole di Karl Marx noi emettiamo l’ultimo verdetto su tutta la filosofia borghese:
“I filosofi hanno finora solo interpretato il mondo; ora si tratta di cambiarlo.”
Note
1. Gioco di parole intraducibile tra means of production (mezzi di produzione) e men of production (uomini di produzione). NdT.
2. Jean-Francois Lyotard, “Notes on the Return and Kapital”, Semiotext(e), 3.1, 1978, p. 53.
3. Jean Baudrillaud, Cool Memories 1980-1985, London, 1990, p. 67.
4. Gilles Deleuze, Felix Guattari, L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Torino 1971, p. 6.
5. Michel Foucault, “Theatrum Philosophicum”, in Aesthetics, Method and Epistemology, New York, 1998, p. 367.
6. Jean-Francois Lyotard, La Condizione Postmoderna: Rapporto sul Sapere, Milano 1981, p. 6.
7. Michel Foucault, “Prison Talks: an interview”, Radical philosophy, 16, 1977, p.14.
8. Judith Butler, Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, Routledge 1999, p. XVIII.
9. Jacques Derrida, Limited Inc., Evanston IL, 1988, p. 136.
10. Judith Butler, Bodies that Matter: On the Discursive Limits of Sex, London & New York 1993, pp. 10-11 (corsivo nostro. NdA).
11. George Berkeley, A treatise Concerning the principles of Human Knowledge, 2002, p. 13.
12. Michel Foucault, Power/Knowledge, p. 131.
13. Foucault, Theatrum Philosophicum, p. 363.
14. Karl Marx, “Tesi su Feuerbach”, in Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Roma 1955, p. 77.
15. Jean-Francois Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Milano 2014, pp. 5-6.
16. Michel Foucault, Power/Knowledge. Selected Interviews & Other Writings 1972-1977, New York 1980, p. 83.
17. Ibid., p. 85.
18. Ibid., p. 83 (corsivo nostro. NdA).
19. Luce Irigaray, Carol Mastrangelo Bovè, «Le Sujet de la Science est-il sexué?/Is the Subject of Science Sexed?», Hypatia 2.3, Feminism & Science 1, 1987.
20. Ibid.
21. Michel Foucault, Power/Knowledge, p. 84 (corsivo nostro. NdA).
22. Ibid.
23. Ibid., p. 81.