Madagascar: L’esercito si spacca e il Presidente è in fuga – Il movimento di massa ha conseguito una prima vittoria

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Madagascar: L’esercito si spacca e il Presidente è in fuga – Il movimento di massa ha conseguito una prima vittoria

di Jorge Martin, da www.marxist.com

Gli eventi si sono sviluppati alla velocità della luce durante il fine settimana in Madagascar. Il movimento di massa dei giovani, iniziato il 25 settembre, ha rovesciato il vecchio regime. Una parte dell’esercito si è rifiutata di continuare la repressione contro le masse e si è ammutinata. Il presidente ha dovuto fuggire su un aereo dell’esercito francese domenica 12 ottobre.

La scintilla del movimento sono state le interruzioni continue dell’elettricità, che rendono la vita quotidiana molto difficile. Ma questo è solo il sintomo più eclatante di un profondo malessere contro la corruzione, l’osceno contrasto tra la ricchezza di chi sta in alto (compresi importanti uomini d’affari vicini al presidente) e le condizioni disastrose delle masse in un’isola dove il 79% vive sotto la soglia di povertà.

Dalla protesta alla rivolta

Quello che era iniziato come un movimento di protesta pacifico degli studenti, in parte ispirato alle rivoluzioni GenZ in Indonesia e Nepal, è diventato una rivolta di dimensioni nazionali dopo che il regime del presidente Rajoelina ha scatenato una repressione brutale contro i manifestanti, causando almeno 25 morti. Poiché la repressione non ha placato la mobilitazione dei giovani, il regime ha tentato di fare delle concessioni, con le dimissioni del governo e la nomina di un nuovo primo ministro. Troppo poco e troppo tardi. L’obiettivo del movimento era diventato il rovesciamento di tutto il regime dalle mani sporche di sangue.

Una prova di forza tra le masse e il regime ha avuto luogo il 30 settembre, quando i giovani sono riusciti a sfondare lo schieramento di polizia nella capitale e a raggiungere la centrale Piazza 13 maggio. Il regime è rimasto sospeso a mezz’aria, ma ha fatto nuovamente ricorso alla repressione nei giorni successivi.

 

Gli scontri tra gli studenti e le odiate forze della gendarmeria si sono intensificati. Il movimento GenZ Madagascar ha lanciato un appello allo sciopero generale e alcuni settori del movimento sindacale organizzato hanno iniziato ad aderire. Tra questi, i medici specializzandi, che hanno portato le loro richieste sulle condizioni di lavoro, i dipendenti pubblici, i lavoratori dell’azienda idrica ed elettrica JIRAMA e anche la polizia penitenziaria, che ha annunciato che si sarebbe rifiutata di prendere in custodia altri manifestanti arrestati.

È stata la crescente pressione del movimento di massa e l’ostinazione del presidente a rimanere al potere – anche tentando di nominare un nuovo primo ministro – ad aprire una crepa nell’esercito.

Le defezioni dell’esercito

Il 2 ottobre si sono diffuse voci di scontri all’interno di alcune caserme, in seguito allo sviluppo di un clima di ammutinamento. Sono stati usati lacrimogeni. Una situazione molto confusa, che pare abbia portato all’arresto di dieci soldati dell’unità CAPSAT, (acronimo di “Corpo di armata del personale e dei servizi amministrativi e tecnici), con sede a Soanierana, vicino alla capitale.

Il 10 ottobre, nella città settentrionale di Antsiranana, uno dei luoghi in cui il movimento è stato più forte, i soldati dell’esercito, invece di bloccare il corteo dei manifestanti, hanno aperto la strada e li hanno scortati fino al centro della città. Questo ha inviato un messaggio molto chiaro, di sfida aperta degli ordini del presidente.

Il presidente Rajoelina, ormai sospeso a mezz’aria, ha fatto una serie di promesse, tra cui generatori di corrente per le università. Ha chiesto una tregua di un anno in cui si è impegnato a risolvere i problemi sollevati dal movimento. Era chiaramente troppo tardi. Le masse non erano disposte a scendere a compromessi. Volevano la fine dell’intero regime.

L’11 ottobre, infine, la diga è crollata. I soldati del CAPSAT, guidati dai loro ufficiali comandanti, hanno fatto un annuncio pubblico che non sarebbero più stati utilizzati per reprimere le proteste, una mossa di aperta insubordinazione.

“I nostri figli stanno soffrendo, non siamo qui per ucciderli e picchiarli. Stiamo vivendo la stessa sofferenza. Dobbiamo sostenerli. Non lasciamoci manipolare dal denaro o dalle cariche di prestigio.”

La loro dichiarazione rivela due questioni molto significative: i soldati provengono da famiglie della classe operaia e sono arrivati a un punto in cui si sono rifiutati di essere usati contro i loro fratelli e sorelle (e i loro figli). Inoltre, soffrono delle stesse condizioni che colpiscono i lavoratori in generale (povertà, interruzione dell’elettricità, ecc.).

Nella sua dichiarazione, il CAPSAT ha lanciato un appello alle altre unità dell’esercito, così come alla polizia e alla gendarmeria, affinché seguano il loro esempio. Ha invitato la popolazione a unirsi alla difesa delle loro caserme, ha fatto appello alla guardia presidenziale affinché disobbedisca agli ordini e ha lanciato un appello a bloccare la strada per l’aeroporto di Antananarivo, nel caso in cui il presidente tentasse di fuggire. Si trattava di un vero e proprio appello all’insurrezione generale.

Il Presidente Rajoelina ha risposto con un comunicato in cui avvertiva che era in corso un colpo di Stato, ma non poteva fare molto.

Lo stesso giorno, i soldati del CAPSAT, dopo aver messo in sicurezza le loro installazioni, sono usciti, armi in pugno, e hanno guidato i manifestanti verso Piazza 13 maggio. Il percorso verso la piazza è stato bloccato da soldati armati della gendarmeria e ne è seguito un breve scambio a fuoco.

L’esercito ha avuto nettamente la meglio e ha messo in fuga gli ufficiali della gendarmeria. Un soldato del CAPSAT, Fanomezantsoa Stephano Jacky, e due civili, Safidy e Rivoniandry Riva Rakotomalala, sono stati uccisi nello scontro.

Nel frattempo, le masse, accompagnate e protette dai soldati ribelli, sono entrate in piazza. È stato l’inizio della fine per il regime.

Nelle ore successive, l’unità CAPSAT si è mossa rapidamente per consolidare la propria posizione. Dopo un incontro con i comandanti della gendarmeria si è assicurata la loro neutralità e l’assenza di ulteriori scontri. Almeno un’unità della gendarmeria è passata dalla parte della popolazione. La Forza d’Intervento Nazionale dei Gendarmi (FIGN), incaricata della protezione presidenziale, ha rilasciato una dichiarazione pubblica in cui si scusava con le masse per l’uso della repressione e annunciava che l’intera gendarmeria sarebbe stata posta sotto il suo controllo.

Allo scontro finale si è arrivati quando, nelle prime ore di domenica 12 ottobre, gli ufficiali del CAPSAT hanno dichiarato che tutte le unità militari e di polizia avrebbero dovuto obbedire ai loro ordini. Hanno nominato un nuovo capo delle forze armate, il generale Démosthène Pikulas, già a capo del CAPSAT. Infine la gendarmeria è stata posta sotto il comando del generale di brigata Mamelison Mbina Nonos, del FIGN. Le unità dell’esercito ribelle erano ora sotto il controllo delle forze armate.

 

Lunedì il Senato si è riunito e ha rimosso il proprio presidente, l’odiato generale “Bomba” (Richard Ravalomanana), considerato la mente dietro la brutale repressione del movimento. Era una conclusione scontata. Il potere non era più nelle mani delle istituzioni, ma dell’esercito ribelle e delle masse di strada.

Il Presidente Rajoelina fugge!

Restava da vedere cosa avrebbe fatto il Presidente Rajoelina. Si diceva che fosse già fuggito dal paese, ma lunedì 12 ottobre, un annuncio sul suo account Facebook ufficiale diceva che avrebbe parlato al paese la sera stessa. Si è trattato di una manovra, poiché si è scoperto che il giorno prima era già stato fuggito fuori dal paese su un aereo militare francese, prima a La Reunion e poi forse a Dubai. L’ex potenza coloniale esercita ancora un’enorme influenza sulla politica e sull’economia dell’isola.

Il primo ministro deposto Christian Ntsay e l’uomo d’affari Mamy Ravatomanga, uno stretto alleato del presidente, avevano già lasciato l’isola con un jet privato alla volta delle Mauritius.

E ora? Prima di tutto, dobbiamo dire chiaramente che il rovesciamento di Rajoelina è una vittoria del movimento Gen Z Madagascar. È stata la lotta coraggiosa e senza tregua da parte dei giovani, che si è poi estesa a settori della classe operaia e della popolazione in generale, a costringerlo alla resa. L’esercito non si sarebbe mai ammutinato se non fosse stato per l’instancabile lotta delle masse giovanili che, per quasi tre settimane, sono rimaste in strada e hanno intensificato le loro azioni di fronte alla sanguinosa repressione.

Il coraggio, la resilienza e la fermezza delle masse malgasce di fronte alla brutale repressione, e con pochissima organizzazione avvenuta in precedenza, sono un esempio e un’ispirazione per le masse di lavoratori e giovani di tutto il continente e del mondo.

Come si spiega la ribellione dell’esercito? Da un lato, è chiaramente il risultato dell’impatto della mobilitazione di massa sui soldati e sugli ufficiali di grado inferiore, che provengono da famiglie operaie e le cui condizioni di vita sono vicine a quelle dei lavoratori. Ogni rivoluzione autentica produce tali spaccature nell’apparato statale lungo linee di classe.

C’è però un altro fattore. Alcuni degli ufficiali in comando, che avevano già partecipato a una ribellione simile nel 2009 durante un precedente movimento di massa, erano mossi da considerazioni diverse. Vedevano il regime affondare e non volevano essere trascinati a fondo con esso. Pensavano che una rapida ribellione dell’esercito avrebbe garantito la stabilità delle istituzioni e avrebbe potuto svolgere un ruolo nella transizione del potere dopo la rimozione di Rajoelina. Ciò che li motiva veramente è il loro stesso destino e la necessità di garantire il passaggio di consegne all’interno delle istituzionali borghesi.

Quale sarà il prossimo passo della GenZ del Madagascar?

Le masse, ovviamente, sono in uno stato di giubilo e hanno accolto i soldati del CAPSAT come eroi. Ma devono restare vigili e non fidarsi dei comandanti che hanno cambiato bandiera solo all’ultimo minuto, motivati dalla necessità di autoconservazione.

Già lunedì, alcuni in piazza hanno commentato come ogni sorta di personaggio politico e pubblico stesse facendo discorsi sul palco, pur non avendo avuto alcun ruolo nella lotta. Piuttosto, stavano cercando di posizionarsi per diventarne i beneficiari.

“Sono frustrato e un po’ deluso da quanto sta accadendo”, ha dichiarato un manifestante all’agenzia di stampa francese RFI. “Ho l’impressione che i giovani abbiano fatto tutto il lavoro e che ora siano i più anziani a prendersi la scena, come al solito. Dopotutto si tratta di politica, quindi i giovani non sono necessariamente coinvolti nella politica. Ma quello che sta accadendo ora è un po’ deludente. Sembra un po’ un’operazione di cooptazione politica. Volevamo un cambiamento al potere, non qualcuno che è lì da molto tempo e per il quale è più facile prendere un posto di comando. La nostra lotta è tutt’altro che conclusa”.

 


Il movimento Gen Z Madagascar ha fatto enormi passi avanti ed è diventato molto più organizzato nel corso delle due settimane di lotta. Sono stati istituiti comitati di coordinamento della lotta distrettuale (KMT) e, in alcuni quartieri della capitale, sono state create pattuglie di vigilanza contro i saccheggi. Tuttavia, il movimento non è probabilmente abbastanza organizzato per resistere alle enormi pressioni che vogliono un ritorno alla “normale” politica borghese.

Come in Bangladesh l’anno scorso e in Nepal qualche settimana fa, ora ci sarà un’enorme pressione per la formazione di un nuovo governo provvisorio, probabilmente guidato da qualche figura “indipendente” che non sia screditata o si porti macchie dal passato come tutti i politici borghesi.

Per dare una parvenza di legittimità e placare la gioventù studentesca, è persino possibile che il movimento venga consultato sulla scelta del presidente. Forse saranno inclusi anche alcuni esponenti dalle loro stesse fila. I nuovi capi delle forze armate, provenienti dalle unità ribelli, garantiranno l’intero processo. È più o meno quello che è successo dopo il movimento di massa del 2009, in un processo che si è concluso con la presa di potere di una “figura giovane” “esterna alla politica”. Il suo nome? Il presidente Rajoelina.

Tuttavia, la questione principale rimane in campo. Nessuno dei gravi problemi che le masse devono affrontare può essere risolto senza mettere in discussione il sistema capitalista nel suo complesso. Il problema non è semplicemente la corruzione. La corruzione è un sintomo del marciume del sistema capitalista in un paese arretrato e dominato dall’imperialismo. Il movimento ha sollevato la richiesta di espropriazione delle proprietà di Mamy Ravatomanga, uno dei più ricchi capitalisti del paese. Non è solo quest ultimo, ma tutti i capitalisti che dovrebbero essere espropriati.

Se le masse malgasce avessero una direzione rivoluzionaria armata di un programma chiaro per rovesciare il capitalismo, potrebbero ora celebrare una piena vittoria della rivoluzione. In mancanza di ciò, molto probabilmente dovranno vivere la stessa esperienza delle masse in Sri Lanka, Bangladesh, Nepal, ecc.

Gli slogan attuali sono:

  • Nessuna fiducia nei politici borghesi, nelle figure pubbliche e nei generali dell’esercito – le masse dei giovani e lavoratori devono fidarsi solo delle proprie forze.
  • Nessuna transizione dettata dall’alto verso un altro governo capitalista in modo che nulla cambi – ma tutto il potere al popolo lavoratore organizzato in comitati democratici di lotta.
  • Per il controllo da parte dei lavoratori delle aziende pubbliche (soprattutto JIRAMA) e per l’annullamento e l’inversione di tutte le misure di privatizzazione.
  • Espropriare i guadagni illeciti di Rajoelina, Ravatomanga e della loro cricca.
  • Fuori l’imperialismo francese.
  • Per un governo del popolo lavoratore che assuma il controllo delle risorse dell’isola in modo che possano essere utilizzate democraticamente per soddisfare i bisogni della maggioranza della popolazione.

 

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