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15 Ottobre 2025di David Rey (da comunistasrevolucionarios.org)
Nello scorso fine settimana (articolo del 6 ottobre), le strade della Spagna sono state inondate da una marea di persone in protesta contro il genocidio sionista a Gaza e contro l’aggressione israeliana alla Flotilla, che stava tentando di rompere il blocco degli aiuti umanitari a Gaza, dove la popolazione palestinese è vittima di un massacro.
Sabato 4 ottobre, hanno manifestato a Madrid 400mila persone, 300mila a Barcellona, 100mila a Valencia, 50mila a Pamplona e altre decine di migliaia in più di cento città. A questo bisogna aggiungere i 100mila studenti delle superiori che hanno protestato il 2 ottobre e quasi mezzo milione di persone che sono scese in strada quello stesso pomeriggio per protestare contro l’assalto alla Flotilla. Altre decine di migliaia di studenti e professori universitari sono scesi in strada venerdì 3 ottobre.
Domenica 5 ottobre, altre 200mila persone sono scese in strada a Santiago (Galizia), Cadice, Jaén, Palma (Isole Baleari), Gijón, Tenerife, Salamanca e in altre città. In totale, in questi quattro giorni di manifestazioni ininterrotte, hanno protestato circa 2 milioni di persone. È stata la protesta popolare in solidarietà a Gaza più grande, da quando il massacro ha avuto inizio due anni fa.
Questa risposta travolgente da parte della classe operaia e della gioventù spagnola stava maturando da settimane. Ha avuto inizio con un evento apparentemente secondario, la protesta contro la partecipazione di una squadra ciclistica israeliana alla tradizionale Vuelta, una competizione ciclistica a tappe che si svolge tra la fine di agosto e la prima metà di settembre.
Barcelona, Oct 4,.organisers say 300.000 marched in solidarity with Palestine and against the Israeli genocide in Gaza – unprecedented – 1 million marhced across the Spanish state in total pic.twitter.com/buJ6Hu2uvH
— Jorge Martin ☭ (@marxistJorge) October 5, 2025
Quello che era cominciato come una protesta improvvisata da parte di cinque persone sul margine della strada alla partenza della gara, nel corso della tappa nella città catalana di Figueres, è culminata in una manifestazione di 100mila persone a Madrid nell’ultimo giorno della Vuelta. La tappa alla fine ha dovuto essere cancellata quando la gente ha fatto irruzione nella pista, impedendone la continuazione.
I dirigenti del Partito Popolare (PP) e di Vox a Madrid, due partiti di destra con forti legami economici e mediatici con il capitale sionista, hanno definito le decine di migliaia di giovani e lavoratori che hanno sabotato la Vuelta “marmaglia” e “gentaglia”, accusando il governo Sánchez di averli incoraggiati, attribuendogli un ruolo immeritato nel sabotaggio della Vuelta.
Tutto questo ha ulteriormente rafforzato la decisione delle masse di scendere in strada. Oltre a quanto sopra menzionato, ovviamente, c’è l’impatto del movimento che si è sviluppato qualche settimana fa con la partenza della Flotilla dai porti di Barcellona e Genova. Inoltre, c’è l’impatto che hanno avuto le dichiarazioni dei portuali di Genova, che hanno promesso di bloccare il commercio con Israele se la Flotilla fosse stata attaccata, e le straordinarie mobilitazioni della classe operaia e della gioventù in Italia nelle scorse settimane. Tutto ciò ha creato un clima elettrico fra centinaia di migliaia di persone e questi eventi hanno aiutato ad accrescere la determinazione a manifestare la propria opposizione al genocidio a Gaza.
Bisogna dire che, verso la fine della manifestazione di massa di giovedì 2 ottobre, il panico della classe dominante di una “italianizzazione” della protesta in Spagna ha contagiato anche il governo di Pedro Sánchez. Nelle principali manifestazioni di Madrid, Barcellona e Siviglia, la polizia ha ricevuto l’ordine di caricare i cortei in alcuni settori, senza alcuna provocazione da parte dei manifestanti.
Stavano cercando di mandare un segnale: il popolo non deve ribellarsi, non deve riporre fiducia nella propria forza. In breve, ciò rifletteva la paura di un’esplosione sociale. Ma questo non ha avuto alcun effetto di intimidazione nei confronti della gente, che ha triplicato e quadruplicato i propri numeri nelle manifestazioni di sabato 4 ottobre in queste stesse città.
A dirla tutta, la risposta straordinaria che abbiamo visto nelle strade della Spagna si è svolta nell’assenza di una qualsiasi direzione, sindacale, politica o di altro tipo. Le masse si sono mobilitate senza che alcun leader o organizzazione di rilievo convocasse una data, un luogo o un orario per protestare. Ogni passo in avanti del movimento è stato spontaneo, o semi-spontaneo, seguendo l’istinto.
“Basta parole! Vogliamo i fatti!”
Un fattore caratterizzante che ha distinto queste proteste da quelle degli ultimi due anni è che esse hanno sottolineato la complicità dei governi occidentali ed europei nel genocidio di Israele, estendendone ad essi la responsabilità. I governi non hanno fatto nulla per impedire il massacro.
Le proteste hanno correttamente preso di mira la responsabilità di questi governi nel fornire armi ad Israele, che è il motivo per cui uno dei principali slogan è stato quello di chiedere che Sánchez imponga un embargo totale sulla armi ad Israele e la rescissione di tutti i rapporti diplomatici, commerciali e culturali con lo Stato sionista.
Il governo è restio a farlo. Per questo motivo, la conclusione più importante che queste mobilitazioni hanno tratto è stata: basta parole, vogliamo azioni! Per cui, un altro degli slogan più importanti è stato quello di chiedere la convocazione di uno sciopero generale, seguendo l’esempio italiano.
Oct 4: Hundreds of thousands in Madrid against Israeli genocide in Gaza – watch until the end – must have been the largest ever Palestine solidarity demo in Spain (and there were others on the same day, probably numbering 1 million in total) pic.twitter.com/UJuDLbwzmb
— Jorge Martin ☭ (@marxistJorge) October 5, 2025
Tuttavia, questo stato d’animo di rabbia nelle masse nei confronti del genocidio israeliano e di appoggio al popolo palestinese non è spuntato fuori dal nulla qualche settimana fa. Per non andare troppo lontano, un sondaggio condotto a maggio dall’Instituto Real Elcano, un think tank di destra che non può essere accusato di simpatie filo-palestinesi, ha rivelato che l’82% della popolazione spagnola descriveva le azioni di Israele a Gaza come un “genocidio”. Inoltre, il 78% era in favore di uno Stato palestinese e solo il 23% appoggiava lo Stato di Israele.
Al di là dell’affidabilità di questo sondaggio, è chiaro che l’appoggio per i palestinesi e il rifiuto nei confronti di Israele non sono potuti che aumentare da quando il sondaggio è stato svolto. In realtà, la simpatia e l’appoggio verso il popolo palestinese nella classe operaia spagnola ha una storia decennale ed il genocidio a Gaza lo ha fatto emergere con tutta la sua forza.
Le azioni del governo Sánchez
L’azione del governo Sánchez, che si presenta a livello nazionale e internazionale come un difensore della causa palestinese, si riduce a niente di più che ad un tentativo di cavalcare questo sentimento di rabbia tra i lavoratori e i giovani.
Si tratta di un tentativo di rivitalizzare il proprio appoggio popolare di fronte alla propria debolezza politica all’interno del paese, dove dispone di una maggioranza parlamentare molto fragile e traballante. In ogni caso, quale che fossero le sue intenzioni soggettive, il suo atteggiamento pubblico di ostilità nei confronti del governo israeliano ha oggettivamente aiutato ad estendere il movimento filo-palestinese.
Adesso, il governo ha approvato un decreto per consolidare, dichiara, l’embargo sul commercio di armi con Israele che era stato approvato il 20 ottobre 2023. Ma il fatto è che, dall’ottobre 2023 fino a metà dell’anno scorso, il governo spagnolo ha comprato armi da Israele per un valore di un miliardo di euro. Solo tra giugno e agosto di quest’anno, ha venduto armi ad Israele per un valore di un milione di euro, secondo le autorità doganali dello stesso Israele.
Il governo non ha mai veramente attaccato gli interessi fondamentali del capitale sionista in Spagna, con il quale ha finora mantenuto una dipendenza in materia militare, spionaggio e sistemi di sicurezza, come del resto molti altri paesi occidentali. Sánchez afferma che questo disimpegno dal punto di vista militare è già avvenuto o sta per avvenire.
In ogni caso, anche la proibizione del transito nei porti spagnoli di armi e carburante per usi militari verso Israele, che il governo ha approvato, è subordinata alla verifica del carico dichiarato da queste navi. Se le navi non dichiarano di trasportare tali merci, non vengono ispezionate, aprendo un varco per eludere il divieto. Lo stesso si applica agli aeroplani e alle navi statunitensi che atterrano e attraccano nelle basi militari spagnole a Rota e a Morón, dove, secondo l’accordo stipulato nel 1988, la Spagna non può controllare il contenuto delle stive. In questo modo, gli Stati Uniti potrebbero continuare ad usare queste basi militari per mandare armi a Israele.
Di recente, c’è stato un incontro a Genova di delegati dei lavoratori portuali da tutta Europa, inclusi delegati dai porti spagnoli, in cui si è deciso di impedire il carico e lo scarico di qualsiasi materiale militare. Quello che serve è passare dalle parole ai fatti, in stretta collaborazione con le organizzazioni che promuovono proteste in favore del popolo palestinese. Solo la classe operaia organizzata, e non un pezzo di carta, può imporre un vero embargo sul commercio di armi verso Israele.
Il ruolo deprecabile delle direzioni sindacali
A partire dal 23 settembre, dopo l’impatto del primo sciopero generale in Italia – convocato dal sindacato di base USB – ha cominciato a svilupparsi in Spagna un chiaro clima di fermento favorevole ad intraprendere iniziative simili in Spagna. Le direzioni dei principali sindacati, UGT e CcOo (Comisiones Obreras), spinte da questa atmosfera, hanno fatto trapelare che avrebbero convocato “mobilitazioni” il 15 ottobre, tre settimane dopo.
Chiaramente, questi dirigenti sono nel panico ancora più della classe dominante all’idea che si scateni un movimento che sfugga al loro controllo. Senza confessarlo apertamente, hanno sperato che per quella data si sarebbe raggiunto un qualche tipo di accordo a Gaza, così da non essere costretti ad organizzare nulla. Ma altrettanto infelice è stato l’atteggiamento di altri sindacati più piccoli e “combattivi”, come la CGT e i sindacati nazionalisti baschi (ELA e LAB) e galiziani (CIG), che godono di una posizione egemonica in queste regioni e che hanno sempre criticato UGT e CCOO per la loro passività.
Uno dei nostri compagni, che è un delegato sindacale, è intervenuto il 23 settembre in un’assemblea del sindacato LAB nella provincia basca di Álava, in presenza di 200 delegati sindacali. Ha proposto che il LAB prendesse l’iniziativa di proporre uno sciopero generale ad altri sindacati nel Paese Basco e nel resto della Spagna, quando la Flottilla fosse stata attaccata.
I dirigenti del LAB hanno liquidato la proposta con argomenti insoliti, del tipo che non erano sicuri che i lavoratori avrebbero reagito, che è difficile accordarsi per lottare insieme, ecc. Qualche giorno dopo, il sindacato basco ELA ha proposto al LAB di organizzare uno sciopero separato nel Paese Basco per il 13 ottobre! Hanno giustificato questa cosa con argomenti divisivi e sciovinisti, dicendo che nel Paese Basco la lotta popolare contro il genocidio è più avanzata che nel resto della Spagna, il che non è vero, come i fatti hanno dimostrato.
Uno sciopero separato nel Paese Basco avrebbe potuto giocare un ruolo positivo e progressista se fosse stato convocato, come nel caso dell’Italia, il 2 o il 3 ottobre. Questo avrebbe sottoposto le direzioni burocratiche di UGT e CCOO ad una pressione insostenibile, costringendole ad unirsi o ad anticipare la data che avevano convocato, che sarà uno “sciopero” di due ore il 15 ottobre.
Alla fine, tutti questi sindacati (CGT, ELA, LAB, CIG) hanno finito per aderire alla data del 15 ottobre, convocando scioperi generali nel Paese Basco, in Galizia e in Catalogna (dove però lo sciopero generale è stato convocato solo da CGT) e sciopero di due ore nel resto del paese. In questo modo sperano di aver salvato la faccia, sebbene nella pratica abbiano abbandonato la lotta in un momento decisivo.
La spinta verso una lotta vigorosa è in atto ora, lo smascheramento del ruolo dei governi occidentali e il loro discredito di fronte alle masse sta avvenendo adesso, il martoriato popolo di Gaza non può aspettarsi nulla dall’accordo-trappola di Trump e Netanyahu e nel giro di due settimane potremmo vedere una rinascita del movimento.
Uno sciopero generale nello Stato spagnolo si sommerebbe all’impatto degli scioperi in Italia e aprirebbe la prospettiva a sviluppi simili in Francia, Belgio, Scandinavia, Gran Bretagna e persino in Austria e in Germania, ripercuotendosi a propria volta tra le masse sfruttate del mondo arabo.
Solo il timore di una esplosione rivoluzionaria in tutto il Mediterraneo, o questa stessa esplosione, può fermare il genocidio sionista in Palestina. Questo è il motivo per cui il momento per la convocazione di una mobilitazione generale e combattiva dei lavoratori e dei giovani è ora! Qualsiasi altra cosa è una cortina di fumo che riflette il divario che esiste tra le masse dei lavoratori e la loro direzione ufficiale.
Un’atmosfera esplosiva
È chiaro che l’atmosfera di profonda radicalizzazione e combattività cui stiamo assistendo nello Stato spagnolo non è solo dovuta al ripudio della barbarie che vediamo a Gaza. In maniera indiretta, essa è anche il riflesso dell’esasperazione per le condizioni di vita imposte dal capitalismo: salari insufficienti, inflazione, affitti insostenibili, precarietà lavorativa, liste d’attesa nella sanità pubblica, l’impossibilità per i giovani di avere una vita stabile.
Oggi il salario medio dei lavoratori spagnoli sotto i trentacinque anni è inferiore alla pensione media che ricevono i neo-pensionati, l’età in cui i giovani se ne vanno dalla casa dei genitori è sopra i trent’anni, il 70% dei lavoratori sotto i trent’anni vive con i propri genitori perché non può permettersi di affittare una casa o una stanza, il 70% dei contratti lavoratori sono di tipo precario (a tempo determinato, part-time, ecc.).
La questione palestinese ha dato a milioni di lavoratori e di giovani una bandiera e un obiettivo per cui lottare, che non trovano nell’anchilosata sinistra ufficiale, anche quando quella sinistra, almeno fino a poco tempo fa, poteva apparire abbastanza “radicale”. Alla fine, le condizioni materiali hanno dato un’espressione di classe a questa frustrazione e a questa rabbia profonda nella società.
L’ultimo baluardo di sensibilità, di solidarietà, di compassione per la sofferenza umana è la classe operaia. Di fronte a questa situazione, milioni di persone hanno potuto vedere chiaramente la barbarie e la mentalità crudele delle classi possidenti. Solo loro hanno qualcosa da guadagnare dallo sfruttamento e dall’oppressione delle altre persone e sono loro che hanno appoggiato attivamente il genocidio sionista o che hanno provato a giustificarlo in qualche modo.
Cadiz, Spain (population 110,000) Palestine solidarity demo today: pic.twitter.com/2Ih4DLlByJ
— Jorge Martin ☭ (@marxistJorge) October 5, 2025
Le implicazioni rivoluzionarie dell’impatto sulla coscienza della barbarie di Gaza nella lotta di massa contro di essa sono ormai evidenti, in Spagna e in tutto il mondo. A cominciare dai settori avanzati e oltre, verso i più ampi settori della classe operaia e della gioventù, la conclusione che comincia a venir tratta è che il genocidio a Gaza non è il risultato della malvagità di un uomo o di un governo a Tel Aviv. Esso è piuttosto l’espressione del dominio imperialistico in Medio Oriente, radicato negli interessi dei capitalisti occidentali in questa parte del globo.
È questo il motivo per cui il sangue versato da decine di migliaia di giovani, donne e bambini a Gaza non è stato versato invano, ma ha seminato frutti e continuerà a farlo per lungo tempo. I suoi germogli sono le migliaia di nuovi combattenti contro l’imperialismo, il capitalismo e l’ingiustizia, il suo frutto è un movimento gigantesco e inarrestabile di indignazione contro il sistema attuale e la speranza di un nuovo mondo che la nostra generazione deve edificare.
Parafrasando il grande rivoluzionario Buenaventura Durruti, noi non temiamo le macerie lasciate dalla borghesia e dai suoi complici imperialisti, che sia a Gaza o in altre parti del mondo, perché noi lavoratori sappiamo come costruire: non è la nostra natura? Noi ricostruiremo il mondo e sarà un mondo migliore.
Come diceva Durruti: “La borghesia può distruggere e mandare in rovina il suo mondo prima di lasciare la scena della storia. Noi, i lavoratori, portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori”. Questo mondo cresce con ogni minuto che passa.
6 ottobre 2025
