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Ucraina – Solidarietà con gli attivisti contro la guerra detenuti dallo Stato!
10 Febbraio 2025
Verso l’8 marzo – Rivoluzionarie contro il patriarcato!
12 Febbraio 2025di Ben Curry, da marxist.com
Prima ancora che Trump venisse confermato come 47esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, un osservatorio europeo ha dichiarato che sta avvenendo “la più grande crisi nelle relazioni transatlantiche dai tempi di Suez”. Un burocrate dell’UE ha fatto eco allo stesso sentimento: “Esiste ancora un rapporto tra UE e USA?”. Insomma, il panico sta dilagando nelle sale del potere in Europa.
Non è difficile capire il perché. Trump ha minacciato dazi del 20% su tutte le importazioni europee; ha promesso un accordo con Putin per porre fine alla guerra in Ucraina; ha minacciato di annettere la Groenlandia alla Danimarca, membro della NATO, e ha chiesto ai membri europei della NATO di aumentare la spesa per la difesa fino al 5% del PIL, pena l’uscita degli Stati Uniti dall’alleanza militare. Va inoltre sottolineato che l’unico titolare di una carica europea a ricevere un invito alla cerimonia di insediamento sia stata l’italiana Georgia Meloni, sebbene molti leader dei cosiddetti partiti di “estrema destra” ed euroscettici fossero presenti su invito speciale.
Tutto questo è una conseguenza della strategia di Trump, che rappresenta una rottura con la politica dell’imperialismo statunitense dal dopoguerra. Il problema è che la classe capitalista europea ha costruito tutte le sue fortune su questa politica, ovvero sul mantenimento a tutti i costi da parte dell’imperialismo statunitense del suo status di superpotenza economica e militare mondiale, arbitro supremo di quello che oggi viene chiamato “ordine mondiale basato sul diritto”.
Tutti i presidenti degli Stati Uniti dalla caduta dell’Unione Sovietica hanno finora cercato di mantenere il pieno dominio USA nel mondo. Ma questa politica si scontra sempre di più con l’ostinatezza della realtà materiale. Trump è convinto che questa non si possa più ignorare senza mettere a repentaglio gli interessi imperialisti degli Stati Uniti.
Con l’industria manifatturiera americana che deve affrontare una concorrenza sempre più agguerrita da parte di rivali in ascesa, Trump intende sbattere la porta in faccia a tutti i concorrenti del mercato statunitense. E quando dice “America First”, non intende “America e i suoi alleati prima di tutto”. Intende esattamente quello che dice. Ciò significa dazi non solo sulle merci cinesi, ma anche su quelle europee.
Il capitalismo europeo è già in una situazione di stallo. Una guerra dei dazi aggraverà ulteriormente i suoi problemi, non solo perché ostacolerà l’ingresso dell’UE nel suo più grande mercato di esportazione, ma perché costringerà la Cina a cercare altri mercati, compreso quello europeo, per scaricare le proprie eccedenze.
Ma questo è solo l’inizio dei problemi per l’Europa. La politica di Trump non è semplicemente una politica di protezionismo economico, ma di ripiegamento geopolitico.
Ridimensionamento
Durante la campagna elettorale di novembre, i liberali hanno detto e ripetuto quanto Trump sia “pazzo”. Vorrebbero farci credere che loro, al contrario, sono “gli adulti nella stanza”. La sfacciataggine della retorica di Trump e l’apparente stravaganza delle sue dichiarazioni sull’annessione di pezzi di paesi vicini e alleati degli Stati Uniti possono far pensare che sia davvero fuori di testa.
Ma per molti versi sono i liberali ad aver perso il contatto con la realtà, mentre la politica di Trump rappresenta la valutazione più sobria delle dura realtà che l’imperialismo statunitense deve affrontare nel momento attuale. La politica dei liberali, che ignorano la realtà e cercano di imporre l’egemonia statunitense ovunque e tutta in una volta, ha portato a catastrofi su catastrofi: in Afghanistan, in Siria, in Ucraina. E per cosa? Non sono riusciti né e a fermare e né a rallentare il declino degli Stati Uniti.
Trump intende correggere questo squilibrio e riconoscere nei fatti che gli Stati Uniti, pur essendo ancora la principale potenza militare del mondo, non sono più onnipotenti e non intendono più immaginarsi come tali. Devono scegliere le proprie battaglie. Ciò significa rafforzare il proprio potere in quelle parti del mondo in cui ha interessi vitali e sfere d’influenza da difendere. Ma significa anche riconoscere che anche i suoi rivali hanno le loro sfere d’influenza, che sarebbe inutile contendere.
C’è una logica innegabile in questo ragionamento. Ma porta anche a delle conseguenze. Significa che l’imperialismo statunitense deve abbandonare la pretesa ipocrita di sostenere il cosiddetto “ordine basato sullo stato di diritto”. No, Trump sta ammettendo chiaramente e onestamente che “chi è forte è nel giusto” (o, per usare il suo stesso motto, “pace attraverso la forza”).
Ciò significa anche riaffermare il controllo degli Stati Uniti sui loro “vicini più prossimi”: Canada, Messico, Panama e, naturalmente, Groenlandia. Il governo danese è rimasto sconcertato dai progetti di Trump sul loro possedimento coloniale. Ma dato che hanno solo 50 soldati di stanza lì, c’è poco da fare se non protestare in pubblico… e negoziare in privato.
Un paese membro della NATO minaccia di invadere un altro membro della NATO. Cosa ci dice questo sul futuro di questa cosiddetta alleanza? Trump vuole rafforzare la presenza degli Stati Uniti in aree che considera di vitale importanza strategica ed economica. La Groenlandia e l’Artico sono tra queste. Anche la regione del Pacifico è un’altra area di vitale importanza geostrategica per il capitale americano. Ma il piccolo bacino europeo non rientra più in questo quadro. Il centro di gravità dell’economia mondiale si è da tempo spostato dall’Atlantico al Pacifico.
La funzione militare primaria della NATO, tuttavia, è sempre stata proprio in Europa, con un’attenzione particolare alla Russia (in precedenza all’Unione Sovietica e al patto di Varsavia) e alla garanzia del dominio occidentale in Europa. Anche in questo caso, Trump ha detto chiaramente che la guerra in Ucraina è stata provocata dall’occidente con l’espansione della NATO verso est. È stato anche chiaro sul fatto che, dal punto di vista degli Stati Uniti, questa guerra è una distrazione costosa e lontana dal centro degli interessi americani. In entrambe le valutazioni ha ragione e ha promesso di negoziare la fine della guerra non appena entrerà nello studio ovale.
Questo ha creato il caos nelle capitali europee. Le potenze europee sono state trascinate in questa guerra dall’amministrazione Biden. Il fallimento della guerra e le sanzioni che l’hanno accompagnata hanno provocato un contraccolpo senza precedenti nell’ultimo periodo alle loro economie e al loro prestigio. Ora viene detto loro che se la guerra dovesse continuare, gli europei dovrebbero portarla avanti alle loro condizioni e a loro spese, senza l’aiuto degli Stati Uniti. Questa è una guerra della NATO, eppure il principale contributore militare della NATO se ne è tirato fuori.
Tutto ciò pone un interrogativo sul destino della NATO. E Trump ha detto chiaramente che non ci perderà il sonno. Dato che gli Stati Uniti forniscono il 65% della forza militare a un’alleanza concentrata lontano dal suo vero centro di interessi, gli sembra, non a torto, un sussidio non necessario alla spesa europea per la difesa. Ha detto chiaramente che gli Stati europei sono degli scrocconi e che, a meno che i membri della NATO del continente non aumentino la spesa militare fino al 5% del PIL, è disposto ad abbandonare del tutto l’alleanza.
Il suo corteggiamento gruppi nazionalisti di cosiddetta “estrema destra” in Europa, per non parlare dei proclami di Elon Musk contro la natura “antidemocratica” del parlamento europeo, suggerirebbero che non solo la NATO, ma anche la stessa UE potrebbe andare in frantumi, per quel che importa a Trump. Ciò sarebbe in linea con la sua strategia “America First”, che prevede non solo il potenziamento dell’industria americana, ma anche l’indebolimento dei concorrenti industriali, compresa l’Europa.
Con l’inasprirsi delle relazioni commerciali e di difesa transatlantiche, sia la NATO che l’UE rischiano concretamente di sgretolarsi completamente nei prossimi anni. Una tale spaccatura del continente rappresenterebbe una catastrofe per le classi dominanti europee.
Aggrappati alla coda degli Stati Uniti
Il capitalismo europeo si è aggrappato alla coda dell’imperialismo statunitense sin dalla fine della seconda guerra mondiale.
Con la NATO, l’imperialismo statunitense ha fornito l’ombrello militare sotto cui riunire le piccole nazioni imperialiste d’Europa. Le ha costrette a integrarsi in un blocco – quella che è diventata l’UE – spesso contro i loro piccoli interessi nazionali. E ha fornito lo stimolo economico per la rinascita del capitalismo europeo e in particolare tedesco, dopo che il continente aveva combattuto fino allo sfinimento durante la seconda guerra mondiale.
Quando Berlino cadde in mano agli Alleati nel 1945, il primo istinto di inglesi e francesi fu quello di comportarsi da nazioni vincitrici meschine e rovinate. Cominciarono a derubare e a saccheggiare la Germania, sperando di mettere definitivamente in ginocchio l’imperialismo tedesco, ponendo fine una volta per tutte alla Germania anche come nazione industriale.
Le fabbriche furono smontate e impacchettate per essere riassemblate in Gran Bretagna e in Francia. Vennero estratte tonnellate di materie prime a titolo di risarcimento e decine di migliaia di prigionieri di guerra tedeschi vennero trasformati in lavoratori forzati per aiutare la ricostruzione britannica e francese.
Se fosse stato per Regno Unito e Francia, alla Germania sarebbe stata imposta una “Super Versailles”. Ma gli Stati Uniti intervennero per porre fine alle loro bravate, che riflettevano le ambizioni insignificanti di potenze ormai di secondo piano.
Gli Stati Uniti avevano bisogno di ricostruire una Germania occidentale potente e industrializzata come contrappeso all’Unione Sovietica nel continente europeo. Dovevano ricostruire l’Europa per prevenire le rivoluzioni e fermare l’avanzata del comunismo. Per questo motivo, finanziarono una politica di ricostruzione del capitalismo europeo, costringendo questi piccoli Stati a riunirsi sotto la propria egemonia.
Così, all’inizio degli anni ’50, la politica USA nei confronti dell’Europa era diventata quella di versare enormi quantità di aiuti attraverso il piano Marshall per favorire la ricostruzione. Furono concessi prestiti a basso costo e furono cancellati i vecchi debiti. Furono le pressioni statunitensi a costringere le potenze europee continentali a riunirsi nella Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), la progenitrice dell’UE.
Con grande disappunto degli Stati Uniti, i britannici insistettero nel rimanere in disparte, aggrappandosi all’idea sciocca di essere una potenza di primo ordine con una “relazione speciale” con gli Stati Uniti, con i quali si illudevano di poter trattare ad armi pari.
Gli americani avrebbero preferito unire l’Europa intorno alla Gran Bretagna come vettore più sicuro dei propri interessi. Invece si basarono sui francesi, che assecondarono con entusiasmo il piano statunitense, immaginando falsamente che fossero loro, e non i tedeschi, a essere destinati a dominare una nuova Europa integrata. Ma furono gli americani a decidere e a guidare il processo di integrazione europea fin dall’inizio.
Questo piano, volto a riunire un’Europa industrialmente ricostruita come contrappeso all’Unione Sovietica, era sostenuto dall’alleanza militare, la NATO, costituita nel 1949, e dalla presenza di quasi mezzo milione di truppe statunitensi, per non parlare della presenza nucleare, sul continente. Anche in questo caso, gli Stati Uniti dovettero fare i conti con le tensioni tra le ex grandi potenze europee che cercavano di mantenere il loro vecchio status. La classe dirigente francese, ad esempio, insisteva per avere un proprio arsenale nucleare indipendente, separato da quello della NATO. Amavano immaginare che questo li elevasse al livello delle grandi superpotenze, ma evidentemente non era così.
Naturalmente, l’UE e le organizzazioni che l’hanno preceduta non erano solo veicoli degli interessi statunitensi. Le classi capitalistiche europee hanno sempre avuto i propri interessi e sono state in competizione con il capitalismo americano. L’imperialismo statunitense era intenzionato a non permettere all’imperialismo europeo di emergere come potente concorrente militare, e ci sono sempre stati limiti al suo sostegno all’integrazione europea.
Lo sviluppo della NATO è andato di pari passo con le limitazioni al riarmo tedesco e per tutto il dopoguerra gli Stati Uniti hanno sempre diffidato di una politica di difesa comune europea indipendente dalla NATO. Poi, una volta che i britannici – fedeli leccapiedi dell’imperialismo statunitense – hanno aderito alla CECA e poi all’UE, si è sempre potuto contare su di loro per bloccare le ripetute iniziative volte a formare qualcosa di simile a un esercito europeo.
Eppure, per un lungo periodo, l’Europa ha tratto vantaggio da questo accordo in base al quale ogni sua ambizione militare era soffocata dagli Stati Uniti. Con l’assistenza della NATO, la spesa militare poteva rimanere relativamente bassa e il denaro così risparmiato poteva essere reinvestito.
La potenza economica è stata la base con cui gli Stati Uniti sono stati in grado di sottomettere e dominare economicamente e militarmente l’Europa. Ma tutti i fattori che hanno incentivato e permesso all’imperialismo statunitense di sostenere e tenere insieme il capitalismo europeo si sono trasformati negli ultimi decenni nel loro opposto.
A partire dagli anni ’90, è venuta meno la necessità di “contenere” l’Unione Sovietica. La NATO è rimasta un utile ombrello per imporre l’influenza occidentale (cioè statunitense) nell’ex sfera d’influenza sovietica. Ma l’impulso a formare l’UE nel 1993 è venuto dagli stessi europei.
Per competere efficacemente sul mercato mondiale, dovevano riunirsi. In un periodo di liberalizzazione del commercio e di globalizzazione, la formazione del mercato comune non ha incontrato obiezioni da parte degli Stati Uniti e l’espansione verso est dell’UE ha agito come ulteriore cinghia di trasmissione dell’influenza statunitense in direzione della Russia.
Dal punto di vista militare, la riduzione della presenza statunitense in Europa dopo la guerra fredda ha inviato un chiaro messaggio al capitalismo europeo. Non si poteva più contare indefinitamente sulla potenza militare degli Stati Uniti. Gli Stati membri hanno quindi fatto vari tentativi di unirsi militarmente di propria iniziativa… e ogni volta non hanno raggiunto l’obiettivo a causa dell’inconciliabile mosaico di interessi nazionali che compongono l’UE.
Basta porsi la domanda “su cosa si concentrerebbe l’esercito dell’UE?” per capire in che situazione in cui si troverebbero con una politica di difesa comune. I francesi hanno interessi imperialistici in Africa occidentale da difendere. I Paesi baltici e nordici si concentrerebbero sulla minaccia russa. Per gli irlandesi, c’è la questione dei cavi transatlantici sottomarini, eccetera.
Le dimensioni ridotte dell’industria europea pongono anche barriere economiche a ciò che essa può realizzare militarmente. Il progetto di sviluppo dell’Eurofighter, ad esempio, ha portato a costi vertiginosi e a ritardi su ritardi a causa del complicato miscuglio transnazionale del consorzio coinvolto nel suo sviluppo. Composto da diverse aziende aerospaziali europee, ognuna gestiva una parte della catena di fornitura, e l’intero processo è stato caratterizzato dal caos.
Ma a fronte di tutti questi sforzi incerti per stare in piedi da sola, l’Europa ha continuato a rimanere unita. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che la classe dirigente statunitense si è aggrappata all’idea di poter e voler tenere il mondo intero sotto l’egida del proprio dominio unico a tempo indeterminato. Con l’Unione Sovietica che non bloccava più il suo cammino, gli Stati Uniti sembravano essere una forza imperialista di portata globale apparentemente illimitata. Questo doveva essere il Nuovo Secolo Americano.
Ma questo progetto ha ben presto vacillato. L’imperialismo statunitense è arrivato al limite. Nel frattempo, la crescita del capitalismo in Asia orientale ha spostato il centro degli interessi statunitensi dall’Atlantico alla regione del Pacifico. L’Europa è oggi di minore importanza per il capitalismo statunitense. E anche se volesse mantenere il controllo che aveva un tempo ovunque, l’imperialismo statunitense è in relativo declino. Non possiede più le risorse di un tempo per sostenere le spese che l’alleanza economica e militare con l’Europa comporta.
Il cambio di rotta era evidente anche sotto Biden. Le tariffe e i sussidi applicati sotto la sua amministrazione attraverso l’Inflation Reduction Act (IRA), il CHIPS Act e altre leggi hanno preso di mira proprio la produzione europea. Trump si limita a riflettere in modo più netto questi fatti nelle sue politiche.
Una strada buia da percorrere
Cosa significa tutto questo per l’Europa? Significa che si profila un futuro in cui affonderà o inizierà a nuotare solo in base alle proprie forze, e le prospettive non sono buone.
La formazione dell’Unione Europea rifletteva la necessità delle piccole potenze in declino di riunirsi per sopravvivere. Ma non è stata forgiata come entità politica attraverso una rivoluzione che ha fatto piazza pulita degli antagonismi nazionali. L’integrazione europea è stata forzata con il sostegno dell’imperialismo statunitense e con la fortuna di un prolungato boom economico che è durato per tutto il dopoguerra e che ha temporaneamente mascherato gli interessi nazionali divergenti di un mosaico di piccoli stati nazionali.
Questo è alla base del declino a lungo termine del capitalismo europeo. Questi piccoli Stati nazionali non hanno i mezzi per creare monopoli delle dimensioni e della produttività necessarie per competere con i colossi statunitensi e cinesi. Tagliando il gas russo dal mercato europeo con l’inizio della guerra in Ucraina, hanno peggiorato i loro problemi e una nuova guerra commerciale li peggiorerà ulteriormente.
Il deterioramento economico può potenzialmente causare il riemergere di una nuova crisi del debito pubblico, solo che questa volta non saranno solo le nazioni europee più piccole e “periferiche” a essere colpite in modo sostanziale. Piuttosto, gli Stati membri principali, tra cui Francia e Italia, con i loro deficit e soprattutto debiti in aumento, si troveranno probabilmente nell’occhio del ciclone.
Senza gli Stati Uniti che non sono più il polo gravitazionale unico che tiene insieme il continente, le nazioni europee saranno trascinate in ogni sorta di direzione divergente.
Con la fine della guerra in Ucraina che si avvicina, ci saranno alcune classi capitalistiche nazionali interessate a ripristinare i flussi di petrolio e gas dalla Russia, come l’Austria e la Germania, e altre molto ostili, come la Polonia, i paesi baltici e quelli scandinavi.
Senza il protagonismo degli Stati Uniti nel continente, è probabile che le tensioni esplodano sempre più esplicitamente. E Trump ha detto chiaramente che, pur non avendo alcun interesse a continuare la guerra in Ucraina, se l’Europa non vuole affrontare l’ira economica degli Stati Uniti, è meglio che cominci a comprare più petrolio e gas americani in fretta.
Con i muri che si alzano intorno al mercato statunitense, anche le diverse nazioni europee saranno spinte in direzioni diverse per trovare nuovi sbocchi commerciali. Alcuni preferiranno una capitolazione completa a tutte le richieste degli Stati Uniti. Per altri, la Russia è in attesa, così come la Cina.
Già l’anno scorso, le divergenze sono esplose tra gli Stati membri sull’opportunità di imporre dazi sui veicoli elettrici cinesi. La Francia, la Polonia e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si sono schierate a favore. Ma Germania, Ungheria, Spagna e Slovacchia hanno espresso pubblicamente il loro disappunto per questo piano – la Germania per paura di ritorsioni cinesi, gli altri nel tentativo di attrarre investimenti cinesi.
Tutto questo prima di considerare le implicazioni politiche del crescente malcontento in Europa, che minaccia di portare al potere una serie di partiti di destra esterni all’establishment tradizionale: la Le Pen in Francia, AfD in Germania, FPÖ in Austria, persino Farage in Gran Bretagna. Quali nuove variabili rappresenterebbero tali governi una volta entrati nell’equazione?
Tutto questo è inevitabile? Ci sono strateghi in Europa che, lungi dal lamentarsi semplicemente del disprezzo di Trump per l’“ordine basato sullo stato di diritto” e altri slogan, comprendono i fatti concreti.
Draghi, come abbiamo commentato altrove, ha prodotto uno studio molto interessante che esorta a massicci investimenti statali su base continentale. Solo così, ha spiegato, il continente potrà produrre una classe di campioni europei, di monopoli di massa, in grado di competere seriamente con i rivali americani e cinesi.
Tuttavia, ci sono alcuni ostacoli. Dove andrebbero a finire questi investimenti? Saranno appannaggio dei tedeschi o dei francesi? Si può tranquillamente supporre che non saranno appannaggio dei greci, degli spagnoli o dei portoghesi. Tali investimenti pongono ancora una volta il problema ostinato degli interessi nazionali in competizione all’interno del capitalismo europeo. Inoltre, un aumento così massiccio degli investimenti avrebbe un costo enorme, pari al 4,5% in più del PIL europeo, secondo i dati forniti da Draghi.
Anche altri, guardando all’era Trump, hanno lanciato un avvertimento all’Europa. Mark Rutte, segretario generale della NATO, ha detto ai membri europei che devono aumentare la spesa militare al 4% del PIL, il doppio dell’attuale obiettivo del 2%. Se l’Europa vuole stare in piedi da sola quando si tratta di difendere militarmente i suoi interessi imperialisti, non ha scelta. Questo senza considerare il fatto che l’UE non ha un proprio esercito e che i suoi eserciti rimangono uniti sotto il comando degli Stati Uniti attraverso la NATO!
Ma ecco il problema della proposta di Rutte: la classe capitalista europea ha già ridotto all’osso la spesa pubblica con una massiccia austerità, eppure 10 dei 27 Stati membri continuano a registrare deficit superiori al limite del 3% del PIL stabilito dal trattato di Maastricht. La Francia ha uno sconcertante deficit del 6,1%.
Inoltre, Draghi e Rutte dicono agli Stati di aumentare enormemente la spesa statale per gli investimenti e la spesa militare se vogliono che il capitalismo europeo abbia un futuro! Per raggiungere questo obiettivo, i governi europei dovrebbero attuare misure di austerità con una ferocia senza precedenti storici nel continente. In effetti, Rutte ha spiegato proprio questo nel suo discorso di dicembre: “So che spendere di più per la difesa significa spendere meno per altre priorità”, ha detto alla stampa e ai politici in ascolto. “Ma è solo un po’ meno”.
Solo un po’ meno cibo, solo un po’ meno per il sistema sanitario, un po’ meno riscaldamento per i pensionati. Un po’ meno, e l’Europa potrebbe produrre una macchina militare di livello mondiale in grado di uccidere e mutilare per la classe miliardaria europea.
Eppure, il governo francese è caduto dopo un tentativo fallito in autunno di far passare un pacchetto di austerità che avrebbe visto il deficit semplicemente ridotto dal 6,1% al 5,4% del PIL.
Finora, le classi dominanti hanno esitato a mettere in atto misure che si avvicinassero anche solo lontanamente a quelle necessarie per dare un futuro al capitalismo europeo nel mondo che sta per arrivare. E questo perché sanno cosa significherebbe farlo: disordini sociali, turbolenze politiche, persino rivoluzioni. Eppure potrebbero essere costretti ad attuare tali politiche in futuro, con tutti i rischi che ciò comporta. Perché l’alternativa è davvero desolante per il capitalismo europeo e promette di accelerare il declino. La fine della NATO è del tutto possibile, così come la completa frammentazione del continente e il collasso dell’UE.
A prescindere, il destino del continente è segnato. Gli eventi stanno gettando le basi per la rivoluzione europea.